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Decarbonizzazione e emergenza climatica di Mario Agostinelli

UNA MOBILITAZIONE DELLA SOCIETA’ E DEL MONDO DEL LAVORO PER LA DECARBONIZZAZIONE E L’EMERGENZA CLIMATICA

Mario Agostinelli, Inchiesta Settembre 2019

Bill Mckibben, un ambientalista statunitense attivo anche come scrittore e giornalista, definito nel 2010 dal Boston Globe come “probabilmente l’ambientalista più influente della nazione”, ha lavorato sul cambiamento climatico per trent’anni e dice di aver imparato a liberare la sua angoscia e a tenerla sotto controllo. Ma, negli ultimi mesi, ammette che la sua angoscia vera riguarda i suoi figli. Questa primavera è stato registrato per la concentrazione di l’anidride carbonica nell’atmosfera il livello record di 415 parti per milione, superiore a quanto non sia mai stato in molti milioni di anni. L’estate è iniziata con il mese più caldo mai registrato, quindi Luglio è diventato il mese più caldo dell’era moderna. Il Regno Unito, la Francia e la Germania, hanno tutti raggiunto nuove alte temperature e il calore si è spostato verso nord, fino a quando la maggior parte della Groenlandia si è sciolta e immensi incendi siberiani hanno inviato grandi nuvole di carbonio verso il cielo. All’inizio di settembre, l’uragano Dorian si è fermato sopra le Bahamas, dove ha scatenato quello che un meteorologo ha definito “il più lungo assedio di tempo violento e distruttivo mai osservato” sul nostro pianeta. Gli avvertimenti scientifici di tre decenni fa sono i più micidiali avvisi di calore del presente e, per il futuro, ci impongono scadenze rigide. Lo scorso autunno, gli scienziati climatici di tutto il mondo hanno affermato che, se vogliamo raggiungere gli obiettivi fissati nell’accordo sul clima di Parigi del 2015, 

Nel mondo di Trump e Putin e Bolsonaro e delle compagnie di combustibili fossili che li sostengono, sembra impossibile modificare il quadro che si prospetta. Invece non è nemmeno tecnologicamente impossibile: nell’ultimo decennio è stato abbassato il prezzo dell’energia solare ed eolica rispettivamente del novanta e settanta per cento. Ma non basta, se oltre alla tecnologia non muta la direzione dell’economia capitalista e se non entra in campo, assieme ai movimenti planetari degli studenti e delle donne il movimento delle lavoratrici e dei lavoratori. **** 

In effetti la vera buona notizia è che, quando la crisi diventa più evidente, molte più persone si uniscono alla lotta. Nell’anno in cui gli scienziati hanno lanciato il loro allarme di è potuto riscontrare la proposta del Nuovo Green new Deal della Ocasio Cortez, gli exploit di Extinction Rebellion e la diffusione globale degli scioperi degli studenti avviata dall’adolescente svedese Greta Thunberg. E – grande novità per il nostro Paese – Il segretario Generale della CGIL Maurizio Landini afferma da Lilli Gruber e nellaassemblea programmatica riservata ai delegati dei luoghi di lavoro che il problema principale per il suo sindacato è contrastare il brusco cambiamento climatico a partire dai luoghi di lavoro. Sembra che ci siano finalmente che nasca una massa critica per sostenere un conflitto ed un risultato utile. 

La domanda tuttavia è pressante: quali sono le forze su cui contare per il cambiamento nel tempo necessario?

Alcuni di noi hanno iniziato a cambiare la propria vita, impegnandosi a volare di meno e a mangiare più in basso nella catena alimentare. Ma, qualunque siano le nostre intenzioni, ognuno di noi è attualmente costretto a bruciare una discreta quantità di combustibile fossile: se non c’è un treno che porta a destinazione, non puoi prenderlo. Altri – in realtà, spesso le stesse persone – stanno lavorando per eleggere candidati “più ecologici” che attuino pressioni per approvare programmi politici e avviare procedimenti giudiziari contro le grandi opere inutili.

Ma queste azioni potrebbero non ripagare abbastanza velocemente. Il cambiamento climatico è un test a tempo, uno dei primi che la nostra civiltà ha affrontato, e secondo i rapporti scientifici la finestra in cui inserire il cambiamento si restringe al passare dei mesi, non degli anni. Al contrario, il cambiamento culturale – ciò che mangiamo, il modo in cui viviamo – spesso avviene per generazioni e il cambiamento politico che comporta un lento compromesso sembra ostacolato dai negazionisti e da chi dirige la paura verso obiettivi escludenti e la sfiducia nella democrazia.

Forse va ammesso, assunto e scommesso sul fatto che i leader politici non sono gli unici attori del pianeta e che nella società attuale, con la vittoria incontrastata del liberismo, anche e soprattutto chi concentra la maggior parte del denaro e della ricchezza depredata a spese del lavoro e della natura, ha un potere che potrebbe essere esercitato in pochi mesi o addirittura ore. Mckibben suggerisce che la chiave per interrompere il flusso di carbonio nell’atmosfera sia quella di interrompere il flusso di denaro verso carbone, petrolio e gas. Bisogna da subito avviare la decarbonizzazione dell’economia e della società e interrompere il sostegno finanziario che spesso attori non consapevoli riservano al vecchio modello energetico ancora determinante. 

Shell ha definito il disinvestimento un “effetto negativo materiale” sulle sue prestazioni. La campagna di disinvestimento ha reso pubblica la notizia più eclatante dell’era del riscaldamento globale: che l’industria ha nelle sue riserve cinque volte più carbonio di quanto il consenso scientifico pensi che possiamo tranquillamente bruciare. Un’istituzione religiosa dopo l’altra si è spogliata di petrolio e gas e Papa Francesco ha convocato i dirigenti del settore energetico in Vaticano per dire loro che devono lasciare il carbone sottoterra. 

Il sistema bancario si è unita alle industrie del fossile per impedirne l’uscita di scena  Nei tre anni trascorsi dalla fine dei colloqui sul clima di Parigi, la banca Chase ha investito 196 miliardi di dollari in finanziamenti per l’industria dei combustibili fossili, molti dei quali per finanziare nuove iniziative estreme: trivellazioni in acque ultra-profonde, estrazione di petrolio artico, trivellazioni nell’Adriatico. Nei fatti, Jamie Dimon, il C.E.O. di JPMorgan Chase, è un barone del petrolio, carbone e gas quasi senza pari.

Lo stesso vale per le attività di gestione patrimoniale e assicurativa: senza di esse le società di combustibili fossili rimarrebbero quasi letteralmente a corto di gas. Ma il capitalismo non è noto per arrendersi alle fonti di entrate e non si preoccupa dello scioglimento della calotta artica.

Quando si riflette sulla dimensione di questi problemi, appare in tutta la sua povertà la dimensione della politica, che garantisce la costruzione di gasdotti come il TAP o la riconversione della centrali a carbone in impianti a gas fossile con la prospettiva di ritorno degli investimenti a 25 anni, che solo la politica e le tariffe in bolletta dei cittadini ignari e non la società o il mondo del lavoro o le prospettive del welfare possono garantire.

A questo proposito vorrei qui mettere in rilievo una riflessione ed una proposta sul sistema energetico e i cambiamenti climatici lanciata da una aggregazione di personalità del mondo scientifico, culturale, associativo. In essa (v. https://zeroemission.eu/riduzione-dei-gas-serra-al-2030-lappello-di-massimo-scalia/ ) si afferma che “La più grande minaccia di questo secolo” – il cambiamento climatico, la transizione all’instabilità climatica – si sta delineando con eventi sempre più drammatici e che le conseguenze del cambiamento climatico che si abbatte su uomini e cose con l’intensità degli eventi meteorologici estremi, documenta una più generale crisi ambientale: la devastazione di uno sviluppo fondato sulla spoliazione e il saccheggio delle risorse naturali, come conseguenza del modo capitalistico di produrre e consumare. Esemplare, al riguardo, il nuovo odioso colonialismo del landgrabbing, che attraverso i meccanismi della mera acquisizione di mercato priva intere popolazioni dei loro diritti, delle loro terre e delle loro acque senza dar loro nemmeno la possibilità di essere ascoltati o addirittura attraverso vere e proprie deportazioni. In America Latina, Asia e Africa sempre più grandi foreste, terre comunitarie, bacini fluviali e interi ecosistemi vengono spogliati e le comunità sfollate. La diversità biologica viene costantemente ridotta, la grande barriera corallina australiana è a rischio nei suoi 3000 km. Il respiro degli oceani è soffocato dalla plastica. 

Si ripropone la battaglia a favore dell’ambiente, contro il global warming e per una generale riconversione ecologica dell’economia e della società, come impegno culturale, sociale e morale. Si ricorda che la “Laudato si’” di Papa Bergoglio ha messo in risalto gli aspetti umani e spirituali di questa nuova visione.

Purtroppo però, i governi di tutto il mondo, colpevolmente lenti nell’applicare il Protocollo di Kyoto (2005) e oggi in ritardo nell’attuare gli impegni dell’Accordo di Parigi ratificati nel 2016 da 180 Paesi, non accelerano la loro azione per fare più efficacemente fronte al cambiamento climatico e mantenere l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura media globale entro 1,5 °C. A pagare lo sconquasso del clima sono soprattutto le popolazioni più povere e vulnerabili, colpite dalle migrazioni interne o dalla fuga disperata dalle loro terre, da fame, sete e malattie endemiche, marginalizzate nei loro territori, spesso nel nome stesso dello sviluppo e dell’innovazione. I rischi dovuti ai disastri ambientali accrescono tensioni e conflitti e nel 2017 hanno causato, da soli, l’esodo di 60 milioni di rifugiati ambientali, ma saranno quattro volte tanti nel giro di soli vent’anni. Non si tratta solo dell’accoglienza e della sicurezza. Occorre “costruire ponti”, capaci di ridurre la distanza tra chi ha troppo e chi non ha abbastanza, tra l’opulenza e la povertà, come indicato dagli obiettivi globali dell’Agenda 2030 proposta dalle Nazioni Unite. Occorre quindi modificare gli stili di vita, le culture e il modo di pensare se si vuole dare futuro al futuro. Trasformare i rifiuti in nuovi prodotti com’è tecnologicamente possibile, fare di più con meno, organizzare la società della sufficienza affinché ogni risorsa sia utilizzata senza sprechi e nel modo più appropriato fino all’autogestione. E, da subito, “decarbonizzare” l’economia sostituendo i combustibili fossili con le fonti rinnovabili.

Anche la voce della neo-presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, si è levata per proporre al Parlamento europeo a Strasburgo l’obiettivo di riduzione del 50-55% di CO2, il gas serra dominante, entro il 2030, facendo così schizzare a quel livello il target che la UE aveva in precedenza fissato al 32%. E, conseguentemente, di mantenere “un ruolo di guida della UE nei negoziati internazionali per far crescere il livello di ambizione delle altre principali economie entro il 2021”. 

Il Governo italiano, continuando a perseguire un atteggiamento vergognosamente caudatario, ha proposto nel Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) un obiettivo di solo il 33%. 

La novità offerta dallo straordinario protagonismo degli studenti di Fridayforfuture nell’ultima settimana di Settembre ed un primo coinvolgimento dei lavoratori e del loro sindacato, confermato dalle iniziative della CGIL e da una riflessione intensa e foriera di riflessioni nel suo gruppo dirigente, fa presumere che possa attuarsi in tutto il Paese la più ampia mobilitazione possibile

Il Governo non può sentirsi rappresentato sul tema del clima, come nei confronti dell’immigrazione, dall’involuzione a destra dei i Paesi di Visegrad in nome di un  miope privilegio degli “interessi nazionali”, che non si pone all’altezza della tremenda sfida e delle responsabilità che il cambiamento climatico impone a tutti.

Per favorire questa mobilitazione, per dargli il carattere capillare di confronto con cittadini, organi territoriali elettivi, istituzioni e enti pubblici, luoghi di lavoro e di socializzazione, organi di informazione, occorre pensare anche allo strumento di una legge d’iniziativa popolare che assuma l’obiettivo del 50% per l’Italia e indichi la carbon tax come mezzo principale per coprire la spesa pubblica finalizzata a quell’obiettivo. L’adesione del sindacato unitario a questa impresa è senz’altro determinante.

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Perché il governo italiano vota per inserire il nucleare tra le energie finanziabili dalla UE?

da parte Alfonso Navarra – Disarmisti esigenti
Alla cortese attenzione di gentili deputate e senatrici, deputati e senatori:
Danilo Toninelli – capo gruppo al Senato del M5S
Francesco Silvestri – vice capo gruppo vicario alla Camera del M5S
Andrea Marcucci – capo gruppo al Senato del PD
Graziano Delrio – capo gruppo alla Camera del PD
Loredana De Petris – capo gruppo al Senato di Gruppo Misto
Federico Fornaro – capo gruppo alla Camera di LeU
Davide Faraone – capo gruppo al Senato di Italia Viva
Maria Elena Boschi – capo gruppo alla Camera di Italia Viva

Ricordiamo i primi firmatari dell’appello sulla emergenza climatica lanciato nell’aprile 2019

Si può firmare ancora on line : https://www.petizioni.com/dichiarazione-emergenzaclimatica

Moni Ovadia – Alex Zanotelli – Edo Ronchi – Grazia Francescato – Guido Viale – Mario Salomone – Loredana De Petris – Vasco Errani – Vittorio Agnoletto – Alessandro Marescotti – Antonia Baraldi Sani – Oliviero Sorbini – Michele Carducci – Francesco Masi –

Quale contributo alla lotta per superare la crisi ecologica, composta di diversi aspetti interdipendenti, di fronte al fatto che è cambiata la maggioranza parlamentare ed abbiamo oggi un governo che vuole attuare un Green New Deal, riproponiamo la nostra richiesta di aprile: l’Italia proclami lo stato di emergenza climatica. Ricordiamo che questa nostra iniziativa ha contribuito alla presentazione di una mozione in tal senso al Senato, prima firmataria Loredana De Petris, ed una alla Camera, prima firmataria Rossella Muroni. 

Sollecitiamo i gruppi parlamentari a fissare la discussione e ad approvare la dichiarazione di emergenza climatica prima della apertura della COP 25 in Cile (si terrà ad inizio dicembre 2019, dal 2 al 13).
Da parte nostra e’ chiaro che ci impegniamo essere vigili affinché agli slogan mediatici seguano fatti seri: lavoriamo e lavoreremo in questo senso con le forze ecopacifiste e con i nuovi movimenti giovanili e nonviolenti di ribellione alla estinzione.
Ribadiamo – come già indicava l’appello di aprile – che esiste un intreccio tra minaccia climatica e minaccia nucleare e che a nessun livello e in nessun caso riteniamo si possa permettere che il nucleare possa essere prospettato e gestito tra le soluzioni alla crisi climatica.
Il nucleare come sistema della deterrenza è la massima espressione dell’attività bellica (quindi tra le principali fonti emissive); ed il ciclo del combustibile, anche esso di possibile uso militare, con la sua eredità di scorie radioattive non smaltibili, basta da solo a mettere a rischio la sopravvivenza umana.
Per l’Italia questa contrarietà alla tecnologia nucleare per applicazioni di massa oltretutto non è una opinione personale degli scriventi: va sempre premesso che il popolo italiano si è espresso contro l’energia nucleare in modo inoppugnabile con ben due voti referendari, nel 1987 e nel 2011.
A questo proposito chiediamo al governo italiano chiarimenti sulla posizione, come minimo incresciosa nei termini in cui la abbiamo appresa dalla stampa e dai blog*, che sarebbe stata presa al Consiglio Europeo del 25 settembre.
Chiediamo infatti spiegazioni su come sarebbe maturata la scelta di votare a favore dello slittamento di due anni dell’adozione della tassonomia per la classificazione degli investimenti sostenibili, decidendo per giunta di non escludere dalla finanza sostenibile i progetti legati all’energia nucleare.
Di questa esigenza di chiarimento, fortemente indicativa di quanto ci si possa fidare delle promesse verdi del nuovo governo, invitiamo a farsene carico i parlamentari sensibili mediante gli atti istituzionali opportuni.

 
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EMERGENZA NUCLEARE di Alfonso Navarra

26 SETTEMBRE , PETROV DAY, GIORNATA DI DISOBBEDIENZA NONVIOLENTA

IL GOVERNO RICONOSCA, INSIEME A QUELLA CLIMATICA, L’EMERGENZA NUCLEARE: ADERISCA, PER COMINCIARE, AL TRATTATO DI PROIBIZIONE DELLE ARMI NUCLEARI

 

Ignorata dai più, la minaccia nucleare, sia militare che civile (due facce della stessa medaglia),

incombe come una spada di Damocle sulla nostra testa: ricorrendo ad una metafora analoga alla

“casa comune che brucia”, possiamo paragonarla al gas esplosivo che si accumula e inonda un

condominio dal tubo del metanodotto di cui non sia stata chiusa la valvola di flusso. 

Il rischio “atomico”, alimentato dalle competizioni di potenza, dalla corsa agli armamenti, dai conflitti,

nel suo intreccio con la minaccia climatica e con la minaccia della diseguaglianza sociale,

innescato da una qualsiasi scintilla, può deflagrare in ogni momento. E condurre in un amen al

completamento della sesta estinzione di massa.

Lo scoppio di una guerra nucleare può accadere persino per caso, per incidente o per errore di

calcolo, provocando, nel caso fortunato, quello di scambi missilistici localizzati (la guerra “di

teatro” o lo scontro tra medie potenze), la distruzione della civiltà umana (si dovrebbero, ad

esempio, fare i conti con inverni nucleari continentali!) e, nel caso peggiore, se totale e globale

conflitto tra superpotenze, della intera vita sulla Terra.

Noi, le promotrici e i promotori della presente iniziativa, non vogliamo lasciarci passivamente

trascinare nel baratro mortale verso il quale il sistema dell’accumulazione illimitata – per il

profitto e la potenza – ci sta orribilmente spingendo giorno dopo giorno! 

Un sistema che – ricorda il missionario comboniano Padre Alex Zanotelli –  si erge a protezione della profonda ingiustizia globale, servendo quell’1% di straricchi della popolazione mondiale, che con il 10% dei suoi maggiordomi “affluenti”, oggi consuma il 90% dei beni di questo mondo.

 Un sistema che coltiva una falsa idea della “sicurezza”, basata sulla dissuasione distruttiva quale principio difensivo: mi sento come Stato tanto più garantito nei riguardi delle potenziali offese altrui quanto più sono in grado di scatenare – ed il “nemico” ne deve essere credibilmente ammonito – forze fisiche che

uccidono e sterminano in modo massiccio e provocano disastri materiali catastrofici.

La deterrenza nucleare, cioè la preparazione e la minaccia dello sterminio atomico per sedicenti

esigenze di difesa, dimostra dove portano l’idea e la pratica della guerra, che è un male

incontenibile, scatenante il massimo possibile di violenza, di distruzione; e di inquinamento. I

complessi militari industriali e la logica della potenza degli Stati sono i motori propulsivi di

attività belliche e militari devastatrici, è ovvio, ma anche fortemente inquinanti, anzi forse le

più inquinanti in assoluto. Dobbiamo considerare che la macchina bellica, armata nella sua

ultima ratio di denti nucleari, va oggi normalmente a petrolio e molto spesso è in moto, nel suo

quotidiano ed ordinario esplicarsi, per il controllo delle limitate e localizzate fonti fossili. Si fa,

insomma, la guerra con il petrolio e la guerra per il petrolio! Ma un carro armato, un

cacciabombardiere, una portaerei che spara missili Cruise fanno guerra anche al clima oltre che

all’ambiente: non è da ritenersi irrealistica una stima intorno al 15% della CO2 emessa come

portato dei 1.700 miliardi annui di spese militari. Le strutture e le attività che tale spaventoso

budget lubrifica sono responsabili, va sottolineato ancora, di vittime umane, di sconvolgimenti

ambientali, di spostamenti forzati e drammatici di popolazioni; e di riscaldamento globale.

La deterrenza nucleare è ciò che porta alle estreme conseguenze la logica della guerra; è il suo

fondamento mentale (sono tanto più sicuro quanto più sono in grado di uccidere) ed il suo

coronamento ultimo: è ciò che può fare della pratica patologica dei conflitti armati una crisi con

lo sbocco non solo della morte di alcuni esseri umani, ma della morte di tutti gli esseri umani,

per sempre.

Essa gioca, rispetto all’apparato degli Stati-potenza e dei complessi militari industriali, un ruolo

analogo a quello della crisi climatica all’interno della più complessa crisi ecologica: non copre

tutte le patologie di un organismo malato, ma è una situazione di stress pericoloso che può

determinare determinare il passaggio immediato dallo stato di vivente allo stato di non vivente. Una persona

colpita da infarto a cui si ferma il cuore può essere malata di tantissime altre cose, può incubare

un terribile tumore. Ciò non toglie che diventa una priorità da parte dei soccorritori compiere

delle manovre adeguate o usare il defribillatore per ripristinare il battito cardiaco onde evitare

l’immediato decesso e quindi dare anche il tempo e le opportunità per curare tutte le altre

malattie. Senza contare che, a differenza che nel nostro esempio, l’intervento emergenziale,

soprattutto nel caso dell’intervento emergenziale sulla crisi climatica, può costituire di per sé

stesso un decisivo abbrivio al cambiamento totale di sistema. La manovra emergenziale cura

anche i tumori che affliggono la nostra civilizzazione rosa dal cancro della crescita illimitata (e

della proprietà oligarchica dei grandi mezzi di produzione e delle grandi masse monetarie)!

Accogliamo allora con gioia il risveglio della nuova generazione che sulla crisi climatica si sta

mobilitando in tutto il mondo: prende sul serio i rapporti della comunità scientifica mondiale, ha

capito che non c’è più tempo, che adesso è il momento di agire per garantirsi un futuro (e per

conservare il senso della storia umana sulla Terra)!

Allo stesso tempo ci sgomenta l’indifferenza generale con la quale si trascurano, anche nei cortei

per il clima, le terribili notizie sui trattati internazionali disdetti (quello sugli euromissili e lo

START che non verrà rinnovato), sulle migliaia di miliardi di dollari destinate ad ammodernare le

armi “fine del mondo”, sul moltiplicarsi e l’aggravarsi delle crisi in cui il “bastone atomico” viene

esplicitamente brandito (USA-Corea del Nord, USA-Israele-Iran, USA-Russia per l’Ucraina, India-

Pakistan, eccetera).

Siamo atterriti che nelle alte sfere militari si discuta con nonchalance, nella sottovalutazione e

persino nell’apatia dei media, di trasferire il potere decisionale sulle eventuali reazioni ad

attacchi nucleari a tecnologie immature e comunque controverse come l’intelligenza artificiale.

Siamo alla follia assoluta: consegnare la vita universale nelle mani della presunta coscienza delle

macchine!

L’inquinamento radioattivo, frutto della preparazione della guerra nucleare collegata alla

tecnologia pseudo civile di produzione elettrica, compie in silenzio il suo sporco lavoro di

aggressione alla materia vivente: Chernobyl è un mostro per nulla dormiente, l’acqua di

Fukushima viene scaricata nell’Oceano, le centrali francesi sono colpite da un incidente dietro

l’altro, le scorie radioattive che non si riescono a smaltire sono bombe a scoppio ritardato… ed

ancora l’opinione pubblica poco avvertita permette che possano essere riconosciuti quali

“ecologisti” i sostenitori della soluzione nucleare spacciata falsamente come energia pulita in

grado di ridurre le emissioni di CO2!

Si pensi, tra gli output del ciclo nucleare, al plutonio e alla sua capacità inquinante. “Il plutonio

è stato prodotto, concentrato e isolato in grandi quantità (centinaia di tonnellate) durante gli

anni della guerra fredda per la produzione di armi. Questi depositi, siano o meno in forma di

armi, rappresentano un rischio tossicologico significativo principalmente perché non esistono vie

facilmente praticabili per il loro smaltimento”.(da wikipedia). Si potrebbe dire più

correttamente che AL MOMENTO – E NELL’ATTUALE STADIO DELLA NOSTRA CIVILTA’ TECNOLOGICA –

NON ESISTONO VIE PRATICABILI PER LO SMALTIMENTO DEL PLUTONIO. Il plutonio, elemento artificiale che non esiste praticamente in natura, è talmente tossico e radioattivo che basta

inalarne una quantità infinitesima per sviluppare un cancro al polmone. La sua radioattività è

praticamente eterna sulla scala temporale umana: impiega 24.400 anni circa per dimezzare.

Dati antiquati del 2006 – quindi da aggiornare – ci dicono che:”Per scopi militari sono state

prodotte oltre 250 tonnellate di plutonio e più di 2200 tonnellate di uranio altamente arricchito

(HEU)”.(Relazione di Paolo Cotta Ramusino, presidente USPID, ad un seminario ENEA). E questi

dati non si riferiscono al materiale fissile, molto più consistente, prodotto per gli usi sedicenti

civili. Ad esempio, solo nel Giappone attualmente sarebbero stoccate 11 tonnellate di plutonio, mentre altre 36 tonnellate vengono trattate in Gran Bretagna e Francia per poi essere rinviate

indietro al governo di Tokio. Corrispondendo 1 tonnellata ad un milione di grammi ed essendo 1

grammo di plutonio ottimalmente distribuito capace di sviluppare 1,8 milioni di cancri al

polmone (Enzo Tiezzi ripreso da Gianni Mattioli e prima ancora da Helen Caldicott) basterebbe

un semplice calcolo aritmetico per dedurre che il solo plutonio giapponese sarebbe teoricamente

capace di sterminare centinaia di volte l’attuale umanità!

Ecco perché noi, cittadine e cittadini preoccupati, firmatari del presente appello ,

CONDIVIDENDO CON I GIOVANI “RISVEGLIATI” LA CONSAPEVOLEZZA DELLA CRISI CLIMATICA, MA CON UN TRAGICO SURPLUS DI COGNIZIONE SUL RISCHIO MORTALE COSTITUITO DAL NUCLEARE MILITARE E CIVILE, DENUNCIATO DA SETTORI CONSISTENTI DELLA COMUNITA’ SCIENTIFICA E DALLA STESSA ONU CHE HA AVVIATO IL PROCESSO DELLA PROIBIZIONE DELLE ARMI NUCLEARI

chiediamo a tutti i responsabili delle amministrazioni pubbliche, in primo luogo al Governo del

nostro Paese:

di riconoscere e dichiarare lo stato di emergenza nucleare dell’Umanità. L’emergenza proclamata

va intesa come la presa d’atto della sussistenza di un rischio di estinzione per la specie umana

del tutto inaccettabile, nel contrastare il quale occorre assumere responsabilità politica a tutti i

livelli con straordinaria determinazione e focalizzazione di impegno;

di considerare, di conseguenza, a partire da subito, come la priorità del presente, e dei prossimi

anni , la lotta per il disarmo e la denuclearizzazione volta ad eliminare tale rischio, da collegare

anche alla lotta contro il riscaldamento globale e per la transizione a un’economia sostenibile

(il Green New Deal);

di aderire da subito, come Paese al Trattato di proibizione delle armi nucleari, lanciato da una

Conferenza ONU del luglio 2017. E di fare sì che nelle sedi internazionali, a partire dalla

revisione del Trattato di Non Proliferazione programmata nel 2020, si proponga il principio

abrogazionista del nucleare come motore di un nuovo ordine giuridico internazionale e di

negoziati diplomatici globali che portino ad un effettivo disarmo;

di escludere in tutte le sedi l’opzione nucleare tra possibili soluzioni al cambiamento climatico,

con ciò ribadendo la volontà del popolo italiano espressa nel voto referendario del 2011.

Di fronte alla prospettiva per nulla astratta e risibile dell’estinzione, cui occorre ribellarsi,

riteniamo sia necessario andare oltre le campagne e le forme di lotta convenzionali ed

indichiamo, per combattere la minaccia nucleare concepita come emergenza, l’adozione di un

modello nonviolento di resistenza civile.

Invitiamo a moltiplicare le iniziative e le proteste e a promuovere la disobbedienza civile di

massa, indispensabile per gettare il peso dei “persuasi” nel dibattito pubblico e scuotere così le

coscienze sollecitando la sensibilizzazione e l’attivizzazione della base popolare da cui non si può

prescindere per superare la crisi globale che stiamo vivendo.

Indichiamo come possibile scadenza per una grande azione di disobbedienza civile, con forme

decentrate e diffuse, ma anche con un momento di convergenza sulla capitale Roma, il 26

settembre 2020.

Questa data è il Petrov day, è il giorno in cui l’ONU ha indicato la necessità del bando delle armi

nucleari in ricordo dell’obiezione di coscienza del colonnello sovietico che il 26 settembre 1983

riuscì ad impedire che un falso allarme dei computer su un attacco missilistico USA (in realtà onde elettromagnetiche del sole riflesse dalle nuvole!) scatenasse la risposta missilistica di

Mosca.

In questa data simbolica proponiamo alle donne e agli uomini di buona volontà, singoli o

organizzati, che ci si riunisca, si manifesti, si agisca con il cervello e con il cuore per

concretizzare la nostra volontà di ribellione ragionata e pacifica alla massima minaccia sicura

contro il futuro della sopravvivenza umana.

Protestiamo e disobbediamo, il 26 settembre, il Petrov Day, contro l’intreccio tra minaccia

nucleare e minaccia climatica, contro la minaccia delle tecnologie contro l’uomo e contro la

Natura, per la pace tra la società e la Terra e quindi per la pace tra gli esseri umani.

Le persone e le associazioni che vogliono attivarsi ci possono contattare a queste mail:

kronospn@tiscali.it

coordinamentodisarmisti@gmail.com

alfiononuke@gmail.com

 

Condividono le considerazioni di Alfonso Navarra: 

 

Moni Ovadia, Antonia Sani, Oliviero Sorbini, Luigi Mosca,

Francesco Masi, Michele Carducci, Adriano Ciccioni, Massimo Aliprandini .