In Italia abbiamo una settantina di bombe atomiche a Ghedi vicino a Brescia e ad Aviano in provincia di Pordenone e sono adesso rimpiazzate dalle nuove e più terribili e sofisticate e mortifere bombe nucleari: le B 61-12.
E dobbiamo reagire non con la violenza, ma con la “nonviolenza creativa” cioè una nonviolenza che trova gli strumenti per dire no.
Per dire basta.
Significa disobbedienza civile, manifestazioni, e trovare tutte le strade che abbiamo per forzare tutti i poteri forti oggi a smetterla con questo pericolo nucleare. Ecco il lavoro che tocca a noi fare.
In collegamento con Mondo Senza Guerre e Senza Violenza – Argonauti per la Pace
Dal ricercatore Fabrizio Cracolici all’attore e scrittore Moni Ovadia, passando per Alex Zanotelli, Vittorio Agnoletto e tanti altri. Sono numerosi i protagonisti e le protagoniste di un percorso di divulgazione e diffusione di una cultura della pace che va avanti da anni con l’intento di gettare le basi per un mondo migliore, un’utopia realizzabile. La chiave di volta per riuscirci? La memoria.
Era l’aprile del 2009 con Fabrizio Cracolici e in collaborazione con la biblioteca e la giunta del Comune di Senago, un paese dell’hinterland milanese, abbiamo presentato il mio primo libro dal titolo Memorie e Olocausto con Moni Ovadia, che nell’occasione ha devoluto tutta la sua spettanza agli operai dell’azienda Metalli Preziosi, una fabbrica locale che ha chiuso i battenti per fallimento. In quell’occasione Ovadia ha pronunciato parole molto forti e dure, ma al contempo incoraggianti per tutti gli operai licenziati in tronco presenti e anche per la sottoscritta, allora giovane studentessa.
Con quell’evento ha avuto inizio il nostro impegno pubblico in collaborazione con Fabrizio Cracolici. Anche Moni Ovadia ci ha spronato a declinare in pubblico i contenuti e gli alti ideali dei nostri scritti e dei nostri saggi e a organizzare sempre presentazioni pubbliche come poi così è stato fino ad ora.
DIVULGARE VALORI
Inizialmente con il partigiano e deportato Emilio Bacio Capuzzo – che ha vissuto in prima persona la resistenza,la deportazione e l’antifascismo e che ci ha lasciati all’età di 91 anni nel 2017– abbiamo portato la nostra testimonianza diretta e indiretta in molte sezioni dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia e ovunque vensse richiesto il nostro supporto politico, sociale e culturale.
Con Fabrizio dal 2009 abbiamo scritto molti libri per la Mimesis Edizioni e in tutto questo tempo abbiamo organizzato e siamo stati protagonisti di oltre 500 iniziative. Nel nostro percorso di nonviolenza attiva abbiamo incontrato molte persone amiche e anche personalità con cui continuiamo a collaborare, da Antonio Pizzinato a Andrea Gallo a Alex Zanotelli, da Vittorio Agnoletto a Giorgio Cremaschi a Maurizio Acerbo a Paolo Ferrero e molti altri ancora. Non ci stanchiamo mai di portare tra la gente un messaggio di speranza per un mondo migliore anche se la congiuntura attuale è davvero pessima e addirittura tragica e siamo a solo 90 secondi dalla mezzanotte nucleare.
Ma noi continuiamo imperterriti nel nostro impegno, nella nostra azione nonviolenta e disarmista. E continuiamo a annunciare l’importanza del diritto internazionale per il disarmo nucleare universale insieme alla campagna internazionale Ican per l’abolizione degli ordigni e delle armi di distruzione di massa nucleari e per il disarmo nucleare universale, che è stata insignita del premio Nobel per la pace nel 2017. A questa rete internazionale sono affiliate una decina di associazioni per la pace sul territorio italiano e almeno 500 realtà impegnate per la nonviolenza e per il disarmo in tutto il mondo.https://www.youtube.com/embed/_bmoexX7xSA
L’IMPORTANZA DELLA MEMORIA
Con Moni Ovadia, durante la presentazione del 2009, pronunciai queste parole: «Attualmente risulta necessaria un’innovativa grammatica mentale per costruire la convivenza planetaria in dimensione interculturale. Sono sempre stata motivata dalla ricerca, dalla divulgazione culturale per l’importanza del valore educativo, per la trasmissione di contenuti significativi alle giovani generazioni, seguendo i miei maestri, gli intellettuali, come il mio caro amico Moni Ovadia, sempre attivo civilmente e moralmente, politicamente, in strenue battaglie sociali di verità, giustizia e libertà».
Noi riteniamo infatti che lo studio e la crescita culturale abbiano una validità morale ed educativa quando posti al servizio degli altri, per i principi sociali, etici e civili, per i diritti universali imprescindibili della persona, sanciti dalla carta costituzionale democratica. Nel sistema formativo inteso come ideale comunità educante, l’impegno culturale della testimonianza, del ricordo, della narrazione, del racconto e del recupero e della trasmissione del valore di memoria storica, individuale, collettiva e mai condivisa, costituiscono il filo rosso per non dimenticare.
Lo studio e la cultura devono dunque motivare le giovani generazioni alla solidarietà, alla realizzazione di una società che abbia come valori fondanti la pace e la convivenza
Memoria degli eventi che hanno formato e segnato la coscienza di chi li ha vissuti e, dopo, di chi li ha conosciuti, con il dovere di ricordare. Memoria e memorie come modalità interculturale e pedagogica in ambito sociale e comunitario, quale supporto valoriale alla riappropriazione del sentimento etico e civile di un’appartenenza identitaria universale, composta di molteplici alterità, ibridazioni e commistioni umane nella pluriappartenenza etnica al territorio, ai territori nella loro rivalorizzazione ambientale ed ecologica, anche a livello educativo, didattico, sociale e culturale e lavorativo.
Memoria e memorie della città, nelle sue forme, nei suoi monumenti, nelle sue case. Contro l’alienante espropriazione del soggetto-persona nella perdita di punti di riferimento e di ideali classici, soppiantati dall’imperante massificazione consumistica e dal mito capitalistico dell’ efficientismo sfrenato e del primato dell’economico, imposti dal sistema.
Memoria e memorie di noi donne e uomini, delle nostre idee che si sviluppano nel tempo dell’esperienza, come risorsa interiore, soggettiva, esistenziale di intima festa emozionale, di incontri, dialoghi, rapporti, progetti, da ripartecipare e sperimentare, nella dimensione comunitaria, negli ambiti di intervento sociale, educativo ed associazionistico di partecipazione militante e attivismo culturale nei vari settori occupazionali e lavorativi a livello territoriale.
ORA TOCCA ALLE NUOVE GENERAZIONI
Lo studio e la cultura devono dunque motivare le giovani generazioni alla solidarietà, alla realizzazione di una società che abbia come valori fondanti la pace e la convivenza civile tra popoli, genti e minoranze, nel rispetto dei diritti universali e sociali di cittadinanza multietnica, cosmopolita e internazionale.
“La bella utopia” è un mondo dove non esistano patrie e nazioni, frontiere e burocrazie, limiti e confini, ma comunità educanti aperte all’accoglienza, al dialogo, al cambiamento rivoluzionario, al progresso costruttivo, senza stereotipi e pregiudizi, nel rispetto delle culture altre, nella coesistenza pacifica, che agevola il confronto tra diversità interculturali e differenze di genere ed intergenerazionali.
Coniugare la memoria storica consiste nella necessità della costruzione di una coscienza civile che ponga come obiettivo prioritario la conoscenza e la riflessione nelle comunità, nelle città, nel mondo. Per un’utopia realizzabile, a partire da ogni singola persona, nel contesto quotidiano e nella partecipazione collettiva, pluralista e democratica.
Dall’università alla fabbrica negli anni della contestazione: per la pace.
Di Laura Tussi
Presso l’Università di Bologna esiste attualmente un corso intitolato Teorie politiche della pace e della guerra che prende le mosse dal corso istituito dal celebre professore, storico ordinario di psicologia sociale, Augusto Palmonari con il Citrup – Centro interdipartimentale di ricerca per la pace dell’università di Bologna.
Dai tumultuosi anni ottanta la pace in università.
Un progetto dell’università di Bologna per introdurre il disarmo come insegnamento nella fine degli anni ‘80 come ricaviamo da varie fonti del tempo e dal settimanale Rinascita con un articolo dal titolo ‘Pacifismo a scuola’ che si sviluppa in un futuro ormai contemporaneo nella nostra attualità con vari progetti didattici.
Le fonti storiche: un prezioso scrigno per la pace attuale.
Su Rinascita si legge che il centro interdipartimentale dell’università di Bologna, denominata ‘Università per la pace’ è ormai una realtà. È stato proposto da tredici dipartimenti dell’ateneo bolognese su iniziativa di quello di scienze dell’educazione.
L’iniziativa è una novità assoluta più che benvenuta nel panorama bolognese che ripercorre anche esperienze già ben salde e strutturate nel mondo anglosassone dove da molti anni le università svolgono una gran quantità di lavoro scientifico sui temi della pace, del disarmo, della coesistenza tra i popoli, contro il nucleare e altro ancora, con la stessa autorevolezza e la stessa ufficialità su cui lavorano su varie tematiche e argomentazioni accademiche.
L’Università di Bologna sempre in prima linea per la didattica della pace.
In quanto Università dovranno essere ovviamente in primo piano gli sforzi didattici e negli annuari compariranno presumibilmente corsi dal titolo ‘Tecnologia delle armi nucleari’ o ‘ideologia della guerra’, insegnati a pieno titolo da specialisti di varia levatura e agli studenti verranno riconosciuti i loro sforzi di approfondimento con la implacabilità ben nota del voto sul libretto. Il proposito di coinvolgere l’università, diceva Augusto Palmonari, direttore del Dipartimento di scienze dell’educazione e coordinatore del Centro in quanto tale, sulla tematica della pace, conferisce allo stesso dipartimento caratteristiche del tutto particolari.
Ognuno dei dipartimenti ha proposto ambiti di ricerca che vanno dalla musicologia all’agricoltura, dalla pedagogia alla chimica e sono tutti temi molto generici che attendono, per una maggiore definizione, quando il Centro sarà realtà, come si evince dalle fonti.
Le Università proiettate dalla memoria al futuro.
Il lavoro decollerà assai rapidamente, dicevano a Bologna, perché i fondi per le ricerche non saranno un grosso problema: enti pubblici e privati saranno lieti di mettere a disposizione borse di studio. E stiamo parlando di una testimonianza di fine anni ‘80. Insomma le lezioni sulla pace e il disarmo non saranno più lodevoli iniziative dei soliti professori pacifisti militanti e degli studenti disinteressati alla carriera accademica: ma la pace entra finalmente dal portone principale dell’università.
A differenza di quanto succede all’estero ad esempio negli Stati Uniti sono rarissime in Italia le ricerche di fisica sui temi inerenti alla pace e al disarmo.
Invece non sono pochi gli argomenti su cui nel dipartimento della università di Bologna esistono le competenze necessarie per ricerche di livello adeguato.
I temi della Pace: dal disarmo nucleare alle guerre nel mondo.
Ricordiamo a titolo puramente esemplificativo temi quali l’inquinamento dovuto alle esplosioni nucleari e sperimentali e la verifica di un bando sulle esplosioni nucleari con strumenti sismici e l’uso militare della fusione nucleare controllata e molto altro ancora. Difficilmente però ricerche di questo genere potranno svilupparsi se non avranno il dovuto riconoscimento del mondo accademico con relazione al congresso della società italiana di fisica, con pubblicazioni nelle sue riviste, valutazione nei concorsi universitari e così via. Nel documento di fine anni ‘80 ci si augura che la costruzione a Bologna di un centro interdipartimentale per la pace, eventualmente seguito ad altre iniziative similari, in altre università, possa contribuire a permettere che ricerche analoghe a quelle svolte dai colleghi americani o di altri paesi europei possano trovare pieno diritto di cittadinanza anche all’interno del mondo italiano della ricerca.
A Bologna qualcosa si è mosso, ma non è perché quel clima era migliore oppure la giunta era di sinistra e così via, dicevano a via Zamboni. Ci si è mossi entro gli schemi ufficiali del regolamento universitario e potrebbero farlo ovunque e in qualunque tempo. Un incoraggiamento dunque agli accademici d’Italia se pensano alla pace come la conquista di una utopia.
E nello stesso periodo anche in fabbrica oltre che in università si torna a parlare di pace. Dall’archivio de L’Unita’. L’Unità di quell’epoca. Per la Manetti e Roberts è la prima volta e lo stesso sarebbe stato per tantissime altre aziende. Oppure al massimo la memoria sarebbe dovuta andare a ritroso molti anni, forse fino agli iniziali tumultuosi anni ‘70 per trovare qualcosa del genere.
La prima volta insomma che gli operai di una fabbrica discutono in assemblea in totale pluralismo di pensiero su un tema non strettamente congiunto a problemi aziendali: la pace.
E nella sala mensa della Manetti e Roberts, industria del settore farmaceutico e cosmetico, di Calenzano – Firenze, erano in tanti forse più di trecento i dipendenti ad ascoltare l’arcivescovo Silvano Piovanelli, il presidente della regione Toscana Gianfranco Bartolini, Roberto Brasca presidente della provincia, rappresentanti sindacali come Marcella Bausi della camera del lavoro di Firenze. Anche in rappresentanza di due esponenti della commissione per la pace del Comune fiorentino. Insieme con altre voci e le più disparate posizioni ideologiche e le più diverse, ma tutti uniti dietro la medesima aspirazione. La pace.
La partecipazione è fondamentale.
È il consiglio di fabbrica che insieme al sindacato esterno ha organizzato un incontro. E ci tiene a sottolinearlo. Perché questa assemblea? – chiede un giovane operaio. Perché anche noi come aziende e come lavoratori ci sentiamo in dovere e in grado di fare un discorso sulla pace e di dare il nostro contributo. È stato un rappresentante del consiglio di fabbrica ad aprire l’assemblea con una relazione che ha toccato tutti i punti chiave della situazione mondiale se non dell’universo.
Dalla fame nel mondo alla corsa agli armamenti al terrore della guerra nucleare alla logica del profitto che guida le azioni di governi e infine un appello: tocca ai lavoratori e ai cittadini unirsi con le forze più coscienti e illuminate per far sentire la voce di tanti uomini di buona volontà contro il processo di riarmo e contro l’ingiustizia nel mondo. Contro la guerra e il nucleare. Ovvio, data la sede, che molti interventi si incentrano sul problema dell’economia e della produzione. Del resto il consiglio di fabbrica lo aveva già anticipato nel volantino di invito: la Pace passa tra l’altro attraverso il servizio al bene comune e ognuno nel suo posto di responsabilità può farlo e attraverso un’iniziativa che favorisca lo sviluppo dei popoli. È qui che noi occidentali siamo sfidati. Discorsi a parte, è il fatto in sé che va sottolineato: la riscoperta del luogo di lavoro come luogo idoneo per la riflessione. Per costruire la pace. Da notare infine che l’assemblea si è svolta utilizzando le ore di assemblea retribuita e che la direzione aziendale non era presente.
Nota principale:
Augusto Palmonari, Processi simbolici e dinamiche sociali, Società editrice il Mulino, Bologna, 1989.
Bibliografia di approfondimento
Bobbio Norberto, Il problema della guerra e le vie della pace, Il Mulino, Bologna 2009
Mastrolilli Paolo, Lo specchio del mondo. Le ragioni della crisi dell’ONU, Laterza, Roma 2005
Mini Fabio, Perché siamo così ipocriti sulla guerra? Un generale della Nato racconta, Chiarelettere, Milano 2012
Pugliese Francesco, Abbasso la guerra. Persone e movimenti per la pace dall’800 a oggi, Grafiche futura, Mattarello – Trento
Fonti analitiche
Gagliano Giuseppe, Studi politico-strategici. La conflittualità non convenzionale nel contesto delle ideologie e dei movimenti antagonisti del novecento, Vol. II, edizioni New Press – Como, I Edizione 2007
Libro di Olivier Turquet, Pressenza- International Press Agency
Recensione di Laura Tussi
Edizioni Multimage
Olivier Turquet, l’autore di questo pamphlet didascalico, dal titolo “Comunicare la nonviolenza con nonviolenza. Manuale per uffici stampa di base”, ha cominciato a occuparsi di uffici stampa per la prima volta nel 1988 e, per la precisione, a Firenze dove si celebrava l’Internazionale Umanista.
Turquet aveva il compito di curare i media locali, infatti era l’unico appassionato del tema, anche se non aveva molta esperienza.
Un’ esperienza sostanziale e soprattutto vitale.
Così Olivier Turquet inizia a occuparsi di media partendo da zero, senza nessun maestro. Ma ha ricevuto un’ottima preparazione nel campo dal partito umanista cileno. Secondo l’autore, come lui stesso vuole spiegare nel libello, creare un Ufficio Stampa è un’attività molto semplice.
Paradossalmente un Ufficio Stampa, dal punto di vista dell’autore, è soprattutto un ufficio relazioni in quanto la realtà più importante è costituita dalle interazioni umane e è incentrata e costruita su di esse.
La nevrosi giornalistica.
È divertente soprattutto promuovere un’iniziativa e una notizia in cui si crede profondamente e questo è un elemento intangibile ed estremamente importante e anche essenziale. L’ambiente giornalistico è spesso un contesto competitivo, asettico, frenetico insomma nevrotico. E comunicare la nonviolenza con nonviolenza significa vivere l’ambito giornalistico in modalità diverse e soprattutto creative e umane.
Gli ossimori del vero comunicatore.
Ad esempio è profondamente necessario essere efficienti e amabili, rapidi e gentili, professionali e umani: tutte doti e modalità di approccio che costituiscono tanti ossimori intrecciati, come in un mosaico di pace e in un intricato puzzle nonviolento.
Un manuale per organizzare Uffici Stampa di base.
Il manuale cerca di spiegare in modalità descrittive e comprensibili, anche a persone non esperte nel settore, come si può organizzare un Ufficio Stampa in modo che quello che viene prodotto, o meglio creato, ossia costruito in modalità creative, sia poi anche riportato e diffuso dai media. È necessario poter comunicare il più lontano possibile il prodotto giornalistico: questa è una condizione essenziale. Il prodotto di un Ufficio Stampa e di un giornalista e di un efficiente comunicatore può anche essere meraviglioso ed encomiabile, ma se non è diffuso e conosciuto in vari ambiti, in diverse località, in molteplici luoghi, remoti, distanti, lontani, questo ha poca efficacia.
I vari settori del libello.
Quindi il manuale scritto da Turquet dal titolo Conoscere la nonviolenza con nonviolenza, presenta e prevede una interessante introduzione seguita dalle indicazioni relative a come organizzare e a cosa serve un Ufficio Stampa. In seguito l’argomentazione del testo spazia sulla descrizione del giornalista tipo e si dilunga rispetto ai contatti e valuta le relazioni con i giornalisti e con coloro che sono adibiti alla diffusione delle notizie e delle varie iniziative.
Successivamente i paragrafi sono scanditi da un interludio, ossia da esempi didattici ludici e didascalici per alleggerire la spiegazione e per rendere più fruibile la trattazione sul tema.
Gli interrogativi ultimi del comunicare con nonviolenza la nonviolenza.
In seguito si indaga sul come e sul perché nasce una notizia nella costruzione e estensione dello scritto giornalistico, e sulle modalità in cui è necessario e preferibile scrivere un comunicato stampa. Inoltre si pone e si cerca di rispondere a un sostanziale interrogativo: ma perché mai ci dovrebbero pubblicare? E ancora si spazia su esempi e trucchi per approntare una campagna stampa fino a concludere con un epilogo fondamentale ed essenziale e profondamente esistenziale relativo alle ultime e vere motivazioni dell’azione giornalistica nonviolenta e del comunicare la nonviolenza con nonviolenza.
I perché del comunicatore di base.
Quindi l’interrogativo profondo è: ma perché facciamo tutto questo? La conclusione prevede modelli di comunicati che annunciano contenuti e contesti di senso e significato e aprono a nuove prospettive e azioni di attivismo nonviolento anche con il tramite creativo della scrittura giornalistica che prende forma tra le relazioni e interazioni umane, e soprattutto umane e nonviolente, che prendono vita nei nostri uffici stampa di base.
Intervista a Olivier Turquet direttore di Pressenza Italia, agenzia di stampa internazionale, autore del libro Comunicare la Nonviolenza con Nonviolenza.
di Laura Tussi
1-Attualmente si assiste a una deriva di ampi settori della società civile verso un cattivismo dilagante, un qualunquismo antiegualitario che contrastano nettamente il portato valoriale della costituzione repubblicana.
Frange della società inneggiano ai miti della razza, della patria, dell’eroe verso un grottesco mondo guerrafondaio, bellicista impregnato di xenofobia, razzismo, fascismo. La nonviolenza può costituire un anticorpo, un antidoto sociale rispetto a questa condizione umana?
La nonviolenza è da sempre la risposta alla violenza. Bisogna capire che la radice ultima dei fenomeni che vediamo sta nella violenza. Che le razze non esistano l’ha detto inequivocabilmente la scienza da anni, eppure vediamo crescere ogni forma di discriminazione. Esiste un’illusione che, implicitamente, è anch’essa violenta: per risolvere i problemi basta mettere un cartello “siate buoni”. Assolutamente insufficiente. Per risolvere i problemi bisogna riconoscerli, comprenderli ed accettarli e le varie tecniche di risoluzione dei conflitti, di autoliberazione sono basate sulla nonviolenza che è un metodo di azione, ma anche un atteggiamento di fronte alla vita. Un altro tema è la comunicazione: molto spesso le migliaia di attività nonviolente che esistono si autocensurano e non comunicano con efficacia quel che fanno. “Comunicare la Nonviolenza con Nonviolenza” è uno strumento pratico per migliorare questa comunicazione, pensato da Pressenza per tutte le realtà di base che vogliono dialogare meglio con i media.
2-I problemi maggiori della nostra società sono legati alla sua natura aggressiva.
In che modo la formula relazione e comunicazione di cui tu, Olivier Turquet, tratti nel tuo ultimo libro potrebbe risolvere queste problematiche?
Dobbiamo chiarire questo tema dell’aggressività: l’aggressività, dice Pat Patfoort, deriva dalla forza vitale che caratterizza l’istinto di sopravvivenza che ogni specie ha, incluso l’Essere Umano. Il tema è quando l’aggressività diventa violenza all’interno di un sistema che produce continuamente catene di violenza, escalation di violenza e violenza contro se stessi. Questo è il vero problema. La comunicazione nonviolenta è sempre una possibile soluzione: il mio libro in questo è molto tecnico, ma certamente pubblicando quei consigli possiamo far conoscere meglio e con efficacia le numerose iniziative che creano nuovi ambiti di scambio, propongono nuove soluzioni.
3-Le statistiche nazionali comunque, nonostante tutto, rivelano che la maggioranza della popolazione si pone contro l’invio di armi in Ucraina. Questo dato di fatto può costituire un barlume di speranza collettivo contro un baratro oscurantista e catastrofico in cui imperversa l’umanità e rispetto a un nuovo futuro possibile di pace e nonviolenza?
Come ha detto varie volte Noam Chomsky c’è una grande differenza tra l’opinione pubblica e l’opinione che si pubblica; il lavoro che facciamo in Pressenza e che fanno anche altri media nonviolenti come il vostro – Italia che cambia – è quello di rivelare quello che non si pubblica o che si pubblica a margine. E’ il vecchio gioco della bambina che svela che il Re è Nudo, quando tutti lo vedono.
In questo momento aggiungerei che il livello di propaganda nei media sta aumentando, mentre peggiorano le condizioni di lavoro dei giornalisti: tutti fattori che non fanno ben sperare nell’immediato.
Ma dobbiamo comprendere che il fenomeno a cui assistiamo è una crisi globale di quei valori che danno fondamento alla violenza; una crisi irreversibile, per certi versi dolorosa, per altri inevitabile. Il compito dei nonviolenti in questo momento è annunciare il mondo che verrà dopo, essere gli “angeli” del nuovo mondo nel senso letterale di Angelos, annunciatore: un mondo di comprensione reciproca, di cura degli altri e del pianeta, un mondo dove sarà bandito il business as usual e tornerà in auge la vera solidarietà e dove le persone, per necessità, comprenderanno ed applicheranno veramente la saggia ed antica regola d’oro: “tratta gli altri come vorresti essere trattato”.