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Da John Lennon a Danilo Dolci, ecco come il pacifismo contribuì a fermare la guerra in Vietnam

di LAURA TUSSI

Esattamente 68 anni fa, il Primo novembre del 1955, ebbe inizio la guerra in Vietnam, un evento tragico che provocò milioni di morti, ma che vide anche la nascita di un movimento pacifista coeso, globale, trasversale e consapevole. Ripercorriamo dunque le tappe del conflitto e delle persone – dai rappresentanti della società civile ai personaggi di spicco – che con la loro azioni contribuirono a farla cessare.

“Quando partecipavo al movimento contro la guerra del Vietnam mi sembrava impossibile che potesse avere qualche effetto concreto. Coloro che aderirono al movimento nei primi anni ’60 pensavano che quanto stavano facendo avrebbe avuto come conseguenza anni di galera e vite distrutte, per inciso, io ci sono andato vicino… Allora era impossibile immaginare che ci sarebbe stato qualche risultato. Ma sbagliavamo: i risultati sono stati innumerevoli, non grazie a quello che facevo io, ma grazie a quello che facevano migliaia e migliaia di persone in tutto il paese“.

Noam Chomsky

La guerra del Vietnam – nota nella storiografia vietnamita come guerra di resistenza contro gli Stati Uniti o anche come guerra statunitense – fu il conflitto armato combattuto in Vietnam fra il Primo novembre 1955, data di costituzione del Fronte di Liberazione Nazionale filo Comunista, e il 30 aprile 1975, con la caduta di Saigon e il crollo del Governo del Vietnam del Sud e la riunificazione politica di tutto il territorio vietnamita sotto la dirigenza comunista di Hanoi.

vietnam

Con l’incidente del Golfo del Tonchino – quando una nave militare americana dichiara di essere stata attaccata da tre torpediniere del nord del Vietnam – ebbero inizio i combattimenti. Nel 2005 verrà definitivamente appurato che l’incidente fu una montatura per fornire un pretesto per iniziare l’aggressione ordinata dall’amministrazione di Johnson. Una guerra atroce che si concluse nel 1975 con la sconfitta dei più potenti eserciti del pianeta. Ma che produsse milioni di morti tra i vietnamiti e circa 100mila vittime americane. Fu la guerra della diossina, sparsa dagli Stati Uniti in 45 milioni di litri su moltissimi villaggi e su un immane numero di cittadini vietnamiti – alcune stime parlano di 5 milioni di persone colpite.

Il Governo americano sosteneva il regime anticomunista del Vietnam del Sud sin dal 1954, dopo la sconfitta della Francia. L’opposizione pacifista alla escalation militare iniziò subito, negli Stati Uniti stessi e in tutto il mondo. In pochi mesi si formò e crebbe un vasto movimento planetario che condannava l’aggressione degli USA e solidarizzava con i vietnamiti. Un impegno di mobilitazione internazionale che caratterizzò tutti gli anni ‘60 del Novecento.

https://youtube.com/watch?v=PgDm85StSQs%3Ffeature%3Doembed

La guerra chiedeva un elevato tributo di di giovani e il Governo statunitense introdusse la leva obbligatoria per fronteggiare il Vietnam, eliminando il servizio militare volontario. All’inizio il reclutamento dei giovani studenti avveniva addirittura su basi meritocratiche al contrario: veniva arruolato chi aveva i risultati peggiori a scuola. Così la protesta dilagò negli atenei americani. I campus universitari diventano centri di mobilitazione contro la guerra e si saldarono con il movimento dei diritti civili, con le pantere di Martin Luther King e con ampi settori di intellettuali e i ceti borghesi liberali.

Molto diffusa sarà l’obiezione di coscienza. Orrori indicibili di una lunga guerra sconvolsero il mondo civile democratico, quello giovanile in particolare. Il movimento pacifista incise in maniera considerevole sulla fine della guerra e sulla crescita di una nuova coscienza civile, pacifista, democratica e antimperialista non solo negli Stati Uniti. Il ‘68 era in arrivo e avrebbe avuto nell’opposizione alla guerra contro il Vietnam – e a tutte le altre guerre – una sua ragione fondante, uno stile di vita e una prospettiva di impegno.

I campus universitari diventano centri di mobilitazione contro la guerra e si saldarono con il movimento dei diritti civili, con le pantere di Martin Luther King e con ampi settori di intellettuali e i ceti borghesi liberali

In Italia si sviluppò un movimento di lunga durata contro la guerra in Vietnam, in solidarietà col popolo vietnamita e a sostegno del movimento americano pacifista. Si svolsero grandi manifestazioni a livello nazionale, ma anche una molteplicità di iniziative diffuse sul territorio come marce, veglie, raccolte di fondi, di sangue, alimenti e medicinali e carovane della pace. Bisogna ricordare poi l’iniziativa di Giorgio La Pira, sindaco di Firenze, che volò in missione di pace ad Hanoi per incontrare Ho Chi Minh, leader del Nord Vietnam.

Joan Baez fu l’icona appassionata dell’opposizione alla guerra. Fece clamore il suo viaggio del 1972 ad Hanoi per solidarizzare con il popolo vietnamita sotto le bombe dei B-52 il cui rombo finirà nel suo disco Where are you now my son. John Lennon poi nel 1969 per protesta contro la guerra restituì il titolo di baronetto alla regina. In Italia Danilo Dolci, grande e coerente figura del pacifismo mondiale e della nonviolenza attiva, educatore e protagonista delle lotte per il miglioramento delle condizioni di vita e sociali della Sicilia del dopo guerra, nel 1967 promosse la marcia per il Vietnam e per la pace che, partita da Milano, giunse a Roma accolta da 50mila persone.

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Transform – 21 Settembre: Giornata Internazionale della Pace con il centro di Rovereto per la risoluzione dei conflitti

di Laura Tussi (sito)

È sentita forte l’esigenza di educare i giovani e le nuove generazioni al rispetto dei diritti umani, alla consapevolezza e responsabilità di vivere in un mondo dove la guerra sia bandita e finalmente ripudiata.

La Giornata Internazionale della Pace è stata istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1981, con l’obiettivo di rafforzare la volontà di pace tra le nazioni e i popoli. Dal 2001 le celebrazioni per la pace sono state fissate per il giorno 21 Settembre ed è stato convenuto che questa sarebbe stata la giornata in cui sospendere tutte le ostilità e la violenza nel mondo. Nel commemorare questa importante iniziativa delle Nazioni Unite, vorremmo ricordare tutte le realtà, enti e associazioni e fondazioni che promuovono la pace in ogni sua modalità. Come il Centro per la pace di Rovereto di cui abbiamo trattato in queste nostre pagine dedicate alla nonviolenza, al disarmo e alla risoluzione di ogni tipologia di conflitto.

L’originale esperienza del centro pace di Rovereto. 

A Rovereto nella seconda metà degli anni ’80 del novecento si è costituito un gruppo ecologico che aveva lo scopo di prendersi in carico le problematiche ambientali.

Con questo gruppo si sono organizzate parecchie manifestazioni contro le centrali nucleari e le basi militari. Nel frattempo all’Università di Trento si costituisce un gruppo di studio sulla nonviolenza. Si leggono testi di Gandhi, Capitini, Dolci e si riflette su queste tematiche.

È un periodo ricco di fermenti, di lotte e di solidarietà con i popoli del mondo che si stanno ancora affrancando da dittature di stampo neocoloniale, ma siamo ancora in piena guerra fredda, con le basi Nato in Italia e i Pershing e i Cruise e le spese militari che raggiungono livelli impensabili.

Presenti i rappresentanti locali di diverse associazioni di respiro nazionale come la Lega per il disarmo unilaterale, il Movimento non violento, Magistratura democratica, Lega degli obiettori fiscali, Lega per i diritti e la liberazione dei popoli, Acli, Pax Christi. Si parla della necessità di avere un coordinamento tra tutte le associazioni e di un luogo pubblico per le attività inerenti l’educazione alla pace.

È sentita forte l’esigenza di educare i giovani e le nuove generazioni al rispetto dei diritti umani, alla consapevolezza e responsabilità di vivere in un mondo dove la guerra sia bandita e finalmente ripudiata. 

L’atto costitutivo del comitato di queste associazioni per la pace venne sottoscritto e il passaggio successivo era l’ottenimento da parte del Comune di un locale da adibire in modo permanente ad attività di educazione alla pace e dove lasciare il materiale da consultare.

In seguito viene individuata una zona centrale della città.

Presso le scuole Paolo Orsi.

Due aule vengono separate dal resto dell’edificio e dotate di un ingresso autonomo.

Un’aula viene adibita a sala riunioni, l’altra a zona segreteria e biblioteca di consultazione con tavoli e postazioni computer. Si procede alla catalogazione del materiale che successivamente sarà messo online.

Il posto è veramente bello e significativo in posizione centrale e all’interno di un edificio scolastico. Ha così inizio la lunga storia del centro pace di Rovereto. Cominciano i corsi di aggiornamento per insegnanti in collaborazione con il centro psicopedagogico per la pace di Piacenza diretto da Daniele Novara e con Mario Bolognese.

I fine settimana, il centro pullula di insegnanti di scuole elementari e medie provenienti da tutto il territorio provinciale. Il centro è attento e pronto a accogliere le istanze che provengono dal territorio e all’inizio degli anni ‘90 è tra i primi ad accorgersi della presenza nella città dei primi migranti, perlopiù giovani provenienti dal Maghreb. Forte la necessità di risolvere in modo nonviolento i primi conflitti tra i cittadini di Rovereto e i giovani migranti. E così si organizzano i primi incontri con gli obiettivi da porre in contesti atti al dialogare.

Il centro diventa anche un luogo di incontro dove i migranti possono trovare qualcuno con cui scambiare una parola, chiedere un’informazione, fare una telefonata di lavoro o per la ricerca di un alloggio, tradurre qualche documento.

Partono i primi corsi di italiano per stranieri tenuti da insegnanti volontarie. Sono esperienze locali, per cui si allacciano collaborazioni con altre realtà italiane in particolare con le città di Bologna, Modena, Reggio Emilia ritenute all’avanguardia su queste esperienze e problematiche. Con l’arrivo dei primi bambini stranieri nel centro si attivano i corsi di aggiornamento per gli insegnanti elementari.

Ma gli anni ‘90 sono anche gli anni delle guerre in Ex Jugoslavia, delle mine antiuomo, della nascita di Emergency, dell’ obiezione fiscale, delle spese militari, fino ad arrivare alla seconda guerra del Golfo.

Il comitato delle associazioni per la pace che gestisce il centro di educazione alla pace passa da un’emergenza all’altra, quasi non vi è tempo per una programmazione propria, anzi qualcuno accusa di inseguire solo le emergenze. Tra gli obiettivi prioritari, il coinvolgimento del maggior numero di realtà, ma questo non sempre risulta facile.

Soprattutto vi è difficoltà ad aggregare il mondo cattolico, i giovani delle parrocchie. 

Anche il primo incontro con Gino Strada in una saletta, con un pubblico di poche persone: Emergency era ancora agli inizi.

Gli incontri con tanti testimoni di pace del nostro tempo che le occasioni portarono al centro. In seguito la grande manifestazione organizzata per fare fermare la seconda guerra del Golfo nel 2001. Più di 3000 persone salirono da Piazza Rosmini al colle di Miravalle per manifestare contro l’ennesima guerra coloniale.

Non si riuscì a fermare la guerra, ma insieme tante persone avevano capito che la prima vittima delle guerre è la verità.

L’invasione dell’Iraq viene ugualmente vissuta con le sue dottrine di mistificazione come ‘guerra preventiva’ e ‘guerra al terrorismo’ e ‘stati canaglia’ e ‘operazione antica Babilonia’.

Dal 2002 in poi il centro viene trasferito in una serie decentrata con l’accesso da una via trafficata e è difficile dal poter essere ristrutturata.

La sede è soprattutto fuori mano e il comitato attraversa un periodo critico e è in una fase di transizione: già nella primavera del 2011 attendono due nuove problematiche come i referendum sull’acqua e sulle centrali nucleari e la guerra in Libia con il carico di migranti che ben presto arrivano in Italia e a Rovereto. I profughi e i richiedenti asilo. Scoppia subito la polemica cavalcata anche da alcuni partiti e è ora di riprendere l’impegno, il lavoro non manca. Le nuove sfide sono ora di crescita, come i gruppi di acquisto solidale, i migranti, le lotte per i diritti di cittadinanza e le seconde generazioni, i beni comuni, l’ambiente. E su questo nel centro pace stanno lavorando ancora oggi a pieno ritmo.

Transform, Organo Sinistra Europea: https://transform-italia.it/21-settembre-giornata-internazionale-della-pace/

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Secondo il doomsday clock mancano 90 secondi alla fine del mondo

DI FRANCESCO BEVILACQUA – italiachecambia.org 

 Il doomsday clock, l'”orologio dell’apocalisse”, ci indica che mancano solo 90 secondi alla fine del mondo. Insieme all’attivista e saggista Laura Tussi proviamo a capire come funziona questo orologio e soprattutto qual è lo scenario dal punto di vista bellico e geo-politico – ma anche da quello ambientale, sanitario, sociale – che contribuisce a determinare questo inquietante conto alla rovescia.

“Il mondo è fottuto, vero? Posso dirvi che qualcosa non va, manca un minuto a mezzanotte”

Così cantano i rapper inglesi Snowy e Jason Williamson nella loro Effed. Ma perché mezzanotte? Il riferimento dei due artisti è uno dei tanti che nella storia della musica e del cinema hanno riguardato il doomsday clock – letteralmente “l’orologio del giorno del destino”, con destino inteso in senso fortemente negativo –, un progetto lanciato nel 1947 dalla rivista Bulletin of the Atomic Scientists, a sua volta nata a seguito delle catastrofi nucleari di Hiroshima e Nagasaki.

COME FUNZIONA IL DOOMSDAY CLOCK

Il doomsday clock indica quindi simbolicamente quanti minuti mancano alla mezzanotte, ovvero alla fine del mondo. Dal 1947 a oggi le lancette sono state spostate molte volte, sempre in base ad avvenimenti storici che hanno allontanato o avvicinato il rischio di un’apocalisse nucleare. Inoltre da qualche anno vengono contemplati in questo macabro conto alla rovescia anche altre variabili, come le azioni umane che contribuiscono ad aggravare la crisi climatica.

«Non passano giorni senza cui il presidente ucraino, il presidente russo e quello degli Stati Uniti non lancino al mondo intero proclami di minaccia sulla catastrofe globale, con prese di posizione fisse, paranoiche, psicotiche sul first use nucleare, di dettami basati sulla deterrenza schizoide tra le superpotenze circa la fine di tutto, ossia l’estinzione, o peggio l’annientamento dell’umanità, del genere umano nella sua interezza e delle specie animali e vegetali», osserva Laura Tussi, attivista per il disarmo e la nonviolenza, saggista e collaboratrice di Italia Che Cambia a cui abbiamo chiesto di parlarci meglio del doomsday clock.

QUANTO MANCA ALLA FINE?

Come detto, dal 1947 a oggi le lancette sono state spostate molte volte. Ad esempio, lo scoppio della guerra in Vietnam ha avvicinato la fine del mondo di 5 minuti, mentre la caduta del Muro di Berlino l’ha allontanata di 4 minuti. Il penultimo aggiornamento è avvenuto nel 2020, quando il riarmo nucleare, la pandemia di Covid e la mancanza di politiche di contrasto ai cambiamenti climatici hanno provocato uno spostamento in avanti di 20 secondi.

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Arriviamo dunque a quest’anno: secondo il doomsday clock oggi, nel 2023, siamo a soli 90 secondi dalla mezzanotte nucleare. A provocare il nuovo aggiornamento – +10 secondi – è stata naturalmente la guerra in Ucraina, con il coinvolgimento dei reattori nucleari di Černobyl’ e Zaporižžja, ma anche le minacce della Corea del Nord e le catastrofi climatiche degli ultimi mesi. «Un tempo mai registrato dopo Hiroshima e Nagasaki», osserva Laura Tussi. «Un tempo mai registrato neanche in piena guerra fredda durante la congiuntura salvifica di Kennedy, Krusciov e Papa Giovanni XXIII, in cui mancavano sei minuti dalla mezzanotte atomica».

«Nel complesso – prosegue Laura – possiamo dire che l’umanità intera ormai ha perso il diritto alla felicità; perché il genere umano ha il diritto e il dovere di vivere senza il terrore della scissione nucleare, di vivere felice senza il rischio dell’ecatombe e dell’escalation atomica. L’ONU dovrebbe applicare il diritto alla pace che è già suggellato nel diritto internazionale e incardinato in esso con i documenti e i trattati internazionali come l’accordo TPAN/TPNW per l’abolizione delle armi nucleari, le Carte della Terra, le Cop per il clima, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani».

IL FUTURO DELL’UMANITÀ

Vi saranno nuovi spostamenti delle lancette? Se sì, in che direzione? Il 2026 rischia di essere un anno cruciale: il 5 febbraio scadrà infatti il trattato sulla riduzione delle armi nucleari firmato dagli allora presidenti di Stati Uniti e Russia, Obama e Medvedev. Fra l’altro la Russia, a partire dal 21 febbraio di quest’anno, ha deciso di sospendere momentaneamente la sua adesione al trattato.

«L’umanità sia nel bene che, purtroppo, nel male è caratterizzata dalle sue guerre, i suoi massacri, le stragi, i conflitti armati e tutta la distruzione che ha apportato nella storia», riflette Laura Tussi. «Tuttavia è già di per sé stessa portatrice di un valore grande di saggezza e di esistenza intelligente e intellettiva, presente a livello planetario nell’universo. Noi ragioniamo e pensiamo e sogniamo. Eppure questi 90 secondi che ci separano dalla mezzanotte nucleare farebbero rabbrividire scienziati come Einstein e Russell e anche intellettuali come Carlo Cassola, che con il suo rivoluzionario La rivoluzione disarmista prevedeva un tempo minimo di esistenza e sopravvivenza dell’umanità dopo gli anni duemila».

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MEI, il meeting di artisti indipendenti che rifiutano le logiche commerciali

di Laura Tussi (sito)

Una musica viva, responsabile, attenta a quello che succede nella società e lontana dalle logiche commerciali del circuito mainstream. È quella che promuove il MEI, il meeting degli artisti indipendenti che organizza momenti di incontro e di confronto per far conoscere al pubblico chi canta e suona pensando più al cuore che al portafogli. In attesa del prossimo appuntamento, previsto per il 6, 7 e 8 ottobre a Faenza, ne parliamo con il presidente Giordano Sangiorgi.

RavennaEmilia-Romagna – Giordano Sangiorgi è presidente – o meglio ancora patron – di una realtà molto creativa, ricca socialmente e culturalmente: il MEI, meeting delle etichette e degli artisti indipendenti, che si svolge a Faenza, in Romagna. Il MEI è appunto un meeting, un incontro, che si svolge allo scopo di “sostenere, promuovere e favorire la crescita e la diffusione di una cultura musicale indie ed emergente, per contrastare la massificazioni che si sta avendo in questo comparto”.

Giordano, il MEI si occupa solo di musica oppure tratta anche di altre forme di arte?

Cerchiamo di mantenere il focus sulla valorizzazione della musica indipendente ed emergente italiana alternativa alle piattaforme multinazionali del disco, del digitale e dei live per dare chanche a chi lavora a progetti innovativi originali e inediti in ambito musicale. Insieme alla musica spesso incrociamo i temi dell’innovazione tecnologica, della tutela dei diritti, del sostegno al sistema culturale italiano sui quali interveniamo con il nostro circuito del mondo associazionistico come il Coordinamento Stage & Indies che rappresenta la filiera delle piccole realtà della musica, AudioCoop, che comprende circa 270 piccoli produttori discografici indipendenti e altre realtà.

Spesso siamo attenti però ai temi sociali e civili perché riteniamo che la musica, attraverso i testi e le melodie di note musicali, debba servire anche per farci riflettere sul contesto sociale nel quale viviamo. È un ruolo della cultura e della musica, che non fa solo da semplice intrattenimento, che riteniamo indispensabile.

Come si unisce all’interno e all’esterno del MEI l’impegno musicale con quello sociale?

Facilmente, perché al contrario delle canzoni che ascoltiamo proposte dalle multinazionali nelle principali tv e radio in Italia e sulle principali piattaforme, a noi arrivano tante canzoni che si occupano di temi sociali e civili e, sulla base di questo, lavoriamo a contest e palchi che le valorizzino.

Il gender gap femminile nel paese e nella musica, le canzoni contro le morti sul lavoro, l’impegno in musica contro le mafie, i brani che sensibilizzano sui temi green, quelle sui diritti umani e tanti altri temi ci portano poi a concertare naturali momenti di incontro tra musica e temi sociali e civili perché tutte queste istanze arrivano dal basso. Il 27 settembre a Bologna ad esempio abbiamo organizzato la finale di Onda Rosa Indipendente, un contest che dal 2011 valorizza la scena musicale femminile spesso tenuta ai margini del mercato musicale mainstream.

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Cosa significa che il MEI è il meeting degli indipendenti? Indipendenti da chi e da che cosa e perché?

Significa fare da soli, credere in un progetto e autofinanziarselo e darsi da fare perché trovi il riscontro che merita. Così è nato il boom della discografia indipendente in Italia nella prima metà degli anni ’90 dopo i primi vagiti degli anni ’60, ’70 e ’80: una gran parte di artisti si è rotta le scatole di aspettare che a decidere di pubblicare un album e a farlo passare in tv fossero degli antichi discografici delle major a Milano e degli storici funzionari della Rai a Roma e ha deciso da ogni parte d’Italia di autoprodursi le proprie canzoni.

Da lì è nata l’esplosione delle posse con il rap in Italia, tutto autoprodotto, e il boom delle etichette indipendenti, in gran parte votate all’alternativa rock e cantautorato: fu un vero e proprio boom di vendite. Un pubblico enorme in Italia che aspettava finalmente, in ritardo di vent’anni rispetto ai paesi avanzati, di avere un circuito alternativo e indipendente di musica fatto di produzioni, artisti e band, negozi di dischi, rock club, radio, riviste, fanzine e tutto quanto girava intorno al mercato alternativo che finalmente aveva un suo grosso bacino che poteva sostenerlo.

Riteniamo che la musica, attraverso i testi e le melodie di note musicali, debba servire anche per farci riflettere sul contesto sociale nel quale viviamo

Avete molti progetti futuri? Quali sono i più importanti?

Stiamo ragionando sul tema complesso della digitalizzazione del mercato sia in termini di discografia che di live, che di diritti, che di media. È un tema complesso e difficile perché siamo di fronte a vere e proprie potenze giga-capitaliste e monopoliste mondiali; se non si interviene con urgenza si rischia che il mercato globale della musica resti nelle mani di dieci persone in tutto il mondo.

Quali sono le nuove idee innovative proposte per il vostro pubblico così ampio e variegato? 

Per il pubblico l’ascolto verso le nuove proposte sconosciute, per gli artisti quello di essere sempre più preparati a un mercato che darà sempre meno spazio alle proposte alternative al mainstream piatto che passa sulle piattaforme digitali, sempre uguale e banale per massimizzare i profitti.

Che posto occupano e che ruolo giocano i giovani nel MEI? 

Sono il 90% del cartellone di musica dal vivo che proponiamo.

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Giornata della nonviolenza: è il momento di reclamare il diritto alla pace

di Laura Tussi (sito)

La nostra collaboratrice Laura Tussi, saggista e attivista, approfitta della ricorrenza di oggi, 2 ottobre, giornata internazionale della nonviolenza, per riflettere sul tema del diritto – e dovere – alla pace. Dal cambiamento personale e interiore alla legislazione internazionale, le strade che portano a questo traguardo sono diverse. Incamminiamoci, dunque.

Nel corso dell’anno sono molteplici le date e le ricorrenze dedicate alla pace e alle sue derivazioni, alla nonviolenza, al disarmo nucleare e convenzionale in tutte le sue morfogenesi e tipologie. Due quelle che ricordiamo in data odierna: il 21 settembre è stata la Giornata internazionale ONU per la pace nel mondo e oggi, 2 ottobre, si celebra la Giornata mondiale della nonviolenza. Mai come in questa congiuntura storica, sociale, economica è necessario applicare e appellarsi a questi ideali: la pace e la nonviolenza.

SUL CRINALE DEL BARATRO

Il conflitto in corso in Ucraina rischia di portare l’umanità a una terza guerra mondiale, se non al tanto temuto crinale del baratro nucleare. Questo due termini non sono stati scelti a caso: li ha citati Alex Zanotelli. Il baratro è una condizione che toglie il respiro, che fa personalmente perdere l’equilibrio, mentre il crinale che rappresenta il limite assoluto del baratro. Così è spiegata benissimo la metafora del trovarci tutti, nessuno escluso, come umanità intera in questa precaria condizione collettiva e personale. 

Foto di Didier Moïse

Riflettendo sulla metafora di “baratro” – che forse è più efficace degli epiteti biblici di “armageddon”, “apocalisse” oppure “olocausto” – tutti noi dobbiamo renderci conto che sul fronte dell’attuale guerra – così come delle tante in corso attualmente nel mondo – muoiono come sempre i più diseredati, i più deboli, i più fragili, gli ultimi: donne, vecchi, bambini e i lavoratori e gli operai costretti a combattere direttamente nello scontro fisico, equipaggiati con gli armamenti bellici con cui non hanno neanche confidenza.

DIRITTO ALLA PACE

Stiamo vivendo in un periodo di stagnazione di questo disastro armato perché non subentra nessuna volontà di negoziato. Eppure l’umanità ha il diritto e il dovere di vivere senza la minaccia e il terrore della guerra, dettata dalla deterrenza tra le nazioni e le superpotenze, con il diritto alla pace incardinato nel diritto internazionale. Diritto alla pace che prevede tra i molteplici documenti l’abolizione del nucleare come previsto esplicitamente dal trattato ONU TPAN/TPNW, che non è stato però ratificato dalle potenze belliche sotto l’egida Nato.

Il diritto alla pace rappresenta una rivoluzione etica altissima in questa nostra società globale dove prevale l’egoismo

Il diritto alla pace è la volontà, senza e oltre le barriere ideologiche, di attivare la ferma considerazione del valore e dell’aiuto e del sostegno umanitario per una svolta umanistica. Un valore alto e umanistico ancor prima che umanitario affinché il più debole, l’emarginato, l’oppresso siano redenti, salvati e valorizzati e portati in salvo con un ipotetico e virtuale, ma soprattutto un vero abbraccio che accoglie tutti, perché tutti vogliamo la pace.

Il diritto alla pace – che deve essere inserito nell’agenzia culturale scientifica dell’ONU, ossia l’UNESCO – rappresenta una rivoluzione etica altissima in questa nostra società globale dove prevale l’egoismo soprattutto e poi si declinano i sottoprodotti dell’individualismo, del suprematismo, del razzismo e della sete dissennata di potere che equivalgono alla subcultura del pensiero unico imperante veicolato dai mezzi di comunicazione di massa.

donne globali per la pace

Questa mia sentita riflessione è appunto dedicata alle due ricorrenze del 21 settembre e del 2 ottobre, in quanto la pace è una imprescindibile condizione umana e la nonviolenza è il mezzo per ottenerla. Ce lo insegnano grandi personalità che si sono fatte portatrici di questi alti ideali tra cui Gandhi, Mandela, Martin Luther King e in Italia Montessori, Aldo Capitini, Danilo Dolci e moltissimi altri che hanno contribuito ad apportare nel mondo il bene inteso come una ricerca di benessere sociale, collettivo, di giustizia etica e al contempo individuale e interioristica.

Perché ogni persona deve essere portatrice di pace e nonviolenza nel suo intimo, nella propria introspezione e interiorità. Se ognuno di noi, se ogni componente del genere umano, fosse portatore di questo bene, ossia di pace e nonviolenza, potremmo aspirare a un mondo senza conflitti armati, ossia dotato di equilibrio tra giustizia sociale e il benessere di ogni singola persona. Questo vogliono affermare le celebrazioni per la pace e la nonviolenza.

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Siamo a 90 secondi dalla mezzanotte atomica

di Laura Tussi (sito)

Ormai i potenti della terra, i lor signori della guerra, ci tengono in pugno e in ostaggio con una manciata di secondi che separa, noi, l’umanità senza distinzioni, dal crinale cruciale del baratro nucleare o, per usare metafore bibliche, dall’Armageddon, dall’apocalisse, dall’olocausto atomico.

TRANSFORM – organo della SINISTRA EUROPEA

Non passano giorni senza cui il presidente ucraino, il presidente russo e quello degli Stati Uniti non lancino al mondo intero proclami di minaccia sulla catastrofe globale, con prese di posizione fisse, paranoiche, psicotiche sul first use nucleare, di dettami basati sulla deterrenza schizoide tra le superpotenze circa la fine di tutto, ossia l’estinzione, o peggio l’annientamento dell’umanità, del genere umano nella sua interezza e delle specie animali e vegetali.

Così si chiude il pianeta dei figli delle stelle, dell’epoca planetaria terrestre secondo il gruppo di scienziati contro il nucleare che presiedono un’importante istituzione planetaria il Doomsday clock ossia l’orologio dell’apocalisse atomica.

Questo orologio scientifico ormai segna 90 secondi che ci separano dalla mezzanotte nucleare.

Un tempo mai registrato dopo Hiroshima e Nagasaki. Un tempo mai registrato in piena guerra fredda durante la congiuntura salvifica di Kennedy, Krusciov e Papa Giovanni XXIII, in cui si registravano sei minuti dalla mezzanotte atomica. Nel complesso possiamo dire che l’umanità intera ormai ha perso il diritto alla felicità; perché il genere umano ha il diritto e il dovere di vivere senza il terrore della scissione nucleare, di vivere felice, senza l’incubo nucleare, senza il rischio dell’ecatombe atomica e dell’escalation dell’atomo. L’ONU dovrebbe applicare il diritto alla pace che è già suggellato nel diritto internazionale e incardinato in esso con i documenti e i trattati internazionali come l’accordo TPAN/TPNW, per l’abolizione delle armi nucleari, le carte della terra, le cop per il clima, la dichiarazione universale dei diritti umani.

Insomma è il caso di dire proprio il bene contro il male.

Un male che l’uomo ha costruito con le sue stesse mani, con la scienza maldestramente utilizzata, con le regole della fisica distorte.

Il male della catastrofe.

Nella catastrofe che implica la distruzione dell’umanità e il suo annientamento.

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Vale a dire la scomparsa della cultura, della storia e della presenza dell’essere umano nell’universo, come figlio delle galassie e delle stelle per menzionare la grande e saggia astrofisica Margherita Hack.

Forse siamo l’unica specie pensante e raziocinante in questa infinità di universi, di galassie, di costellazioni partorite dal maestoso e incommensurabile e infinitesimale Big Bang: il principio del tutto.

Il nucleare dovrebbe distruggere tutta questa meraviglia, l’essere umano e il suo sogno, un microcosmo nel cosmo, che appunto in termini laici chiamiamo cosmo, dal greco, un ordine predefinito dalla casualità ancestrale e cadenzato dai movimenti dei pianeti, dalla ciclicità degli astri, dall’astrofisica delle galassie di costellazioni? Noi esseri umani così insignificanti, come pulviscoli infinitesimali, in questo infinito spazio e che non riusciamo nemmeno a conoscere e riconoscere e forse accogliere la presenza di altre entità extraterrestri pensanti e raziocinanti come noi stessi, come l’essere umano, nella immensità universale.

La grande colpa, il grande peccato, l’immenso sacrificio, il brutale sacrilegio è la distruzione di un pulviscolo, come l’umanità intera, di saggezza, di sapere, di storia negli archivi del passato, del tempo trapassato, delle ere glaciali e delle età dell’evoluzionismo umano e terrestre.

L’umanità sia nel bene e sia purtroppo nel male che la caratterizza con le sue guerre, i suoi massacri, le stragi, i conflitti armati e tutta la distruzione che ha apportato nella storia è però già di per sé stessa un valore grande di saggezza e di esistenza intelligente e intellettiva presente a livello planetario nell’universo. Noi ragioniamo e pensiamo e sogniamo.

L’umanità è un valore troppo grande per essere cancellato dalle storie di tutti i tempi e di tutte le stratosfere stellari.

I 90 secondi che ci separano dalla mezzanotte nucleare farebbero rabbrividire scienziati come Einstein e Russell e anche intellettuali come Carlo Cassola che, con il suo saggio veramente rivoluzionario dal titolo La rivoluzione disarmista, prevedeva un tempo minimo di esistenza e sopravvivenza dell’umanità dopo gli anni duemila.

Cassola per il suo saggio che prendeva una posizione netta contro il nucleare e contro l’arma atomica è stato sempre messo alla berlina, al bando dall’establishment dell’epoca durante gli anni settanta del novecento proprio per queste sue convinzioni e questo suo giusto pensiero. Si dice che per questo pensare insopportabile di morte che lo arrovellava e attanagliava, ossia l’estinzione dell’umanità per mano dell’uomo con l’arma nucleare, Cassola sia morto di decadimento cognitivo cerebrale, come se il suo cervello non fosse riuscito a concepire un dolore così immane. I nostri figli e i nostri nipoti, i nostri pronipoti e i nostri avi e trisavoli, proprio non rimarrà più niente di noi e del loro ricordo e delle rimembranze delle esistenze e della storia umana e nemmeno una traccia della nostra vita e esistenza in tutto l’universo?

Dobbiamo impegnarci con tutte le nostre forze e la nostra costante acribia di attivisti ecopacifisti per la pace planetaria nel non smettere mai di denunciare questa nostra condizione di guerra e di barbarie, fugace, effimera, fallace e non dobbiamo mai smettere di usare tutte le riviste per cui scriviamo per urlare con il tramite della scrittura che noi abbiamo il diritto e il dovere di continuare a vivere nella felicità di un mondo e di una madre terra liberi dall’incubo nucleare.Questo articolo è stato pubblicato qui

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Educare e non militarizzare. Dialoghi con Antonio Mazzeo

di Laura Tussi (sito)

Vogliamo intervistare Antonio Mazzeo, Insegnante, peace-researcher e giornalista impegnato nei temi della pace, della militarizzazione, dell’ambiente, dei diritti umani, della lotta alle criminalità mafiose. Ha ricevuto il “Premio G. Bassani – Italia Nostra 2010″ per il giornalismo e a Roma l’ottobre 2020 è stato premiato dall’Archivio Disarmo con la “Colomba d’oro per la Pace” quale riconoscimento “per aver interpretato per anni il giornalismo e la scrittura come una missione di difesa dei diritti umani e di denuncia delle ingiustizie”.

Educare e non militarizzare.

Dialoghi con Antonio Mazzeo

Di Laura Tussi 

Attualmente assistiamo a un fenomeno ormai sempre più dilagante nelle scuole e nelle università.

In questi istituti non vi è più spazio per i partigiani e per coloro che testimoniano la trasmissione generazionale delle idee antifasciste, ma la scuola e l’università diventano teatro sempre più emblematico e eclatante delle forze armate che impongono i disvalori più retrivi e reazionari del superego dell’eroe e della razza, del primato dell’individualismo, della violenza soprattutto, della competizione a oltranza e dell’annientamento dei più fragili del pianeta.

Tutti disvalori di una subcultura arretrata e atavica che sono accomunati alla mentalità reazionaria del ventennio più oscurantista e terrificante del novecento. Basti ricordare l’istruzione imposta ai giovani balilla all’epoca del duce e in nome di un indottrinamento di barbarie e violenza.

  • Puoi commentare queste affermazioni in quanto docente che si oppone a questi disvalori e all’attuale subcultura guerresca e militarista dominante?

Sì, fai bene a porre l’attenzione su uno degli aspetti più deleteri dell’odierno processo di militarizzazione delle scuole di ogni ordine e grado e del sistema educativo: il revisionismo storico e la riproposizione della narrazione e dei disvalori che hanno caratterizzato l’istruzione del ventennio fascista. Patria, nazione, identità e unità nazionale, sicurezza, rispetto della “legalità” e obbedienza sono tornate ad essere le parole d’ordine delle innumerevoli iniziative “formative” che le forze armate propongono alle studentesse e agli studenti. Si rispolverano presunti eroi di tutte le guerre (perfino le figure più ignobili della Repubblica sociale italiana), se ne esaltano le gesta di morte, si commemorano sanguinose battaglie coloniali e di contro si occultano i crimini commessi, le sanguinarie aggressioni contro le popolazioni, i bombardamenti con i gas sui villaggi in Africa, le inutili stragi di milioni di giovani mandati a fare da carne da macello per gli interessi del capitale e le follie dei dittatori. E intano la scuola italiana diventa sempre più autoritaria, classista e discriminante.

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La violenza diventa abitudine. Gli attivisti dei movimenti in favore della pace, del disarmo e della nonviolenza continuano a Resistere, portando avanti campagne di digiuno, per opporsi alle guerre e alla catastrofe nucleare. Queste iniziative intraprese da singole persone amiche della Nonviolenza costituiscono, tutte insieme, un modo per mettersi in gioco personalmente, per assumersi delle responsabilità e per indicare la strada concreta della nonviolenza e della pace, per uscire dalla follia, dal baratro senza fine dei conflitti bellici e dell’era nucleare. Vogliamo la pace come umanità.

La pace è un processo lungo di preparazione e meditazione dei popoli che parte dell’educazione nei luoghi preposti alla formazione delle nuove generazioni.

  • Come puoi commentare queste riflessioni alla luce di ciò che avviene nelle scuole e nelle università sempre più militarizzate e con la presenza delle forze armate?

Nelle nostre scuole è sempre più difficile proporre e sperimentare progetti di educazione alla pace e alla nonviolenza. Direi pure che è diventato quasi impossibile porre all’attenzione di dirigenti e colleghi la necessità di de-militarizzare i linguaggi e le attività curriculari. All’ultimo collegio dei docenti ho avuto l’ardire di chiedere di ridenominare un dipartimento incautamente chiamato “sicurezza e legalità”. Perché non pensiamo a un gruppo di lavoro sull’educazione nonviolenta?, ho proposto. I ragazzi devono imparare a rispettare le leggi, l’autorità e le istituzioni che le difendono come le forze armate e di polizia, mi è stato risposto. E a stramaggioranza la richiesta è stata respinta. Questo è il clima che ormai si respira in buona parte degli istituti. Siamo del resto in guerra, una guerra globale e permanente. L’economia è di guerra e pure i media, le forze politiche, gli attori sociali hanno deciso d’indossare l’elmetto. La scuola è da sempre lo specchio delle tensioni e delle contraddizioni della società. E dunque anche la scuola va alla guerra.

  • Come e in quali modalità questo processo di militarizzazione, che si sta diffondendo in maniera esponenziale, si manifesta?

Purtroppo sono innumerevoli le forme che testimoniano il processo in atto: visite guidate degli studenti (fin dalla primaria) alle caserme e ai porti e aeroporti militari; lezioni dei militari su quasi tutti i temi e gli argomenti interdisciplinari (Storia, Costituzione, salute, sport, contrasto alla droga e ai comportamenti definiti devianti e altro ancora); stage e alternanza scuola-lavoro all’interno delle infrastrutture di morte, nei depositi di missili e munizioni, a bordo di caccia e carri armati, nei poligoni inquinanti, nelle industrie belliche. Ci sono poi i tanti concorsi a premi promossi dal ministero della Difesa e dalle grandi holding delle armi e della cyber security (Leonardo, Fincantieri, Boeing), i campi estivi con gli alpini e i reparti d’élite della Marina, le lezioni in lingua inglese con i Marines Usa che operano nelle installazioni che occupano i nostri territori. In tanti istituti si celebra l’inizio dell’anno scolastico con l’alzabandiera e il canto dell’Inno di Mameli, fianco a fianco con i militari e la mano al cuore.

  • La nonviolenza e il diritto al disarmo nucleare sono ancora valori proponibili nei contesti educativi?

Dicevo che è sempre più complicato proporre la pace, la nonviolenza e il disarmo e non rischiare l’isolamento o la commiserazione. Ma dobbiamo continuare a farlo perché è in gioco il futuro stesso di tutte e tutti noi. All’orizzonte si profilano le tetre nubi dell’olocausto nucleare e siamo chiamati al diritto-dovere alla resistenza per la sopravvivenza. Dobbiamo continuare a educare alla vita e per la vita, contro vento e maree, pur consapevoli delle nostre fragilità e del clima culturale di morte imperante.Questo articolo è stato pubblicato qui

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TRANSFORM. Comunicazione sociale nell’era multimediale e dell’intelligenza artificiale

di Laura Tussi (sito)

TRANSFORM. Comunicazione sociale nell’era multimediale e dell’intelligenza artificiale

Evento – Diretta Facebook

Comunicazione sociale nell’era multimediale.-.-
In anteprima presentazione dello spot:
Salviamolo Salviamoci ! I Giovani.-.-

La necessità di essere efficaci sulle azioni sociali e pacifiste attuali.-.-

Diretta Facebook con la partecipazione di:

MAURIZIO ACERBO.-.-
ENNIO CABIDDU.-.-
GIORGIO CREMASCHI.-.-
PAOLO FERRERO.-.-
OLIVIERO SORBINI.-.-

Introduzione e conclusioni di:

LAURA TUSSI e FABRIZIO CRACOLICI.-.-

Martedì 26 Settembre 2023 ore 20.30.-.-
Diretta Facebook @MSGSV Argonauti per la Pace 

Link per collegarsi all’evento: https://fb.me/e/OuSTJ5qd

Comunicazione sociale nell’era multimediale 

di Laura Tussi 

TRANSFORM – Organo di Comunicazione della Sinistra Europea: https://transform-italia.it/comunicazione-sociale-nellera-multimediale/

La comunicazione è sempre più monopolizzata da lobby di potere e nello specifico manca di obiettività. Non è obiettiva.

Non si pone obiettivi concreti e creativi ed è sempre più di parte, ossia al servizio del potente di turno e la comunicazione risulta essere sempre più sfacciatamente e per opportunismo filogovernativa.

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È necessario creare nuovi modelli alternativi e creativi anche con modalità fantasiose per attirare un eventuale segmento di popolazione potenzialmente riluttante alla comunicazione istituzionale, come le nuove generazioni.

Con Fabrizio Cracolici, attivista e video maker, cerchiamo nel nostro piccolo ambito di impegno sociale e culturale di usare modalità comunicative per le giovani generazioni e nel nostro ambito di interazione e azione tentiamo di interagire con i social anche attraverso video spot che trasmettono e analizzano le varie criticità e le minacce emergenti che incombono sulla vita intera del genere umano.

Abbiamo realizzato dei contest video spot intitolati Salviamolo salviamoci! Gli ultimi dedicati alle morti sul lavoro e un altro sulle nuove generazioni e sul nucleare e così via. Questo Contest di spot verrà presentato martedì 26 settembre 2023 ore 20:30 con importanti relatori da Maurizio Acerbo a Giorgio Cremaschi a Paolo Ferrero e con la speciale partecipazione di Ennio Cabiddu e Oliviero Sorbini. In diretta Facebook cercando l’evento Salviamolo Salviamoci!

Il Link per collegarsi all’evento: https://fb.me/e/OuSTJ5qd

Inoltre da anni collaboriamo con una casa editrice Mimesis Edizioni molto innovativa che punta moltissimo sulla qualità dei testi scritti e prodotti e sulla alta competenza delle autrici e degli autori. Mimesis Edizioni si distingue per la sua estensione in tutta Europa con sedi e siti all’estero e tramite collaborazioni con varie università.

Abbiamo scritto molti libri con Mimesis Edizioni e partecipato a molti e svariati e diversi progetti editoriali anche con nostre prefazioni, postfazioni e introduzioni e con la nostra cura dei testi.

Così il mio impegno pacifista si realizza anche attraverso gli articoli che scrivo personalmente in svariati siti online e ambiti editoriali svincolati dal sistema mercificatorio e gli articoli e gli studi che realizzo sono curati da piccoli editori che ancora credono e investono nell’indipendenza della comunicazione.

I video spot analizzano nello specifico delle tematiche inerenti le problematiche che affliggono il pianeta e l’intera umanità.

Tra cui uno spot contro il nucleare sia civile sia militare e che denuncia l’armamentario nucleare attivo attualmente in tutto il mondo.

Poi l’assetto climatico che va sempre più deteriorandosi a causa delle emissioni inquinanti di origine antropica nell’atmosfera. Il messaggio è: abbiamo una unica Madre Terra e dobbiamo prendercene cura e tutelarla.

Tutta questa congiuntura iniqua e di conflitto e sperequazione e di assenza di giustizia sociale dà origine a migrazioni forzate di poveri esseri umani che fuggono soprattutto dalle guerre imposte dal potere occidentale.

E ancora il problema della sanità pubblica che rischia sempre più di scomparire per i continui tagli governativi a discapito dei malati, dei sofferenti e dei più fragili. Per questo auspichiamo una sanità efficiente, efficace e soprattutto pubblica.

Il webinar con diretta Facebook di martedì 26 settembre, con l’associazione ecopacifista Argonauti per la pace, analizzerà oltre a questi temi anche argomenti di attualità come il dato di fatto che le frange della società composte di giovani molto spesso sono assenti dalla politica e in generale dalle istituzioni e dalla cultura perché non hanno risorse, anzi non diamo loro risorse e mezzi culturali per superare la violenza strutturale che attanaglia le nuove generazioni ad esempio con la piaga sociale e globale del bullismo e del cyberbullismo.

E ancora le cosiddette morti bianche che sono autentici omicidi e assassini perpetrati ai danni dei lavoratori dalle aziende appaltatrici, per cui noi parliamo di fascismo aziendale che è un’altra forma terribile di violenza che si verifica tramite lo sfruttamento e la sottomissione dell’uomo sull’uomo, del padrone sull’operaio e in generale sul lavoratore.

Quindi si potrebbe affermare che il leitmotiv, il fil rouge di questo incontro online è davvero la violenza che permea l’umanità in tutte le longitudini e le latitudini come la violenza sessista contro le donne che si determina tramite l’atavica dittatura patriarcale e maschilista e sessista e fallologocentrica.

Noi dobbiamo fermare ogni tipologia di violenza da quella che prende inizio dall’assetto della società patriarcale alla prevaricazione imposta dal fascismo e dallo squadrismo violento che non è scomparso il 25 Aprile 1945, ma continua ancora a mietere vittime tra gli ultimi della Terra.

Siete tutti invitati alla diretta Facebook di martedì 26 settembre per dialogare di tutti questi aspetti umani e per tentare tutti insieme e con l’unità delle nostre culture e estrazioni politiche e sociali di affrontare e soprattutto risolvere questi terribili problemi che attanagliano ognuno di noi nella propria vita quotidiana perché la violenza, il fascismo, il sessismo permeano i più svariati settori della popolazione e tutti i soggetti e le persone appartenenti a diverse classi sociali e soprattutto, e lo ripetiamo, i più fragili e gli ultimi esseri umani del pianeta vivente di cui tutti siamo parte nel terribile deserto della sopraffazione dove tante voci gridano per ottenere libertà, giustizia, felicità, in quanto diritto inalienabile della persona. Tante voci di innocenti che gridano inascoltati per ricevere aiuto: dai bambini di Gaza a tutti i soldati nelle trincee in Ucraina, dalle donne dell’Afghanistan e dei tanti sud del mondo violentati ai bambini sotto i bombardamenti, dalla Siria allo Yemen.

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MEI – Recensione di Alberto Bertoli figlio di Pierangelo Bertoli al libro Memoria e futuro

di Laura Tussi (sito)

Sul Bimestrale del partito della Rifondazione Comunista SU LA TESTA.

Proposto da MEI – Meeting Artisti e Etichette Indipendenti

Eppure soffia

Recensione di Alberto Bertoli figlio di Pierangelo Bertoli al libro Memoria e futuro 

Memoria e futuro Libro a cura di Laura Tussi, Fabrizio Cracolici, Alfonso Navarra

pagine 191, MIMESIS EDIZIONI

Memoria e futuro (Mimesis Edizioni), libro a cura di Laura Tussi, Fabrizio Cracolici, Alfonso Navarra, consta di due parole importantissime che riassumono probabilmente in toto la raccolta di interventi sulla “Terrestrità” presenti in questo saggio. Il concetto stesso di appartenere a una “famiglia” in quanto membro e non padrone dovrebbe essere naturale e crescere dentro di noi fin dalla prima infanzia. Se così fosse probabilmente scrivere e parlare di questi argomenti sarebbe pleonastico, invece ci troviamo davanti ad un volume necessario in questo preciso momento storico.

Una sorta di trascrizione di idee esposte “live” da pensatori dinamici e protagonisti di questo nostro tempo che si interrogano sulla possibilità di fare qualcosa di concreto per fare fronte alle minacce globali che ci stanno insidiando: tra cui la minaccia nucleare, la minaccia dell’ingiustizia sociale e infine la minaccia ambientale.

Tra gli interventi, Vittorio Agnoletto, Alex Zanotelli, Moni Ovadia, Antonia Sani un saggio di Luigi Mosca e molti altri.

Tutto il mondo sembra svegliarsi di scatto da un torpore lungo secoli dove abbiamo anteposto il profitto (spesso di pochi) alla nostra vita, al nostro prossimo, al nostro ambiente. Occuparsi dell’ambiente significa avere cura dei nostri figli, dei nostri nipoti, degli altri, insomma del nostro futuro, ma anche rivolgere uno sguardo più umanistico verso chi per un motivo o per un altro oggi non gode delle stesse nostre possibilità. Il nucleare è l’antonomasia di questo concetto che è in sostanza la realizzazione delle sovrastrutture che l’uomo ha costruito per nascondere il fatto che è ancora pienamente dominato dai propri istinti animali seppur molto più sofisticati.

Il nucleare inteso come fornitore energetico non ha ancora i crismi di sicurezza e resilienza che il pianeta e chi lo abita necessitano, ma abbiamo tecnologie per eludere questa risorsa piuttosto agilmente, basterebbe volerlo. Oggi possiamo parlare con persone a migliaia di chilometri di distanza, ma spesso, quando lo facciamo è per promulgare i nostri interessi personali e non quelli di una società evoluta. Il desiderio di avere una vita migliore passa da una spinta personale, ma se questa è realizzata in modo egoistico allora non porta mai ad una felicità concreta. Se il nostro percorso invece viene da una condivisione di intenti, le cose sono destinate a rimanere. Siamo asserragliati dietro concetti più grandi di noi che spesso ci portano a sentirci complicati e profondi, ma quando volgiamo lo sguardo sul mondo in maniera totale ci accorgiamo che la strada su cui siamo è da cambiare.

I conflitti appena scoppiati all’interno dell’evolutissima Europa ne sono una rappresentazione quasi grottesca: siamo un popolo ricco, madre della fratellanza, culla della filosofia, patria della Bellezza e l’unica cosa che riusciamo a fare davanti ad un problema nettamente politico è scatenare una guerra. Sembriamo persone in cerca di un cappello che abbiamo sulla testa. Il titolo e il concetto di quest’opera sono riassunti in due delle più belle canzoni a mio avviso scritte: “Eppure soffia” che parla della speranza che non si è arresa alla voglia di possedere anche l’ambiente ai fini personali, e “A muso duro” che parafrasando il titolo recita “…con un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro”.

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MEI – Conversazione di Laura Tussi con Gianfranco D’Adda, storico batterista di Franco Battiato

di Laura Tussi (sito)

Intervista per il MEI – Meeting artisti e etichette indipendenti: 

Dal libro di Laura Tussi, Fabrizio Cracolici, Vittorio Agnoletto, Moni Ovadia, Alex Zanotelli e altri , RIACE. MUSICA PER L’UMANITA’, Mimesis Edizioni

Intervista di Laura Tussi a Gianfranco D’Adda con Renato Franchi

Un senso al “Fare Musica”

Conversazione di Laura Tussi con Gianfranco D’Adda, storico batterista di Franco Battiato.

Comporre dischi di livello e spessore non è scontato e automatico. La sperimentazione musicale svolta negli anni con Franco Battiato ti ha condotto ad avere ancora argomenti da proporre dopo 30 anni di impegno musicale e artistico. Come vivi la tua scelta?

Ottima domanda che mi porta direttamente e piacevolmente indietro nel tempo.

E qui, nel decollo di questa importante intervista, vorrei se me lo concedi prendermi un po’ di spazio.

Prima di tutto ti ringrazio, perché mi ritrovo cosi felicemente proiettato nel tempo, nei luoghi e negli spazi di bambino della mia infanzia. Mi rivedo lì, dove con la mia passione per il cinema (il parroco di Rescaldina, per questa mia attenzione mi affidò la conduzione della macchina di proiezione dei film all’oratorio, un po’ alla Nuovo Cinema Paradiso) iniziai a battere il tempo con dei legni sulle scatole di cartone di una nota marca di detersivo, con la preoccupazione dei miei genitori che aumentava velocemente, quando percuotevo assieme tutti gli oggetti che mi capitavano fra le mani e che creavano suono e ritmo.

Fu così che, dopo poco tempo, con qualche anno in più sulle spalle, con l’avvento delle onde sonore del beat con i Beatles e i Rolling Stones, all’età di 15 anni i miei genitori mi comprarono una batteria e formai il primo “complesso” denominato The New Vox, con il cantautore Renato Franchi, con cui ancora oggi continuo la mia strada nella musica con una band che viaggia nel mare del rock d’autore.

Capitò poi che a seguito della convocazione della casa discografica Aura Edizioni Fonografiche con sede in via Vitruvio a Milano, mi trovai per la prima volta per incidere un disco, misurandomi in questa nuova esperienza emozionante, con la band The New Vox, per la registrazione di un provino in uno studio in corso Sempione sempre a Milano vicino alla RAI, anche se poi del disco non se ne fece nulla. Questa è stata un’esperienza professionale che servì molto per la mia crescita personale, sia come musicista sia come persona e me la ricordo sempre come fosse ieri con grande piacere.

Da questa prima esperienza, dopo qualche anno il mio cammino di musicista a seguito dell’incontro con Franco Battiato divenne professionale: fu con lui che, nel mio ruolo di batterista nelle fila della band, suonai nei suoi dischi più famosi e in centinaia di concerti live. Mi trovai catapultato nel pieno di un movimento culturale e musicale che partiva e fondava la sua matrice sonora nel terreno della sperimentazione pura; si guardava con grande attenzione a musicisti sperimentali e fuori dagli schemi classici come Terry Riley, John Cage e Stockhausen e ovviamente alle grandi band innovative che arrivavano dal mondo del rock.

Penso agli album prodotti e promossi dalla Bla Bla di Pino Massara e dalla mente innovativa e creativa dell’Art Work Gianni Sassi della storica etichetta Cramps che ha pubblicato gli album degli Area di Demetrio Stratos, di Eugenio Finardi e altri ancora. Mi ricordo tutto il lavoro creativo e di ricerca che sta alla base di dischi come Fetus, Pollution, Clic, Sulle corde di Aries, seguiti poi da L’era del cinghiale bianco, La voce del padrone. Album storici realizzati con l’impronta di forte carattere sperimentale e di rottura sia nella musica, sia nei testi, nella comunicazione, nella proposta grafica e d’immagine (storica la copertina con la fotografia di un feto che scandalizzò i perbenisti ma che fu premiata poi dalla rivista “Bilboard”).

Sono molto orgoglioso di aver vissuto quei momenti artistici da protagonista, in quanto questa intuizione che nasce dalla creatività e dalla ricerca minuziosa di Franco Battiato, che si sviluppa nel suono e nelle ritmiche anche con la mia collaborazione al fianco di quella di Gianni Mocchetti e altri musicisti di rilievo, ha dato inizio a una fase di sperimentazione sonora unica in Italia, oggi apprezzatissima e a mio parere, tranne qualche maldestro tentativo, ancora insuperata.

Credo che il valore intrinseco e sperimentale del mio lavoro o meglio della creazione del suono, nella costruzione e registrazione di queste proposte discografiche, che restano tra gli album più importanti e ricordati dai fan di Franco Battiato e nella storia della musica italiana, mi ha nei fatti consolidato una formazione musicale e un’attenzione all’aspetto artistico, che rifugge dalle consuete caratteristiche commerciali e da mainstream fine a se stesse. E questa è una delle ragioni per cui ancora oggi dopo tanti anni di palchi, registrazioni e concerti sulle spalle, mi ritrovo, come in un ritorno al futuro, al fianco di Renato Franchi nella sua Orchestrina del Suonatore Jones, ancora in viaggio con tanta passione, emozione e argomenti da proporre nel bel cammino di una musica di qualità, che racconta storie d’amore, d’impegno e di grande sensibilità sociale, con lo stesso entusiasmo di quando io e Renato siamo partiti.

Il mare immenso della canzone e del rock d’autore è tutto da navigare, scoprire e da esplorare, tante sono le gemme e le perle nascoste fra le sue alte onde, e oggi per dirla come il titolo di una canzone di Renato… sono sempre in viaggio con entusiasmo, “Dopo le strade” con un sogno più in là.

Potresti raccontare la lunga esperienza di collaborazione con il musicista Renato Franchi e l’Orchestrina del Suonatore Jones?

E qui la storia è veramente lunga e gonfia di ricordi, che a raccontarla un po’ mi commuovo. Tanti sono i momenti e le emozioni che insieme abbiamo vissuto e ancor oggi stiamo attraversando con successo e consenso. Mettiamola così, cercherò di essere breve, senza entrare in troppi particolari per non far scorrere troppe lacrime dentro il cesto dei bei ricordi che ho nel cuore.

Eravamo ragazzini con tanti sogni e tanti problemi nella testa, ma sia io sia Renato eravamo anche testardi, il nostro primo incontro fu un’intesa fulminea sulla strada della musica che – immediatamente e come ho già detto con il reciproco amore e passione per Beatles e i Rolling Stones, The Who, Kinks, Otis Redding, Wilson Pickett e del beat italiano, dall’Equipe 84 ai Rokes sino a Lucio Battisti – formammo i The New Vox, che esordirono come tipica formazione beat al teatro La Torre di Rescaldina, spazio culturale che purtroppo oggi non esiste più, proponendo alcuni pezzi famosi dei Troggs, Rolling Stones, Spencer Davis e Beatles, Corvi e Equipe 84. Tutto partì da qui e da allora non ci siamo fermati.

Poi fu un fiorire di richieste per serate nelle sale da ballo, dancing, feste popolari e di piazza, arrivando a ottenere ingaggi anche in regioni lontane e con presenze per serate in locali importanti di Milano.

Queste esperienze ci permisero di conoscere artisti e cantanti popolari in quel periodo come Giovanna, Delfo; fu dopo l’esperienza con questo vocalist durata circa un anno, che conobbi Gianfranco “Gianni” Mocchetti e con lui all’inizio del 1970 nacquero i Cristalli Fragili e poi Genco Puro Old Company, con Riccardo Rolli, con il quale realizzammo un album oggi ricercatissimo dai collezionisti del vinile.

Musicalmente parlando, io e Renato ci separammo seguendo tutti e due strade interessanti ma diverse, io con Battiato e Renato nella musica cantautorale e d’impegno sociale, sino a ritrovarci dopo diversi anni, a suonare ancora insieme sui palchi in un viaggio che non si è ancora fermato.

Da lì l’incontro con Battiato, i dischi, i concerti, i tour, i miei incontri e collaborazioni con i grandi nomi del rock italiano e internazionale, senza mai perdere i contatti con Renato che come me proseguiva con successo e positivi riscontri nel suo viaggio e nei suoi progetti sonori, acquisendo con tenacia, talento e professionalità un meritato spazio nel mondo del rock d’autore e della canzone di qualità.

Scelte musicali che ho sempre condiviso, e quando mi fu chiesta la disponibilità a collaborare con l’Orchestrina del Suonatore Jones ancora al fianco di Renato, il mio consenso fu immediato.

Con Renato, che considero un seminatore di belle idee, un poeta, un artista vero e puro che rifiuta le regole banali e ovvie, sempre con grande rispetto, educazione e umiltà e pur se fuori dagli sfarzi delle grandi luci di scena continua il suo viaggio nel sentiero e nella bellezza della canzone d’autore.

Oggi con lui e con l’Orchestrina abbiamo realizzato dei bellissimi album che a mio giudizio meriterebbero maggiore risalto di quello che già positivamente hanno avuto; ma si sa oggi i tempi per la buona musica sono difficili e complessi e disordinati, e qui servirebbe un’attenta e profonda riflessione critica antropologica e sociologica sull’industria discografica, sul valore della cultura, sul ruolo poco felice e preparato dei media, sulla promozione di un artista di una band, sul ruolo delle etichette indie e indipendenti, e delle major, che ormai è ridotto allo squallore illusorio dei talent, e infine sulle complessità per l’assenza di spazi e visibilità per le nuove proposte e la produzione di qualità artistica della musica.

Sono aspetti, che a mio giudizio, sono peggiorati e ci vorrebbe veramente una rivoluzione, una rivolta culturale per porre le giuste basi di un cambiamento radicale e valoriale.

La politica musicale dell’Orchestrina del Suonatore Jones, con Renato Franchi, crea anche nuove comunità culturali e creative con migliaia di persone a sostegno di progetti compositivi davvero alternativi: avete rotto con il pensiero unico della produzione musicale in Italia. Il vostro gruppo musicale, diretto da Renato Franchi, ha preso nettamente le distanze da mercati e case discografiche, per comporre in modo indipendente. Come si delinea questa svolta artistica?

La politica e le scelte musicali, l’organizzazione e la professionalità dei musicisti dell’Orchestrina, sono le ragioni per cui ho accolto volentieri e senza esitazione la proposta di collaborazione che Renato mi ha fatto.

I contenuti di quello che suoniamo e cantiamo, gli arrangiamenti rock blues con cui porgiamo le nostre canzoni nei concerti e nei dischi, la bravura dei musicisti sono a mio giudizio alcune delle motivazioni che danno un senso oggi al “fare musica”, allo scrivere canzoni d’amore, intimistiche, o racconti sonori di storie di denuncia, di lotta, di vittorie e sconfitte o del vivere quotidiano.

Il percorso musicale dell’Orchestrina e di Renato, che come ho detto condivido senza se e senza ma, è volutamente indirizzato alla valorizzazione culturale della musica e della canzone, con grande e meticolosa attenzione alla qualità della proposta musicale.

Renato Franchi e l’Orchestrina del Suonatore Jones, producono in totale autonomia, dalla creazione alla scrittura, agli arrangiamenti, alla registrazione, sino alla masterizzazione e alla grafica dei loro album. Tutto in piena libertà e senza i condizionamenti tipici delle produzioni discografiche delle major; i dischi o cd, vengono poi distribuiti e diffusi con l’etichetta L’Atlantide che non pone nessun elemento di condizionamento artistico sul lavoro della band.

Questo vale anche per i concerti e le attività live del gruppo; sono sostanzialmente scelte derivate in parte dalle difficoltà oggi presenti nel mondo della discografia, di cui ho già accennato, e in parte per la costante ricerca del massimo d’autonomia creativa e propositiva che nel tempo pur nelle complessità ha dato i suoi risultati.

Oggi Renato e la band riscontrano una buona credibilità e un seguito di amici e fan che sostengono con la loro presenza e affetto le nostre iniziative, i concerti e i progetti.

Inoltre la collaborazione con figure e persone importanti del mondo musicale, artistico e letterario è oggi una parte importante e una caratteristica culturale del nostro percorso musicale, che ha dato valore aggiunto alla creatività delle proposte che Renato & l’Orchestrina sono in grado di porgere al “mercato”.

Ritengo straordinarie queste scelte di autonomia operativa e di creatività: ritrovo senza la retorica della nostalgia in una nuova fase creativa, le belle esperienze vissute con Battiato, la Bla Bla e la Cramps.

Mi appassiona totalmente questo percorso, che è una delle caratteristiche artistiche di Renato; la valorizzazione della cultura e della bellezza del nostro immenso patrimonio musicale, queste scelte valoriali e d’autonomia creativa ci permettono di viaggiare sulle alte onde del proporre e far conoscere al fianco di nostre canzoni originali e di band e personaggi del momento che noi amiamo come i fratelli Severini, Massimo Bubola, De Gregori e altri, anche artisti a volte dimenticati o poco conosciuti dalle nuove generazioni, come Tenco, Bertoli, Endrigo, Della Mea, Jannacci per citarne alcuni.

Come per Renato anche per me è importante oltre che bellissimo suonare e cantare le loro canzoni, far conoscere e comprendere il valore immenso della canzone d’autore e della cultura popolare, dai canti del lavoro e Resistenza partigiana a quelli che raccontano la memoria storica del nostro Paese e del mondo.

Tutto questo patrimonio artistico, è ciò che mi appassiona e con Renato & l’Orchestrina lo proponiamo nei nostri concerti e nei nostri dischi, per la semplice ragione che questo crossover artistico di culture, che passa dalle canzoni dei Gang, di De Gregori, Bubola, Battiato, Fossati e De André, e si sposa con Dylan, i Beatles, Rolling Stones, Choen, il soul, il blues, ha il profumo di un fiore culturale fuggito dalle serre dello show business del mercato.

Questo è per me e per Renato il vero rock d’autore, ovvero la ragione per cui vale la pena, anzi diventa un piacevole dovere, rivendicare il diritto di suonare, per vivere intensamente, come dice la bella canzone di Renato i nostri Giorni Cantati

Giorni cantati (di Renato Franchi)

In questo mondo di volti e parole, giorni cantati splendenti nel sole

Ho incontrato angeli e fango, uragani tempeste, diavoli e lampo

In questo tempo, di lacrime e spari, cadute e ferite, sangue e sicari

Ho trovato, finestre e ripari, fiori e chitarre, rifugi e sentieri

Ho rallentato e accelerato, come un treno sulla ferrovia

Ho camminato e aspettato i tuoi occhi al centro della via

In questo mondo, di sorrisi e di vento, di nuvole e polvere, scintille e spavento

Ho trovato, pane rose e catene, campi di grano, ruggine e spine

In questa storia, di valigie e partenze, di nuovi indirizzi, programmi e sentenze

Ho trovato amori e bandiere, sorrisi diamanti e primavere

Ho rallentato… e accelerato, come un treno sulla ferrovia

Ho camminato e aspettato e il mio cuore è volato via

Molte vostre canzoni recuperano i valori e l’etica della Resistenza partigiana antifascista, che era stata recepita nel dopoguerra, a livello letterario, da personaggi straordinari, tra cui Calvino, Fenoglio, Pavese e molti altri, nei più svariati campi artistici: un grande fenomeno di letteratura, cinematografia e arte. Poi è subentrato un vuoto politico e istituzionale, ma proprio da questo baratro artistico è emerso un nuovo attuale movimento culturale sulla Resistenza. Come vi ponete rispetto a questi temi?

L’attenzione di Renato ai temi della storia del nostro Paese – dalla Resistenza alla memoria, fino alle storie d’amore e di guerra che per dirla alla De Gregori “abbiamo letto da milioni di libri o ci hanno raccontato quelli che non sanno nemmeno parlare” – è l’essenza e la base fondante di questa band che, a partire da De André di cui portiamo il nome tratto dal titolo di una sua canzone “Il Suonatore Jones”, sia io sia gli altri musicisti della band condividiamo pienamente.

Il rock d’autore del gruppo è fortemente connotato da sempre da un percorso musicale di forte sensibilità sociale che vede come persone e come musicisti “suonatori contro” tutte le logiche guerrafondaie e al fianco della costruzione di una “cultura della pace”.

Non è un caso che uno dei nostri album, Dopo le strade, Renato ha scelto di dedicarlo alla figura di un pacifista come Vittorio Arrigoni, che ha perso e dato la sua vita per questo valore universale, essendo stato ucciso a Gaza per il suo impegno concreto di aiuto e di pacifismo.

La nostra “funzione”, come già anticipato e come dici tu, è proprio quella di scrivere e proporre canzoni nostre, della canzone italiana d’autore e non solo, della tradizione e cultura popolare, a volte attualizzandole con sonorità attuali e con una veste rock, formula e miscela sonora, che oltre a rispondere ai notri gusti musicali, vuole essere anche un momento d’appeal per i giovani che non conoscono queste canzoni.

La riteniamo altresì necessaria per colmare e respingere, per quanto possibile, il tentativo sempre presente di revisionismo e di cancellazione della memoria, e per il recupero della giusta dignità e il giusto valore di un patrimonio artistico musicale che nell’immaginario collettivo viene considerato superato e vecchio, commettendo così un grave errore e affronto e forse, non a caso, un voluto boicottaggio culturale, deviando così gli elementi di necessaria conoscenza della storia e della memoria dei fatti, delle ingiustizie e delle vicende tragiche di questo Paese.

A testimonianza di quanto dichiaro si pensi alle canzoni di Renato come I passi nel mattino, che recupera la triste vicenda del massacro da parte dei nazisti e dei fascisti di 15 partigiani il 10 agosto del ’44 in piazzale Loreto a Milano, o Genova 2001 sui fatti del G8 e della morte di Carlo Giuliani in piazza Alimonda: sono passati pochi anni e già questa canzone ha il compito importante di salvaguardare la memoria.

Ecco ci poniamo di fronte a un orizzonte tutto da scoprire, da ricordare e da proporre; come dice Renato: “si canta la storia per non dimenticare il futuro” e per dare una piccola ma importante luce nel panorama oggi svilito e squallido della canzone e della musica in generale.

Pensiamo che i ragazzi e le nuove generazioni abbiano il diritto di conoscere e non solo subire, solo così potranno democraticamente e consapevolmente decidere che musica ascoltare, scegliere cosa leggere, che film o che programma televisivo guardare.

La penso esattamente come Renato, che in più occasioni ha affermato che solo così sarà possibile invertire il nichilismo culturale che ci sta travolgendo in questi tempi confusi e disordinati.

Potresti attribuire un giudizio e dare una spiegazione alle motivazioni dell’involuzione psicologica del ceto politico e al conseguente livello di degrado anche culturale dell’attuale classe dirigente? L’istituzione scuola dovrebbe avere una missione formativa, ma soprattutto informativa, inerente ai processi di coscientizzazione e conoscenza del presente, dei conflitti contemporanei, delle cosiddette “guerre umanitarie” sdoganate per “missioni di pace”, in contrasto con l’articolo 11 della Costituzione. Quali strumenti dare ai giovani per comprendere il presente, tramite scelte scolastiche orientate a comprendere la Storia, come strumento di lettura dell’attualità, oltre le prevaricazioni neofasciste dei revisionismi e dei negazionismi?

Questa è una domanda difficile, articolata e complessa, per cui faccio i miei complimenti per avermela posta. Chiaramente mi viene difficile trovare una sola chiave di lettura, una risposta univoca, ci provo, la tento in modo sintetico, senza la presunzione di avere la chiave giusta per aprire la porta della verità.

Esprimo semplicemente il mio modesto pensiero, che è anche il risultato delle mie esperienze di vita quotidiana, del mio essere musicista e cittadino, che suona, che va a fare la spesa, fa la fila alla posta, che vota e spera, che ascolta, critica, giudica.

Esprimo un’idea anche sulla base di quanto ho appreso dalla spiritualità e la profondità di pensiero di Battiato e oggi dall’impegno sociale e culturale che vivo nel suonare le canzoni di Renato, di De André e gli altri autori che in parte ho già citato.

La politica e la sua involuzione, il suo degrado bella domanda! Se mi è possibile, visto i miei trascorsi musicali con lui, rispondo citando una canzone che racchiude a mio giudizio molte verità, si tratta di Povera Patria di Franco Battiato

Povera Patria (di Franco Battiato)

Povera patria! Schiacciata dagli abusi del potere, di gente infame, che non sa cos’è il pudore, si credono potenti e gli va bene quello che fanno; e tutto gli appartiene.

Tra i governanti, quanti perfetti e inutili buffoni! Questo paese è devastato dal dolore, ma non vi danno un po’ di dispiacere quei corpi in terra senza più calore?

Non cambierà, non cambierà, no cambierà, forse cambierà.

Ma come scusare le iene negli stadi e quelle dei giornali? Nel fango affonda lo stivale dei maiali.

Me ne vergogno un poco, e mi fa male vedere un uomo come un animale.

Non cambierà, non cambierà, sì che cambierà, vedrai che cambierà.

Voglio sperare che il mondo torni a quote più normali che possa contemplare il cielo e i fiori, che non si parli più di dittature se avremo ancora un po’ da vivere… La primavera intanto tarda ad arrivare…

Ecco in questo testo, cantato su una melodia che è un’armonia altrettanto bella e struggente, ritrovo molte delle motivazioni del degrado politico e culturale, come la sete e l’arroganza del potere, l’assassinio della nobiltà della politica con la pratica dell’affarismo infame e senza pudore per scopo e arrichimento personale, l’arrivismo a tutti i costi, l’incompetenza e la spocchia di quello che io chiamo, parafrasando una definizione di Leonardo Sciascia, “il cretinismo intelligente”, ovvero perché hai un diploma o una laurea in tasca ti permetti un cinismo e un’assenza totale di umanità… e poi la violenza, le stragi, i manganelli, le guerre, gli armamenti, il terrorismo, i morti nelle piazze e sul lavoro, le vittime innocenti delle stragi.

Lo scenario è allarmante, che se non modificato ci porta dritti alla deriva sociale, il fascismo sdoganato dalla destra berlusconiana, i recenti attacchi alla Costituzione democraticamente respinti con il voto e certamente la mancanza di un ruolo più incisivo, democratico, attualizzante e formativo della scuola sono alla base di questo degrado, e non sono variabili indipendenti di quanto stiamo vivendo da diverso tempo.

La formazione e la conoscenza come dicevo per la musica sono la base di una vera costruzione della coscienza democratica… se sai scegli, se non sai subisci…credo e penso come dice la canzone che “se la primavera tarda ad arrivare” noi dobbiamo andarle incontro senza aspettare, seminando i fiori del diritto con la speranza che le cose debbano e possano cambiare, che le ingiustizie, i razzismi, le prevaricazioni e le diseguaglianze sociali non possano essere parte di una società che si dichiara civile.

Su quali presupposti basare il cambiamento della società, a partire dall’attuazione autentica della Costituzione, troppo spesso travisata?

Personalmente con Renato e l’Orchestrina attraverso la nostra passione per la musica, per quanto ci è concesso, a volte a strappi, in altri momenti con continuità, con le nostre canzoni, i nostri dischi, i nostri concerti, cerchiamo senza presunzione di dare un piccolo contributo al processo per la costruzione di una cultura di pace e del rispetto, che passa dall’applicazione vera e concreta della nostra Costituzione.

È un compito ambizioso che va ampliato e allargato a più soggetti della cultura, musicisti, scrittori, pittori, del mondo del lavoro, della società civile e anche della politica, artisti in generale, forse o solo in questo modo, con una flotta di sognatori di questo tipo sarà possibile vedere arrivare la primavera meno in ritardo di quanto oggi pensiamo.

Latouche con il pensiero della “decrescita felice” apre orizzonti a un sistema basato sull’ecosostenibilità, sull’utilizzo delle energie alternative, contro le lobby del nucleare, dell’acciaio e delle armi, aprendo a prospettive di “conversione ecologica”, per citare Alex Langer. Qual è il tuo contributo a questo pensiero?

Come per una canzone l’uso del computer deve servire ad aiutare la costruzione e la composizione e la registrazione di un arrangiamento musicale e quindi deve essere al servizio del musicista per realizzare un “prodotto” di qualità e non il contrario.

Questo principio penso e immagino debba valere anche per i bisogni del nostro vivere quotidiano, lo sviluppo deve essere sostenibile e le tecnologie devono essere al servizio dell’uomo.

Mi è difficile dire qual è o come può essere il mio contributo di coerenza al pensiero di Langer per attuare il processo di “una conversione ecologica della società, dell’economia e degli stili di vita”.

Per un cambiamento verso un modello equo e giusto di sostanziale controllo della crescita desueta e dissipativa, ribadisco quello che già ho detto nel percorso legato alla musica, credo sia necessaria una coerenza soggettiva, come raccomandarsi di porre attenzione al rispetto dell’ambiente e della natura che ci circonda, esercitare un auto-controllo sui consumi necessari come quello energetico o l’aspetto del consumismo fine a stesso, dell’alimentazione, insomma quei modesti e piccoli comportamenti legati al nostro vivere e alle faccende quotidiane, che se attuati da tutti potrebbero dare qualche positiva risposta al sistema distorto dello sviluppo dissipativo oggi in atto e sostenuto con arroganza (ecco che entra in gioco la politica) dal capitalismo vorace e feroce.

Questi principi soggettivi chiaramente vanno affiancati a momenti di grande presenza di massa, per contrastare i poteri forti e le forze occulte e palesi che hanno interessi economici nell’alimentare guerre per vendere gli armamenti, nello sfruttamento e nella speculazione e inquinamento dell’ambiente per vantaggi economici, in contrasto a un modello di sviluppo democratico e sostenibile.

Per concludere questa intervista e in coerenza con questa tematica, mi viene in mente una straordinaria canzone di Pierangelo Bertoli, sempre presente nei nostri concerti, che ci ricorda che se teniamo gli occhi aperti e non ci facciamo abbindolare dalle falsità del parolaio di turno seduto al talk show televisivo, mettendoci una piccola fetta d’impegno in più, come la storia dell’uomo, della nostra Resistenza partigiana ci insegna, le cose possono cambiare, perché nonostante tutto… il vento soffia ancora…

Eppure soffia (di Pierangelo Bertoli)

E l’acqua si riempie di schiuma il cielo di fumi, la chimica lebbra distrugge la vita nei fiumi

Uccelli che volano a stento malati di morte, il freddo interesse alla vita ha sbarrato le porte

Un’isola intera ha trovato nel mare una tomba, il falso progresso ha voluto provare una bomba

Poi pioggia che toglie la sete alla terra che è viva, invece le porta la morte perché è radioattiva

Eppure il vento soffia ancora, spruzza l’acqua alle navi sulla prora

e sussurra canzoni tra le foglie, bacia i fiori li bacia e non li coglie

Un giorno il denaro ha scoperto la guerra mondiale, ha dato il suo putrido segno all’istinto bestiale

Ha ucciso, bruciato, distrutto in un triste rosario, e tutta la terra si è avvolta di un nero sudario

E presto la chiave nascosta di nuovi segreti, così copriranno di fango persino i pianeti

Vorranno inquinare le stelle la guerra tra i soli, i crimini contro la vita li chiamano errori

Eppure il vento soffia ancora, spruzza l’acqua alle navi sulla prora

E sussurra canzoni tra le foglie, bacia i fiori li bacia e non li coglie

Eppure sfiora le campagne, accarezza sui fianchi le montagne

E scompiglia le donne fra i capelli, corre a gara in volo con gli uccelli.

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