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Un progetto per cambiare il mondo

La “Terrestrità” è un neologismo creato da Alfonso Navarra, il portavoce dei Disarmisti esigenti

Un progetto per cambiare il mondo

Il progetto Memoria e Futuro, all’interno della Rete per l’educazione alla “Terrestrità”, è formalmente un “settore” dell’associazione Kronos Pro Natura, la quale fa appunto parte della coalizione dei Disarmisti Esigenti.

Memoria e Futuro

Il libro Memoria e futuro, in prossima uscita con Mimesis Edizioni, è strumento scientifico e culturale della promozione della Rete di educazione alla cultura della “Terrestrità”, progetto promosso dai Disarmisti esigenti.

La coalizione disarmista, nata rispondendo a un appello di Stéphane Hessel, il partigiano tra gli estensori della “Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo”,  è tra i membri italiani di ICAN, la Campagna internazionale per la proibizione delle armi nucleari, organizzazione insignita del premio Nobel per la pace nel 2017.

Il progetto Memoria e Futuro, all’interno della Rete per l’educazione alla “Terrestrità”, è formalmente un “settore” dell’associazione  Kronos Pro Natura, la quale fa appunto parte della coalizione dei Disarmisti Esigenti.

La “Terrestrità” è un neologismo creato da Alfonso Navarra, il portavoce dei Disarmisti esigenti, nonviolento “storico” che ha pagato con varie detenzioni il suo impegno per la pace, lo smantellamento degli euromissili, l’obiezione di coscienza antimilitarista e l’istituzione del servizio civile, la chiusura dei progetti nucleari in Italia.

“Terrestrità” è, in sostanza, un aggiornamento di una concezione ancestrale: la specie umana appartiene alla Terra, e non è il contrario, non può arrogarsi di essere “padrona” della Natura.

L’aggiornamento sta nel mettere insieme internazionalismo sociale (sfruttati e oppressi di tutti i Paesi unitevi!), responsabilità comune verso l’unico ecosistema planetario ed infine ordinamento internazionale come nonviolenza efficace: l’affermazione della forza del diritto e dei diritti a livello mondiale che deve prevalere sul diritto della forza armata.

La missione di Disarmisti Esigenti, con il progetto Memoria e futuro, consiste nella condivisione e nella valorizzazione del grande patrimonio inestimabile della memoria della resistenza al nazifascismo con uno sguardo rivolto a un futuro possibile, a “un altro mondo possibile”: all’insegna della Terrestrità collegata e correlata ai temi della pace, dell’ambiente e della giustizia sociale.

Il presupposto della cultura della Terrestrità è il pensiero ancestrale dei popoli indigeni, ossia quello per cui è l’essere umano che appartiene alla Terra e non è la Terra ad appartenere all’essere umano; questo non in base a una visione religiosa e mitologica, ma con presupposti scientifici correlati all’evoluzione dimostrata della specie umana, animale e vivente.

Le premesse della Terrestità vanno rintracciate anche negli scritti giovanili di Marx che parlava già di umanesimo naturalistico e il tutto è stato elaborato sul paradigma della complessità da Morin a Hessel.

Un punto importante, una delle premesse della cultura della Terrestrità, è l’antifascismo sociale, che è tutt’uno con l’internazionalismo per un’umanità unica che deve e ha l’obbligo di salvaguardare e tutelare la specie vivente e la “Madre Terra” in base a una coscienza ecologica planetaria.

Questi punti devono essere riconosciuti, e in parte già lo sono, dal diritto internazionale che coincide con la nostra prospettiva e visione di nonviolenza efficace: i progressi del diritto internazionale contro il sovranismo assoluto degli Stati.

Un principio già contenuto nell’articolo 11 della Costituzione italiana che afferma: “(l’Italia) consente alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”.

Tutte queste premesse e spunti e argomenti rientrano nel grande lavoro della pace del XXI secolo di cui il Trattato ONU di Proibizioni per le Armi Nucleari e le Cop per il clima – gli accordi di Parigi per la decarbonizzazione entro il 2050 – sono solo un tassello, insieme alle Costituzioni Nazionali nate dalla lotta al nazifascismo e alla dichiarazione universale dei diritti umani, alla Carta della terra e l’Agenda Onu 2030.

Come associazione Disarmisti Esigenti abbiamo una piattaforma web rivolta alle scuole, al mondo complesso dell’attivismo e dei ricercatori indipendenti e universitari con un canale video dal titolo: “Siamo tutti i premi Nobel per la pace con Ican”, creato dai Disarmisti Esigenti come strumento comunicativo che contiene testimonianze sul progetto storico del diritto internazionale ossia l’abolizione degli ordigni di distruzione di massa nucleari.

Il canale video siamo tutti premi Nobel per la pace con Ican è un progetto ambizioso per la didattica della memoria viva e articolata ed è in collaborazione con il bollettino telematico Il Sole di Parigi, organo di Kronos Pro Natura.

Tutto questo diventerà una web TV con canali tematici comprendenti temi riguardanti l’educazione e la cultura della Terrestrità, in cui comprendiamo anche il modello universale e sociale di Riace esportabile in tutto il mondo. Inoltre sono predisposti materiali e archivi storici dalla fondazione Massimo Sani, uno dei più grandi registi di storia contemporanea che ha collaborato moltissimo con la Rai, fino al progetto “Per non dimenticare” sulla deportazione politica con oltre 220 video testimonianze di deportati civili per motivazioni politiche nei campi di concentramento e di sterminio nazifascisti e un archivio su Genova 2001, che comprende materiali video sul movimento altermondialista in opposizione al summit del G8 svoltosi a Genova nel 2001, in collaborazione con Vittorio Agnoletto.

Abbiamo anche una sezione musica di impegno civile con cantautori per la pace e un archivio di pedagogia della memoria con centinaia di articoli pedagogici, libri, scritti e eventi e locandine di eventi delle innumerevoli presentazioni in pubblico dei libri prodotti.

Sono previsti anche corsi di formazione di didattica della memoria.

Il progetto Memoria e futuro che si ricollega alla rete di educazione alla cultura della Terrestrità propone e promuove anche l’appello No Arsenali, Si ospedali.

E’ un’iniziativa volta alla riduzione delle spese militari e nucleari e alla loro conversione in spese sociali, nell’ambiente, nell’istruzione, nella cultura.

Nel nostro progetto faremo confluire la parte vitale dell’esperienza del progetto “Per non dimenticare”, un importante archivio di materiale di testimonianze e di documentazione sulla memoria della deportazione politica – dovuto anche al lavoro decennale di Fabrizio Cracolici con la collaborazione della sottoscritta – e intendiamo ribadire la collaborazione con gli ambienti ANPI che continueranno a rappresentare un circuito importante per i nostri incontri culturali in pubblico.

Canale video “Siamo tutti Premi Nobel per la Pace con Ican”:

https://www.youtube.com/channel/UCFWikKgRr7k21bXHX3GzE9A

Tutti gli articoli di Laura Tussi sul sito PeaceLink.it in collaborazione con Fabrizio Cracolici.

https://www.peacelink.it/tools/author.php?u=437

https://www.peacelink.it/cerca/index.php?q=laura+tussi

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Noi abbiamo un sogno

Per una nuova educazione

Noi abbiamo un sogno

Vogliamo recuperare l’immaginazione e la creatività di cui abbiamo tanto bisogno a scuola.
Occorre tornare a essere importanti per il futuro di coloro che erediteranno madre terra.
Laura Tussi

La scuola. Questa nostra scuola gerarchizzata che ancora mantiene ruoli inammissibili, autoritari, che derivano dalla realtà di una società afflitta da innumerevoli degenerazioni psichiche.

Questa scuola nella quale l’unica cosa che dobbiamo fare è insegnare a addizionare e sottrarre.

La scuola e i suoi metodi di insegnamento. La Chiesa e i suoi metodi di controllo.

Di sicuro c’è che la scuola è in crisi. Naturalmente è un’opinione personale, sebbene condivisa da molti. E questa crisi è molto più profonda e difficile da gestire di quelle economica, poiché quel che accade alla scuola è un riflesso fedele di quanto sta avvenendo nel nostro mondo. Un mondo diseguale. Ingiusto.

Un mondo nel quale l’individualismo, il materialismo si antepongono a un valore necessario indispensabile: l’umanità. La scuola rimane estranea a tutti questi problemi. È ancorata a una metodologia arcaica e superata nella quale primeggia maggiormente una aberrante burocrazia rispetto a un compito delicato e sempre più sottovalutato: quello di educare. Una scuola disorganizzata che non si degna di rispondere ai bisogni provenienti da un mondo in mutazione plurale, che deve far fronte a problematiche ogni giorno più complesse. Una scuola raffazzonata che compie continue riforme educative senza andare alla radice del problema perché per questo non vi è mai tempo. Una scuola normale?

Nel cosiddetto “villaggio globale” scopriamo che la nostra scuola si guarda allo specchio della società violenta e competitiva. E anche qui i conflitti si risolvono con l’aggressività. E la violenza è implicita in ogni parola che pronunciamo perché è sempre stato così: un modo ereditato dai potenti. È in definitiva una scuola sottomessa all’onnipotente libro di testo, pressante, eccessivo. Il bisogno di offrire ai nostri studenti uno sguardo diverso sul mondo differente da quello che ci mostrano i mezzi di comunicazione: stereotipato e parziale. Cerchiamo il modo tramite cui gli studenti così giovani con i loro anni sono capaci di comprendere quello che risulta incomprensibile: l’ingiustizia sociale, la fame, la distribuzione disuguale della ricchezza, l’impatto dell’uomo e le conseguenze per il pianeta. Attraverso la realtà cerchiamo di collegarli con situazioni differenti per farli sentire speciali.

Vogliamo che siano loro i protagonisti del cambiamento per una volta, attori indispensabili per terminare l’opera. Oltre l’aula è possibile comprendere gli altri, trasmettere umanità. Vogliamo aprire agli studenti le porte del mondo e avvicinare tutta la sua bellezza. Vogliamo recuperare l’immaginazione e la creatività di cui abbiamo tanto bisogno a scuola.

Tornare a essere. Essere importanti per loro, per i nostri figli indifesi di fronte a una società che li considera pregiudizialmente degli idioti, incapaci di discernere tra il giusto e l’ingiusto. Che li soppesa sulla bilancia perché valgono solo per ciò che consumano. I figli e i nostri nipoti che erediteranno madre terra.Ereditare la Terra, costruire una nuova educazione

Questo ci proponiamo. Non possiamo affermare che lo abbiamo realizzato pienamente. Non ci siamo nemmeno sempre sentiti compresi. Non siamo stati capaci di condividere con gli altri il compito. Noi docenti non condividiamo sempre la stessa visione del mondo, ma siamo condannati a imparare a lavorare insieme e è il nostro esame pendente perché tutti facciamo parte della soluzione del problema, famiglia e scuola. Le strutture del sistema scolastico sono troppo radicate e resistono al cambiamento.

Tentando di costruire, finiamo di distruggere perché riproduciamo nelle nostre classi gli stessi schemi che troviamo nella società per finire col soffrire dei suoi stessi mali.

Servirebbero anni per riconoscere tutto ciò che non funziona in questa nostra scuola, quella che indottrina. La scuola del controllo sociale. Un fine così opposto a quello di riuscire a far cambiare ai nostri studenti lo sguardo che hanno sul mondo. Ed è inevitabile concentrarsi più sul cammino che sulla meta. Certamente qualcosa abbiamo ottenuto.

Siamo riusciti a far loro comprendere che esistono realtà distinte e persone diverse. Che siamo differenti. Le nostre diversità. Un qualcosa che non succede tutti i giorni nelle nostre classi: alla fine prima di tutto una persona andrà a far parte dell’universo emozionale dello studente trascinandosi così tanto i suoi difetti quanto le sue generalità.

Ci resta molto cammino da percorrere. E cosa ci importa se non disponiamo di tutte le risorse, di tutte le certezze: siamo nel posto giusto. Una scuola nuova e necessaria e imprescindibile. Tornare a sognare con un percorso differente. Un futuro alternativo.

Un altro mondo è possibile. Noi abbiamo un sogno. Di questo si tratta.

 

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La scuola al centro del cambiamento

Costruire un mondo giusto a partire dalla scuola

La scuola al centro del cambiamento

L’insegnante e l’educazione al cambiamento per una cittadinanza attiva, globale e universale nell’ottica di una innovativa cultura della Terrestrità
Laura Tussi

https://www.peacelink.it/ospiti/a/47932.html

Rete Educazione alla TerrestritàPuò l’educazione aiutare le bambine, i bambini, i giovani a prendere coscienza di se stessi e del mondo in cui viviamo? può l’educazione aiutarci a comprendere le cause della povertà e degli interessi che portano la distruzione dell’ambiente e dell’intero assetto ecosistemico? può aiutare a combattere il razzismo, il maschilismo, l’omofobia e qualunque tipo di esclusione sociale? dunque aspiriamo mediante l’educazione a coltivare per i nostri giovani un certo senso di rispetto per l’interdipendenza e la responsabilità globale e universale e per una innovativa cultura della Terrestrità.

Siamo entrati in un’epoca nuova caratterizzata da numerosi fenomeni e processi che risultano particolarmente complessi da interpretare, che hanno introdotto nelle nostre vite numerose e pervasive novità, non solamente materiali, ma anche concettuali e addirittura paradigmatiche.

Infatti questo nostro tempo è caratterizzato da insicurezza, instabilità, senso di angoscia a tutti i livelli e ambiti: a livello di riconoscimento e ruolo sociale e persino a livello di prospettive interpersonali e planetarie soprattutto sotto l’influenza della pandemia covid.

Come sottolineano alcuni tra i pensatori più caustici dei nostri tempi, l’aumento delle libertà individuali e i dispositivi di tutela del singolo da parte della collettività alimentano l’ansia e la paura che sono così sbalzate dalla dimensione della sicurezza personale. Tutto questo a causa dello smottamento dovuto al crollo delle certezze e della sicurezza collettiva per questi fenomeni apocalittici, le tre minacce che incombono sull’umanità, ossia l’attività militare che potrebbe sfociare nella guerra nucleare, i gravissimi dissesti climatici e l’ingiustizia sociale globale. In tale contesto, mentre le tecnologie sembrerebbero poter risolvere qualsiasi problema, aumentano invece le differenze tra chi ha la possibilità di accedere alle conoscenze e alle tecnologie stesse e chi non ce l’ha. Se da un lato aumentano le possibilità di spostamento, dall’altro si diffonde il senso di precarietà e di disagio personale e anche psicologico. Mentre il mercato globalizzato dà la possibilità di procurarsi prodotti provenienti da luoghi lontani e disparati, le differenze tra ricchi e poveri si acuiscono e non senza conseguenze. Nello stesso momento in cui ci sembra di conoscere bene persone che non abbiamo mai incontrato, ci ritroviamo a non avere l’abitudine di condividere opinioni e cose con chi vive materialmente con noi lo spazio quotidiano. Mentre ci sembra di avere sempre un parere su tutto ciò che accade nel mondo, consideriamo spesso la politica un reparto riservato a troppo pochi soggetti che prendono le decisioni importanti. Le dinamiche del mondo contemporaneo e la nostra condizione attuale di esseri umani impongono un ripensamento delle stesse basi su cui poggiano i nostri concetti psicologici e pedagogici di individuo, di società, di solidarietà, di cittadinanza, di identità: di Terrestrità.

Intanto cresce la consapevolezza dell’insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo il quale ha portato e continua a portare a una lunga serie di scompensi e di controindicazioni tanto a livello culturale quanto a livello psicologico, economico, a livello sociale e politico così come a livello ecologico, ambientale e ecosistemico soprattutto.

L’educazione in tutto ciò è cambiata? e sta cambiando? dovrebbe cambiare? educare oggi può essere considerato un compito identico a quello che era qualche decennio fa?

Ma come si può costruire e praticare un’educazione adeguata e una didattica pedagogica alternativa e introspettiva ai tempi che stiamo vivendo e come permettere che questa educazione in prospettiva di medio termine contribuisca sostanzialmente a migliorare i nostri stessi contesti e il contesto globale.

La scuola ha bisogno di mettere al centro queste domande, di approfondire quelle analisi che promettono di rileggere criticamente il nostro presente e di riflettervi pedagogicamente e psicologicamente per elaborare nuovi modi di svolgere appieno il suo compito sociale e culturale. La scuola non può rimanere isolata da ciò che accade fuori da essa. Deve collegarsi alla vita del territorio in cui si trova in una prospettiva che tenga ben presente l’inevitabile rapporto tra dimensione locale e dimensione universale: la dimensione anche psicologica e interioristica di Terrestrità e di ‘comunanza terrestre’ come sostiene Edgar Morin e riprende l’ecopacifista Alfonso Navarra.

È necessario che la scuola si ponga nelle dinamiche complesse del mondo di oggi come parte della soluzione non come parte del problema: proponendosi di formare dei soggetti autonomi, critici, dall’immaginario libero, indipendente, non omologato, per sostenere un nuovo modello di cittadinanza attiva, globale, universale. Questo significa andare oltre le frontiere e il sovranismo e la sovranità degli Stati e basare la propria azione sulla piena coscienza della dignità intrinseca all’essere umano e alla sua Terrestrità, sulla sua appartenenza a una ‘comunità terrestre’ locale e globale e sulla sua appartenenza a Madre Terra e sul suo impegno attivo per costruire un mondo più giusto e sostenibile che significhi sostenere e praticare un’idea e un ideale di cittadinanza globale.

La proposta pedagogica dell’educazione per una cittadinanza globale, universale e per una cultura della Terrestrità aspira dunque a integrare in una visione coerente e problematizzante tutte queste direttive educative mantenendo uno stretto legame tra questi ambiti e fra gli esseri umani in un pianeta la cui sostenibilità è minacciata e l’intera Madre Terra e l’umanità nella sua complessità si trovano addirittura al tracollo e al collasso.

Approfondimenti

Approfondimenti su Cittadinanza attiva e Cittadinanza Globale

Edgar Morin su Terra-Patria e Comunanza Terrestre

Progetti didattici e pedagogici sul portale per la scuola Funzione Obiettivo

Note bibliografiche:
Alfonso Navarra, Mario Agostinelli, Luigi Mosca “La follia del nucleare. Come uscirne con la rete ICAN” con prefazione di Alex Zanotelli. Introduzione di Fabrizio Cracolici e Laura Tussi, Mimesis Edizioni

Alfonso Navarra – Portavoce Associazione Disarmisti Esigenti http://www.disarmistiesigenti.org/2019/12/30/terrestrita/  e Laura Tussi
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    4 giugno 2020 – Laura Tussi
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Solidarietà e cultura della Terrestrità

Intervista a Laura Tussi

Solidarietà e cultura della Terrestrità

“In collaborazione con Fabrizio Cracolici, che è Presidente ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) sezione “Emilio Bacio Capuzzo” di Nova Milanese, trattiamo spesso di Pedagogia della Resistenza, di formazione e educazione”
Giusy Capone

Intervista di Giusy Capone a Laura Tussi

Intervista a Laura Tussi della Professoressa Giusy Capone

 

Lei non è una storica, è una pedagogista: qual è la premessa metodologica con cui affronta i temi della memoria, della pace e del razzismo? Cosa s’intende per “Pedagogia della Resistenza”?

 

In collaborazione con Fabrizio Cracolici, che è Presidente ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) sezione “Emilio Bacio Capuzzo” di Nova Milanese, trattiamo spesso di Pedagogia della Resistenza, di formazione e educazione. In questo ambito, nei miei libri, propongo un percorso di accompagnamento alla formazione e allo sviluppo della conoscenza dei diritti civili e dei diritti inalienabili della persona. Insomma, un percorso di sviluppo della democrazia, della cittadinanza attiva, della partecipazione. Quello che presentiamo anche nelle scuole come un percorso globale di sviluppo educativo si scontra però, spesso, con gli ambienti esterni alla scuola e con la famiglia, che sono portatori di valori diversi, a volte opposti e contrastanti. Questi sono quesiti molto aperti che ci poniamo sempre. Il ministro Luigi Berlinguer aveva tentato di introdurre lo studio della storia contemporanea, quindi la didattica della storia e della Shoah, nell’ultimo segmento di ogni ordine di scuola. E aveva tentato di introdurre metodologie per leggere e comprendere il presente. Successivamente, però, con i ministri Moratti e Gelmini, l’istituzione scolastica è stata depauperata proprio di questa sua missione formativa e soprattutto informativa, piuttosto che rimanere invece nell’attualità del presente. Per educare all’antifascismo, all’antirazzismo e alla nonviolenza, secondo il monito di Stéphane Hessel occorre ripartire proprio dall’istituzione scuola. Noi non troviamo altra soluzione, perché la scuola, ancora prima della famiglia, rispecchia il pluralismo e la diversità impliciti nella società. Pluralismo e diversità che si vengono a manifestare nel processo educativo: nel percorso didattico si scoprono le caratterialità, le criticità, le implicite diversità, le esigenze del singolo studente che mutua e assimila varie istanze e diverse forme di contenuto dal nucleo famigliare di origine. La scuola, tra l’altro, in un passato che non dobbiamo dimenticare e archiviare, ha subito la discriminazione e l’intolleranza: basti pensare alle leggi razziali nazifasciste del 1938. E la scuola, pur con diversa entità ed intensità, continua ancora a discriminare e a prendere provvedimenti contro i più deboli. Anche il finanziamento pubblico alle scuole private è una forma di discriminazione. La riduzione degli insegnanti di sostegno ai bambini diversamente abili, la negazione della mensa ai meno abbienti sono forme di discriminazione. I quesiti sono sempre aperti perché auspichiamo una scuola che si apra sempre più alle differenze, agli altri, e non solo da parte degli studenti, ma anche da parte degli insegnanti. Anche il mondo adulto viene messo in discussione nell’ambito e nell’ambiente scuola. Noi veniamo sempre più messi in discussione nei nostri affetti, assetti, nelle nostre convinzioni, nei nostri dogmi e paradigmi caratteriali, a contatto con il mondo infantile. Quindi una scuola più aperta. Una scuola che si apra alle implicite esigenze di ciascuno, ai caratteri di cui ognuno è portatore, alle difficoltà implicite che ciascuno presenta. È necessario costruire una scuola senza discriminazione, dove l’altro sia considerato depositario di un’autentica ricchezza da risocializzare e ripartecipare, una ricchezza da condividere nella convivenza del quotidiano secondo un impegno di responsabilità e di indignazione contro tutte le discriminazioni, contro l’intolleranza, il non rispetto e la violazione dei diritti umani. Una nuova ricchezza sociale partecipativa che vada a incrementare un discorso di civiltà a misura di persona, per una comunità, per un assetto sociale e civile aperto alle differenze, alle divergenze, anche al conflitto, come sostiene il nostro amico Daniele Novara, direttore del centro psicopedagogico per la pace e la gestione dei conflitti di Piacenza. Infatti, il conflitto è implicito nell’educazione. Noi parliamo di nonviolenza, ma con questo concetto non intendiamo un’idea di passività, di rassegnazione, di debolezza, di lassismo, di incoerenza, di menefreghismo; intendiamo nonviolenza, in senso stretto, come cooperazione, interdipendenza, interconnessione su quelli che sono i diritti umani, quindi cooperazione di tutti i popoli secondo lo slogan proletari e pacifisti di tutto il mondo unitevi. Quindi cooperazione, solidarietà e interdipendenza, come sosteneva una grande pedagogista, Maria Montessori, che fu perseguitata dal fascismo. Mentre in tutt’Italia, in Europa e nel mondo divampava la violenza del secondo conflitto mondiale, Maria Montessori portava nei suoi convegni messaggi di speranza e di pace per l’intera umanità, a partire dall’infanzia. Inizialmente fu vezzeggiata dal fascismo, perché Mussolini voleva strumentalizzare le sue scuole, ma l’impostazione di pensiero di Maria Montessori contrastava nettamente con l’ideologia fascista e l’indottrinamento del regime; basti pensare ai principi di istruzione su cui si fondavano i dettami fascisti per indottrinare la Gioventù Balilla, basati sull’individualismo, sulla competitività ad oltranza, sul disprezzo, sull’aggressività nei confronti dell’altro. Disvalori fascisti che, anche secondo Hessel, sono attualmente veicolati dai mezzi di comunicazione di massa: come la cultura dell’oblio, il consumismo sempre più esasperato, estetizzante e individualistico, la competizione di tutti contro tutti; in sostanza il pensiero unico, capitalista e neoliberista. Tornando al concetto di nonviolenza, Maria Montessori ne era promotrice, e il suo celebre motto L’educazione come arma della pace è un importante ossimoro per sostenere che tutto si gioca a partire dall’educazione, a partire dalla scuola, per creare contesti di socialità e di solidarietà, per andare oltre le dittature, i totalitarismi, gli sciovinismi, i nazionalismi, proprio per costruire ambienti di pace nel quotidiano. Secondo Montessori, il bambino è portatore di pace già nel suo contesto quotidiano, a livello microsociale, per arrivare a un livello di costruzione della pace universale e globale.

 

Il libro “Dialogo per la pace” ricorda il motto di Vittorio Arrigoni “Restiamo Umani”, nel continuare a credere convintamente in un mondo senza bandiere, barriere, limiti, confini. La “coscienza planetaria” può essere costruita e con quali mezzi?

 

Il mondo vive continui e nuovi processi storici che stanno trasformando il nostro macrosistema. Le donne e gli uomini sono connessi e interdipendenti e rafforzano in tal modo una “coscienza planetaria” che unisce i figli della Madre Terra in un’unica comunità di origine e di destino, in quanto appartenenti al genere umano e abitanti globali, nell’opportunità condivisa di creare nuovi spazi e ricche forme di incentivazione al pensiero riflessivo, al dibattito democratico e partecipativo, con la formulazione di proposte alternative, nello scambio di esperienze e nell’azione congiunta. Negli ultimi anni è aumentata la consapevolezza che l’attuale modello di sviluppo risulta insostenibile perché l’umanità vive al di sopra delle proprie possibilità: le capacità del pianeta e dell’ecosistema non sono più in grado di fornirci il necessario. Il modello di sviluppo dei paesi ricchi del nord impone il radicamento dell’impoverimento e della dipendenza dei paesi del sud, perché la ripartizione del benessere, delle risorse, del potere è esponenzialmente disuguale. Le povertà e l’emarginazione sociale incidono anche sulle economie in transizione e sui paesi industrializzati e non sono esclusivamente fattori appartenenti ai tanti sud del mondo. Nel mondo attuale tutto viene globalizzato, in particolare la comunicazione e il mercato, con gravi rischi per la politica partecipativa, le economie e le culture locali. Il modello di sviluppo della globalizzazione, ingiusto e insostenibile, favorisce il processo della concentrazione del capitale e delle ricchezze nelle mani di pochi, piegandosi alle logiche di mercato, obbedendo ai dettami del neoliberismo, che sono basati sull’individualismo solipsistico, sulla precarietà a oltranza, sulla competitività esacerbata, generando un aumento smisurato delle povertà, dell’esclusione, dell’emarginazione sociale e l’incremento sempre più massiccio delle migrazioni forzate. Tuttavia siamo coscienti che non esiste una lettura univoca della globalizzazione. È necessario discernere tra una pluralità di punti di vista, alcuni dei quali evidenziano anche le enormi potenzialità dei processi globali in chiave di partecipazione, azione comune, solidarietà. La comparsa di tecnologie dell’informazione e della comunicazione può incrementare l’esclusione sociale. I massmedia e i nuovi media sono sempre più cruciali e costituiscono una delle più importanti chiavi di accesso al dibattito pubblico nella moderna agorà globale. Dunque occorre interrogarsi sulle regole che governano il sistema mondiale della comunicazione e promuovere forme di informazione più accessibili, democratiche e plurali, che necessitano di cittadine e cittadini non solo competenti, ma anche critici, responsabili, riflessivi. Contro l’idea dell’assimilazione, fortemente perseguita da alcuni settori sociali e politici, è necessario costruire regole di un’etica pubblica, un ethos civile condiviso, partendo dal dialogo tra culture, in una società al contempo plurale e coesa, rispettando le necessità e le identità di genti, popoli e minoranze. Le società ‘glocali’ sono sempre più plurali e eterogenee e coabitate da diverse identità, culture e religioni. Le diversità culturali sono una ricchezza e costituiscono contemporaneamente sfide educative, sociali, politiche, rispetto al modello di inte(g)razione e coesione sociale in prospettive interculturali. Il tessuto ecologico si sta lacerando per la perdita di biodiversità, causata da processi di deforestazione e dallo sfruttamento incontrollato dei mari, con l’impatto dei nostri stili di consumo e spreco che devastano l’ambiente e mettono a repentaglio la nostra salute, tramite la tendenza alla privatizzazione e alla liberalizzazione dei beni comuni dell’umanità, tra cui l’acqua e le sementi. Non esiste futuro per l’uomo se non nel rispetto e nella tutela del sistema ambientale: per questo ogni progetto capace di futuro deve essere necessariamente ecocompatibile. L’attivismo e l’impegno contro il degrado ambientale, contro le cause dei cambiamenti climatici, contro la riduzione della biodiversità e per il diritto all’acqua e agli altri beni comuni essenziali comportano così il coinvolgimento di tutti gli attori sociali e politici a costruire un nuovo contesto culturale che comprenda la prospettiva della decrescita e altri stili di vita personali e comunitari più sobri e responsabili. Le donne sono più colpite dalla povertà e faticano a accedere alle opportunità, all’istruzione, subendo disparità di genere. In diversi paesi di tutti i continenti, le donne sono le vittime più frequenti della violenza e si continua a favorire la discriminazione tramite la diffusione di ruoli e stereotipi che non promuovono il cambiamento nelle relazioni tradizionali, tipiche del patriarcalismo, tra donne e uomini. Per questo occorre favorire le relazioni di genere egualitarie che facilitino le pari opportunità, l’opposizione ai sistemi di conoscenza androcentrici, il superamento del sistema patriarcale, la corresponsabilità. La guerra e la violenza irrompono tra persone e società con interventi armati umanitari, guerre preventive contro il fondamentalismo e il terrorismo fondamentalista, guerra chirurgica, interventi che si giustificano con il pretesto di esportare democrazia, scontro di civiltà: sono fattori sempre diffusi dai poteri forti, politici e economici e che penetrano nell’opinione pubblica mondiale. Le spese militari per gli armamenti continuano a crescere, provocando miseria, guerre e pericoli per l’umanità come il rischio dell’apocalisse nucleare. Interi popoli vivono situazioni disumane di conflitto armato e di genocidi perpetrati in funzione dell’interesse di pochi potenti. La speranza in un superamento della guerra e della piena promozione dei diritti umani deriva da una sapiente politica multilaterale, coraggiosa nella difesa dei più deboli e che accordi veramente all’Onu la sua funzione, con la crescita e la maturazione di una società civile, di una cittadinanza attiva e una democrazia partecipativa vigili, capaci di denuncia e mobilitazione. Una nuova “coscienza planetaria” che si rifaccia ai principi della cultura della Terrestrità come ampiamente spiegano Edgar Morin e Stéphane Hessel.

 

Pace, memoria ed inter-cultura: sono questi gli snodi critici su cui è possibile ricostituire le relazioni sociali sotto l’egida della giustizia e della libertà?

 

L’educazione interculturale è condizione strutturale della società che presenta molteplici culture, perché il compito educativo, in questo tipo di tessuto sociale, assume il carattere specifico di mediazione tra le diverse realtà, animatore di un continuo attivo confronto tra modelli differenti.
Il confronto e l’interazione tra molteplici istanze culturali avvalora il significato della democrazia, perché la diversità valoriale e identitaria risulta una risorsa positiva per i complessi processi di crescita delle persone e del sistema comunitario e sociale multiforme. La convivenza costruttiva all’interno dei singoli Stati democratici deve essere promossa nella prospettiva della ricerca della pace a livello mondiale, come processo che congloba lo sviluppo economico, la giustizia sociale, la difesa dell’ambiente, la democrazia, il rispetto della diversità e della dignità di ogni uomo e dei diritti umani. La prospettiva interculturale permette di educare alle tematiche della pace che comportano il rispetto dell’ambiente e la sostenibilità dello sviluppo, perché viviamo in una società multiculturale composta di mosaici etnici in cui la diversità non è eccezione, ma norma. La valorizzazione delle differenze sviluppa la capacità di favorire la comprensione dell’altro e l’eliminazione dei pregiudizi, con la consapevolezza che la compresenza di diverse culture testimonia l’apertura al plurale e permette di promuovere l’armonia interetnica e gli scambi interculturali, nello sviluppo di una migliore comprensione tra differenze, grazie all’evidenza di valori, attitudini, pratiche e credenze. L’interculturalità riconosce l’interdipendenza tra persone in un processo comune verso una società multietnica, dove non esista la divisione in razze, ma la concezione di un’unica specie umana, sperando in un avvenire di progresso per l’umanità, dove non esista una civiltà inferiore e superiore, ma diverse società creative.
L’interculturalità permette di tessere ponti tra le varie identità, dove l’incontro e il riconoscimento dell’altro conducano alla creazione di una collettività identitaria del nostro vissuto quotidiano, ricevendo gli apporti culturali dell’altro, in modalità positive, offrendo contemporaneamente le nostre ricchezze, nella solidarietà, nella tolleranza e nel confronto che valorizzi le alterità. L’apporto interculturale si esprime con il rispetto nei confronti dell’altro, non necessariamente lo straniero, ma anche il portatore di handicap, il compagno di classe rumoroso che disturba, l’alunno che non capisce le lezioni, colui che non condivide o contrasta le idee altrui.
L’insegnante si incammina così verso la realizzazione di una pedagogia dell’interazione e non solo dell’integrazione, poiché la valorizzazione delle culture, delle identità, delle differenze altre equivale ad una pratica educativa che conduce oltre l’espressione di una solidarietà verso il più debole, in quanto, suscitando interazioni e il riconoscimento dei diritti del diverso, il formatore educa alla convivenza e alla democrazia culturale.
La pedagogia si occupa di organizzare le condizioni più favorevoli all’integrazione e all’interazione fra mondi di diversa origine e tradizione etnica, preoccupandosi di facilitare la conoscenza reciproca, la disponibilità all’incontro e allo scambio, ma anche il cambiamento vicendevole di chi ospita e di chi è ospitato. Una mente formata in senso plurietnico è più complessa e ricca di capacità connettive, propensa alla teorizzazione e a comprendere le ragioni degli altri, in una vocazione cosmopolita e laica, attenta, più che alla difesa incondizionata del particolare e dell’interesse locale, all’interazione sistemica tra le parti, tra le persone e i soggetti interessati, in un ambiente di confronto, scambio e di cambiamento delle varie identità interagenti. Compito della pedagogia interculturale è porre le condizioni per far convivere le diverse culture senza ignorarsi, perché la non conoscenza del pensiero dell’altro da sempre innalza muri, barriere, limiti e confini, aggravando stereotipi e pregiudizi e alimentando conflitti aperti e sotterranei. La didattica dell’educazione all’interazione delle culture e allo sviluppo sostenibile conduce l’interessato a coltivare valori che condizionano realmente l’espletamento concreto del concetto di pace e, di conseguenza, dei diritti umani, delle pari opportunità, della tutela dell’ambiente, della solidarietà internazionale, dell’importanza del ricordo e della memoria storica, in un’ottica pluralista dei contenuti e dei concetti culturali e valoriali. La didattica dell’educazione allo sviluppo sostenibile e all’interazione deve fornire agli allievi una cultura del vivere e costruire insieme un altro mondo, evidenziando e formulando i problemi dell’attualità, ponendosi in situazioni problematiche, incentivando la ricerca, lo studio, il sorgere di questioni aperte tra generazioni.
L’obiettivo di tale procedimento deve sfociare in una sensibilizzazione dei giovani ai concetti di solidarietà, tolleranza, diversità e uguaglianza culturale, nell’importanza di predisporre le menti a una costruzione del sapere critica e aperta al confronto, al cambiamento vicendevole e reciproco, al rispetto e alla valorizzazione delle differenze.
Ogni disciplina scolastica si deve fondare sull’insegnamento delle diversità concepite come propulsione al rispetto dell’ambiente del nostro pianeta, alla tutela ecologica, alla rievocazione della memoria storica dei diritti umani e delle pari opportunità, in una rivisitazione intergenerazionale dell’importanza di questi concetti valoriali, dove la storia si ponga come processo conoscitivo dialettico tra il passato e il futuro e tra le vecchie e giovani generazioni. La costruzione dei programmi di ogni disciplina scolastica deve permettere alla scuola di rinnovarsi, integrando continuamente le grandi risoluzioni tratte dalle conferenze internazionali organizzate dalle Nazioni Unite e rendere ogni disciplina scolastica il luogo ideale dove coltivare la solidarietà tra generazioni. L’educazione interculturale, tramite l’intera comunità educativa, deve orientare allo sviluppo sostenibile per creare negli allievi una coscienza di pace e di solidarietà internazionale, per la costruzione di un avvenire migliore, di un mondo globale di civiltà aperte e interagenti, di differenze diasporiche e diversità pensanti, in prospettive teoriche globali, cosmopolite ed internazionali. Intercultura, ambiente e sviluppo sono profondamente connessi, perché l’educazione tra le culture pone in evidenza l’intreccio dei grandi problemi del mondo, facendo comprendere i legami tra il vicino e il lontano, il qui ed ora, il presente e il passato. Il futuro dell’educazione è la cooperazione tra persone di culture diverse, nell’integrazione e nel rapporto tra identità e alterità, dove la società interculturale è la risultante di tensioni dialettiche che scuotono le certezze abitudinarie nel prendere consapevolezza della crescente dipendenza tra i popoli nella solidarietà, sancita dai valori di libertà e uguaglianza, per cui l’educazione non deve essere compensazione del diverso, ma evoluzione collettiva nelle diversità.

 

Chi è il costruttore di pace?

 

Il Costruttore di Pace è colui che agisce per la solidarietà e per la cultura e  il sentimento di Terrestrità, che comprende il concetto di “coscienza planetaria”. Ognuno di noi è implicitamente Costruttore di pace. Ognuno di noi può e deve costruire la pace.

 

Il Dialogo per la Pace mobilita ad una responsabilità all’interno degli ambienti A.N.P.I., Scuola ed Associazionismo sociale e culturale affinchè venga attualizzato e concretizzato l’ammonimento del Partigiano, Deportato e Padre Costituente dell’ONU Stéphane Hessel: “La nonviolenza è il cammino che dobbiamo imparare a percorrere”. Quali sono le criticità che ravvede per l’attuazione di siffatto monito?

 

Il Dialogo per la Pace richiama a un impegno all’interno degli ambienti A.N.P.I. (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia), nella Scuola e nell’Associazionismo sociale e culturale, per attualizzare e realizzare il monito del Partigiano, Deportato e Padre Costituente dell’ONU Stéphane Hessel: “La nonviolenza è il cammino che dobbiamo imparare a percorrere”. Il nostro contributo si focalizza su una innovativa “Pedagogia della Resistenza” (“Creare è resistere, resistere è creare”, sempre Stéphane Hessel) che porti a riconoscere l’Essere Umano quale appartenente a un’unica razza e famiglia: quella umana. Per questo motivo il libro rievoca il motto di Vittorio Arrigoni “Restiamo Umani”, nel continuare a credere convintamente in un mondo senza bandiere, barriere, limiti, confini. La “coscienza planetaria” realizza un’appartenenza culturale e cosmopolita della donna e dell’uomo contemporanei, sempre uguali nei diritti e diversi nei propri caratteri, indipendentemente da ogni longitudine e latitudine, “contro ogni razzismo”. Stéphane Hessel (scomparso nel 2013) è stato anche un promotore di ICAN – Campagna per l’abolizione degli ordigni di distruzione di massa nucleari e annuncia un alto monito di speranza con il motto “Esigete un disarmo nucleare totale”. Questo suo alto monito per la salvezza dell’Umanità si è concretizzato con il TPAN, il trattato Onu del luglio 2017, trattato di proibizione delle armi nucleari varato a New York a palazzo di vetro con 122 nazioni e la società civile organizzata in ICAN – Campagna per l’abolizione degli ordigni di distruzione di massa nucleari, che è valsa, a tutta la nostra vasta rete di attivisti a livello mondiale, per il disarmo nucleare universale, il Premio Nobel per la Pace nel 2017. E la nonviolenza è il tramite di questo percorso che porti la persona a concepirsi figlia e figlio di una unica Madre Terra da tutelare e salvaguardare, in una mondiale concezione di Terrestrità, ossia di appartenenza alla complessità dell’esistente.

 

 

Laura Tussi: Docente, giornalista e scrittrice, si occupa di pedagogia nonviolenta e interculturale. Ha conseguito cinque lauree specialistiche in formazione degli adulti e consulenza pedagogica nell’ambito delle scienze della formazione e dell’educazione. Coordinamento Campagna “Siamo tutti Premi Nobel per la Pace con ICAN”: Rete Internazionale ICAN – Premio Nobel per la Pace 2017 per il disarmo nucleare universale. Collabora con diverse riviste telematiche tra cui Pressenza, Peacelink, Il dialogo, Unimondo, AgoraVox ed ha ricevuto il premio per l’impegno civile nel 70esimo Anniversario della Liberazione M.E.I. – Meeting Etichette Indipendenti, Associazione Arci Ponti di Memoria e Comune di Milano. Autrice dei libri: Sacro (EMI 2009), Memorie e Olocausto (Aracne 2009), Il dovere di ricordare (Aracne 2009), Il pensiero delle differenze (Aracne 2011), Educazione e pace (Mimesis 2012), Un racconto di vita partigiana – con Fabrizio Cracolici, presidente ANPI Nova Milanese (Mimesis 2012), Dare senso al tempo-Il Decalogo oggi. Un cammino di libertà. Con Prefazione del Cardinale Carlo Maria Martini (Paoline 2012), Il dialogo per la pace. Pedagogia della Resistenza contro ogni razzismo (Mimesis 2014), Giovanni Pesce. Per non dimenticare (Mimesis 2015) con i contributi di Vittorio Agnoletto, Daniele Biacchessi, Moni Ovadia, Tiziana Pesce, Ketty Carraffa, Antifascismo e Nonviolenza (Mimesis 2017), con Alfonso Navarra, Adelmo Cervi, Alessandro Marescotti. Collabora con diverse riviste di settore, tra cui: “Scuola e didattica” – Editrice La Scuola, “Mosaico di Pace”, “GAIA” – Ecoistituto del Veneto Alex Langer, “Rivista Anarchica”. Promotrice del progetto per non dimenticare delle Città di Nova Milanese e Bolzano www.lageredeportazione.org e del progetto Arci Ponti di memoria www.pontidimemoria.it.

 

Note: Note bibliografiche:
Alfonso Navarra, Mario Agostinelli, Luigi Mosca “La follia del nucleare. Come uscirne con la rete ICAN” con prefazione di Alex Zanotelli. Introduzione di Fabrizio Cracolici e Laura Tussi, Mimesis Edizioni

Alfonso Navarra – Portavoce Associazione Disarmisti Esigenti http://www.disarmistiesigenti.org/2019/12/30/terrestrita/  e Laura Tussi
“Antifascismo e Nonviolenza” Mimesis Edizioni

Canale video “SIAMO TUTTI PREMI NOBEL PER LA PACE CON ICAN”
https://www.youtube.com/channel/UCFWikKgRr7k21bXHX3GzE9A  

Intervento di Alfonso Navarra – coordinatore Rete Educazione alla Terrestrità
https://www.youtube.com/watch?v=x1SxjoRDOGc&t=585s   

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Appello: No arsenali, si ospedali

Coronavirus – Appello

Appello: No arsenali, si ospedali

La proposta dei Disarmisti esigenti, di WILPF Italia e di personalità ispirate dalla cultura della terrestrità e della pace: convertire le spese militari in investimenti per la salute, aderire al Trattato di proibizione delle armi nucleari, ritirarsi dalle guerre neocoloniali in cui siamo coinvolti
Appello: No arsenali, si ospedali

APPELLO

Appello: No arsenali, si ospedali

FIRMA QUI

Coronavirus: emergenza collegata alla distruzione degli habitat, effetto del riscaldamento globale e delle guerre.
Che fare per fronteggiarla?
La proposta dei Disarmisti esigenti, di WILPF Italia e di forze e personalità ispirate dalla cultura della terrestrità e della pace: convertire le spese militari in investimenti per la salute, aderire al Trattato di proibizione delle armi nucleari, ritirarsi dalle guerre neocoloniali in cui siamo coinvolti

Promossa da Disarmisti Esigenti e WILPF Italia (coordinamento politico organizzativo), membri italiani ICAN

Con invito ad aderire, sostenere, diffondere

 

Emergenza coronavirus: è chiaro che “dopo” la crisi in cui siamo tragicamente immersi ben poco resterà come “prima”. E noi, i promotori del presente appello, siamo tra quelli che vorremmo un “dopo” di grande cambiamento in direzione positiva, in cui il “prima” – il malsviluppo dell’accumulazione per il profitto e per la potenza che ci ha condotto alla catastrofe – sia consapevolmente abbandonato.
Questo “dopo” dovrebbe incorporare i valori che, praticati “durante”, ci permetteranno di superare nel miglior modo possibile questo difficile momento: dopo anni di chiusure nazionalistiche, di razzismi, di odi e conflitti armati, un senso di solidarietà tra le persone e tra i popoli; dopo l’attacco a tutto ciò che è statale e le privatizzazioni selvagge, una rivalutazione della sfera pubblica e degli interventi programmati da parte governativa; e soprattutto un inizio di consapevolezza della dipendenza e fragilità umana rispetto alle forze della Natura, che deve tradursi in comportamenti individuali e collettivi sobri e prudenti, di rispetto per tutta la comunità dei viventi. L’ecosistema globale sconvolto reagisce e ci attacca con “nuovi” virus, in attesa di colpi ancora più tremendi che verranno da tempeste, alluvioni, siccità, desertificazione, carestie…
Potremmo ora, edotti dalla drammatica esperienza che stiamo affrontando, finalmente percepire che tutti gli esseri umani, articolati nei vari popoli, sono una unica famiglia che appartiene alla Madre Terra e che, come consigliava Martin Luther King: “Dobbiamo imparare a vivere tutti insieme come fratelli, altrimenti periremo tutti insieme come idioti”.

La componente ecopacifista dell’arcipelago nonviolento, ispirata dai Disarmisti esigenti, e a WILPF Italia, membri della Rete ICAN (Campagna Internazionale per l’abolizione delle armi nucleari), premio Nobel per la pace 2017, sulla base di questi presupposti di convivenza e collaborazione pacifica universale, propone che si inizi la conversione del sistema militare anche per sostenere le spese sanitarie urgenti necessarie per sconfiggere l’epidemia in corso, evitando la catastrofe.
L’apparato militare-industriale-fossile-nucleare è la principale causa delle minacce che incombono sull’umanità tutta: in primis il pericoloso intreccio tra minaccia nucleare e minaccia climatica in sinergia con la disuguaglianza economica e l’oppressione le cui vittime sono in crescita esponenziale a partire da donne, bambini e i soggetti fragili.

E’ necessario, allora, che le risorse pubbliche ad esso destinate comincino a essere dirottate verso un serio “Green New Deal”, una conversione ecologica dell’economia, uno stop all’accumulazione illimitata e un focus sui bisogni umani e di salvaguardia dell’ambiente, realizzante la piena occupazione; un ecosviluppo che vede tra i suoi pilastri anche una sanità pubblica messa in grado di fronteggiare emergenze come quella terribile da coronavirus.

Come richiesta urgente per l’Italia, proponiamo in particolare che le spese militari, a partire da quelle incostituzionali degli F35 e dei sistemi d’arma offensivi, siano dirottate subito verso misure sanitarie a beneficio della vita e della salute dei cittadini.

Reiteriamo la richiesta che l’Italia ratifichi il Trattato di proibizione delle armi nucleari, contribuendo alla sua entrata in vigore. E’ mai possibile – non possiamo non chiederci – che una maggioranza al governo che ha votato per questo Trattato al Parlamento europeo poi si sottragga a questo impegno in Italia permettendo che si continuino a buttare soldi per mantenere le bombe atomiche USA in Europa (e sul nostro territorio)?

Nel mondo sono in corso varie guerre con dreammatiche conseguenze umanitarie ed ambientali, di cui tre proprio di fronte al nostro balcone mediterraneo: Siria, Yemen e Libia, questa ultima che vede più direttamente implicata l’Italia, a difesa dell’ENI, in intricatissime partite geopolitiche con il petrolio e le altre risorse energetiche come posta principale.
Dal punto di vista dell’epidemia queste guerre potrebbero essere devastanti, come a suo tempo lo fu la famigerata influenza “spagnola”.
Qui citiamo le parole dell’illustre infettivologo Aldo Morrone, direttore del San Gallicano:
“Se ci fosse una vera volontà di contrasto dell’epidemia bisognerebbe partire da un immediato stop alle guerre, da un immediato riconoscimento del diritto alla mobilità dei migranti e dei rifugiati, in sicurezza. Non è una fissazione pacifista ma una necessità scientifica”.

Ascoltiamo queste parole e decidiamo di ritirarci unilateralmente da queste guerre e di revocare le missioni militari all’estero.
Sosteniamo l’alternativa della difesa civile non armata e nonviolenta promuovendo in particolare i corpi civili e le ambasciate di pace.
Orientiamo fondi pubblici verso la riconversione produttiva della industria bellica verso il settore civile: non bombe e cannoni ma, ad esempio, i ventilatori e le attrezzature mediche di cui abbiamo tutti bisogno.
Ricordiamo il celebre adagio del mai dimenticato Presidente partigiano Sandro Pertini: “Si svuotino gli arsenali di guerra portatori di morte, si colmino i granai sorgenti di vita per milioni di persone che soffrono”.

Primi firmatari:

Alex Zanotelli  – Moni Ovadia -Luigi Mosca – Michele Carducci –

Antonella Nappi – Sabina Santovetti –

Tiziano Cardosi – Adriano Ciccioni – Tonino Drago – Giuseppe Farinella – Angelo Gaccione – Renato Napoli – Oliviero Sorbini

Coordinamento politico-organizzativo:

Alfonso Navarra, Fabrizio Cracolici, Laura Tussi – Disarmisti Esigenti, promotori di XR PACE (cell. 0039-340-0736871 email alfonsonavarra@vrgilio.it)

Antonia Sani – Giovanna Pagani – Patrizia Sterpetti – WILPF Italia

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«Il virus sia la chance che ci permetta di ritessere ciò che è infranto»

Lorenzo Maria Alvaro intervista Moni Ovadia su VITA

http://www.vita.it/it/interview/2020/03/17/il-virus-sia-la-chance-che-ci-permetta-di-ritessere-cio-che-e-infranto/310/

Per l’intellettuale ebreo l’emergenza sanitaria può essere un’occasione. «È una grande chance perché ci dimostra che dobbiamo fondare il nostro progetto umano sulla fragilità, non sulla forza. Ci può insegnare a porre come perno della costruzione della nostra società, la forza della fragilità»

Sono ormai tre settimane che l’emergenza Covid19 è l’argomento principale di ogni media della terra, Ma mentre prima il virus era una vicenda del lontano Oriente oggi, dopo che l’asia ha di fatto archiviato velocemente l’emergenza, nell’occhio del ciclone c’è l’Occidente. Con l’Europa, oggi il centro dell’emergenza e gli Stati Uniti che lo diventeranno presto. C’è chi però non si limita al conto dei malati o al conteggio dei danni economici. Moni Ovadia, intellettuale italiano di origini ebraiche, che come tutti è chiuso in casa, «lascio andare i pensieri, leggo molto e cerco di guardare al di là del contingente, per afferrare un’orizzonte».

 

Come vede gli italiani in questa situazione?

Molto onestamente sono in genere infastidito dalla retorica patriottarda dei politici. Trovo però che queste manifestazioni da balconi e finstre siano il frutto di una reazione collettiva che cerca di ritrovare il senso di comunità. Quello che però dovremmo ricordare è che in Italia ci sono 12 milioni di evasori. È bello cantare e condividere un momento come questo. È un modo di sentirsi vicini. Ma mi piacerebbe che insieme a questo si attivassi un processo di rimessa in questione di come viviamo, non “al tempo del coronavirus”, ma normalmente. E di conseguenza del senso cui apparteniamo. Oggi il nostro baricentro è lo sfrenato consumismo. Al limite il piagnisteo diffuso quando ci è impossibile esercitarlo. Dobbiamo ritrovare il senso della centralità della vita, della centralità del bene comune, della centralità della comunità sociale umana unica. Mi piacerebbe se si attivasse una profonda riflessione su questo. Sarebbe bello ritrovare il senso della vita, della fratellanza, della solidarietà. Non voglia fare il grillo parlante sia chiaro.

Però lo sta facendo…

Forse è vero (ride). Ma deve essere il fatto che sto facendo un reading dell’Enciclica di Papa Francesco che credo sia un documento che dovrebbe diventare patrimonio comune. Se c’è uno che non crede e che non è cattolico né cristiano sono io, però accidenti bisogna dire che è un’Enciclica prima di tutto sociale e quindi anche coerentemente ecologica. In quel testo noi ritroviamo il senso di quello che è definirsi “esseri umani” e di quel grande cammino verso una società di giustizia sociale che abbiamo intrapreso da migliaia di anni ma che è stato cortocircuitato dall’economia iper liberista che il Pontefice definisce “economia di morte”. È così vero. Basterebbe pensare che il Governo ancora a una volta mette in campo protezioni per tutti tranne che per gli operai della logistica. Ancora una volta la spina dorsale del sistema produttivo, la classe operaia, viene dimenticata in ragione del profitto. È una malattia da cui dobbiamo guarire.

Lei che si è sempre definito di sinistra radicale divulga un’Enciclica papale?

(Ride) Ai miei amici di sinistra quando l’ho letto ho detto: “Fate un po’ come cazzo volete ma io vado a prendere la linea del Vaticano”. La verità è che abbiamo bisogno di meticciato culturale. Non ne usciamo se no facciamo un’alleanza. Come diceva Papa Giovanni XXIII servono “tutti gli uomini di buona volontà”. Senza settarismi. Non è il momento.

Può essere il Coronavirus l’imprevisto che ci dà la chance di rivedere i nostri modelli ed equilibri?

Assolutamente. Prima di tutto però dobbiamo dire che questo virus ha l’aspetto tragico delle morti. Non si può dimenticarlo. Detto questo è una grande chance. Soprattutto perché dimostra che noi dobbiamo fondare il nostro progetto umano sulla fragilità non sulla forza. Ci può insegnare a porre come pivot, come perno, della costruzione della nostra società, la forza della fragilità. Che è solo apparentemente un’ossimoro: se ci riconosciamo fragili evitiamo di cadere vittime dell’arroganza, dell’hubris.

Per citare Vaclav Havel “Il potere dei senza potere”…

Esattamente. Siamo creature fragili e questo virus ce lo sta dimostrando in modo drammatico. Oggi la cosa più sensata è accettarlo. Sarebbe bello, e lo dico in senso laico, che questo obbligo forzato di stare nelle proprie case con le proprie famiglie diventi l’occasione di un ritiro spirituale. Cioè di riflessione sul valore delle relazioni umane e di ciò che è l’autenticità che la vita ci offre che abbiamo barattato con il consumo. Anzi tramutato in consumo.

Ha citato la fragilità, l’hubris, il mondo classico che è la culla di quel pensiero e di questo modo di guardare all’uomo. In questo senso il mondo latino, mediterraneo, può tornare a indicare una strada che si è persa per inseguire una visione più calvinista della vita, sempre più chiara guardando a Boris Johnson e Donald Trump?

Come ebreo approfitto di questa domanda molto giusta per dire che, in termini weberiani, l’unica fede che ha stabilito una relazione tra accumulazione capitalistica e redenzione è cristiana: il calvinismo. Non gli ebrei. Nonostante le barzellette (ride). Mai nel Talmud né nella Torah si troverà un riferimento all’accumulo di danaro come valore. Venendo al punto questa domanda mette il dito in una grande piaga. Tutto ciò che ha formato la civiltà dell’Occidente, del vicino Oriente e attraverso l’Islam anche a parte dell’Oriente è nato tra la Mezzaluna fertile e il Mediterraneo. Ebraismo, grecità, Cristianesimo, Islam. Sono nati in quel magico luogo. Il cristianesimo ha preso una deriva che lo ha portato a perdere i valori originali quando si è occidentalizzato, quando ha smarrito l’elemento della sapienza mediterranea orientale. Oggi l’Occidente cos’è a parte denaro, mercato e questo tipo di idolatrie? Ha una proposta spirituale? No.

L’Occidente ha anche grandi meriti però, o no?

Certamente. L’Occidente ha fatto grandi cose e dobbiamo essere onesti. Come i diritti, l’immensa cultura dei diritti. Ma di quella cultura, a parte i diritti civili che non disturbano il potere vero, non si può allo stesso tempo dire che ha abbandonato quel cammino dei diritti? Addirittura qualche solone ha scritto che a causa dei problemi economici non ce li possiamo più permettere i diritti sociali. Dobbiamo tornare al senso primo, quel cammino di conoscenza. Come diceva Emmanuel Lévinas “la filosofia parla greco. L’etica parla ebraico” e latino per via del contributo decisivo cristiano, dico io. Allora se noi ritroviamo quell’humus orientale, quell’aria desertica e quei venti del Mediterraneo, quel calore che è anche un calore intellettuale e spirituale, possiamo riprendere il cammino di redenzione dell’umanità. Se accettiamo di partire per la tangente occidentalista siamo persi. Teniamo conto che il cristianesimo diventa potere in Occidente. Ecco perché Papa Francesco è odiato dal potere, e anche da metà della sua stessa Chiesa.

In che senso?

Papa Francesco viene dall’altra parte del globo. Ma come chiamiamo le culture del Sud America? Latinoamericane. Perché c’è tutta la radice ispanica, quel clima di cui parlavo. Dove una parte del cristianesimo ha addirittura trovato la sua radice rivoluzionaria con la Teologia della Liberazione con il grande vescovo Hélder Câmara. Ma perfino il vescovo Óscar Romero è stato ucciso, nonostante non fosse un progressista. Il motivo è che difendeva il diritto dei poveri. Câmara diceva: «quando faccio l’elemosina ai poveri mi chiamano santo. Ma quando combatto la povertà mi chiamano comunista». Francesco viene da quel contesto. Quindi tronando al punto: noi europei mediterranei guardando al Medio Oriente, con rispetto invece che con aggressività, possiamo ricominciare un cammino. Ritessere quella parte interrotta per andare avanti. Dobbiamo ritessere l’infranto per poi proseguire.

A proposito della relazione Occidente e Oriente, l’economista Marcello Esposito, sostiene che questa emergenza sancisca il sorpasso orientale nei nostri confronti. È così?

Il problema è l’arroganza dell’Occidente che pensa di poter dare lezioni a tutti. C’è invece un enorme mondo, quello del lontano Oriente, che ha avuto grandissime spiritualità, verso cui noi continuiamo ad avere questo atteggiamento osceno di superiorità. Penso anche alla russofobia americana. Credo si debba piuttosto ridefinire la condizione geopolitica attraverso una pluralità di voci.

L’emergenza coronavirus potrebbe ridare la centralità perduta alla politica rispetto all’economia?

Assolutamente. Ma abbiamo bisogno di ridefinire il concetto di democrazia. Non può voler dire solo andare a votare ogni cinque anni. Questa è una scorza di democrazia. Un guscio vuoto. Per farlo serve ridefinire il senso della politica. Per me i partiti non hanno più senso, guardo ai movimenti. E guardo al Terzo settore, al sociale. Che oggi di fatto sopperisce all’abdicazione dello Stato. Quella è politica. Quella è la politica di cui abbiamo bisogno. Non i partiti. Con nuove forme da inventare. Pensiamo alla deriva della privatizzazione del mondo cominciata con Bill Clinton, tanto adorato dalla cosiddetta sinistra riformista. Bisogna ricordare che “privato” significa anche “tolto”. Cioè privare qualcuno di qualcosa. Abbiamo bisogno piuttosto di “privato sociale”, cioè di un privato che non pensa che cose come la sanità e l’acqua siano delle commodities, cioè beni negoziabili.

Note: Firma la petizione: https://www.petizioni.com/no_arsenali_si_ospedali
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Riflessioni e azioni per nostra Madre Terra

Intervista per un progetto:

Riflessioni e azioni per nostra Madre Terra

L’internazionale della Educazione alla Terrestrità a partire dalla Campagna per l’abolizione delle armi nucleari ICAN
Laura Tussi18 marzo 2020

Progetto Rete Educazione alla Terrestrità

di Fabrizio Cracolici e Laura Tussi,

ANPI sezione Emilio Bacio Capuzzo Nova Milanese (Monza e Brianza)

con l’approvazione di padre Alex Zanotelli

 

La Campagna Internazionale per l’abolizione delle armi nucleari:

ICAN – ha una sua rete in Italia. I Disarmisti Esigenti (www.disarmistiesigenti.org) sono membri di questa rete internazionale che comprende 500 organizzazioni in 100 paesi. La coalizione ha lanciato una proposta in Italia per approfondire ed estendere l’adesione di questa campagna che può ottenere a livello mondiale l’abolizione giuridica delle armi nucleari: un canale video YouTube dal titolo “Siamo tutti premi Nobel per la pace con Ican”.

Si vada su:

https://www.youtube.com/channel/UCFWikKgRr7k21bXHX3GzE9A

 

Una intervista di Alfonso Navarra, portavoce dei Disarmisti esigenti, lancia ora la proposta all’interno di questo canale video dedicato a promuovere ICAN, di una iniziativa molto collegata agli obiettivi e alle finalità della nostra campagna disarmista.

 

Qui trascriviamo il parlato di questa intervista registrata, rinvenibile alla URL:  https://www.youtube.com/watch?v=x1SxjoRDOGc&t=84s

 

“Vogliamo proporre (in questo canale video – ndr) una sezione dedicata all’educazione alla Terrestrità.

Cosa c’entra l’abolizione delle armi nucleari con l’educazione alla terrestrità? Nell’abolizione giuridica delle armi nucleari abbiamo due concetti fondamentali: un rivolgersi a una sfida comune dell’umanità che deve costruire una società di pace attraverso il disarmo; e anche la necessità che questo obiettivo sia riconosciuto all’interno della cornice giuridica internazionale: il diritto internazionale. Quello che Papa Francesco propone come ‘nonviolenza efficace’. La frase di Papa Francesco è “la nonviolenza efficace sono i progressi del diritto internazionale”. Quindi noi eliminiamo una delle principali minacce che pesano sulla testa dell’umanità, cioè la minaccia della guerra nucleare che può scoppiare anche per caso e per errore, attraverso una codificazione del diritto internazionale. Una istanza che libera tutta l’umanità, intesa come insieme, da una minaccia comune. E la libera anche tenendo presente che la minaccia nucleare si intreccia con l’emergenza climatica. L’educazione alla Terrestrità è un nuovo concetto che diamo a questa umanità come famiglia unica. Questa umanità come famiglia unica la vediamo come collegata a un’interconnessione organica con la natura e la madre terra. Quindi Terrestrità. Noi siamo figlie e figli della terra e dell’evoluzione naturale. Da qui lo slogan positivo “Non è la terra, il pianeta, che appartiene all’umanità ma è l’umanità che appartiene alla terra”. E’ un internazionalismo ecologico di tipo nuovo quello che proponiamo che è implicito in quello che porta avanti la campagna per l’abolizione delle armi nucleari. Cioè l’umanità come unica famiglia e parte della natura.

Il fatto che vogliamo che questo concetto sia codificato nel diritto internazionale, che la terra è nostra madre e noi apparteniamo a essa, e non il contrario, significa che anche l’umanità non può essere padrona della terra come bene comune, come proprietà comune e privata, obbliga e impone un diritto, una responsabilità, un dovere all’umanità: il dovere di rispettare l’ecosistema globale e gli ecosistemi particolari. Avere il concetto della Terrestrità, cioè dell’umanità che appartiene alla terra, ha conseguenze pratiche. Ossia fonda culturalmente il dovere dell’umanità di rispettare equilibri ed ecosistemi che hanno una consistenza indipendente e autonoma. È un nostro dovere non alterare questi cicli e equilibri.

Il diritto internazionale deve codificare tutto questo.

Già questo è in nuce. Perché quest’idea non nasce dal nulla, ma è un’idea che cogliamo nello spirito del tempo, nelle lotte di tutti i movimenti alternativi di questi anni: i movimenti ecologisti e ambientalisti, i nuovi movimenti che stanno nascendo sull’onda dell’emergenza climatica. Ma è anche un’idea in nuce in quelle che sono le concezioni, le carte e i trattati che la stessa Organizzazione delle Nazioni Unite ha approvato.

Vogliamo incardinare nel diritto internazionale un nuovo trattato: il trattato per la proibizione delle armi nucleari che entrerà in vigore quando 50 Stati lo ratificheranno, attualmente siamo a 30 ratifiche.

Ma ci sono tanti altri trattati: la carta della terra, l’agenda Onu 2030 per lo sviluppo sostenibile, il diritto alla pace, che rientrano in questo spirito che nasce da come la stessa ONU – Organizzazione delle Nazioni Unite ha avuto origine. Figlia del trauma della seconda guerra mondiale, un trauma sanguinosissimo in cui abbiamo visto dove portano i sovranismi e i militarismi concepiti nella loro espressione e concezione più brutale. Da questo trauma, da questi 65 milioni di morti è nata una reazione, sono nati i principi come la dichiarazione universale dei diritti umani, le carte dei diritti sociali e ambientali che possono portare all’idea di un diritto internazionale che fonda una comunità degli Stati che si legittima per il rispetto dei diritti dell’umanità e della natura.

Non la sovranità assoluta degli Stati, che attualmente è un avversario culturale, come i sovranismi, i Trump, i Johnson, i Putin, gli Erdogan, con i loro slogan negativi ossia prima i russi, prima gli americani, prima gli italiani, prima i turchi eccetera. Questo rappresenta lo Stato visto come elemento fondante della regola dei rapporti internazionali che poi diventa diritto della forza degli Stati.

Noi vogliamo invece una comunità internazionale in cui la forza del diritto prevalga sul diritto della forza e che le organizzazioni politiche siano legittimate perché rispondono, devono regolare e attivare quelli che sono i diritti fondamentali e originali, appunto fondativi e istituenti, i diritti dell’uomo già stabiliti nella dichiarazione del 1948, altri diritti sociali, ambientali e quelli nuovi, i diritti delle nuove generazioni, dell’umanità in quanto unica famiglia e i diritti indipendenti della natura da cui nasce il dovere di rispettare gli equilibri: tutti questi diritti vanno codificati. Quindi la legittimità negli Stati non è assoluta. Gli Stati sono organizzazioni che devono essere al servizio dell’attuazione di queste istanze e devono costituire una comunità armonica. Questo il discorso del progetto della ‘nonviolenza efficace’.

È un progetto che significa un’idea da proporre ai popoli del mondo per combattere la visione subculturale che attualmente rischia di portarci alle esperienze vissute nella seconda guerra mondiale.

E’ proprio con le carte dei diritti, con l’idea della costituzione mondiale dell’ONU, che vogliamo perfezionare partendo da queste campagne, i tanti risultati che ha conquistato la società civile. Dunque vogliamo continuare, con l’impegno che prodighiamo in queste istituzioni.

Personalmente ero alla conferenza del 2017 dell’ONU che ha votato il trattato di proibizione delle armi nucleari e ho partecipato alle varie conferenze Cop sul clima. Quindi siamo la società civile internazionale, ma dobbiamo riuscire a mobilitare sulle emergenze nucleari e climatiche i popoli e la gente comune. Si presenta un grande risveglio di mobilitazione e di coscienza. Stanno nascendo movimenti nuovi, di respiro mondiale come Fridays For Future, Extinction Rebellion; sono movimenti che vogliono esprimere una ribellione contro un sistema che ci sta spingendo verso il baratro. Per questo motivo dobbiamo unire questa modifica, questa trasformazione democratica dell’organizzazione sovranazionale del diritto internazionale con la mobilitazione della gente, dei popoli plurali. E per far questo dobbiamo approfondire i vari elementi e argomenti della cultura della Terrestrità; uno è quello della politica, della democrazia internazionale di pace. Ma poi anche il discorso di come organizzare la conversione ecologica del mondo e come l’economia dobbiamo subordinarla alla conversione ecologica. Un’idea è il Green New Deal. Occorre dare concretezza alla conversione ecologica. Sul sole 24 ore: titoloni sui finanzieri che stanno studiando la svolta dell’economia e del capitalismo verde.

Dobbiamo discutere sull’organizzazione dell’economia, subordinata all’ecologia su bisogni e meccanismi completamente diversi. Poi dobbiamo intervenire sul discorso della cultura, nel senso del rapporto dell’oppressione della donna, e come la donna si collega con la rivoluzione culturale della Terrestrità: il femminismo e l’ecofemminismo.

Infine il discorso sulla pedagogia della Terrestrità, della democrazia cognitiva; come andiamo a controllare gli aspetti critici e problematici dello sviluppo scientifico e tecnologico che possono portare a sbocchi negativi. Si parla di transumano e postumano, cioè di schiavizzazione dell’uomo rispetto a logiche meccaniche e macchiniche e agli algoritmi dell’intelligenza artificiale. Quindi non abbiamo soluzioni, vogliamo costruire una rete in cui queste problematiche siano proposte globali e siano discusse e in cui i vari soggetti costituenti che si occupano dalla memoria del passato fino alla nonviolenza, facciano un salto di qualità e discutano di queste problematiche in tale orizzonte globale che è l’unica alternativa all’egemonia culturale del sovranismo militarista che è organizzato e ha slogan negativi e quindi tutti noi dobbiamo rispondere con la forza delle idee”.

***

Noi dell’ANPI di Nova Milanese, tra i costituenti della coalizione dei Disarmisti esigenti, abbiamo deciso di collaborare con entusiasmo e con un apporto autonomo di competenze e di idee a questo progetto cosi’ bene espresso dall’intevista di Alfonso Navarra, che ne è l’ideatore originario ed il primo sviluppatore.

Ricordiamo che tra i Disarmisti esigenti è stato concordato che  la Rete di Educazione alla Terrestrità intende, come primo passo, contrapponendo valori e idee alla deriva sovranista, militarista e “cattivista”, e coordinandosi con la “Carta della Terra UNESCO”, promuovere e valorizzare esperienze formative ed educative riconducibili al valore di una cittadinanza universale in simbiosi con la Natura.

Dopo aver visionato la nostra presentazione video (vedi link sopra indicato https://www.youtube.com/channel/UCFWikKgRr7k21bXHX3GzE9A) e dopo aver dato l’adesione al nostro progetto, possibilmente con un intervento video registrato da parte vostra, proponiamo che il primo atto in cui voi date corpo alla Rete sia, appunto, quello di collaborare alla sezione TV che, come Disarmisti esigenti, abbiamo aperto su YouTube .

Potreste, in aggiunta al vostro breve intervento motivato di adesione, spedirci del materiale video che avete già pronto sulle problematiche che abbiamo tratteggiato (vedi lettera su www.disarmistiesigenti.org); materiale che, a vostro giudizio, ritenete possa rispondere con taglio didattico alla domanda su come oggi si può essere cittadini del mondo per la pace nella società umana e tra la società umana e la Terra.

In seguito, possiamo e dobbiamo pensare insieme altri passi successivi. Nella consapevolezza che abbiamo da rimboccarci le maniche per aprire il confronto, per offrire varie e plurali declinazioni del progetto della terrestrità e dei percorsi culturali che possano farla crescere: visione comune in grado di orientare la convergenza dei movimenti alternativi al sistema antropocida ed ecocida che ci sta conducendo alla barbarie e verso il baratro.

 

Il nostro contributo originale e specifico di “partigiani dell’ANPI” alla elaborazione culturale implicata dal progetto intende svolgersi lungo due direttrici:

  • la memoria dei movimenti storici che hanno creato le basi culturali in nuce della terrestrità (basterebbe citare Edgar Morin e Stéphane Hessel ed il loro ruolo nella resistenza europea antifascista)
  • L’impegno pedagogico di tipo nuovo che deve rispondere alla domanda: come formare i “cittadini della Terra”?

Vale a dire: come concretizzare la terrestrità in istituzioni e pratiche didattiche nuove? E come influenzare le istituzioni educative attuali perché siano contagiate (in senso buono!) dalla cultura della pace del XXI secolo?

Non abbiamo le risposte gia’ belle e pronte e per questo motivo contatteremo i centri culturali che sentiamo affini e sensibili in questo nostro desiderio di ricerca, di approfondimento, di sperimentazione.

Contattare: coordinamentodisarmisti@gmail.com cell. 340-0736871 www.disarmistiesigenti.org

Note: Nota: Abbiamo telefonato a padre Alex Zanotelli e ci ha riferito la sua totale adesione ai contenuti di questa presentazione ufficiale del Progetto Educazione alla Terrestrità
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Educazione alla Terrestrità

Campagna Siamo tutti premi Nobel per la pace con ICAN

Educazione alla Terrestrità

Appello a collaborare con una sezione televisiva di formazione dei formatori per la rete ICAN
Alfonso Navarra, Fabrizio Cracolici, Laura Tussi (Coordinamento ICAN Premio Nobel per la Pace)

Educazione alla Terrestrità

Come prima cosa dobbiamo fare chiarezza su un concetto fondamentale.

Facciamo parte di un ecosistema terrestre come frutti di una evoluzione naturale, rami e foglie di un albero che costituiamo e che ci ha costituito, o ne siamo i dominatori in quanto abitanti estranei di un edificio che stiamo occupando?

Il concetto di terrestrità evidenzia il fatto che è l’essere umano organizzato in società a trovarsi inserito in un organismo vivente più esteso e complesso e non relegabile alla sua unica, autonoma e separata presenza decisionale.

L’uomo, l’essere umano, fa parte di un complesso sistema mondo, una comunità di viventi ma anche di non viventi, e da tempi molto lontani si arroga però il diritto di dominarlo e decidere come attore unico e indipendente.

Questo è il punto di partenza per un ragionamento molto ampio su come agire partendo da alcuni principi cardine scritti in trattati e convenzioni mondiali.

L’essere umano “terrestre”, membro della comunità della vita, si deve fare artefice di un processo di riequilibrio del pianeta.

Forme viventi come piante e animali, che stanno in delicato equilibrio evolutivo, si trovano sempre più in pericolo a causa della società umana accumulatoria e predatoria, che le sfrutta per trarne un profitto.
Ma questo processo, di cui una ristretta élite dell’1% è più responsabile della massa passiva ad essa assogettata, porta a segare il ramo su cui siamo seduti dall’albero della vita, essendo noi stessi foglie di quel ramo e di quell’albero!

Ragionare con in mente il concetto di terrestrità significa proiettare azioni concrete su una lavagna che raccoglie le istanze globali, azioni rivoluzionarie che guardino a un’ecologia nuova, base di un’economia nuova, di una società che fa pace con la Natura, la società del nuovo millennio che porterà anche vera libertà e vera giustizia.

Da quando l’essere umano, organizzato gerarchicamente nell’esaltazione degli antagonismi sociali, si è reso attore unico e decisionale del pianeta si sono avviati processi che hanno portato ad un declino inesorabile del pianeta.

Di questo declino ne sono prova il fatto che da molti secoli l’élite al potere promuove guerre pronta a distruggere l’intera umanità per detenere il controllo del pianeta.

Quale strada allora percorrere?

Dopo momenti che hanno visto seriamente il rischio della morte dell’umanità (due guerre mondiali), abbiamo avuto un afflato di dignità che ci ha permesso di scrivere carte del diritto internazionale, ma anche costituzioni nazionali, che contengono principi imprescindibili in grado di ricondurci su strade di Pace: la pace tra noi esseri umani e con il pianeta tutto che ha diritto di vivere a prescindere dalla nostra stessa esistenza.

Altri processi si sono avviati nella storia e se anche in modalità ridotta hanno stabilito presupposti praticabili, strade da percorrere per arrivare a un cambiamento vero e duraturo nel rapporto tra l’uomo e la Natura all’insegna della cultura della terrestrità.

Spesso vengono messe in discussione le agenzie mondiali (ONU, UNESCO)  perché non incisive, ma questo è un limite che va superato con passi in avanti nella governance globale, sicuramente non facendo il passo del gambero.
Lo abbiamo già scritto in “Antifascismo e nonviolenza”: una cattiva legge è meglio di nessuna legge, perché lavoriamo alla forza del diritto che deve subentrare al diritto della forza (armata).
Questa è la nonviolenza efficace secondo Papa Francesco, che riprende Gandhi.

Stabilire a livello globale l’illegalità e l’immoralità di un agire (ad esempio la proibizione giuridica delle armi nucleari, oggi quasi a portata di mano) può e deve essere un passo che può condurci ad un cambiamento rivoluzionario, spetta ai grandi movimenti globali lottare per la sua attuazione.

Se nel mondo esistono ancora ingiustizie, guerre e sfruttamento, se una oligarchia di 10.000 persone riesce a schiacciarne oltre 7 miliardi, se il nostro modo di produrre e consumare sta erodendo le basi stesse della vita, questo non vuole dire che la carta internazionale dei diritti umani, da estendere ai diritti dell’umanità e ai diritti della Natura, debba essere stracciata perché non rispettata.

Il nuovo trattato TPAN per la proibizione giuridica delle armi nucleari votato all’ONU e in attesa del completamento dell’iter di validazione con almeno 50 ratifiche da raggiungere, rappresenta un passo in avanti del pacifismo mondiale, della pace tra umanità e natura, anche se non sarà una soluzione definitiva al problema della deterrenza nucleare, che costituisce una emergenza mortale al pari di quella climatica ad essa intrecciata.

L’essere umano organizzato nel sistema gerarchico e patriarcale deve smettere di essere antropocentrico e deve stabilire un patto biocentrico “del Nuovo Millennio” : cessare la guerra contro il pianeta, quindi contro sé stesso.

Vi proponiamo, con la educazione alla “terrestrità” (si veda il testo sotto riportato di Alfonso Navarra per un primo tentativo di approfondimento del concetto),  un percorso di formazione e interazione tra associazioni, attivisti e cittadini al fine di condurre percorsi condivisi che abbiano come comune denominatore la vita da difendere, rispettare e valorizzare.

Questo percorso prevede, con la collaborazione di soggetti impegnati in progetti analoghi, la realizzazione, nel lungo periodo, di una scuola di Pace a livello globale indirizzata, per cominciare, nei primi passi immediati, ai già formatori ed educatori interessati ad approfondire la ricerca culturale sella terrestrità nei suoi vari aspetti, e su come tradurla nei percorsi formativi delle scuole e del mondo culturale e sociale.

Testimonianze, contributi e dibattiti, provenienti da varie fonti, verranno messi come materiale fruibile liberamente dalla rete per una condivisione e una riflessione globale.
Intendiamo, ripetiamolo ancora, collaborare con analoghe iniziative in corso focalizzandoci, da parte nostra su questo problema, più consono al tipo di attività che stiamo svolgendo: come costruire le categorie giuridiche e culturali che esprimano l’appartenenza dell’essere umano alla Terra, e non della Terra all’uomo?

Grazie e diamoci da fare insieme, sorelle e fratelli consapevoli delle piante e degli animali, ma anche del Sole, della Luna e dell’acqua!

 

 

Da parte di Alfonso Navarra

 

Quelli che seguono sono appunti per la definizione dell’idea di terrestrità, ormai matura nella cultura e nei movimenti, ma non focalizzata in modo coerente, adeguato e preciso nelle elaborazioni correnti.
La frase chiave per definire il concetto è: gli esseri umani appartengono alla comunità della vita e alla Terra, Terra Madre, unico ecosistema globale di viventi e non viventi.
Non è viceversa: la Terra appartiene all’uomo, inclusa nella forma della proprietà comune (= la Terra appartiene in comune a tutti gli uomini – e le donne, presenti, passati e futuri).

I nonni della terrestrità: Edgar Morin e Stéphane Hessel. Terra patria, non ancora matria

Il concetto di terrestrità quale bussola per la nostra educazione di cittadini del mondo è alla base de “Il cammino della speranza”, il libro, edito in Italia da Chiarelettere, scritto insieme da Edgar Morin e Stéphane Hessel, due grandi protagonisti della Resistenza antifascista e antitotalitaria nel pensiero e nell’azione.
I due intellettuali furono riuniti dalla redazione di “Le Monde” il 28 febbraio 2013 e in quel dialogo vediamo contenuti in nuce il pensiero che andremo a sviluppare nel proseguio dell’articolo.
In particolare Edgar Morin enuncia la nozione di “Terra-patria”, che non è ancora la terrestrità per come la andremo definendo, ma la contiene in nuce.

Le Monde domanda:

La crisi della nozione prometeica di progresso si è aggravata con disastri ecologici come quello di Fukushima. Il mondo occidentale può considerare un percorso diverso da quello della ragione strumentale?

Edgar Morin  risponde:

 

Quando un sistema non è in grado di risolvere i problemi che lo minacciano, o si disintegra o sprofonda nella barbarie, o riesce ad effettuare una metamorfosi.

Le catastrofi di Hiroshima e Nagasaki segnarono la fine della storia, non nel senso indicato dallo scienziato politico americano Françis Fukuyama, per il quale la democrazia liberale fu il culmine della storia, ma nel senso che tutto deve essere reinventato.

È qui che il principio della metamorfosi assume rilevanza. La globalizzazione è sia la cosa peggiore che la cosa migliore. Come può essere la tendenza migliore? Ha rivelato una comunità di destini per un’umanità confrontata con gli stessi problemi fondamentali, sia ecologici, sociali, politici o altro.

Pertanto, possiamo ottenere i cambiamenti che Stéphane Hessel vuole in termini di governance globale sviluppando un sentimento di appartenenza alla comunità, a ciò che chiamo “Terra-Patria”.

Questa parola “Patria”  è molto importante; basa la comunità dei destini su una filiazione condivisa. “Terra-Patria” non significa che le comunità nazionali ed etniche debbano essere dissolte: l’umanità deve preservare la sua diversità producendo unità.

È fondamentale creare un organo in grado di decidere sui problemi ecologici, di spazzare via le armi di distruzione di massa e di regolare l’economia al fine di frenare la speculazione finanziaria.

Un cantore contemporaneo della terrestrità: Papa Francesco. La Terra nostra sorella, non ancora madre

Nell’enciclica “Laudato sii”, in apertura, il capo della Chiesa di Roma scrive:
«Laudato si’, mi’ Signore», cantava san Francesco d’Assisi… «per sora nostra matre Terra». Questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla (…) Dimentichiamo che noi stessi siamo terra (cfr Gen 2,7).” (par. 1-2)
E poco oltre aggiunge: “La sfida urgente di proteggere la nostra casa comune comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale, poiché sappiamo che le cose possono cambiare (…) Abbiamo bisogno di un confronto che ci unisca tutti, perché la sfida ambientale che viviamo, e le sue radici umane, ci riguardano e ci toccano tutti. ” (par. 13-14)

La Carta della Terra, fatta propria nel 2000 dall’UNESCO. La Terra comunità dei viventi. Ma siamo in comunione anche con il non vivente

Già nel 2000, dopo anni di consultazioni, stesure, ritocchi, venne redatta quella che fu chiamata la Carta della Terra, una dichiarazione di principi etici fondamentali per la costruzione di una società globale giusta, sostenibile e pacifica nel 21° secolo.

La Carta si propose di ispirare in tutti i popoli un nuovo sentimento d’interdipendenza globale e di responsabilità condivisa per il benessere di tutta la famiglia umana, della grande comunità della vita e delle generazioni future.

Un testo breve ma molto sostanzioso, i cui punti programmatici (che spaziano dall’ecologia alla giustizia e democrazia) purtroppo rimangono per lo più solo sulla carta, come del resto buona parte delle nuove Carte dell’ONU: anche esse esprimono in nuce il valore della “terrestrità”.

Il nuovo 68 ecologista: volontà di azione ma debolezza di pensiero nei fortunatamente risvegliati

Oggi stiamo assistenza ad una rinascita di una coscienza ecologica nei giovani e giovanissimi che si mobilitano in tutto il mondo.

Dal movimento Extiction Rebellion a Greta Thunberg e il movimento Fridays for Future da lei avviato, siamo di fronte a masse di persone (giovani e diversamente giovani) che sono stanchi di ascoltare le parole della politica politicante e pretendono fatti concreti subito. Hanno capito che ne va di loro, di noi tutti e dell’intero Pianeta sul quale siamo, nella loro visione, ospiti.

Due movimenti che, data la loro portata numerica e l’attenzione mediatica che hanno conquistato, fanno sperare: di fronte a tutta questa massa di persone che chiedono politiche immediate di riduzione del riscaldamento climatico e che non si fermano ma sono intenzionate a proseguire finché non vedranno varate norme effettive in questa direzione, i governi e le multinazionali potranno poco ciurlare nel manico. Ora resistono, talvolta fingono di acconsentire e prendono tempo. Ma prima o poi dovranno cedere alla forza dell’unione popolare che si va chiarificando e costruendo.

A condizione che il sentimento sia guidato dall’intelligenza e che la fretta non faccia da cattiva consigliera. L’emergenza che viene invocata viene difatti già sfruttata dalla lobby atomica che rientra dalla finestra dopo essere stata esclusa dalla porta degli accordi di Parigi del 2015.
Non si può curare l’inquinamento da CO2, che – a detta dell’IPCC – può portarci al collasso ecologico entro 10 anni, con l’inquinamento radioattivo da ciclo nucleare, che comunque costituisce un fattore di estinzione ed è prodotto inevitabile di una “deterrenza” che in qualsiasi momento può farci saltare tutti per aria anche solo per incidente o per errore di calcolo.

I giovani, per fortuna, sono usciti da uno stato letargico ed insieme ai giovani risvegliati, nel confronto e nel dialogo, i protagonisti delle lotte e della consapevolezza delle lotte ecopacifiste e sociali del recente passato forse riusciranno a salvare il cammino umano sulla Terra.

 

La Costituente della Terra. Ma non siamo solo gli abitanti di una casa comune

 

E’ appena uscito un appello, redatto in bozza da Riccardo Petrella, che chiama gli “abitanti della Terra” a istituire un “popolo della Terra” con l’obiettivo di promuovere una “Costituente della Terra”.

L’iniziativa nasce da una domanda giusta e importante: “come mettere in movimento i processi capaci di permettere all’Umanità di diventare nel corso dei prossimi anni/decenni il soggetto giuridico e politico-istituzionale capace di assumere il compito di assicurare la salvaguardia, la cura e la perennità della vita della Terra su scala planetaria”?

E si giunge ad individuare quattro gruppi di principi fondatori e di percorsi costituenti (PPC):
PPC 1. Per un divenire della vita della Terra fondato sulla sacralità e la gratuità della vita e la responsabilità dell’umanità
PPC2. Sradicare i fattori strutturali generatori dell’inuguaglianza per cui l’impoverimento/esclusione costituisce il maggiore furto della vita
PPC3. Rimpiazzare le logiche di guerra con le logiche della sicurezza collettiva e del potere diffuso tra tutti gli Abitanti della Terra (direttamente fra gli umani e via la rappresentanza tramite l’Umanità)
PPC 4. Primi strumenti operativi al servizio della messa in movimento della concezione e realizzazione del Patto dell’Umanità.

Il concetto di abitante di una casa comune non è, a nostro avviso, adeguato e lo sforzo giuridico da compiere sarebbe quello di individuare le categorie del riconoscimento non dell’appartenenza della Terra alla società umana ma dell’appartenenza della società umana alla Terra.

Detto questo, la proposta di una “Scuola per un nuovo pensiero” la troviamo interessante ed opportuna e pensiamo, come membri della Rete ICAN Italia, di potere collaborare con la nostra linea di ricerca sulla “educazione alla terrestrità”.

Riportiamo i temi di cui vorrebbe occuparsi la “Scuola Costituente Terra”, che vorrebbe “addestrarci a disimparare l’arte della guerra, per imparare invece l’arte di custodire il mondo e fare la pace”:

 

1) le nuove frontiere del diritto, il nuovo costituzionalismo e la rifondazione del potere;

 

2) il neo-liberismo e la crescente minaccia dell’anomia;

 

3) la critica delle culture ricevute e i nuovi nomi da dare a eventi e fasi della storia passata;

 

4) il lavoro e il Sabato, un lavoro non ridotto a merce, non oggetto di dominio e alienato dal tempo della vita;

 

5) la «Laudato sì» e l’ecologia integrale;

 

6) il principio femminile, come categoria rigeneratrice del diritto, dal mito di Antigone alla coesistenza dei volti di Levinas, al legame tra donna e natura fino alla metafora della madre-terra;

 

7) l’Intelligenza artificiale (il Führer artificiale?) e l’ultimo uomo;

 

8) come passare dalle culture di dominio e di guerra alle culture della liberazione e della pace;

 

9) come uscire dalla dialettica degli opposti, dalla contraddizione servo-signore e amico-nemico per assumere invece la logica dell’ et-et, della condivisione, dell’armonia delle differenze, dell’ «essere per l’altro», dell’ «essere l’altro»;

 

10) il congedo del cristianesimo dal regime costantiniano, nel suo arco «da Costantino ad Hitler», e la riapertura nella modernità della questione di Dio;

 

11) il «caso Bergoglio», preannuncio di una nuova fase della storia religiosa e secolare del mondo.

 

 

Terrestrità non è semplice internazionalismo, cosmopolitismo o mondialismo.

L’internazionalismo è un movimento e un’ideologia politica, nata nel XIX secolo, che persegue la cooperazione politica ed economica tra le popolazioni di
diverse nazioni per il beneficio di tutti. Sebbene col termine “internazionalismo” si intenda solitamente far riferimento all’internazionalismo proletario sono nate in seguito scuole di pensiero che sostengono e appoggiano l’esistenza di un “internazionalismo liberale”.
L’internazionalismo proletario è bene espresso dal famoso inno de “L’Internazionale”. Il suo concetto base risale al “Manifesto del Partito Comunista”, redatto nel 1848 da  Karl Marx e Friedrich Engels, che terminava con il famosissimo slogan: “Proletari di tutti i Paesi, unitevi!”.
I membri della classe operaia, avanguardia del proletariato, devono agire in solidarietà verso la rivoluzione globale e in supporto dei lavoratori degli altri paesi, piuttosto che seguire un percorso nazionale.
L’internazionalismo proletario è considerato un antidoto e un deterrente contro la guerre tra nazioni, poiché non è nell’interesse degli appartenenti alla classe proletaria usare le armi contro altri proletari, invece è più utile che lo facciano contro la borghesia, che, secondo il Marxismo, sfrutta e opprime i lavoratori. Mediante la solidarietà fra i proletari di tutte le nazioni si potrà arrivare alla fine dei conflitti fra nazioni, e quindi alla scomparsa delle stesse come stati nazionali (in base alla nota teoria marxiana dell’estinzione dello stato). Secondo la teoria marxista l’avversario dell’internazionalismo proletario è il nazionalismo borghese: in sintesi l’internazionalismo marxista considera la divisione del mondo in classi, nazioni e religioni un ostacolo allo sviluppo della civiltà umana.
(Nello sviluppo storico abbiamo poi avuto la dottrina e la pratica staliniana del “Socialismo in un solo Paese”: di fatto un socialismo nazionalista che ricercava la potenza dello Stato guida sovietico, cioè della Russia, avanguardia mondiale dei popoli oppressi in lotta – come “campo socialista” – contro il “campo imperialista”).
Nel XXI secolo l’internazionalismo proletario è stato ereditato dal pensiero e dai movimenti Alter-Global in antitesi a quella che è stata identificata come la globalizzazione capitalista del mondo occidentale. Lo scopo è quello di costruire un “altro mondo possibile”, abolendo totalmente gli “Stati-nazione”, ritenuti ormai obsoleti, secondo una concezione con addentellati anche anarchici, vagheggiata soprattutto dal Socialismo utopistico e, sebbene in forme e maniere differenti, dallo stesso Marx nel XIX secolo.
All’internazionalismo proletario poi si è contrapposto l’internazionalismo liberale ed infine quello neo-liberale. L’internazionalismo liberale è caratterizzato dall’idea della reciproca collaborazione fra le nazioni per la loro convivenza pacifica. Con questo intento nel XX secolo, dopo le due guerre mondiali, sorsero gli organismi internazionali, nati per mantenere la pace ed il rispetto di norme comuni in tutto il mondo. Un antesignano importante dell’internazionalismo liberale è considerato il famoso trattato del filosofo Immanuel Kant  “Per la pace perpetua” (1795), in cui si propone una fattiva collaborazione fra i vari Stati d’Europa per eliminare le guerre. Il “sentimento cosmopolitico”, tipicamente illuministico, deve cercare di evitare ogni tipo di conflittualità fra gli Stati stessi. Può essere notevole rammentare che il cosmopolitismo settecentesco criticava il “patriottismo”: nella Encyclopédie d’Holbach lo definiva “una mascheratura, in cui cadono gli ingenui “buoni patrioti”, messa in atto dal potere costituito per realizzare i propri interessi”. Al patriota viene propinato un ideale che raffigura tutti gli altri uomini come suoi nemici mentre al cosmopolita non interessa che la sua patria sia più o meno estesa, più o meno povera. La patria è semplicemente un concetto relativo in cui si identifica lo Stato quando assicuri ai cittadini libertà e felicità. “Dove c’è libertà là è la mia patria”, affermava Benjamin Franklin, uno dei padri del costituzionalismo americano.
L’ONU può quindi essere considerata il frutto dell’egemonia culturale del cosmopolitismo rivisitato nel Novecento, cioè dell’internazionalismo liberale.
Con il termine “mondialismo” viene indicato il processo storico dell’attuale globalizzazione capitalista, un particolare processo storico che sta portando a una progressiva unificazione e omogenizzazione (omologazione in senso occidentale, “occidentalizzazione”) dell’intero pianeta.
Il termine viene solitamente utilizzato nell’ambito della cosiddetta controinformazione in modo paradossalmente speculare dai movimenti e dai partiti politici di destra radicale e qualche volta anche in quelli della sinistra radicale.
La sinistra radicale denuncia la politica estera imperialista della NATO e degli USA, politica fondata sul cercare di conformare il mondo ai dettami del Pentagono e al modello economico e sociale statunitense, in questo senso una politica di stampo “mondialista”, dove per “mondialismo” si intende l’imposizione di un modello politico (o di altro tipo) su scala mondiale, una globalizzazione imposta (militarmente, economicamente, culturalmente) e non spontanea.
Non coglie però – tale sinistra – che logiche simili, anche se con minori proiezioni di potenza per ovvi motivi storici, si sviluppano le politiche della Cina e della Russia,
e persino le politiche ispirate dall’islamismo integralista, sia esso guidato da grandi potenze (Arabia Saudita ad es) che da formazioni estremiste (Al Qaeda, Isis, ecc).

Terrestrità non è semplice mondialità o altermondialità

La parola mondialità, di conio ONU-UNESCO, è invece usata in una accezione positiva da organizzazioni cattoliche e pacifiste e rinvia all’idea di una unica famiglia umana, fondata sul dialogo interculturale (specialmente inter-religioso) e la solidarietà tra le persone, le comunità, i popoli. Suoi riferimenti sono la pace, la giustizia, il rispetto dei diritti umani e dell’ambiente.
Quello che il concetto di terrestrità aggiunge alla semplice mondialità nasce dall’introiezione ed assimilazione più coerente e profonda del pensiero ecologista. Gli esseri umani non sono solo abitanti del Pianeta Terra, ma figli e figlie di Gaia, la Madre Terra, cioè parte, membri di un unico super- organismo vivente. Qui non solo si va ben oltre gli Stati-nazione e la stessa comunità degli Stati-nazione.
La cultura della pace del XXI secolo viene resa coerente e può passare da una visione strettamente antropocentrica ad una visione olistica biocentrica includente la totalità degli esseri viventi (mondo dei geni, mondo vegetale, mondo animale, mondo umano…). Da qui l’importanza dello sviluppo dei diritti degl animali, delle piante, della “Natura”, composta da “ecosistemi” cui si può pensare di riconoscere personalità giuridica (già nel 2017 è avvenuto con cinque fiumi).
L’Umanità in quanto tale deve diventare un soggetto giuridico, e questa era la proposta della Carta che Corinne Lapage, ministro dell’ambiente francese, non riuscì a presentare alla COP 25 di Parigi perchè conteneva l’istanza antinucleare.
Ma nemmeno questo basta: bisogna, sottolineamolo, anche riconoscere i diritti autonomi della Natura, da identificare come comunità globale di vita, e per soprammercato come equilibrio tra ciò che possiamo definire vivente e ciò che non lo è.
Lo aveva intuito San Francesco d’Assisi: anche ciò che non è vivente, ma è alla base della nostra vita, va considerato nostro fratello e sorella: l’acqua, il fuoco, il Sole, le stelle, la Luna…
La diseguaglianza è inaccettabile, ma bisogna riconoscere il suo nesso con la guerra contro la Natura, espresso dall’intreccio tra emergenza climatica ed emergenza nucleare.
La pace tra Uomo e Natura, condizione della lotta alla disuguaglianza, postula cambiamenti radicali, il rivoluzionamento dei principi fondatori dei sistemi economici, politici, militari, ideologici dominanti.
La Terra è molto di più che il nostro “luogo di vita” (oikos), la nostra “casa comune”, per come ce la indica una metafora usata ed abusata.
E’ la nostra Madre, è la Natura cui apparteniamo e quindi non ci può appartenere. Nessun essere umano, nessuna organizzazione umana ne può essere proprietario/a.
Gli esseri umani, come tutte le specie viventi, sono il risultato dell’evoluzione della vita della Terra, vita nata circa 3 miliardi di anni fa su un Pianeta che ha 5 miliardi di anni.
Ogni comunità umana va allora considerata un membro vivo dell’unico ecosistema terrestre: per questo l’escludere, il segregare, il mettere in pericolo di vita gruppi, categorie o comunità umane devono essere trattati come atti criminali da condannare senza compromessi. Ma questo stigma di comportamento criminale andrebbe attribuito anche ai comportamenti che mettono a rischio gli ecosistemi particolari che compongono l’ecosistema globale.
La cittadinanza globale deve prescindere dall’appartenenza ad un singolo Stato “nazionale”, ed anche dall’essere “risorsa” per l’economia il cui valore è determinato in funzione al suo contributo alla creazione della “crescita” calcolata in termini monetari.
La cittadinanza per gli uomini e per le donne deve essere riconoscimento di appartenenza alla comunità dei viventi, nel recepimento della visione moderna (ricollegantesi anche ad alcune visioni ancestrali dei popoli indigeni) che ha superato l’antropocentrismo con il biocentrismo.
Oggi, la distinzione tra la specie umana (l’umanità) e le altre specie viventi resta ma abbiamo acquisito la coscienza di far parte integrante dell’insieme della vita della Terra e della sua evoluzione. Esseri umani, facciamo parte della “Natura”, siamo “Natura”. Insieme alle altre specie viventi costituiamo la comunità globale della vita della Terra, ben piantata sulla sua necessaria infrastruttura fisico-materiale.
La Terra, anche nel suo scheletro non vivente, dobbiamo concepirla come un unico super-organismo di cui siamo “membri” organici.
Questa nuova visione biocentrica, concretamente, sul piano organizzativo del vivere insieme, ci conduce ad entrare in una prospettiva storica dell’istituzionalizzazione giuridico- politica della « comunità globale della vita », ossia dell’ecosistema globale.
Quando si parla di “proteggere” o “salvare” la vita della terra, si parla dell’equilibrio e della cooperazione di tutte le specie viventi nel rapporto indissolubile con l’infrastruttura non vivente.
Pertanto se l’economia, come dice la sua etimologia, è l’insieme delle “regole della casa”  è evidente che essa deve diventare un sottoinsieme dell’ecologia, cioè che l’attuale economia mondiale deve essere modificata alle radici perché essa non è altro che un insieme di regole fondate sul principio dell’accumulazione illimitata a profitto di pochi, che, violentando la Natura, genera esclusione, inuguaglianza, competitività, guerra.
Ma altrettanto devono essere soggetti a cambiamento i sistemi politici e culturali fondati sulle medesime finalità.
Un punto su cui, per finire, bisognerebbe riflettere è anche se il biocentrismo possa rappresentare un antidoto alle rappresentazioni titaniche dell’uomo come quelle implicate dal concetto di “antropocene”, cioè della convinzione che le attività umane siano ormai diventate la forza determinante nello stabilire i destini della vita e le leggi di sviluppo del Pianeta. Esiste la responsabilità umana, una particolare responsabilità di “custodi” e coordinatori in virtù dell’intelligenza, ma deve sottrarsi alle sirene implicite della “deificazione”, cioè alla idea che la vita in quanto tale, nelle forme e negli sviluppi, dipende ormai solo da noi. Non dobbiamo pretendere di indirizzare il divenire della Vita, ma solamente fare la nostra parte, con intelligenza e saggezza, con l’uso ragionevole delle conoscenze scientifiche, per garantirne l’equilibrio nel continuare lo svolgimento naturale dell’evoluzione.