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E’ il momento che il pacifismo sia una forza innovativa in Parlamento

Non è il momento che il pacifismo sia una forza innovativa in Parlamento?

È sempre più necessario muoverci e mobilitarci come popolo pacifista e comunista contro la guerra. In questo momento è necessaria l’unione di queste istituzioni: i partiti comunisti e i movimenti pacifisti.

Ma dove sono i pacifisti? Cosa significa pace?

La pace è un concetto chiave che per estensione concreta e attuativa racchiude tutti i problemi della società civile e dell’umanità in senso lato. Se la pace mondiale dominasse il nostro pianeta si risolverebbero davvero tutti i problemi che affliggono le specie viventi sulla terra.

Le problematiche inerenti la pace.

La pace contro l’attività militare che trova la sua massima espressione nella guerra  nucleare. La pace per la risoluzione dei cambiamenti e dei dissesti climatici causati dalle eccessive emissioni di gas serra di origine antropica nell’atmosfera e derivanti per il 20 per cento dall’inquinamento prodotto dalle attività di guerra e dalle esercitazioni militari e dagli svariati conflitti in corso. Pace e disuguaglianza sociale globale con lo sfruttamento dei lavoratori tramite il neoliberismo imperante e il capitalismo feroce e nello specifico il neofascismo e il fascismo nei luoghi di lavoro e nelle istituzioni. La pace comporta l’assenza di violenza strutturale, la parità di genere, la prevenzione della violenza sulle donne che trova il suo culmine e il suo massima risvolto e tragico epilogo nel femminicidio, una autentica piaga della società, trasversale a ogni contesto e a ogni luogo del pianeta.

La prevenzione della violenza contro gli LGBTQ, contro tutti i più fragili della terra. La pace risolverebbe i flussi migratori, le migrazioni forzate. Dal concetto di pace e affermando i contesti della pace si declina un mondo migliore.

La pace non è solo assenza di guerra

La pace non è solo assenza di guerra, ma è risoluzione di tutte queste emergenze e minacce che affliggono i popoli del pianeta, come la corsa agli armamenti e l’incremento esponenziale delle spese militari, la rincorsa alle armi e la subcultura del nemico. La guerra in atto in Ucraina e le tante e molteplici guerre in corso nel nostro mondo, stanno toccando le corde degli italiani e degli europei.

Pacifismo come forza politica strutturata e organizzata in Parlamento.

Dunque non è il momento che il pacifismo entri e sia rappresentato come innovativa forza politica in parlamento? Come pacifisti non ci sentiamo rappresentati nel parlamento europeo e italiano.

Una forza politica pacifista per avere una speranza di successo elettorale non deve solo lanciare slogan e comparire solo quando scoppia una guerra vera e propria. Ma il popolo pacifista se è capace di mobilitare persone deve trattare di tutti i problemi e di tutte le questioni sociali. Al centro deve essere sempre il significato di pace e la proposta pacifista su tutte le questioni attuali irrisolte.

Evitare le formule pleonastiche.

Ad esempio affermare sempre che noi siamo i pacifisti perché siamo contro la guerra è solo un sillogismo, una formula pleonastica, che non porta a risultati. Vi è la possibilità che il pacifismo diventi una forza politica organizzata per entrare e contare nel parlamento italiano e europeo? Un esperimento politico pacifista se viene proposto nelle politiche del 2023 e se in Italia funziona e riscuote credibilità, sarà possibile ripeterlo con le elezioni politiche del 2024 in Europa.

Il pacifismo può contrastare il capitalismo e il neoliberismo ed è un valore talmente vasto che dovrebbe accomunare tutti i paesi, soprattutto quelli sotto il controllo della Nato.

* saggista e attivista pacifista

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A Vienna con il TPAN. Per la ratifica del trattato da tutti i paesi Nato

A Vienna con il TPAN. Per la ratifica del trattato da tutti i paesi Nato

Immagine: Vienna.icanw.org

A margine di un evento con Alex Zanotelli, Vittorio Agnoletto, Chiara Castellani e altri si vuole indagare sulle analogie e differenze tra l’Ucraina e la Repubblica democratica del Congo e le situazioni e condizioni in atto rispettivamente interagenti. Il mio intervento vuole individuare che un fattore di analogia tra i due paesi è proprio il nucleare. Infatti in Congo dalle miniere viene estratto l’uranio che è servito anche per costruire le bombe nucleari di Hiroshima e Nagasaki. Mentre in Ucraina esistono centrali nucleari attive che, come accaduto vicino a Kiev, all’inizio dell’attuale conflitto, possono diventare bersaglio per atti terroristici e azioni militari in tempo di guerra come quello attuale.

Il summit di Vienna e il controvertice Nato a Madrid

Il 20 giugno 2022 è la data in cui a Vienna si tiene la conferenza delle parti per la revisione del trattato di proibizione delle armi nucleari – TPAN dove si farà il punto della situazione con gli Stati firmatari del TPAN e dove Ican, la rete internazionale per l’abolizione degli ordigni di distruzione di massa nucleari partecipa come osservatore.

A Vienna, avranno luogo tre eventi a formare una unica NUCLEAR BAN WEEK.

La prima sessione di revisione del Trattato di proibizione delle armi nucleari si svolgerà presso l’Austria Center di Vienna, in Austria, dal 21 al 23 giugno 2022.

Il 20 giugno 2022 l’Austria ospiterà una conferenza internazionale sull’impatto umanitario delle armi nucleari. Il 18 e il 19 giugno la rete Ican riunisce il suo Forum.

Vi saranno una serie di iniziative per convincere tutti gli Stati a ratificare il TPAN. Anche le nazioni più forti sotto l’egida della Nato, che non hanno certamente interesse ad abolire le armi nucleari.

Nello stesso tempo si terrà il controvertice Nato a Madrid, dove, in opposizione, il vertice Nato ratificherà l’adesione della Svezia e della Finlandia alla Nato. All’alleanza atlantica. Anche se buona parte dell’opinione pubblica svedese è contraria a entrare nella Nato.

Il Premio Nobel per la pace contro le armi nucleari.

Ricordiamo che il premio Nobel per la pace è stato assegnato nel 2017 a Ican per il disarmo nucleare universale e per l’abolizione degli ordigni di distruzione di massa nucleari e questo premio è stato attribuito al trattato TPAN, il trattato ONU votato nel luglio 2017 a New York a palazzo di Vetro, la sede delle Nazioni Unite, con 122 nazioni organizzate in Ican e la società civile che ha votato. Ma il TPAN non è stato ancora ratificato in tutti quei paesi sotto l’ombrello dell’alleanza atlantica. Fino adesso sono 61 gli Stati con la Costa d’Avorio che hanno firmato il TPAN.

Il TPAN è in vigore dal gennaio del 2021, ma prima, per il processo di ratifica, deve passare dalle norme legislative dei parlamenti e dei governi per la ratifica e per essere posto in atto. Questo Premio Nobel per la pace è un riconoscimento collettivo di cui facciamo parte tutte noi associazioni ecopacifiste affiliate a Ican: circa 500 realtà associative, Ong, Onlus in tutto il mondo e una decina Italia.

Il coordinamento antinucleare europeo

Gli Stati Uniti vogliono stoccare le B 61-12 armi e bombe potentissime e sofisticatissime di carattere nucleare nelle basi Nato di Ghedi e Aviano e di Buchel in Germania come sono stati stoccati gli euromissili negli anni ’80 a Comiso in piena guerra fredda.

Noi Ecopacifisti alterglocalisti siamo dalla parte della terra contro il flagello della guerra e è per questo che come rete stiamo cercando di organizzare un coordinamento antinucleare europeo con diversi esponenti di vari paesi europei.

L’Europa di Pace

Ci stiamo mobilitando per un’Europa di pace, come l’Europa di Ventotene in base al diritto internazionale, all’ONU, alla dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, con Agenda ONU 2030, con le varie Cop per il clima, con lo stesso TPAN.

Un’Europa di questo tipo è un disturbo per la narrativa di guerra e per la propaganda di paura dove tutti minacciano la guerra nucleare.

Il gioco sporco della Nato

La Nato impone all’Unione Europea l’innalzamento delle spese militari. Sono tutti fondi tolti alla transizione ecologica e alla conversione energetica. La Germania  per questo motivo rallenta la rivoluzione Green e di questo passo si adeguano tutte le nazioni Nato. Ogni paese deve per forza contribuire al settore militare. Questi fondi sono tolti alle spese di bilancio come la spesa sanitaria, l’istruzione e l’università e la ricerca, lo Stato sociale. La corsa agli armamenti e l’incremento delle spese militari sottraggono risorse alla cooperazione internazionale e sempre maggiore è l’impoverimento e sempre più sono le vittime dei paesi più poveri del mondo come l’Africa e l’America latina.

In nuce un dialogo tra est e ovest sui trattati antinucleari

È in nuce un coordinamento antinucleare europeo. Podemos si è già incontrato con ManifestA, il nuovo progetto e soggetto politico di ispirazione pacifista per costituire una rete ecopacifista che porti a un dialogo tra est e ovest del mondo dove vengano risolti i problemi dei trattati non solo il TPAN, ma anche il Trattato INF per il disarmo nucleare che è saltato sotto l’amministrazione Trump. L’obiettivo è quello di far esprimere la cittadinanza europea sulla presenza delle armi nucleari sul territorio e sulla denuclearizzazione anche civile. È un’espressione per dire basta alla tassonomia nucleare e del gas.

La società civile va sensibilizzata su un orizzonte più vasto di quello della guerra in Ucraina.

Ad esempio deve essere sensibilizzata sul fatto che mancano i trattati antinucleari per cui vi è un ritorno degli euromissili ipersonici a medio raggio in una guerra limitata al teatro europeo.

La narrativa di guerra e la propaganda di paura

Stiamo vivendo un momento pericoloso perché aumenta la narrativa di guerra e di paura. Biden e Putin minacciano la guerra nucleare costantemente e quindi è necessario, in opposizione alternativa, diffondere e creare tutti insieme pensieri di pace e trovare soluzioni e costruire azioni contro la guerra in atto. E’ necessario dire no alla tassonomia che prevede il nucleare nelle fonti energetiche sostenibili e dire no e dire basta all’atto delegato in Europa che vuole inserire nelle fonti sostenibili il gas oltre che al nucleare.

Costruiamo ponti di memoria e reti di dialogo

Dobbiamo lavorare per un terreno di collaborazione in comune con la pace e con la natura e con la conversione ecologica e la transizione energetica e per questo è necessario costruire in collaborazione ponti di memoria, ponti di dialogo, reti di relazioni, legami di pace per contrastare la supremazia dei potentati dei signori dell’atomo, della guerra, del petrolio, dell’acciaio che detengono ancora il rischio della guerra e della terza guerra mondiale e di conseguenza della guerra nucleare.

Non dobbiamo mai separare la questione e l’aspetto ambientalista, antimilitarista, energetico e pacifista.

Laura Tussi

Docente, giornalista e scrittrice, si occupa di pedagogia nonviolenta e interculturale. Ha conseguito cinque lauree specialistiche in formazione degli adulti e consulenza pedagogica nell’ambito delle scienze della formazione e dell’educazione. Coordinamento Italia Campagna Internazionale ICAN – Premio Nobel per la Pace 2017 per il disarmo nucleare universale, collabora con diverse riviste telematiche tra cui PressenzaPeacelinkIldialogoUnimondoAgoraVox ed ha ricevuto il premio per l’impegno civile nel 70esimo Anniversario della Liberazione M.E.I. – Meeting Etichette Indipendenti, Associazione Arci Ponti di Memoria e Comune di Milano. Autrice dei libri: Sacro (EMI 2009), Memorie e Olocausto (Aracne 2009), Il dovere di ricordare (Aracne 2009), Il pensiero delle differenze(Aracne 2011), Educazione e pace (Mimesis 2012), Un racconto di vita partigiana – con Fabrizio Cracolici, presidente ANPI Nova Milanese (Mimesis 2012), Dare senso al tempo-Il Decalogo oggi. Un cammino di libertà (Paoline 2012), Il dialogo per la pace. Pedagogia della Resistenza contro ogni razzismo (Mimesis 2014), Giovanni Pesce. Per non dimenticare (Mimesis 2015) con i contributi di Vittorio Agnoletto, Daniele Biacchessi, Moni Ovadia, Tiziana Pesce, Ketty Carraffa, Antifascismo e Nonviolenza (Mimesis 2017), con Alfonso Navarra, Adelmo Cervi, Alessandro Marescotti.  Collabora con diverse riviste di settore, tra cui: “Scuola e didattica” – Editrice La Scuola, “Mosaico di Pace”, “GAIA” – Ecoistituto del Veneto Alex Langer, “Rivista Anarchica”. Promotrice del progetto per non dimenticare delle Città di Nova Milanese e Bolzano www.lageredeportazione.org e del progetto Arci Ponti di memoria www.pontidimemoria.it. Qui il suo canale video.

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Odissea: non c’è più tempo. Ripartiamo da madre Terra

Odissea: non c’è più tempo. Ripartiamo da madre Terra

su Blog ODISSEA
https://libertariam.blogspot.com/search?q=ripartiamo+da+madre+terra

Ripartiamo da Madre Terra.

Quanto tempo è disposto il pianeta a concederci prima di arrivare ad un punto irreversibile dell’equilibrio di vita sulla amata e disgraziata terra?

di Laura Tussi e Fabrizio Cracolici 

L’effetto dell’attività umana sulla terra è oramai ad un livello insostenibile.
Assistiamo ogni anno ad un anticipo dell’overshot day, cioè di quella data dove il pianeta non è più in grado di darci nulla a costo ambientale zero.
Quali azioni necessarie ed urgenti devono essere subito attivate per evitare la totale degenerazione ambientale della vita sulla terra?
Domande pesanti ma che non possono più vedere la nostra indifferenza.

Uno dei motivi che vedono una forte attività di distruzione delle foreste è la necessità di avere nuovi terreni da coltivare per soddisfare il bisogno alimentare dell’uomo.
Produrre cibo vegetale per alimentare cibo animale e successivamente alimentare l’uomo è insostenibile perché se ipotizziamo di far mangiare un chilo di carne al giorno ad ogni essere umano dobbiamo sapere che per generarlo servono 11 chili di vegetali. Contiamo che sulla terra abbiamo raggiunto la quota di 8 miliardi di abitanti, di conseguenza, la produzione giornaliera richiesta sarebbe di 8 miliardi di chili di carne e 88 miliardi di chi di vegetali. Numeri pazzeschi! Una riduzione drastica del consumo di carne sarebbe un passo avanti rispetto all’equilibrio ecocompatibile.
Riflessioni, ragionamenti, azioni per un futuro che prenda urgentemente le mosse da un passato e da un presente consci dell’importanza della tutela dell’ambiente di tutti e di cui tutti noi esseri viventi derivanti dalla cosmogenesi dell’evoluzionismo delle specie umane, vegetali, animali siamo parte integrante.

Deriviamo e siamo figli della terra e di una procreazione femminile e di una cosmogenesi che è femminea e naturale. Questi concetti ricavati dalle radici del pensiero del femminismo del 1900 e dal neofemminismo ci permettono di ribadire la nostra eziogenesi da una madre terra che è appunto inequivocabilmente femmina e che esclude il pensiero di una divinità padre, maschio, onnipotente e onnipresente che è causa di deviazioni autoritarie, maschiliste e sessiste imposte dagli apparati e dalle burocrazie religiose.
Il rapporto con madre terra è in parte rintracciabile negli scritti economico filosofici del 1844 del giovane Marx, che individuava un rapporto e una correlazione stretta tra uomo e natura al contrario dell’evoluzione del suo pensiero in tarda età come ne Il capitale che metteva la produttività in primo piano rispetto alle esigenze dell’ambiente e della natura. Il nostro pensiero che deriva dai miti ancestrali delle popolazioni autoctone, dalle potnie e divinità creatrici, tuttavia non prende e non prevede l’aspetto scaramantico e tradizionalista e mitologico di questi assunti collegati alle divinità ancestrali, ma il ritrovarci tutti figli di madre terra si ricollega al pensiero prettamente positivista dell’evoluzionismo della specie di Darwin.
Noi siamo figli di una cosmogenesi femminile, figli delle stelle come intendeva l’astrofisica Margherita Hack e per questo abbiamo il diritto e dovere di tutelare, difendere e salvaguardare questo impianto generativo femmineo dalla distruzione a opera umana che potrebbe verificarsi anche con un inverno nucleare e con la molto probabile apocalisse atomica che potrebbe accadere anche solo per errore umano o di mezzi artificiali, informatici e macchine.
Queste ultime catastrofi fanno parte delle emergenze e delle minacce che incombono sull’umanità come la gravità dei dissesti e disastri climatici dovuti alle eccessive emissioni di gas serra di origine antropica nell’atmosfera. E ancora la disuguaglianza globale dove la minoranza dei “ricchi” del pianeta detiene la maggioranza dei beni comuni dell’intera umanità, causando soprattutto sperequazioni economiche e migrazioni forzate che si verificano anche a causa di conflitti e guerre in atto nel nostro pianeta. E la violenza strutturale che si declina negli stupri di massa in guerra, nella violenza contro tutte le donne che trova la sua apicalità nel femminicidio, negli atti di bullismo e violenza contro i più fragili, contro gli LGBTQ e i più deboli del pianeta, la violenza contro i lavoratori per cui non si può mai parlare di morti bianche, ma di autentici omicidi dovuti al neofascismo e al fascismo aziendale nei luoghi di lavoro e nelle fabbriche.

Il nostro pensiero che ci vede vittime di queste minacce che coinvolgono madre terra si ricollega al pensiero della complessità che prende le mosse dai grandi pensatori e partigiani da Stéphane Hessel a Edgar Morin. Il pensiero della complessità dei sistemi viventi di cui anche la donna e l’uomo sono parte nel pluriverso della coscienza planetaria che fa parte del cosmo universale. Partendo da tutti questi assunti la vera sinistra, quella ecologista e pacifista, dovrebbe elaborare un proprio pensiero laico e ateo e indipendente e autonomo dall’istituzione religiosa e prendere le mosse dal rapporto con una madre terra da cui tutti noi donne e uomini deriviamo e che abbiamo il dovere di difendere, salvaguardare e tutelare dall’estinzione.Blog ODISSEA

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Evento – Guerre mediatiche, guerre dimenticate

Evento – Guerre mediatiche, guerre dimenticate

LUNEDÌ 20 GIUGNO 2022 ALLE ORE 18:00

Guerre mediatiche, guerre dimenticate

Guerre mediatiche, guerre dimenticate.
I civili soffrono mutilazioni o muoiono e chi governa lancia proclami.
Ucraina e Congo Repubblica democratica: analogie e differenze
Con la partecipazione di:
Alex Zanotelli
Chiara Castellani
Vittorio Agnoletto
Fabrizio Cracolici
Alessandro Marescotti
Giustino Melchionne
Milly Moratti
Paolo Moro
Partecipa e conduce:
Laura Tussi
A margine di un evento con Alex Zanotelli, Vittorio Agnoletto, Chiara Castellani e altri si vuole indagare sulle analogie e differenze tra l’Ucraina e la Repubblica democratica del Congo e le situazioni e condizioni in atto rispettivamente interagenti.

Il mio intervento vuole individuare che un fattore di analogia tra i due Paesi è proprio il nucleare. Infatti in Congo dalle miniere viene estratto l’uranio che è servito anche per costruire le bombe nucleari di Hiroshima e Nagasaki, mentre in Ucraina esistono centrali nucleari attive che, come accaduto vicino a Kiev all’inizio dell’attuale conflitto, possono diventare bersaglio per atti terroristici e azioni militari in tempo di guerra come quello attuale.

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La mondialità dell’ambientalismo

La mondialità dell’ambientalismo

Riprendiamo dall’Agenzia internazionale Pressenza una intervista di Laura Tussi a Mario Salomone . L’intervista è stata ripresa anche da AgoràVox Italia

Riprendiamo dall’Agenzia internazionale Pressenza una intervista di Laura Tussi a Mario Salomone . L’intervista è stata ripresa anche da AgoràVox Italia e dal blog di cultura Odissea, diretto da Angelo Gaccione

Mario Salomone è segretario della Rete mondiale di educazione ambientale – WEEC. In quali iniziative consiste questo importante incarico?

L’iniziativa più importante e prestigiosa, da cui è nata la rete, è quella dei congressi biennali, cui partecipano delegati provenienti da Paesi di ogni parte del pianeta – secondo i casi, cinquanta e oltre cento. Nel marzo scorso abbiamo tenuto l’undicesimo congresso a Praga, stiamo lavorando al dodicesimo nel 2024 e stiamo già cercando la sede per il tredicesimo nel 2026.

Cerchiamo di conservare l’eredità dei congressi passati, che documentiamo sul sito internazionale www.weecnetwork.org, e di mantenere vivi i rapporti tra i membri della comunità mondiale di pratica e di ricerca tra un congresso e l’altro, tramite il sito, le periodiche newsletter, i social media.

Un’altra funzione fondamentale è quella di curare la selezione delle candidature a ospitare i congressi, che finora hanno toccato tutti i continenti e di garantire la continuità di ispirazione e di metodo: ai comitati organizzatori locali diamo una serie di linee guida e portiamo sia tutta l’esperienza accumulata in quasi vent’anni dal primo WEEC in Portogallo, sia l’apporto scientifico della nostra rete internazionale. In questo modo conciliamo la continuità e la coerenza degli eventi, derivate dalla nostra azione, con l’apporto originale che il paese ospitante può dare grazie alla diversità di culture e di contesti. Si può dire, insomma, che ogni edizione del WEEC abbia una identità comune ben riconoscibile e allo stesso tempo una felice dose di originalità: non è lo stesso fare un congresso a Göteborg, a Bangkok o a Marrakech.

Mario Salomone è anche saggista e scrittore. Autore di numerose monografie, di saggi e articoli su riviste scientifiche e scrittore di romanzi e racconti. Da quali esperienze deriva questa sua poliedricità e da dove scaturisce il suo eclettismo nella scrittura?

Scrivere mi ha dato da sempre piacere e in questo mi sento vicino a quanto dice il mio amato Giacomo Leopardi nello Zibaldone. Per incentivarmi mio padre mi regalò una Olivetti Lettera 32 e da allora non ho mai smesso. Scrivere mi fa stare bene. Quanto alla varietà, direi che scaturisce dalla curiosità, che mi spinge a guardare più al futuro che al passato, e dall’idea di trasversalità e interconnessione propria della visione ambientale. La realtà è unica, siamo noi che la frammentiamo e ci chiudiamo in tante scatole, che dovremmo rompere.

Mario Salomone fa parte del comitato di direzione della Cattedra UNESCO in sviluppo sostenibile dell’Università di Torino. Può esporci l’importanza di questa sua esperienza di magistero?

Il bello di lavorare all’università è da un lato che ti costringe a studiare e ad aggiornarti continuamente e ti permette di trasferire quanto appreso in saggi e articoli scientifici e dall’altro ti mette a contatto con i giovani: fare lezione è un’esperienza stimolante e una spinta a ricercare e a rinnovarsi. Negli argomenti di cui mi occupo non è possibile riscaldare sempre la stessa minestra: viviamo in tempi di grande e crescente accelerazione, che sfidano a trovare nuovi dati e nuove risposte.

La Cattedra UNESCO in sviluppo sostenibile dell’Università di Torino inoltre è un bell’ambiente, per sua natura e mandato, centrata sui temi del presente e su un dialogo interdisciplinare sia con colleghi di tutti i dipartimenti dell’Ateneo torinese, sia con le altre cattedre UNESCO delle università italiane, che hanno dato vita a un coordinamento e hanno prodotto un interessantissimo documento comune, ponendosi all’avanguardia del mondo accademico del nostro paese.

Quali sono i libri più importanti che ha scritto e ai quali è più affezionato?

Quali siano i più importanti lo lascerei decidere ai lettori, anche se in generale ritengo più significativi i testi che maggiormente mettono in discussione il paradigma dominante (riduzionistico, “occidentale” e antropocentrico) e il nesso tra giustizia sociale e ambientale. I libri a cui sono più affezionato sono forse quelli di narrativa, come “Messaggio dal futuro”, romanzo fanta-ecologico giocato sui guai prodotti da una macchina del tempo, o i racconti, come il racconto lungo “Ippo” e quelli più brevi di pianeti immaginari o quelli usciti per alcuni anni su “Popotus”, il supplemento per bambini del quotidiano “Avvenire”. Sono affezionato anche ai romanzi non nati. Ad esempio, ce n’è uno, abbozzato, che mi curo nella mente da anni, ma è fermo un po’ per mancanza di tempo un po’, confesso, perché non ho ancora trovato la chiave giusta per risolverlo.

Una sua presa di posizione consapevole sul Premio Nobel per la pace a Ican, rete internazionale per l’abolizione degli ordigni di distruzione di massa nucleari e per il disarmo nucleare universale. Tutti noi ecopacifisti e disarmisti ne siamo diretti testimoni e ci sentiamo chiamati a rammentare il valore implicito di questo Premio Nobel per la pace collettivo all’intera umanità ormai in pericolo e al tracollo, in balia dei venti di guerra mondiali.

Giustizia. Sociale e ambientale, di Mario Salomone -Doppiavoce, Napoli

Sono un convinto sostenitore del nesso pace-ambiente: lavoriamo tutti per costruire nelle menti e nei cuori (e si spera anche nelle politiche) la comunità planetaria di destino e bene hanno fatto i giurati del Premio Nobel a dare questo riconoscimento a Ican, certo più meritato che per tanti altri vincitori. Fratellanza e sorellanza tra esseri umani e tra umanità a pianeta costituiscono un ideale che ci accomuna. Sappiamo bene quanto grave sia l’impatto ambientale e lo sperpero vergognoso di risorse degli apparati militari anche in tempo di (cosiddetta) “pace”. Viceversa, le guerre e gli apparati militari servono a impadronirsi di risorse naturali, a presidiare rotte commerciali, a imporre modelli di produzione e consumo antiecologici e insostenibili, a produrre ingiustizia sociale e ambientale. Sostengo che la guerra mondiale permanente è cominciata con le vele e i cannoni nell’epoca delle conquiste coloniali, quando la dimensione e il costo degli eserciti europei sono aumentati di dieci volte nel giro di due secoli.

Scrive per noi

Laura Tussi, docente, giornalista e scrittrice, si occupa di pedagogia nonviolenta e interculturale. Ha conseguito cinque lauree specialistiche in formazione degli adulti e consulenza pedagogica nell’ambito delle scienze della formazione e dell’educazione. Coordinamento Campagna Internazionale ICAN – Premio Nobel per la Pace 2017 per il disarmo nucleare universale, fa parte dei Disarmisti Esigenti, gruppo membro della rete mondiale e premio Nobel per la pace ICAN.
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Rivista eco: L’amore universale contro il grande conflitto

Strategie antiviolenza, anti-fanatismo e anti-fondamentalismo. La guerra deve essere dipanata nel suo acceso livello di conflittualità tra le parti con le trattative, tramite la diplomazia, con i corpi civili di pace, le ambasciate di pace della nonviolenza, le azioni nonviolente nei luoghi implicati, la difesa popolare nonviolenta.

L’educazione alla pace a partire dai contesti plurali e multiculturali deve aprire al confronto di idee, alle verità dell’evidenza degli eventi, alla pace nelle comunità come la scuola in primis, la famiglia, il contesto esosistemico e l’ambito ecosistemico planetario, fino ad arrivare al bene della nonviolenza a livello mondiale e universale. La scuola è un microcosmo di azioni e relazioni e di atti e idee che si moltiplicano all’infinito in un contesto comunitario che è innanzitutto originato da relazioni, non per forza legami di pace e vita, ma purtroppo anche energia conflittuale, dal verbo latino cum-fligere, che implica il contrasto ossia l’istanza del contrasto tra le une e le une con le altre personalità sia a livello di interiorità sia di esternazione delle istanze conflittuali. Ma non per questo dobbiamo aborrire il conflitto a scuola, in famiglia, nei contesti micro-culturali.

Nell’ambito macrosociale il grande conflitto come, ad esempio, la crisi ucraina può sfociare, come accaduto, in una guerra che può diventare terza guerra mondiale e addirittura apocalisse nucleare anche solo per un incidente informatico.

La guerra deve essere dipanata nel suo acceso livello di conflittualità tra le parti con le trattative, tramite la diplomazia, con i corpi civili di pace, le ambasciate di pace della nonviolenza, le azioni nonviolente nei luoghi implicati, la difesa popolare nonviolenta: occorre lanciare nei luoghi del conflitto ponti di memoria, ponti di pace, intessere legami di relazioni e vincoli di collaborazione e compromesso pacifico e nonviolento tra una etnia e un’altra evitando il male assoluto dato dall’ideologia nazifascista. Il nazifascismo è il massimo dei mali e non è lecito intervenire e colloquiare con le forze violentiste del male assoluto.

La pace, un intreccio plurimo

La pace è un intreccio plurimo tra genti, minoranze e popolazioni ed è il microcosmo tra amici e fratelli e sorelle e compagni che si compone con tassello per tassello nella quotidianità come un universale mosaico di pace che vede l’interrelazione tra le nazioni, i paesi, gli Stati, le regioni, le località e così via. Nel mappamondo dobbiamo tracciare una linea virtuale di confronto e dialogo tra le istituzioni mondiali che si può trasformare appunto in virtuale, in reale in un compromesso interattivo di luce, di pace, di amore tra le popolazioni e le genti che abitano i continenti e gli Stati.

Come figli di una grande entità cosmica universale, abbiamo il dovere, il diritto, in quanto generati da madre Terra, dalla cosmogenesi infinita dell’universo, abbiamo il diritto e dovere di occuparci della nostra grande madre creatrice e tutelarla e difenderla dai dissesti climatici provocati proprio da noi genesi filiale per le eccessive emissioni di gas serra di origine antropica nell’atmosfera. Inoltre, un altro immane risvolto è l’ecatombe nucleare che divorerebbe l’umanità e tutta la sua storia e ogni sua traccia nell’universo.

Noi viviamo in un afflato d’amore cosmico che va oltre le ideologie religiose e i dettami delle molteplici parole delle fedi. Un amore universale che deriva dal femmineo, dal femminile cosmico che è creazione e procreazione all’infinito, nella miriade di costellazioni, di galassie, di arcipelaghi di stelle, di raggruppamenti di astri, della molteplicità senza mai fine dell’amore interstellare e universale e cosmogonico.

Giordano Bruno, un precursore

Giordano Bruno è un nostro precursore perché credeva convintamente e fino alla morte che Dio è l’universo. Quella sua convinzione lo ha portato al rogo della Santa inquisizione in campo dei fiori a Roma nel 1600. La scienza deve aggrapparsi al materialismo per ricollegarci al nostro futuro di umanità. Si assiste al risveglio e ritorno di un religioso dogmatico e feticista. Non si vuole l’eliminazione della fede in assoluto, ma la valorizzazione del concetto concreto della vita. La chiesa cattolica del medioevo ha addormentato tutto il campo della scienza e della ricerca con dei pilastri e dei dogmi integerrimi e imperscrutabili.

Oggi vi è un ritorno al fanatismo e al fondamentalismo religioso, ma la scienza si deve contrapporre in modo intelligente al radicalismo fideistico. La fede riduce anche la capacità di studio perché è tutto prescritto dalle sacre scritture. Il radicalismo religioso preclude la ricerca.

Margherita Hack con il Bosone X ha scoperto la genesi ultima dell’infinito da cui tutte le infinità degli universi derivano. Lei sosteneva che il genere umano deriva dalla moltitudine delle galassie e delle stelle e che probabilmente la nostra genia non è l’unica figlia dell’infinito.

Questi pensieri e ragionamenti devono condurre all’amore universale a amarci in quanto derivanti dalla cosmogenesi infinita dei pluriversi delle galassie e per questo a considerarci maggiormente come genere umano, come sorelle e fratelli e animali e vegetali derivanti dalle miriadi di stelle e aspirare a incontrare magari altre forme di vita lontane e per questo rifiutare ogni forma di odio, di violenza, di guerra su madre terra e in ogni altro pianeta.

Scrive per noi

Laura Tussi, docente, giornalista e scrittrice, si occupa di pedagogia nonviolenta e interculturale. Ha conseguito cinque lauree specialistiche in formazione degli adulti e consulenza pedagogica nell’ambito delle scienze della formazione e dell’educazione. Coordinamento Campagna Internazionale ICAN – Premio Nobel per la Pace 2017 per il disarmo nucleare universale, fa parte dei Disarmisti Esigenti, gruppo membro della rete mondiale e premio Nobel per la pace ICAN.
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Vite. Storie di migrazione

Un’altra storia Varese e Rete senza Frontiere Varese

presentano

VITE – STORIE DI MIGRAZIONE DI PAMELA BARBA EDIZIONE MIMESIS . – –

Foto e testi di Pamela Barba . —

Prefazione di Laura Tussi e Fabrizio Cracolici . – –

Introduzione e Focus Africa di Giuseppe Musolino . – –

Approfondimento Soumaila Diawara . – –

Postfazione Roberta Ferruti . – –

 

VENERDÌ | 3 GIUGNO 2022

DALLE ORE 19.30

SEDE DI UN’ALTRA STORIA VARESE

VIA FRANCESCO DEL CAIRO, 34 – VARESE

 

Programma

Ore 19.30

Aperitivo

Inaugurazione Mostra fotografica

Musica dal vivo con

Valentin Mufila | Musicista congolese

ore 20.30

Presentazione del libro

Proiezione

ORE 21.00 circa

Pamela Barba | Fotografa indipendente . – –

dialoga con

Giuseppe Musolino | Un’altra storia Varese . – –

In collegamento online

Laura Tussi e Fabrizio Cracolici | Giornalisti . – –

Soumaila DIAWARA | Scrittore maliano . – –

Roberta FERRUTI | RE.CO.SOL . – –

 

CONTATTI: pamelab@outlook.it; varese@unaltrastoria.org

+39 320 687 3879 ; +39 338 707 5200 . – –

 

IL LIBRO

Un percorso tra fotografie e testi che tenta di dare delle risposte a delle domande: quale vita conducono arrivati in Italia? Perché partono? Quali sono i loro sogni? La fotografa ha trascorso con Nick, Ibrahim, Aries e Sophie del tempo, ha atteso la loro fiducia, ha assaporato la loro quotidianità condividendo pensieri e azioni. A distanza ravvicinata, per meglio comprendere e per farsi accogliere nella loro storia.

L’intento di questo lavoro, testi e foto insieme, è contribuire a contrastare e smontare stereotipi sulle migrazioni attraverso le testimonianze di chi, sulla propria pelle, le ha vissute in prima persona. Nei racconti e negli scatti si coglie un profondo rispetto delle persone protagoniste lungo tutto il lavoro d’introspezione, analisi e racconto svolti dall’autrice.

BIOGRAFIA AUTRICE

Pamela Barba (Ceglie Messapica, 1985) è una fotografa indipendente.

Si occupa principalmente di fotografia sociale, documentaristica e didattica.

 

 

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EIRENE: un festival di idee contro l’odio e la guerra

EIRENE: un festival di idee contro l’odio e la guerra

  
(Foto di Fabrizio Maffioletti)

E’ in azione la grande macchina organizzatrice di idee e organizzativa di iniziative, che parte dal basso e, nonostante le difficoltà rispetto alla disponibilità di risorse umane ed economiche, vede l’impegno di decine di operatori e volontari per la pace e la nonviolenza intenti e impegnati a collaborare per la realizzazione del primo festival internazionale del libro per la pace e la nonviolenza di Roma: il tutto a partire da un volontariato attivo e consapevole che crea grandi iniziative dal niente.

Il grande motore di idee e novità del festival ha letteralmente costruito tassello per tassello un mosaico di pace con più di un centinaio di presentazioni e incontri e mostre e spettacoli e performances.

Una autentica panoramica ad ampio raggio d’azione nonviolenta e intervento sociale e culturale sull’attualità degli eventi che accadono nel mondo: dalla guerra in Ucraina a tutte le guerre Nato, dalle morti per l’uranio impoverito alla tutela dell’ambiente e degli ecosistemi planetari compromessi dai dissesti climatici e dalle alterazioni climatiche.

Un festival internazionale a 360 gradi a riguardo della panoramica mondiale relativa alle emergenze e minacce che incombono sull’intera umanità: dalla guerra nucleare alla disuguaglianza sociale globale, dalla violenza strutturale alle migrazioni forzate e al problema della violenza a tutti i livelli del macrosistema planetario.

Una ventata di informazioni e approfondimenti e notizie sull’attualità di questo nostro presente che certamente spaventa, ma queste iniziative come il festival del libro per la pace e la nonviolenza di Roma danno ampio respiro all’intera umanità, a ogni singolo attivista che si impegna in quanto persona per il bene, contro il male in assoluto.

Con il libro Memoria e futuro edito da Mimesis Edizioni, che riceve i contributi scritti di molte personalità tra cui Vittorio Agnoletto, Moni Ovadia, Alex Zanotelli, saremo presenti in parte da remoto in parte in presenza con personalità di spicco del mondo dell’attivismo e della politica, da Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista, Sinistra Europea a Paolo Ferrero, Vicepresidente della sinistra in Europa, fino al celebre Giorgio Cremaschi.

E poi l’operatore di pace Gianmarco Pisa e l’esponente Anpi Fabrizio Cracolici e l’ecopacifista, portavoce dell’ associazione Disarmisti Esigenti Alfonso Navarra.

E poi ancora personaggi del calibro di Vandana Shiva e Pat Patfoort per trattare dei temi più pressanti della nostra terrestrità, del nostro essere figli di una grande madre terra e di una cosmogenesi femminile. Siamo figli delle stelle, come sosteneva la grande astrofisica Margherita Hack e veniamo da una procreazione femminile: concetti plurimi avvalorati dal grande portato ideale e di pensiero del femminismo del novecento e del neofemminismo.

Per cui siamo figli di madre terra, della natura che è femmina.

Questo esclude la nostra dipendenza da un Dio maschio, unico, forte, onnipotente. La nostra esistenza è più che mai fragilità, è una terra matria, è un Dio donna. Negli scritti economico filosofici del 1844, il giovane Marx indaga un rapporto più stretto tra genere umano e natura, da cui discendiamo. Tutti questi spunti di pensiero dovrebbero spronare la nuova sinistra pacifista e ecologista a maturare un pensiero del tutto laico che collabori, ma non dipenda in toto, dal pensiero dell’attuale pontefice.

La sinistra deve saper maturare un pensiero ateo e laico autonomo e indipendente in base ai presupposti del concetto di terrestrità ed al legame con madre natura.

Questo pensiero prende anche le mosse dalle teorie del pensiero della complessità che spaziano dagli assunti di Edgar Morin fino al grande partigiano e deportato e padre costituente dell’Onu Stéphane Hessel. A partire dal Premio Nobel per la pace collettivo per il disarmo nucleare universale che ha investito tutti gli attivisti per la pace e la nonviolenza e che ci vede testimoni attivi per la ratifica del TPAN in Italia, nonostante il veto della Nato, noi possiamo sostenere di essere tutti Premi Nobel per la pace con Ican, la rete internazionale per l’abolizione degli ordigni di distruzione di massa nucleari e per il disarmo nucleare a livello mondiale e universale.

Il libro Memoria e futuro è un mezzo comunicativo e portavoce, insieme a molti altri protagonisti del festival, di queste importanti istanze culturali e di impegno politico e attivismo pacifista.

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Sono morto come un vietcong. Leucemie di guerra

Sono morto come un vietcong. Leucemie di guerra

Giulia Spada, è autrice di un romanzo e soprattutto di un racconto di forte denuncia e coraggiosa presa di consapevolezza e di autentica decisione di assunzione di una grande responsabilità: la testimonianza per la pace.

di Laura Tussi

Una posizione netta, decisa e ferma contro la guerra. Giulia adesso scrive. Non si ferma e scrive “Sono morto come un vietcong”. Giulia si considera giustamente un’orfana di guerra. Suo padre è stato ucciso da una malattia che ha contratto nella zona di Teulada. Un territorio dal 1950 teatro di guerre chiamate “simulate”. E lei è convinta di questo omicidio causato dall’inquinamento bellico. Si spara, si bombarda, dal mare, da terra, dall’aria proprio ‘come in Vietnam’, in una geografia e tipologia della morte che è allucinante, inverosimile, macabra.

Un affronto, una ingiuria atroce alla Sardegna e alla salute di chi è costretto a respirare le polveri cancerogene della guerra, nelle zone militari e non solo, in un nefasto odore di morte. Ma Giulia non si arrende. Giulia scrive e denuncia. Proprio la morte del padre, ucciso nel 2003 da una leucemia, ha ispirato l’ultimo libro dell’ autrice da qualche tempo trasferita a Milano. Come tanti emigrati guarda con altri occhi una terra meravigliosa, la sua Sardegna, con tante potenzialità paesaggistiche, culturali, artistiche, turistiche e un patrimonio ambientale e umano unico che Giulia esprime soprattutto e in modo molto dettagliato e pertinente nel suo romanzo “Sono morto come un vietcong”.

Giulia era una bambina quando suo padre è morto. Nei discorsi nell’ambito della famiglia l’argomento provoca ancora troppo dolore, perché sembra ancora inverosimile morire di guerra, ma risulta sempre più una realtà spietata e più che mai di stringente attualità.

“Sono morto come un vietcong” è un romanzo e soprattutto un autentico e vero racconto di denuncia e testimonianza che vorrebbe aiutare i sardi e tutti gli attivisti per la pace a prendere coscienza di quel che accade. Lo Stato ha deciso di sacrificare una parte del territorio dell’Isola, che da Roma magari è lontano, ma che dalla geopolitica è giudicato scarsamente popolato, e quindi utile per certi scopi. Che per adesso sono solo militari, ma in futuro, molto probabilmente, teatro di guerra, di lutti, carneficine, massacri, stragi.

Il rischio non è solo quello di depositi di scorie nucleari in Sardegna.
I poligoni militari sono stati il primo passo.

Il caso di Quirra è sconcertante.

“Sono morto come un vietcong” è un viaggio di coraggio. E’ soprattutto un racconto di decisa e ferma denuncia nella Sardegna contemporanea militarizzata e colonizzata da eserciti di tutto il mondo, che testano le armi utilizzate nei vari teatri di guerra della Terra. La voce narrante è il padre dell’autrice. E’ un professore in un piccolo centro nel sud dell’Isola, che racconta ciò che accade intorno a lui: persone che muoiono di leucemie e tumori, animali che nascono deformi, a causa dell’attività della base militare vicina. L’autrice sceglie la forma del racconto e del romanzo per sollecitare una partecipazione sociale, al fine di dare un segnale di allarme alla comunità, per testimoniare la pace, per prendere, anche in prima persona, posizione netta contro la guerra, proprio intorno agli orrori della guerra nel nostro bel Paese, e per riflettere sul fatto che in questi luoghi non si muore solo di leucemie e tumori, ma di guerra appunto, e che dunque, chi rimane e continua a vivere nel dolore e nella terribile assenza, nel lutto, nell’odio, sono orfane, orfani, vedove e vedovi di guerra.

Giulia Spada, Sono morto come un vietcong. Leucemie di guerra.

Prefazione di Marilina Rachel Veca
Intervista di Paolo Carta
Edizioni “Sensibili alle Foglie”

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Intervista a Raffaele Crocco, il direttore della Pace

Raffaele Crocco, lei è giornalista Rai, documentarista e inviato televisivo e molto altro ancora. Ha ideato e dirige l’Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo. Quale aspetto l’ha coinvolta di più in tutte queste attività e esperienze?

 

(Foto di www.atlanteguerre.it)

E’ davvero difficile scegliere, dare una priorità. In realtà, tutte le attività sono un insieme coerente, almeno coerente per me. Io amo viaggiare, raccontare storie ed ascoltarle, creare situazioni, mostre, oggetti. Mi piace fotografare. A questo aggiungo la militanza, cioè il tentativo di vivere nel modo più vicino possibile a come vedo e intendo il Mondo. Credo di aver sempre vissuto mettendo insieme tutto questo, senza fare grandi distinzioni.

Lei conduce un’intensa produzione giornalistica e un attivismo molto sentito e vero. Quali sono gli ideali che la ispirano maggiormente in questi ambiti di azione nonviolenta?

Il mio avvicinarmi al mondo della non violenza è stato graduale ed è un cammino ancora in corso. Io vengo da tempi ed esperienze politiche differenti, momenti e fasi della storia di questo paese in cui la violenza in politica – direi la militarizzazione della politica – era concepibile in chiave rivoluzionaria, di necessità di cambiamento. E’ stato l’incontro e il lavoro assieme a personaggi come Ernesto Balducci e Gino Strada e la lunga frequentazione della guerra a convincermi che la strada da seguire è un’altra. Il mio, comunque, resta un approccio molto “pratico” alla Pace, non ho la struttura, le conoscenze e la forza di chi pratica la nonviolenza da sempre. La mia scelta di campo, da questo punto di vista, è nell’affermazione dei diritti umani. E’ necessario farli diventare quotidiano e individuale strumento di misura, solo così – credo – riusciremo a far diventare la Pace il normale sistema di valori in cui vivere.

Gino Strada è stato un grande uomo di pace. Lei lo ha conosciuto e ha fondato nel 2003 con lui il quotidiano Peacereporter. Quali sono i contenuti e i valori più importanti che Gino Strada le ha trasmesso?

Gino era davvero un grande uomo di pace e anche lui – questa era una cosa che condividevamo – era arrivato ad affermare il no alla guerra per le esperienze avute sul campo. Era il nostro terreno comune, che si traduceva nel tentativo di dare concretezza, solidità, alle idee sulla Pace. Come Atlante delle Guerre – condiviso dal gruppo di Unimondo – da qualche tempo lavoriamo su uno slogan: costruire la Pace non significa essere più buoni, significa diventare più intelligenti. Ecco: con Gino avevamo in comunque la convinzione dell’intelligenza della Pace.

Ora Raffaele Crocco è anche il nostro direttore, il direttore di Unimondo. Può descrivere le sensazioni di questa, tra le tante, importante esperienza?

L’esperienza con Unimondo è davvero gratificante. Quando lo scorso anno mi è stata proposta la direzione – alcuni mesi dopo la morte di Piergiorgio Cattani – ho chiesto del tempo. Sapevo e so che si tratta di un impegno serio, che richiede tempo e passione e mi chiedevo se sarebbe stato possibile reggere la cosa mantenendo la direzione dell’Atlante, che dirigo e governo. Ora, a distanza di un anno, devo dire che la scelta di assumere il timone della testata è stata felicissima. Innanzitutto, perché il gruppo di lavoro è formidabile. Davvero, senza retorica. A partire da Alessandro Graziadei, un grande professionista, per arrivare a tutti coloro che collaborano, mi sono trovato a contatto con persone umanamente disponibili e professionalmente preparate. A questo, aggiungo il bel rapporto che ho con l’editore, che ha idee innovative. Insomma, una esperienza bella e importante, umanamente e professionalmente.

Una sua presa di posizione consapevole sul Premio Nobel per la pace a Ican, rete internazionale per l’abolizione degli ordigni di distruzione di massa nucleari e per il disarmo nucleare universale, di cui tutti noi ecopacifisti e disarmisti siamo diretti testimoni e chiamati a rammentare il valore implicito di questo Premio Nobel per la pace collettivo all’intera umanità ormai in pericolo e al tracollo, in balia dei venti di guerra mondiali.

Più del Nobel per la pace a Ican, credo sarebbe il caso di fare una forte riflessione sull’atteggiamento che il nostro Paese e la parte di Mondo che consideriamo alleata ha rispetto alle armi nucleari. Dobbiamo ricordare che l’Italia non è tra i firmatari del trattato TPNW, votato nel 2017 dall’Onu e entrato in vigore lo scorso anno. Il trattato sancisce l’illegalità delle armi nucleari e ne vieta l’uso, lo sviluppo, i test, la produzione, la fabbricazione, l’acquisizione, il possesso. Insomma, dice basta agli ordigni. Lo hanno firmato 59 Paesi, ad oggi, e non siamo fra questi. Credo che ora più che mai, con la crisi Ucraina che infuria, dovremmo chiederci cosa significa avere nel Mondo migliaia di ordigni nucleari pronti all’uso e cosa voglia dire averne sul proprio territorio nazionale una ottantina.

Ucraina: guerra e vanità. Il conflitto letto dall’Atlante. Può narrare di questo suo nuovo libro e rilasciare una testimonianza di pace per tutti i giovani del mondo e un pensiero a questa nostra martoriato umanità ‘sull’orlo del baratro’?

Come per ogni guerra, quello che accade in Ucraina è complesso e semplice. E’ facile, ad esempio, la lettura del momento: c’è un aggressore, che è Putin e ci sono degli aggrediti, che sono i cittadini ucraini. Nulla al mondo giustifica un’aggressione militare e la comunità internazionale ha il dovere di proteggere chi è stato aggredito. Ha il dovere si salvargli la pelle e questo significa agire con le armi della politica, del diritto e dell’economia per fermare l’aggressore. E’ semplicemente stupido e pericolosamente ipocrita pensare di risolvere la guerra armando una delle parti. E’ come pensare di spegnere un incendio usando la benzina. Più complesso è ragionare su come si potrà costruire una pace vera, conoscendo gli antefatti, il ruolo avuto dagli attori e, soprattutto, il, drammatico immobilismo che c’è stato per otto anni da parte di tutti, anche da parte di chi oggi alza la voce e fa rullare i tamburi di guerra. Parlo dell’Unione Europea e degli Stati Uniti, che potevano e dovevano agire prima. Questa è la guerra delle vanità, perché tutti stanno usando l’Ucraina come tavola da gioco, pensando che a vincere sarà chi si dimostra più forte e potente. Intanto, i missili e le bombe uccidono migliaia di civili e la guerra toglie il futuro ad un’intera generazione. Non è accettabile. Dovevamo agire prima. Ora, che è tardi, dobbiamo agire sapendo che le scelte non saranno indolore, che in questa lotta siamo coinvolti tutti. In modo nonviolento, ma ci siamo dentro. Perché il pacifismo non è, come qualcuno in malafede racconta, il mondo delle anime belle e un po’ frichettone. No: è il mondo dell’azione, della costruzione dell’alternativa e del confronto anche duro con la realtà. Essere pacifisti significa essere moderni, contemporanei, assolutamente dentro il proprio tempo, con consapevolezza, forza ed energia. Per queste ragioni il pacifismo fa paura.

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