Quanto tempo è disposto il pianeta a concederci prima di arrivare ad un punto irreversibile dell’equilibrio di vita sulla amata e disgraziata terra?
di Laura Tussi e Fabrizio Cracolici
L’effetto dell’attività umana sulla terra è oramai ad un livello insostenibile.
Assistiamo ogni anno ad un anticipo dell’overshot day, cioè di quella data dove il pianeta non è più in grado di darci nulla a costo ambientale zero.
Quali azioni necessarie ed urgenti devono essere subito attivate per evitare la totale degenerazione ambientale della vita sulla terra?
Domande pesanti ma che non possono più vedere la nostra indifferenza.
Alcune azioni immediate come il consumo consapevole e ragionato delle risorse può rappresentare un punto di partenza.
Uno dei motivi che vedono una forte attività di distruzione delle foreste è la necessità di avere nuovi terreni da coltivare per soddisfare il bisogno alimentare dell’uomo.
Produrre cibo vegetale per alimentare cibo animale e successivamente alimentare l’uomo è insostenibile perché se ipotizziamo di far mangiare un chilo di carne al giorno ad ogni essere umano dobbiamo sapere che per generarlo servono 11 chili di vegetali. Contiamo che sulla terra abbiamo raggiunto la quota di 8 miliardi di abitanti, di conseguenza, la produzione giornaliera richiesta sarebbe di 8 miliardi di chili di carne e 88 miliardi di chi di vegetali. Numeri pazzeschi! Una riduzione drastica del consumo di carne sarebbe un passo avanti rispetto all’equilibrio ecocompatibile.
Riflessioni, ragionamenti, azioni per un futuro che prenda urgentemente le mosse da un passato e da un presente consci dell’importanza della tutela dell’ambiente di tutti e di cui tutti noi esseri viventi derivanti dalla cosmogenesi dell’evoluzionismo delle specie umane, vegetali, animali siamo parte integrante.
Deriviamo e siamo figli della terra e di una procreazione femminile e di una cosmogenesi che è femminea e naturale. Questi concetti ricavati dalle radici del pensiero del femminismo del 1900 e dal neofemminismo ci permettono di ribadire la nostra eziogenesi da una madre terra che è appunto inequivocabilmente femmina e che esclude il pensiero di una divinità padre, maschio, onnipotente e onnipresente che è causa di deviazioni autoritarie, maschiliste e sessiste imposte dagli apparati e dalle burocrazie religiose.
Il rapporto con madre terra è in parte rintracciabile negli scritti economico filosofici del 1844 del giovane Marx, che individuava un rapporto e una correlazione stretta tra uomo e natura al contrario dell’evoluzione del suo pensiero in tarda età come ne Il capitale che metteva la produttività in primo piano rispetto alle esigenze dell’ambiente e della natura. Il nostro pensiero che deriva dai miti ancestrali delle popolazioni autoctone, dalle potnie e divinità creatrici, tuttavia non prende e non prevede l’aspetto scaramantico e tradizionalista e mitologico di questi assunti collegati alle divinità ancestrali, ma il ritrovarci tutti figli di madre terra si ricollega al pensiero prettamente positivista dell’evoluzionismo della specie di Darwin.
Noi siamo figli di una cosmogenesi femminile, figli delle stelle come intendeva l’astrofisica Margherita Hack e per questo abbiamo il diritto e dovere di tutelare, difendere e salvaguardare questo impianto generativo femmineo dalla distruzione a opera umana che potrebbe verificarsi anche con un inverno nucleare e con la molto probabile apocalisse atomica che potrebbe accadere anche solo per errore umano o di mezzi artificiali, informatici e macchine.
Queste ultime catastrofi fanno parte delle emergenze e delle minacce che incombono sull’umanità come la gravità dei dissesti e disastri climatici dovuti alle eccessive emissioni di gas serra di origine antropica nell’atmosfera. E ancora la disuguaglianza globale dove la minoranza dei “ricchi” del pianeta detiene la maggioranza dei beni comuni dell’intera umanità, causando soprattutto sperequazioni economiche e migrazioni forzate che si verificano anche a causa di conflitti e guerre in atto nel nostro pianeta. E la violenza strutturale che si declina negli stupri di massa in guerra, nella violenza contro tutte le donne che trova la sua apicalità nel femminicidio, negli atti di bullismo e violenza contro i più fragili, contro gli LGBTQ e i più deboli del pianeta, la violenza contro i lavoratori per cui non si può mai parlare di morti bianche, ma di autentici omicidi dovuti al neofascismo e al fascismo aziendale nei luoghi di lavoro e nelle fabbriche.
Il nostro pensiero che ci vede vittime di queste minacce che coinvolgono madre terra si ricollega al pensiero della complessità che prende le mosse dai grandi pensatori e partigiani da Stéphane Hessel a Edgar Morin. Il pensiero della complessità dei sistemi viventi di cui anche la donna e l’uomo sono parte nel pluriverso della coscienza planetaria che fa parte del cosmo universale. Partendo da tutti questi assunti la vera sinistra, quella ecologista e pacifista, dovrebbe elaborare un proprio pensiero laico e ateo e indipendente e autonomo dall’istituzione religiosa e prendere le mosse dal rapporto con una madre terra da cui tutti noi donne e uomini deriviamo e che abbiamo il dovere di difendere, salvaguardare e tutelare dall’estinzione.Blog ODISSEA
Guerre mediatiche, guerre dimenticate.
I civili soffrono mutilazioni o muoiono e chi governa lancia proclami.
Ucraina e Congo Repubblica democratica: analogie e differenze
Con la partecipazione di:
Alex Zanotelli
Chiara Castellani
Vittorio Agnoletto
Fabrizio Cracolici
Alessandro Marescotti
Giustino Melchionne
Milly Moratti
Paolo Moro
A margine di un evento con Alex Zanotelli, Vittorio Agnoletto, Chiara Castellani e altri si vuole indagare sulle analogie e differenze tra l’Ucraina e la Repubblica democratica del Congo e le situazioni e condizioni in atto rispettivamente interagenti.
Il mio intervento vuole individuare che un fattore di analogia tra i due Paesi è proprio il nucleare. Infatti in Congo dalle miniere viene estratto l’uranio che è servito anche per costruire le bombe nucleari di Hiroshima e Nagasaki, mentre in Ucraina esistono centrali nucleari attive che, come accaduto vicino a Kiev all’inizio dell’attuale conflitto, possono diventare bersaglio per atti terroristici e azioni militari in tempo di guerra come quello attuale.
Riprendiamo dall’Agenzia internazionale Pressenza una intervista di Laura Tussi a Mario Salomone . L’intervista è stata ripresa anche da AgoràVox Italia
Mario Salomone è segretario della Rete mondiale di educazione ambientale – WEEC. In quali iniziative consiste questo importante incarico?
L’iniziativa più importante e prestigiosa, da cui è nata la rete, è quella dei congressi biennali, cui partecipano delegati provenienti da Paesi di ogni parte del pianeta – secondo i casi, cinquanta e oltre cento. Nel marzo scorso abbiamo tenuto l’undicesimo congresso a Praga, stiamo lavorando al dodicesimo nel 2024 e stiamo già cercando la sede per il tredicesimo nel 2026.
Cerchiamo di conservare l’eredità dei congressi passati, che documentiamo sul sito internazionale www.weecnetwork.org, e di mantenere vivi i rapporti tra i membri della comunità mondiale di pratica e di ricerca tra un congresso e l’altro, tramite il sito, le periodiche newsletter, i social media.
Un’altra funzione fondamentale è quella di curare la selezione delle candidature a ospitare i congressi, che finora hanno toccato tutti i continenti e di garantire la continuità di ispirazione e di metodo: ai comitati organizzatori locali diamo una serie di linee guida e portiamo sia tutta l’esperienza accumulata in quasi vent’anni dal primo WEEC in Portogallo, sia l’apporto scientifico della nostra rete internazionale. In questo modo conciliamo la continuità e la coerenza degli eventi, derivate dalla nostra azione, con l’apporto originale che il paese ospitante può dare grazie alla diversità di culture e di contesti. Si può dire, insomma, che ogni edizione del WEEC abbia una identità comune ben riconoscibile e allo stesso tempo una felice dose di originalità: non è lo stesso fare un congresso a Göteborg, a Bangkok o a Marrakech.
Mario Salomone è anche saggista e scrittore. Autore di numerose monografie, di saggi e articoli su riviste scientifiche e scrittore di romanzi e racconti. Da quali esperienze deriva questa sua poliedricità e da dove scaturisce il suo eclettismo nella scrittura?
Scrivere mi ha dato da sempre piacere e in questo mi sento vicino a quanto dice il mio amato Giacomo Leopardi nello Zibaldone. Per incentivarmi mio padre mi regalò una Olivetti Lettera 32 e da allora non ho mai smesso. Scrivere mi fa stare bene. Quanto alla varietà, direi che scaturisce dalla curiosità, che mi spinge a guardare più al futuro che al passato, e dall’idea di trasversalità e interconnessione propria della visione ambientale. La realtà è unica, siamo noi che la frammentiamo e ci chiudiamo in tante scatole, che dovremmo rompere.
Mario Salomone fa parte del comitato di direzione della Cattedra UNESCO in sviluppo sostenibile dell’Università di Torino. Può esporci l’importanza di questa sua esperienza di magistero?
Il bello di lavorare all’università è da un lato che ti costringe a studiare e ad aggiornarti continuamente e ti permette di trasferire quanto appreso in saggi e articoli scientifici e dall’altro ti mette a contatto con i giovani: fare lezione è un’esperienza stimolante e una spinta a ricercare e a rinnovarsi. Negli argomenti di cui mi occupo non è possibile riscaldare sempre la stessa minestra: viviamo in tempi di grande e crescente accelerazione, che sfidano a trovare nuovi dati e nuove risposte.
La Cattedra UNESCO in sviluppo sostenibile dell’Università di Torino inoltre è un bell’ambiente, per sua natura e mandato, centrata sui temi del presente e su un dialogo interdisciplinare sia con colleghi di tutti i dipartimenti dell’Ateneo torinese, sia con le altre cattedre UNESCO delle università italiane, che hanno dato vita a un coordinamento e hanno prodotto un interessantissimo documento comune, ponendosi all’avanguardia del mondo accademico del nostro paese.
Quali sono i libri più importanti che ha scritto e ai quali è più affezionato?
Quali siano i più importanti lo lascerei decidere ai lettori, anche se in generale ritengo più significativi i testi che maggiormente mettono in discussione il paradigma dominante (riduzionistico, “occidentale” e antropocentrico) e il nesso tra giustizia sociale e ambientale. I libri a cui sono più affezionato sono forse quelli di narrativa, come “Messaggio dal futuro”, romanzo fanta-ecologico giocato sui guai prodotti da una macchina del tempo, o i racconti, come il racconto lungo “Ippo” e quelli più brevi di pianeti immaginari o quelli usciti per alcuni anni su “Popotus”, il supplemento per bambini del quotidiano “Avvenire”. Sono affezionato anche ai romanzi non nati. Ad esempio, ce n’è uno, abbozzato, che mi curo nella mente da anni, ma è fermo un po’ per mancanza di tempo un po’, confesso, perché non ho ancora trovato la chiave giusta per risolverlo.
Una sua presa di posizione consapevole sul Premio Nobel per la pace a Ican, rete internazionale per l’abolizione degli ordigni di distruzione di massa nucleari e per il disarmo nucleare universale. Tutti noi ecopacifisti e disarmisti ne siamo diretti testimoni e ci sentiamo chiamati a rammentare il valore implicito di questo Premio Nobel per la pace collettivo all’intera umanità ormai in pericolo e al tracollo, in balia dei venti di guerra mondiali.
Sono un convinto sostenitore del nesso pace-ambiente: lavoriamo tutti per costruire nelle menti e nei cuori (e si spera anche nelle politiche) la comunità planetaria di destino e bene hanno fatto i giurati del Premio Nobel a dare questo riconoscimento a Ican, certo più meritato che per tanti altri vincitori. Fratellanza e sorellanza tra esseri umani e tra umanità a pianeta costituiscono un ideale che ci accomuna. Sappiamo bene quanto grave sia l’impatto ambientale e lo sperpero vergognoso di risorse degli apparati militari anche in tempo di (cosiddetta) “pace”. Viceversa, le guerre e gli apparati militari servono a impadronirsi di risorse naturali, a presidiare rotte commerciali, a imporre modelli di produzione e consumo antiecologici e insostenibili, a produrre ingiustizia sociale e ambientale. Sostengo che la guerra mondiale permanente è cominciata con le vele e i cannoni nell’epoca delle conquiste coloniali, quando la dimensione e il costo degli eserciti europei sono aumentati di dieci volte nel giro di due secoli.
Scrive per noi
Laura Tussi, docente, giornalista e scrittrice, si occupa di pedagogia nonviolenta e interculturale. Ha conseguito cinque lauree specialistiche in formazione degli adulti e consulenza pedagogica nell’ambito delle scienze della formazione e dell’educazione. Coordinamento Campagna Internazionale ICAN – Premio Nobel per la Pace 2017 per il disarmo nucleare universale, fa parte dei Disarmisti Esigenti, gruppo membro della rete mondiale e premio Nobel per la pace ICAN.
Strategie antiviolenza, anti-fanatismo e anti-fondamentalismo. La guerra deve essere dipanata nel suo acceso livello di conflittualità tra le parti con le trattative, tramite la diplomazia, con i corpi civili di pace, le ambasciate di pace della nonviolenza, le azioni nonviolente nei luoghi implicati, la difesa popolare nonviolenta.
L’educazione alla pace a partire dai contesti plurali e multiculturali deve aprire al confronto di idee, alle verità dell’evidenza degli eventi, alla pace nelle comunità come la scuola in primis, la famiglia, il contesto esosistemico e l’ambito ecosistemico planetario, fino ad arrivare al bene della nonviolenza a livello mondiale e universale. La scuola è un microcosmo di azioni e relazioni e di atti e idee che si moltiplicano all’infinito in un contesto comunitario che è innanzitutto originato da relazioni, non per forza legami di pace e vita, ma purtroppo anche energia conflittuale, dal verbo latino cum-fligere, che implica il contrasto ossia l’istanza del contrasto tra le une e le une con le altre personalità sia a livello di interiorità sia di esternazione delle istanze conflittuali. Ma non per questo dobbiamo aborrire il conflitto a scuola, in famiglia, nei contesti micro-culturali.
Nell’ambito macrosociale il grande conflitto come, ad esempio, la crisi ucraina può sfociare, come accaduto, in una guerra che può diventare terza guerra mondiale e addirittura apocalisse nucleare anche solo per un incidente informatico.
La guerra deve essere dipanata nel suo acceso livello di conflittualità tra le parti con le trattative, tramite la diplomazia, con i corpi civili di pace, le ambasciate di pace della nonviolenza, le azioni nonviolente nei luoghi implicati, la difesa popolare nonviolenta: occorre lanciare nei luoghi del conflitto ponti di memoria, ponti di pace, intessere legami di relazioni e vincoli di collaborazione e compromesso pacifico e nonviolento tra una etnia e un’altra evitando il male assoluto dato dall’ideologia nazifascista. Il nazifascismo è il massimo dei mali e non è lecito intervenire e colloquiare con le forze violentiste del male assoluto.
La pace, un intreccio plurimo
La pace è un intreccio plurimo tra genti, minoranze e popolazioni ed è il microcosmo tra amici e fratelli e sorelle e compagni che si compone con tassello per tassello nella quotidianità come un universale mosaico di pace che vede l’interrelazione tra le nazioni, i paesi, gli Stati, le regioni, le località e così via. Nel mappamondo dobbiamo tracciare una linea virtuale di confronto e dialogo tra le istituzioni mondiali che si può trasformare appunto in virtuale, in reale in un compromesso interattivo di luce, di pace, di amore tra le popolazioni e le genti che abitano i continenti e gli Stati.
Come figli di una grande entità cosmica universale, abbiamo il dovere, il diritto, in quanto generati da madre Terra, dalla cosmogenesi infinita dell’universo, abbiamo il diritto e dovere di occuparci della nostra grande madre creatrice e tutelarla e difenderla dai dissesti climatici provocati proprio da noi genesi filiale per le eccessive emissioni di gas serra di origine antropica nell’atmosfera. Inoltre, un altro immane risvolto è l’ecatombe nucleare che divorerebbe l’umanità e tutta la sua storia e ogni sua traccia nell’universo.
Noi viviamo in un afflato d’amore cosmico che va oltre le ideologie religiose e i dettami delle molteplici parole delle fedi. Un amore universale che deriva dal femmineo, dal femminile cosmico che è creazione e procreazione all’infinito, nella miriade di costellazioni, di galassie, di arcipelaghi di stelle, di raggruppamenti di astri, della molteplicità senza mai fine dell’amore interstellare e universale e cosmogonico.
Giordano Bruno, un precursore
Giordano Bruno è un nostro precursore perché credeva convintamente e fino alla morte che Dio è l’universo. Quella sua convinzione lo ha portato al rogo della Santa inquisizione in campo dei fiori a Roma nel 1600. La scienza deve aggrapparsi al materialismo per ricollegarci al nostro futuro di umanità. Si assiste al risveglio e ritorno di un religioso dogmatico e feticista. Non si vuole l’eliminazione della fede in assoluto, ma la valorizzazione del concetto concreto della vita. La chiesa cattolica del medioevo ha addormentato tutto il campo della scienza e della ricerca con dei pilastri e dei dogmi integerrimi e imperscrutabili.
Oggi vi è un ritorno al fanatismo e al fondamentalismo religioso, ma la scienza si deve contrapporre in modo intelligente al radicalismo fideistico. La fede riduce anche la capacità di studio perché è tutto prescritto dalle sacre scritture. Il radicalismo religioso preclude la ricerca.
Margherita Hack con il Bosone X ha scoperto la genesi ultima dell’infinito da cui tutte le infinità degli universi derivano. Lei sosteneva che il genere umano deriva dalla moltitudine delle galassie e delle stelle e che probabilmente la nostra genia non è l’unica figlia dell’infinito.
Questi pensieri e ragionamenti devono condurre all’amore universale a amarci in quanto derivanti dalla cosmogenesi infinita dei pluriversi delle galassie e per questo a considerarci maggiormente come genere umano, come sorelle e fratelli e animali e vegetali derivanti dalle miriadi di stelle e aspirare a incontrare magari altre forme di vita lontane e per questo rifiutare ogni forma di odio, di violenza, di guerra su madre terra e in ogni altro pianeta.
Scrive per noi
Laura Tussi, docente, giornalista e scrittrice, si occupa di pedagogia nonviolenta e interculturale. Ha conseguito cinque lauree specialistiche in formazione degli adulti e consulenza pedagogica nell’ambito delle scienze della formazione e dell’educazione. Coordinamento Campagna Internazionale ICAN – Premio Nobel per la Pace 2017 per il disarmo nucleare universale, fa parte dei Disarmisti Esigenti, gruppo membro della rete mondiale e premio Nobel per la pace ICAN.