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Diritto alla Pace e Diritto ad un Ambiente sano per una Economia di Pace

WILPF Italia
in collaborazione con
Accademia Kronos e Il Sole di Parigi
Diritto alla Pace e Diritto ad un Ambiente sano
per una Economia di Pace
Roma, martedì 30 Aprile 2019 ore 9.30- 13.30
CESV, Via Liberiana n.17

Il convegno, promosso da WILPF Italia – Lega Internazionale Donne per la Pace e la Libertà – in collaborazione con Accademia Kronos e Il Sole di Parigi, rientra nelle attività del Progetto Nazionale di WILPF Italia “Pace femminista in azione: giustizia climatica, sicurezza e salute”
( www.pacefemministainazione.com).

Le donne della WILPF Italia, come tutte le wilpfers nel mondo, si impegnano a rilanciare con forza la consapevolezza collettiva dell’urgente necessità planetaria di una Economia di Pace, come unica strada per garantire un futuro all’umanità, ora sotto minaccia di un modello di sviluppo predatorio, iniquo, alimentatore di continue guerre e disastri ambientali.
“La distruzione ambientale e l’ecocidio sono entrambi cause e conseguenze di conflitti e forse il più grande pericolo che dobbiamo affrontare nel mondo moderno” (WILPF, Manifesto 2015).
Centrale sarà la riflessione su due imprescindibili diritti dell’Umanità: Diritto alla Pace e Diritto all’Ambiente, la cui stretta interconnessione impone all’economia di cambiare rotta, spostando le risorse – finanziarie, umane, culturali e scientifiche – dagli armamenti e la guerra al sociale e alla tutela e salvaguardia dell’ambiente naturale.
WILPF Italia invita le associazioni ambientaliste e pacifiste a iniziare un percorso di dialogo sulle tematiche proposte per ritessere progettualità comuni miranti a costruire una comune “rode map”. L’obiettivo è una rinnovata convergenza eco-pacifista, capace di promuovere mobilitazione sociale e pressione sulla sfera politica, affinché sia realmente garante dei beni comuni da tutelare e preservare per la “collettività dei viventi”, come scritto nella Carta della Terra del 1992.

(vedi locandina)

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Tornare a sognare, senza essere sognatori di Oliviero Sorbini

OLIVIERO SORBINI
Tornare a sognare, senza essere sognatori
Più coraggio per l’innovazione, la ricerca
e la sperimentazione

Tempo non ne abbiamo più. Da una parte i cambiamenti climatici, dall’altra l’avvelenamento dell’intero pianeta. Se 150 anni fa avessero domandato a persona colta e ben informata quali danni il genere umano avrebbe potuto causare a se stesso e a tutto il sistema biologico del pianeta, questi non sarebbe riuscito, con tutto il pessimismo possibile, a immaginare la realtà di oggi. Solo qualche profezia, forse, ha anticipato l’attuale stato delle cose.
E se non c’è più tempo, allora … è tempo di provare concretamente a cambiare modo di pensare e procedere. Forse è il momento di tornare a volare alto, a essere capaci di sognare, senza essere considerati sognatori, intesi come poveri illusi avulsi dalla realtà.
Cerchiamo di analizzare, nella disperata ricerca di una visione di sintesi e nel modo più oggettivo possibile, la nostra società odierna. E’ una società, una collettività internazionale, fortemente condizionata dall’interesse dei singoli, dal vantaggio immediato o comunque prossimo delle singole persone. E’ su questo principio che si è evoluto, purtroppo nel peggiore dei modi, il capitalismo e lo sviluppo delle grandi società per azioni, quotate in borsa, che poi hanno generato le multinazionali; e sul loro prototipo si sono modellate anche le società statali. E’ un giudizio sintetico che omette molto, ma purtroppo non lontano dal vero. La nostra è una società dove la responsabilità personale ha sempre più perso valore, nella quale, il più delle volte, i manager o amministratori pubblici (politici per primi) e privati si muovono e giustificano le loro scelte come soldati che devono eseguire degli ordini, pur perseguendo profitti a proprio vantaggio.
E’ difficile essere ottimisti. Credo che dovremmo tornare a perseguire obiettivi concreti e strategici di grande respiro, come per esempio la radicale riduzione delle spese militari in favore di azioni per la mitigazione e l’adattamento agli effetti dei cambiamenti climatici. Non solo in Italia ma in tutto il mondo. Penso anche, però, che dovremmo ben guardarci dal confondere un’idea, spesso un’ideale, con la nostra strategia. Un esempio, non scelto a caso, sul quale voglio estendere questa mia riflessione, è quello dell’atteggiamento del movimento ambientalista sulla questione rifiuti. Rifiuti Zero è senz’altro un obiettivo che suscita emozioni e risveglia la nostra capacità immaginativa. La filosofia del No Waste credo sia assolutamente corretta, nell’applicazione delle 5 R (Rifiutare ciò che è superfluo – Ridurre – Riutilizzare – Riciclare – Ridurre lo scarto). Non credo però sia opportuno proporre lo slogan Rifiuti Zero come unica soluzione immediata e concreta ai problemi che dobbiamo rapidamente affrontare. Perché non saremmo compresi e le nostre buone intenzioni serviranno solo per portarci discredito. Un movimento che non sa comunicare con la gente è un movimento che non potrà portare avanti nulla di concreto. E’ su questo aspetto che manca, a mio parere anche nel contesto del mondo ambientalista, un’analisi oggettiva dello stato delle cose. Non partiamo da una situazione facilmente gestibile, anzi dal contrario. Perché non possiamo dimenticare che a monte delle R c’è una P (produzione di beni e quindi di ricchezza immediata) che determina la creazione del problema. Da qualche decennio il movimento ambientalista italiano e di altri paesi occidentali, sulla questione rifiuti, si è concentrato quasi esclusivamente sulla raccolta differenziata e sul conseguente riciclo , come soluzione della problematica. Risultati? Qualcosa di buono è stato ottenuto. Ma la realtà rimane disastrosa. Forse non sarebbe sbagliato iniziare con l’ammettere e prendere atto che la stragrande maggioranza della plastica che raccogliamo finisce nei termovalorizzatori e, se possibile, ancora nelle discariche. Perché negare la verità? A chi porta vantaggio? Se non si avrà il coraggio, rinunciando all’immediato vantaggio o a radicate convinzioni, spesso pregiudiziali, di alcune parti di cambiare atteggiamento non usciremo vincitori da questa partita.
Sono convinto sia necessario non aver paura di essere scavalcati e di uscire dall’’ortodossia ambientalista dominante. Ora, come mai, è necessario trovare un modo di operare e risolvere i problemi. I due vice primi ministri italiani si sono espressi chiaramente sul problema: uno ha detto che l’uso dei termovalorizzatori è la soluzione del problema, l’altro ha affermato che mai e poi mai si farà ricorso ad altri termovalorizzatori. Situazione invidiabile per noi cittadini italiani! Nessuno però, a cominciare dal Ministero dell’Ambiente, ha il coraggio e l’intelligenza di dire che vi possono essere alternative concrete. E tanto meno vi è il coraggio di iniziare a provare a cambiare lo stato delle cose. Nessuno ha il coraggio e la voglia di affermare chiaramente che è tempo di fare ricerca e sperimentare nuove e concrete soluzioni. Che, sia ben chiaro, esistono. E possono probabilmente contribuire, nella logica del nulla si distrugge, tutto si trasforma, alla soluzione del fabbisogno energetico. Non lo affermo io (che certo non sono un tecnico e di questa mia lacuna sono perfettamente consapevole) perché mi è venuto in mente stamani. Vi sono esperienze e certificazioni su nuove tecnologie che vengono semplicemente ignorate. Il problema dei rifiuti è solo uno dei mille e più che dobbiamo affrontare e per tutti credo sia necessario portare avanti una battaglia per l’innovazione, la ricerca e la sperimentazione.
Non viviamo in compartimenti stagni. Viviamo in una società dove ogni elemento è strettamente collegato ad altri. Una battaglia per la sola questione dei rifiuti sarebbe, seppur vinta, parte di una guerra persa. La guerra in questione è quella della sopravvivenza dell’umanità e di gran parte della vita biologica sul pianeta. Anche se avessero ragione (e non la hanno) i negazionisti sulla causa antropica del repentino cambiamento climatico, la questione rimane immutata e riguarda tutti, ricchi e poveri, europei o americani e africani o asiatici, cristiani, musulmani, induisti, ebrei o atei. Perché non dobbiamo affrontare solamente i problemi derivanti direttamente dai cambiamenti climatici. Quelli dell’avvelenamento dei terreni, conseguentemente delle falde acquifere, dell’aria e degli oceani, dello sciagurato uso dei pesticidi non sono da meno, con riflessi diretti sulla nostra salute. Quando è che ci mobiliteremo perché chi ha inquinato e inquina non solo la smetta ma ripari o almeno tenti di riparare i danni che ha provocato? Quando succederà che gli azionisti delle multinazionali del petrolio e dei fossili in generale saranno un po’ meno ricchi, perché saranno stati costretti a spendere soldi per bonificare i terreni e le acque compromessi dalla loro avidità e disprezzo per la vita degli altri?
La consapevolezza della gravità della situazione ci deve portare ad essere concreti, senza rinunciare agli obiettivi principali. Per questo dobbiamo tornare a sognare, senza essere sognatori, consapevoli che le problematiche da affrontare sono globali e dunque necessitiamo di costruire reti di comunicazione e di mobilitazione internazionali. E’ necessario che si rivedano modi di produrre, di commercializzare e di consumare. I fronti su cui intervenire sono infiniti e per questo gli ambientalisti e i movimenti per la giustizia sociale di tutto il mondo devono tornare ad appropriarsi dell’uso delle nuove tecnologie per il bene della collettività e non lasciarle in mano a speculatori, militari e politici che è veramente difficile ritenere, e a questo punto sperare, essere in grado di esercitare il loro ruolo di responsabilità sociale. E risulterà di importanza fondamentale che recuperino alcuni valori della loro storia, quali in particolare l’antinuclearismo e la capacità critica nei confronti del mondo degli armamenti tutti.
Un nuovo e più forte movimento eco pacifista
L’idea del disarmo unilaterale da parte di alcuni stati è vista, o comunque definita, come impossibile e irrealizzabile da parte della quasi totalità dei governanti del mondo. Ma se ci fermiamo a ragionare, partendo dal nostro Paese, vediamo che il primo vero problema è che, con l’eccezione di poche persone e organizzazioni, nessuno la propone nemmeno per la discussione.
E’ chiaro perfino per i bambini che le nostre forze armate convenzionali, in tempo di bombe elettromagnetiche, sono del tutto inutili per la difesa del Paese. Forse potrebbero fronteggiare un’ipotetica invasione da parte dello stato della Slovenia? Ma appare assurdo, a fronte di questo supposto pericolo, spendere quanto spendiamo nel mantenere in piedi un sistema militare come quello attuale. E non ci si venga a raccontare che le nostre forze armate servono per contribuire a mantenere la pace nel mondo. Vi sono, allo stato attuale delle cose, innumerevoli alternative, anche in considerazione del fatto che l’Italia è parte dell’Unione Europea.
Poiché siamo consapevoli che non riusciremo a cambiare radicalmente in breve il sistema mondiale solo con la nostra convinzione che le armi e le forze militari comportano per l’umanità un grande danno e un immenso pericolo, potremmo impegnarci su un percorso graduale, che comunque preveda l’idea di disarmo da parte di molti stati. Un primo passo potrebbe essere quello di dar nuova vita ad un movimento eco pacifista che, pur dando per scontato che il nostro Paese, nell’immediato, resti nella NATO, chieda che l’Italia si liberi per prima cosa delle basi nucleari nel proprio territorio. Senza il coraggio di partire non si potrà arrivare da nessuna parte.
Perché, invece che dileggiare l’idea come irrealistica, non torniamo, come movimento pacifista e ambientalista, nel quale si riconoscono anche molte persone che professano la propria religione, a indicare nel disarmo unilaterale una seria e concreta via da seguire? Vi sono infinite obiezioni a questa idea, alcune dettate dalla paura dei politici di perdere il consenso elettorale di tutto un mondo legato alle forze armate. Ma vi sono altrettante valide risposte più che fondate, che possono e devono prevedere un nuovo e più utile impiego delle risorse attualmente sperperate. Oggi la guerra che più da vicino minaccia paesi come l’Italia, non è una guerra fatta con le bombe e i bazooka ma con i cyber attacchi. Sarebbe certo più utile impiegare una piccola parte di quel che le forze armate spendono solo in carburante in ricerca e innovazione, anche nel settore della cyber difesa di istituzioni, industrie e infrastrutture.
Minaccia nucleare e minacce ambientali sono elementi diversi dello stesso problema. E ambedue mettono in pericolo la sopravvivenza della razza umana e della biodiversità. Per questo ognuno deve fare la propria parte: noi italiani come il popolo americano o quello cinese. Penso che in Europa, i cittadini degli stati che non posseggono la tecnologia delle armi nucleari, come ad esempio italiani, olandesi o spagnoli, potrebbero per primi più facilmente, provare a fare il passo iniziale. Non avrebbero niente da rimetterci, ma solo da guadagnare in risorse che potrebbero essere investite, come detto, in misure per l’adattamento ai cambiamenti climatici, nell’istruzione, nella ricerca e nella sperimentazione.
“La Rivoluzione disarmista” è stata scritta da Carlo Cassola ormai alcuni decenni fa, quando non esistevano Internet, il Cybermondo e neanche le bombe elettromagnetiche. Eppure i concetti espressi in quel libro sono del tutto attuali, anzi lo sono ancor più, perché l’evoluzione tecnologica ha reso sempre più evidente l’anacronismo del militarismo convenzionale. Oggi una nazione può essere messa in ginocchio da un cyber attacco alle sue strutture e infrastrutture portanti. E i nostri militari cosa faranno? Come potranno aiutarci? Prendere atto della realtà e professare il disarmo unilaterale, ammettendo sì la propria non competitività bellica, ma con l’obiettivo finale di arrivare ad un mondo senza guerre, non è così assurdo come si vorrebbe far apparire. Certo è necessario che questo movimento di pensiero attraversi il mondo ma non dobbiamo dimenticare che il problema delle guerre nucleari e tecnologiche riguarda tutti gli esseri umani del pianeta. L’ONU certamente non funziona quanto sarebbe necessario perché vi operano troppe realtà conflittuali e troppe persone che pensano solo ai propri benefici. Ma non per questo il concetto di Nazioni Unite è superato! Su questo, credo, dovremmo concentrarci, come movimento pacifista e ambientalista mondiale. Già, perché mai dobbiamo dimenticare che l’incubo peggiore per l’ambiente sono le armi nucleari.
E’ tempo che ambientalismo e pacifismo tornino ad essere un solo movimento. In fin dei conti l’obiettivo è unico. E’ tempo di ribellarsi alle fake news istituzionali, professate dai governi. Il mondo è uno, con tutte le sue complessità. O sapremo, globalmente, considerarlo nella sua interezza o non riusciremo a cambiare il viaggio verso il dolore e infine la morte dell’intera umanità. Necessitiamo di ridurre l’egoismo, di smascherare i furbi, inutili a tutti se non a se stessi, abbiamo bisogno di nuovi (o anche vecchi) traguardi. Prima ancora di alzare il tiro, dobbiamo alzare la testa.
I ragazzi di Greta sono molto gentili con noi adulti. Non ci hanno escluso. E’ un segno di intelligenza che attivisti di altri movimenti giovanili non avevano avuto. Ma noi adulti, e spesso anziani, abbiamo il dovere di mettere a loro disposizione il nostro sapere e la nostra esperienza. Pensare di combattere i cambiamenti climatici limitandosi ad invitare i potenti del mondo a cambiare rotta, noi lo sappiamo, è illusorio. Per questo abbiamo il dovere di indicare obiettivi che abbiano una valenza strategica. E di agire nella tattica. La lotta contro l’uso dei fossili, il contenimento e poi la fine degli inquinanti nell’atmosfera, la bonifica dei terreni, delle discariche, delle acque, la riduzione a monte dei rifiuti sono obiettivi perseguibili e realizzabili. Magari trovando risorse dal risparmio sugli armamenti e usando le forze armate come energie per la protezione civile e per l’adattamento agli effetti dei cambiamenti climatici.
Se il movimento giovanile che sta nascendo intorno a Fridays for Future, saprà individuare fra gli obiettivi quelli del disarmo nucleare e della radicale riduzione degli investimenti negli armamenti, allora avrà centrato un aspetto basilare dell’attuale sistema di interessi, non a caso così restio a mettere in pratica concrete misure sulla lotta ai cambiamenti climatici e l’avvelenamento del pianeta, e potrà contare su una efficace strategia per incidere sul futuro.

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Il movimento dei Venerdì per il clima si coordina

Il movimento dei Venerdì per il clima si coordina

Di Alfonso Navarra

Pubblichiamo su “IL SOLE DI PARIGI” un buon resoconto e stimolanti riflessioni di Guido Viale sull’assemblea “costitutiva” di Fridays For Future (FFF) Italia che troviamo alla URL: https://comune-info.net/2019/04/come-nasce-un-movimento/
L’assemblea che ha prodotto, da parte dei ragazzi protagonisti di un risveglio ecologista che ricorda il ’68 (almeno a noi con i capelli ormai bianchi) la decisione di coordinarsi (ancora però non si sa bene come) si è svolta a Milano, il 13 aprile 2019, presso l’Auditorium Levi di via Valvassori Peroni 21, preceduta il giorno prima, sempre nella stessa sala, da un convegno scientifico.
Rispetto alla impostazione del nostro studioso ambientalista, proviamo ad aggiungere ulteriori spunti di ragionamento sulla natura (“dal basso”?) e le propensioni di questo movimento nascente.
La prima cosa che osserviamo è la mancata discussione sul ruolo carismatico di Greta Thunberg. Essa viene definita un “simbolo” ma questa “bandiera” certamente non si limita a sventolare issata dai sostenitori della causa. Poi spiegherò meglio perché ritengo questo fatto – almeno per il momento – una fortuna. Ad esempio la giovane Thunberg viene in Italia ed incontra il Papa e la Presidentessa del Senato. Manca, credo per una svista, il Presidente della Repubblica! Non una parola però è stata spesa in assemblea su a cosa servirebbe l’incontro con l’autorità al Senato e che cosa gli si andrebbe a dire come movimento. O parlerà solo Greta per tutti? Una delegazione accompagnerà la svedesina che è la promotrice della mobilitazione mondiale? Chi ci va, solo i romani? Ci sarà anche qualche personalità ambientalista di contorno (si fa il nome di Grazia Francescato)?
Rispetto alla mission del movimento FFF Italia, non è chiaro (almeno non è chiaro a me) se si tratta semplicemente di premere dal basso per il rispetto e l’attuazione, con “spirito emergenziale”, degli accordi di Parigi o se si devono sostanzialmente affiancare le “resistenze territoriali” contro le Grandi Opere Inutili per “cambiare il sistema”. Qui in Italia l’opposizione sociale è affetta da localismo cronico e c’è il rischio che anche FFF Italia sia condotto dall’ingerenza di comitati locali, centri sociali e sindacati di base vari a fare la forza di supporto per la centralità egemonica della battaglia No-TAV. Per fortuna che qui l’antidoto c’è: Greta, la leader reale, pensa al pianeta Terra nella sua unità globale e non è affatto focalizzata sullo smog di Stoccolma! Non a caso ha appena scritto un libro intitolato: “La nostra casa brucia”. La casa di cui parla non è infatti il suo ristretto ambito territoriale ma l’unico ecosistema che fa da ambiente vitale per noi umani tutti.
Penso che mi troverò a doverlo spiegare in interventi controcorrente. Parto con degli esempi. L’effetto serra globale ha già “fottuto” la Valle di Susa (ci sono stati, ad esempio nell’ottobre 2017, incendi boschivi devastanti causati da una prolungata siccità tipo il vento che ha sradicato gli alberi di Belluno) e che sin da adesso c’è poco e ci sarà sempre meno da difendere. Se continua così avremo una landa desolata prima ancora che il treno TAV si trovi a sferragliare nel famigerato tunnel per un solo centimetro di rotaie!
Lo stesso dico per chi si accinge a dichiarare a Taranto una “guerra” per la chiusura dell’Ilva. Volete mettervi in testa che se l’accordo di Parigi salta il porto pugliese, ILVA o non ILVA, è comunque destinato a finire sott’acqua per l’innalzamento dei mari, come Livorno, Cagliari, Napoli (guarda caso, anche essi “porti a rischio nucleare”)? Un recentissimo studio dell’ENEA non si presta ad equivoci in proposito. Insomma, per quattro giorni alla settimana continuiamo pure ad essere No TAV in Val Susa e no ILVA a Taranto. Ma perché, soprattutto, che so a Milano, a Roma e a Palermo, non dovremmo concentrarci, almeno il venerdì, sulla Terra, la casa comune che brucia?
La stessa Greta (sia benedetta!) ci ricorda che occorrono decisioni collettive ed infrastrutture per la decarbonizzazione: togliere finanziamenti ed incentivi alle fossili (500 miliardi di dollari l’anno nel mondo, 18 miliardi in Italia!), istituire una carbon tax, promuovere la conversione rinnovabile dell’energia (il petrolio va lasciato sotto terra!). Nella consapevolezza che dobbiamo contemporaneamente attuare una conversione ecologica della mentalità. Soprattutto serve svegliarsi e svegliare la gente e fare capire che ci troviamo in una vera emergenza, che non c’è quasi più tempo per agire. Gli interlocutori, insomma, non sono tanto i politici quanto principalmente i media, che devono subire la pressione della gente sensibilizzata e mobilitata su “una crisi che va trattata come una crisi”.
Se avessi oggi la possibilità di discutere con Greta le ricorderei, parlando di emergenze, una cosa che al momento lei purtroppo ignora totalmente. La casa che brucia si sta anche inondando di gas esplosivo, ed una scintilla può farci saltare in aria annientandoci in un attimo. E’ il problema della minaccia nucleare (la guerra atomica che può scoppiare persino per errore!) che ha intrecci con la minaccia climatica e che, ad avviso di chi scrive, costituisce la priorità delle priorità, una condizione ancora più spaventosa del cambiamento climatico e su cui non registriamo nemmeno quel minimo di consapevolezza che fortunatamente sta montando su di esso grazie ai giovani di FFF.
Anche su questo terreno della “deterrenza” assurda e suicida dovremmo trovare il coraggio di “copiare” la nostra intelligente e coraggiosa svedesina:
“Non voglio la vostra speranza.
Non voglio che siate ottimisti.
Voglio che siate in preda al panico.
Voglio che proviate la paura che provo io ogni giorno.
Voglio che agiate come fareste in un’emergenza.
Voglio che agiate come se la cucina della nostra casa comune stia perdendo gas e le nostre stanze si stiano riempendo di sostanze che possono esplodere da un momento all’altro.
Disarmiamo subito, chiudiamo i rubinetti del gas ed apriamo le finestre per disperderlo!”

Come nasce un movimento
Guido Viale | 15 Aprile 2019 |

Che ci facciamo a scuola se lì non ci insegnano altro che a riprodurre un modello di sviluppo che ha ormai pochi anni di vita? Due straordinarie giornate, a Milano, mostrano come Fridays for Future sia già un movimento nuovo che sa guardare lontano e agire adesso. Preceduta da una conferenza scientifica sulle fonti rinnovabili, le ripercussioni in agricoltura, lo stato della ricerca, il negoziato internazionale e la dimensione sociale dei cambiamenti climatici, sabato 13 aprile si è tenuta l’assemblea costituente del movimento italiano, la prima grande discussione nel mondo che prova a disegnare il profilo di qualcosa che si presenta come “di nuova generazione”. Ne avevamo tutti un tremendo bisogno. Un racconto di quel che pensa di combinare un fiume di ragazze e ragazzi che possono guardarsi negli occhi senza paura perché hanno fiducia in quel che sapranno fare

Il 12 e il 13 aprile si è svolta a Milano la “due giorni” di Fridays for future Italia. La sera del 12 con una conferenza scientifica affidata a quattro esperti: sulle fonti rinnovabili, sulle ripercussioni in agricoltura, sullo stato della ricerca, sul negoziato internazionale e sulla dimensione sociale dei cambiamenti climatici. Il 13 si è svolta invece, per tutto il giorno, l’assemblea nazionale costituente del movimento italiano, la prima nel mondo: “d’altronde il corteo di Milano è stato il più grande di tutti”, ha detto con orgoglio uno degli intervenuti. Se la sera prima il pubblico era “misto”, metà di giovani e metà di persone mature, il giorno dopo l’aula magna della facoltà di fisica era stracolma solo di giovani e giovanissimi (con rarefatta presenza di anziani), tra cui circa 200 delegazioni da oltre 100 città italiane. L’età media molto bassa è una caratteristica e un vanto di Fridays for future.
Per molti intervenuti, più che di studenti – “che mai ci facciamo a scuola se lì non ci insegnano altro che a riprodurre un modello di sviluppo che ha solo più pochi anni di vita?” – il loro è un movimento della “nuova generazione”: una generazione “preoccupata” se non “terrorizzata”; “la prima che sperimenta il cambiamento climatico, ma anche l’ultima che ha la possibilità di fermarlo”. Questa coscienza di una responsabilità generazionale – “Qui, come diceva Falcone, innocente non è nessuno” e “il sistema siamo noi; per questo possiamo cambiarlo”; o anche “non ci salverà nessun altro” – ha attraversato tutto il dibattito, con una frequente contrapposizione tra “noi”, la generazione del terzo millennio, e “loro”: quelli che non hanno fatto niente per sventare quel rischio mortale, andando avanti per la vecchia strada come se niente fosse. Per questo “occorre ammettere le colpe dei padri” evocando anche “un giusto risentimento verso le precedenti generazioni”. “C’è un elefante nella stanza, che sta per sedersi sopra di noi” perché “ci avete ignorato; ma è finito il tempo delle scuse. Adesso siamo arrivati noi”. Ma è stato anche aggiunto “Siamo giovani sì, ma non ostili a chi non lo è”. Tuttavia il mood generale era tale per cui l’unica persona di una certa età che è intervenuta, la mamma di un “attivista” di 13 anni, ha sentito il bisogno di esordire dicendo: “Chiedo scusa per l’età”. D’altronde anche un giovane può sentirsi un po’ vecchio: “Se un anno fa mi avessero detto che sarei andato dietro a una ragazzina svedese di sedici anni -ha raccontato uno degli intervenuti – avrei pensato che mi stavano scambiando per un pedofilo…”
Gli interventi, rigorosamente contingentati nei tempi, erano organizzati intorno a quattro punti: chi siamo, che cosa vogliamo, dove andiamo e come ci organizziamo. Tralasciando quest’ultimo, che ha reso evidenti le difficoltà di dare anche solo un coordinamento a un movimento nato da poco, e “a velocità pazzesca”, le delegate e i delegati che si sono alternati sul palco hanno fornito un quadro corale di un movimento diversificato ma unitario, creativo, colto, che sa di essere forte e di avere la ragione dalla propria parte; e che per questo può irridere ai suoi avversari: “Ma se tutti sono d’accordo con noi, contro chi stiamo manifestando?” Ma anche capace di mobilitazioni straordinarie “che non si vedevano dal tempo delle adunate degli alpini” e al tempo stesso preso dallo stupore per il modo in cui i suoi protagonisti si stanno trasformando: “Siamo qui. Greta ha smosso il mondo: sono nate di colpo amicizie tra persone che non si conoscevano”.

Se il primo problema, per ora, era “combattere l’indifferenza, Fridays for future l’ha smossa”. E grazie a questo, “solo noi possiamo guardarci negli occhi, con fiducia e non con paura”, in “un movimento che nasce da un sentimento senza interessi, perché ci crediamo”. E “possiamo cambiare il sistema perché siamo gli unici a non farsi acciecare dal guadagno”. Con la coscienza, per di più, di avere un ruolo storico: “Con noi i senza diritti prendono la parola”. “Ci hanno sempre detto che ‘non c’è alternativa’. Ma l’alternativa siamo noi” e ancora: “Siamo un movimento bellissimo, la goccia che sarà l’inizio della tempesta”.Adesso, subito, “il tempo scorre, tic tac, tic tac”, “l’apocalisse è già qui” e “non possiamo aspettare di raggiungere l’età adulta”. E, tanto per cominciare: “Il prossimo autunno dovrà parlare di questa generazione”, con l’ambizione di “diventare il movimento più grande del mondo”.
Chi siamo? La formula più ripetuta, da quasi tutti, è: “un movimento apartitico”, corredato anche da qualche “antipartitico”. In effetti una delle note dominanti è stata la diffidenza e, in molti casi, un vero e proprio rigetto nei confronti dei partiti; ma anche dei sindacati, al punto che pur chiedendo che la prossima giornata di lotta del 24 maggio venga proclamato uno sciopero generale che blocchi tutto il paese per esigere misure radicali sul clima, si è voluto evitare di nominare i sindacati nella mozione finale. Ma ce n’è anche per le associazioni ambientaliste, anche loro “troppo legate ai partiti”. E dai partiti questa diffidenza è stata estesa, da alcuni, ma non da tutti, anche alle istituzioni, su cui “occorre esercitare il massimo della pressione”, ma con cui “dialogare è prematuro; non siamo ancora pronti”. A questa quasi unanimità contro i partiti si associa la denuncia delle loro strumentalizzazioni – “Parlano come noi di transizione energetica e poi finanziano i fossili” – mentre fa da riscontro un quasi incondizionato apprezzamento per la ricerca scientifica, il suo metodo e gli scienziati; fino all’affermazione volutamente paradossale che ne ricalca una di cinquant’anni fa: “Vogliamo tutto e subito.

Ce lo dice la scienza”. Con ciò trascurando persino la lettera con cui un gruppo di scienziati italiani si è rivolto al movimento per avvertirlo che non tutta la scienza è allineata con le posizioni dell’IPCC, soprattutto in campi non direttamente legati alla climatologia, come medicina, agricoltura, idraulica, ingegneria, ecc.; e che non tutti gli scienziati sono esenti da condizionamenti, anche pesanti, da parte di lobby e corporation che hanno forti interessi in quei campi. Ma si capisce bene questa presa di posizione del movimento, che a volte finisce per attribuire alla “scienza” anche l’intera soluzione dei problemi: perché l’adesione ai metodi e ai risultati della ricerca scientifica è ciò che contrappone il movimento alla “politica”, quella dei partiti, che li ignorano o non li tengono in alcun conto, facendosi corresponsabili della corsa al disastro. Ma se le analisi dei climatologi sono inconfutabili e “le tecnologie per decarbonizzare completamente l’economia sono disponibili, e a costi anche inferiori a quelli dei fossili”, come era stato illustrato nella conferenza scientifica della sera precedente, di lì nasce anche una sottovalutazione del ruolo della politica, quella vera, quella fatta dai cittadini consapevoli.
Quella sottovalutazione si radica in un’affermazione sbagliata di Greta, spesso ripetuta nel corso dell’assemblea, secondo cui “i politici sanno che cosa bisogna fare, le soluzioni ci sono già, ma non le applicano”. In realtà i politici di tutto il mondo non sanno assolutamente che cosa fare, e per questo continuano per la vecchia strada come se niente fosse. Perché la transizione energetica e, a maggior ragione, una radicale conversione ecologica, non sono questioni solo tecniche, ma anche e soprattutto sociali: richiedono, tra l’altro, una rivoluzione degli stili di vita, ma anche la chiusura di milioni di imprese e di progetti – e l’apertura di altri – colpendo interessi costituiti, ma anche posti di lavoro non sempre immediatamente sostituibili o riconvertibili: un processo sicuramente complesso e fonte di grandi sconvolgimenti (anche se inferiori a quelli che ci aspettano in uno scenario business as usual, senza interventi mirati).
Per questo nessun politico ha la capacità e la cultura per affrontarli: si sono sempre dedicati ad altro… Di questa problematica solo alcuni degli intervenuti in assemblea hanno dimostrato di essere consapevoli (poco male, c’è tempo per affrontarla, tanto più che dovrà impegnare intelligenze e pratiche collettive per decenni). Ma a volte ha il sopravvento anche una spinta alla delega: “Nessuno di noi deve avere paura di scontentare qualcuno”, dice qualcuno, “non siamo noi a mandare a casa i lavoratori”. A risolvere problemi come questo “devono pensarci loro Non sono mancati però accenni a entrare maggiormente nello specifico: “Clima vuol dire energia, ma anche mobilità, agricoltura, allevamento, alimentazione”. Per ciascuno di questi ambiti “ci vogliono piani di transizione precisi”.

Chiaro è comunque a tutti, o quasi, lo stretto legame tra giustizia ambientale – salvare la vita su questo pianeta – e giustizia sociale – evitare che le conseguenze del degrado ambientale ricadano, come succede da tempo, sui più miseri e i più emarginati della Terra – cogliendo la stretta relazione tra deterioramento climatico e migrazioni; e anche tra migrazioni e razzismo: “Non possiamo prescindere dal razzismo. Viene negata la dignità a degli esseri umani a causa del loro paese di origine”.
Subito dopo l’adesione al metodo scientifico, tra le caratterizzazioni del nuovo movimento più citate c’è quella di “anticapitalista”; vengono poi, nell’ordine, “politico”, “pacifico”, “antifascista” e “democratico”. La connotazione di anticapitalista è stata spesso associata alla denuncia del ruolo delle multinazionali o dello sfruttamento del lavoro, che hanno “trasformato la Terra in una immensa, sudicia società per azioni”. E alla convinzione, condivisa da molti, che “il capitalismo, la radice del mondo in cui siamo nati” “non è sostenibile”: “non si può più vivere nel capitalismo che i nostri antenati hanno creato”. Non è una connotazione ideologica, come quella di chi pensa ancora che l’esito prefigurato dallo “sviluppo delle forze produttive” sia inevitabilmente il socialismo o il comunismo: due termini che non sono mai stati pronunciati. Quello sviluppo delle forze produttive ha infatti finito per volgere l’intero pianeta al peggio, per lo meno negli ultimi decenni. Tutti sembrano consapevoli che “lo sbocco” della transizione energetica o, più in profondità, della conversione ecologica, è interamente da ripensare e da costruire, anche se molto del suo profilo sembra già delinearsi attraverso alcune indicazioni per l’oggi: “diritto a un futuro felice”, “cambiare stile di vita, riducendo i consumi”, “ridurre l’orario di lavoro”, “istituire un’economia circolare”, “realizzare un cambiamento politico ed economico non più fondato sulla predazione delle risorse della Terra”, “salvare il vivente, gli animali e le foreste”, “rispettare gli animali”, “salvaguardare tutti gli ecosistemi”, “perseguire giustizia, verità e bellezza”, “superare l’antropocentrismo”, “adottare un punto di vista femminile nell’analisi dei problemi”.
Che cosa vogliamo? Qui le indicazioni sono chiarissime: innanzitutto la “decarbonizzazione rapida e totale”: “fermare l’estrazione di fossili”, “bloccare gli incentivi ai fossili”, “istituire un Green new deal”. Alcun fanno riferimento alla definizione dello sviluppo sostenibile del rapporto “Il nostro futuro comune” (1988), altri ai 17 obiettivi dell’ONU, ai rapporti dell’IPCC, all’accordo di Parigi, rilevando comunque come nei negoziati internazionali prevale sempre ilcompromesso.
Pareri diversi sono stati espressi sul tema dei rapporti con le istituzioni: per alcuni occorre aprire un confronto al più presto; per altri non siamo ancora pronti. Per accettare un confronto con il ministro Costa, bisogna comunque che ci sia da parte sua “un atto di buona volontà: stop a tutti i nuovi impianti”. Le prossime elezioni europee “ci riguardano poco”, ma si potrebbe comunque “sottoporre ai candidati un elenco di richieste da sottoscrivere”, per poi vedere come si comportano. La richiesta più dirompente è comunque quella di chiedere – o esigere – dalle autorità locali o dal Governo (e dalle autorità scolastiche, per gli insegnanti di Teachers for future, che propongono anche “una disobbedienza civile di massa senza precedenti, per salvare il mondo”) “la dichiarazione di uno stato di emergenza per il clima”, in modo da “spostare il focus del dibattito” per far sì che vengano messe al primo posto tutte le misure di possibile realizzazione immediata, abbandonando iniziative e progetti dannosi per il clima e “intersecando i diversi temi per rendere il nostro punto di vista egemonico”. La lotta contro i cambiamenti climatici deve diventare la priorità a cui ricondurre e tutte le cose da fare. A partire dal “blocco di tutte le grandi opere”.

E’ questo un tema che ha visto uniti tutti quanti gli interventi: “no alle grandi opere inutili e dannose, ai grandi eventi, alle grandi navi (a Venezia), alle grandi speculazioni, a partire da quelle direttamente connesse allo sfruttamento e al trasporto dei fossili: tap, trivelle, Centro oli dell’Eni, ecc. Con l’avvertenza, tuttavia, che, a causa della scarsa o cattiva informazione “la maggioranza della gente non è contro le grandi opere”, e che “su questo tema occorre agire con cautela, spiegarci; perché dobbiamo essere i rappresentanti di tutti”. Quest’ultima, d’altronde, è una preoccupazione che ricorre in molti interventi: “Abbiamo bisogno soprattutto di chi non c’è”, “non bisogna chiuderci tra noi giovani”, “bisogna fare grandi campagne di informazione”, “coinvolgiamo anche gli anziani”; poi occorre “entrare nelle scuole”, “cambiare la didattica”, “educare gli insegnanti” e, soprattutto, “spostare gli investimenti dai fossili all’istruzione”, “finanziare ricerca e istruzione”. Tanto più che “il loro potere si basa sulla nostra ignoranza”: “abbiamo nove scuole su dieci che crollano e finanziano il TAV…”. Occorre, insomma “promuovere una rivoluzione culturale a partire dalle scuole”.
Alla fine di tutto spuntano le iniziative pratiche in cui molti sono impegnati: pulire strade e giardini a scopo dimostrativo (e non per aiutare le amministrazioni), eliminare la plastica da scuole, università ed eventi pubblici; ma “proibire anche la produzione di plastica usa e getta”, spostarsi in “bicicletta”, “mangiare meno carne e latticini”, “recuperare il cibo di scarto”, “boicottare i prodotti ad alto contenuto di carbonio”. E poi, “bloccare il traffico per farsi ascoltare” e “promuovere manifestazioni a livello regionale”. La prossima manifestazione, quella del 24 maggio, avrà invece carattere nazionale e vedrà tutti impegnati nella sua promozione. Arrivederci a maggio!

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ASSEMBLEA NAZIONALE COSTITUENTE DI FRIDAYS FOR FUTURE ITALIA REPORT DI SINTESI

CHI SIAMO
Siamo un movimento di persone che si rivolge a tutta la società. Lottiamo per fermare il cambiamento climatico, rilanciando gli allarmi della comunità scientifica e denunciando le mancanze dei governi.
Facciamo parte di un movimento globale, pacifico, apartitico e contro ogni forma di discriminazione. Siamo la generazione che sarà costretta a pagare più di tutti il costo di un modello di sviluppo insostenibile e ingiusto, se non saremo in grado di cambiare il sistema per fermare il cambiamento climatico.
Siamo indipendenti dai partiti e rispondiamo solamente alle assemblee in cui le persone partecipano alla lotta per il futuro di tutte e tutti. Rifiutiamo ogni strumentalizzazione: non ci rappresenta nessuno, non abbiamo nessuna bandiera, la nostra voce viene dalle assemblee e dalle piazze di mobilitazione.
COSA VOGLIAMO
Vogliamo salvare il mondo dalla catastrofe climatica, arrestando l’aumento della temperatura terrestre a +1,5° C. Il nostro Paese deve realizzare la decarbonizzazione della produzione nel più breve tempo possibile.
Per garantire la protezione dell’ecosistema serve un cambio radicale del sistema economico e sociale: è necessario decostruire un sistema che mette il profitto prima della vita, inquinando e devastando i territori, nel nome di un concetto di sviluppo infinito in un mondo di risorse finite.
La nostra rivendicazione di cambiamento sistemico si declina sui territori con l’opposizione ad ogni devastazione ambientale, includendo le grandi opere dannose per i nostri ecosistemi. “Pensare globale, agire locale” è un principio fondamentale per cui sosteniamo le lotte ambientali territoriali.
Vogliamo un sistema economico circolare, che comporti un cambiamento degli stili di vita, unito ad un modo di produzione fondato sul rispetto dell’ambiente e la giustizia climatica e sociale. Chi ha inquinato e si è arricchito con questo sistema economico insostenibile deve finanziare i costi della riconversione ecologica.
L’istruzione e la ricerca pubblica devono proporre modelli alternativi di sviluppo, abbandonando gli insegnamenti e le ricerche collegate ad attività inquinanti, come l’alternanza scuola-lavoro e i tirocini universitari in aziende responsabili della devastazione dei nostri territori.
I miliardi di finanziamenti pubblici ad attività inquinanti vanno spostati sull’istruzione, la ricerca e un piano di investimenti per la riconversione ecologica e la democrazia energetica.
Riteniamo che sia utile avere delle linee guida generali, descritte in questo report, a cui tutti i gruppi di FFF Italia debbano attenersi. Come dice Greta, la politica conosce già le soluzioni concrete ai problemi, noi abbiamo il dovere di contestare gli errori e le mancanze dei governi.
DOVE ANDIAMO
Continueremo la mobilitazione quotidianamente, ogni venerdì e negli scioperi globali, come quello del 24 maggio. Ogni settimana vogliamo organizzare iniziative in piazza sempre più ampie e partecipate.
Lo sciopero del venerdì è una delle pratiche centrali a cui dare continuità.
Le manifestazioni devono essere sempre più larghe ed incisive: è necessaria creatività per co-creare dei nuovi modelli di sciopero, chiedendone la proclamazione, ispirandoci, per quanto possibile, ai potenti atti di disobbedienza civile di Greta.
In molte città continueremo a partecipare anche alle mobilitazioni contro le devastazioni ambientali territoriali.
Parteciperemo inoltre alla mobilitazione europea di FridaysForFuture ad Acquisgrana il 21 giugno e al campeggio europeo di FridaysForFuture a Losanna a fine luglio.
COME CI COORDINIAMO
Le assemblee locali pubbliche sono lo strumento principale di partecipazione e discussione di FFF Italia. I gruppi locali devono aprirsi a tutte e tutti, utilizzando i social e le iniziative di piazza per informare e coinvolgere nella discussione di FFF.
Nonostante le difficoltà di un movimento che si incontra e confronta dal vivo per la prima volta, l’assemblea nazionale di oggi ha aperto una fase costituente di #FridaysForFuture Italia, i gruppi locali hanno la massima autonomia, seguendo i principi discussi collettivamente nelle assemblee nazionali, mentre i referenti delle città locali continueranno a confrontarsi telematicamente nelle prossime settimane. Per discutere delle mobilitazioni autunnali di FFF, a settembre, organizzeremo un’assemblea nazionale a Napoli, seconda piazza per numeri del 15 marzo.
Milano, Auditorium Levi, 13/04/2019

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Fridays for Future, il 19 aprile Greta Thunberg a Roma

Fridays for Future, il 19 aprile Greta Thunberg a Roma

L’attivista svedese per lo sviluppo sostenibile parteciperà alla manifestazione in piazza del Popolo

30 Marzo, 2019

“Siamo felici di annunciare che il 19 aprile, Greta Thunberg, che ha promosso e diffuso i Fridays For Future dalla sua Svezia, sarà presente a Roma per partecipare al consueto appuntamento settimanale in Piazza del Popolo”. Ad annunciare la presenza dell’attivista svedese per lo sviluppo sostenibile in una nota sono i ragazzi e le ragazze del Fridays For Future di Roma.

“Faremo di tutto – spiegano – perchè questa giornata si trasformi in un grande momento di sensibilizzazione sul tema dei Cambiamenti Climatici e speriamo che la politica capisca che è giunta l’ora di ascoltare gli scienziati che all’estero ed in Italia ci ricordano che non c’è tempo da perdere. Lunedì, dalle 16, durante la nostra assemblea alla Città dell’Altra economia, studieremo le modalità della mobilitazione del 19 aprile. Ricordiamo anche che l’appuntamento di venerdì 6 aprile a Piazza del popolo dalle ore 15.30 è confermato”.

Il 18 aprile Greta verrà ricevuta dalla presidente del Senato Elisabetta Alberti Casellati per un approfondimento sul tema clima e ambiente.