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Il miracolo della corda

Recensione

Il miracolo della corda

Una storia che non si può narrare tanto facilmente. Ma Monica, la figlia di Elvio Alessandri, riesce nel suo intento fino ad arrivare a scrivere un libello narrativo e riflessivo sulla Resistenza partigiana dei suoi cari.

Elvio Alessandri, Partigiano di soli 13 anni nella Resistenza Antifascista

Recensione al libro

Il miracolo della corda

Autori: Elvio e Monica Alessandri

Recensione: Laura Tussi

Immagine di copertina: Demetrio Buroni

Progetto grafico: William Buroni

 

Gli Alessandri sono una nota e conosciuta famiglia di Cagli, un paese nelle Marche. La loro è una vita tumultuosa.

La loro è una storia difficile.

Una storia che non si può narrare tanto facilmente. Ma Monica, la figlia di Elvio Alessandri, riesce nel suo intento fino ad arrivare a scrivere un libello narrativo e riflessivo.

Un libricino, un pamphlet che racchiude una grande memoria. La storia nella Storia.

Monica Alessandri, l’autrice del libro, narra minuziosamente e raccoglie la memoria e l’importante testimonianza di suo padre Elvio.

Elvio è un giovane partigiano. Di soli tredici anni. Lui ha fatto la Resistenza con suo padre Imbriano primo di molti fratelli. Imbriano imbraccia il fucile da caccia con il piccolo Elvio e si dà alla macchi da Partigiano.

Questo libello non ha nessuna ambizione, nessuna pretesa. Ma semplicemente il desiderio di provare a narrare i fatti e le piccole vicende con umili riflessioni.

Eventi istantanei, ma immensi, rimasti nei cassetti della memoria nell’interminabile alfabeto della storia scritta con la S maiuscola e con la consapevolezza di raccontare i tanti piccoli fatti della grande storia.

Gli Alessandri sono una famiglia molto unita. Politicamente tutti seguirono l’idea socialista del loro padre che intorno al 1900 lottò a fianco della classe operaia e contadina contro il potere dei padroni che dominavano e soffocavano con arrogante autorità i diritti dei più deboli. Negli anni ‘20 del Novecento, la famiglia Alessandri fu la più perseguitata proprio perché aveva apertamente dichiarato la sua avversione contro il regime fascista.

Gli atti di violenza fascisti e squadristi che subì Imbriano furono molti.

L’umiliazione e il sopruso.

Erano i tempi in cui gli antifascisti ascoltavano Radio Londra.

E anche la scuola non si sottraeva allo squallido gioco propagandistico dell’organo di regime. L’educazione dei giovani balilla era imperniata di arroganza, di competizione sfrenata, di vanto spudorato del sopruso verso i più fragili, i più umili, gli ultimi. Elvio è costretto da questa subcultura ignobile. Ma con suo padre e con tutta la famiglia avevano già scelto. Avevano scelto da che parte stare. Di parteggiare e non essere indifferenti.

Le leggi razziali nel 1938 imperversavano.

La famiglia Alessandri pur consapevole del pericolo, si adoperò per mettere in salvo una famiglia ebrea e ci riuscì. Nel 2005 alcuni membri della famiglia Alessandri sono stati insigniti del titolo di Giusti tra le nazioni.

Si avvicina l’armistizio.

Badoglio annuncia l’armistizio.

È l’8 settembre del 1943. Così Imbriano e Elvio impugnano le armi e si danno alla vita clandestina come partigiani con altri compagni.

Quello è un periodo intenso.

La vita si è sbizzarrita a mettere in scena il peggio dell’uomo, l’uomo forte, ma anche il meglio dell’impegno e il sacrificio di tutte le persone per un riscatto di dignità contro le nefandezze e la violenza fascista.

Da un lato gli istinti più abietti e spregevoli, dall’altro il valore, gli ideali, l’altruismo, il coraggio.

In mezzo l’indifferenza, zona d’ombra senza dignità.

Il racconto rende solo un’immagine sbiadita della realtà che Elvio, Imbriano e i compagni hanno vissuto in modo così vibrante e intenso come partigiani. Purtroppo nonno Imbriano perde la vita durante gli scontri.

Il titolo del libro. Perché questa frase? Il miracolo della corda?

Il nodo al centro della corda, quello creato dalle esperienze fortemente condivise, non lo scioglie nemmeno la morte. È indistruttibile.

La morte può uccidere gli uomini, ma non le loro idee, i loro ideali. Non i legami in vita che essi hanno creato.

E Elvio, raccontandosi, conferma che ha un nodo in comune con ogni persona che ha amato e ama la libertà e la pace e per cui ha lottato e rischiato la vita.

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La bicicletta di Giulio Regeni

Canzone e video per Giulio Regeni

La bicicletta di Giulio Regeni

Testo e musica di Marco Chiavistrelli noto compositore e cantautore che ha cantato con varie personalità del mondo dello spettacolo da Battiato a De Gregori, dai Nomadi agli Area, da Guccini a Bennato e è impegnato in movimenti alternativi con importanti lotte sociali

La bicicletta di Giulio

Canzone e video per Giulio Regeni

La bicicletta di Giulio

di Marco Chiavistrelli.

Editing:

Fabrizio Cracolici & Laura Tussi

 

Quando l’attore Pif recuperò la bicicletta di Giulio Regeni che era rimasta a Cambridge, dove studiava quando si era recato in Egitto, scrissi questa canzone. Fabrizio e Laura ne hanno fatto oggi un video.

Giulio amava andare in bici, me lo immagino tra il fiume e i boschi. Giulio amava studiare, ricercare, vivere. La sua esistenza è stata interrotta in uno stato barbaro dove i servizi segreti possono violentare e torturare per nove giorni un innocente, orrendamente, fino alla morte. Con la coda di depistaggi e falsificazioni. La madre lo riconobbe dalla punta del naso e disse che di fronte al cadavere del figlio aveva visto passare tutto il male del mondo. Questa canzone cerca di ricordare ancora, con mille altre testimonianze, quella vita spezzata, i suoi studi, le sue passioni, come se quella bicicletta potesse ancora parlare.

Giulio Regeni

  

LA BICICLETTA DI GIULIO

 

Il diritto era smarrito nella grande fossa

senza umana religione,

con l’esercito che avido trabocca

nello stato e ne è padrone,

coi sevizi assatanati di ricchezza ebbra

abuso di violenza

col governo che rintraccia ombre

e uccide gli innocenti e copre teste,

così Giulio che volava tra pirati furbi

e eroi di base afflitti

nel vedere la miseria e la violenza

abbattere  l’Egitto,

così quel fiore dolce di valore e grande  intelligenza

si ritrovò distrutto ed incolore

della vita umana a farne proprio senza.

 

Quanti bei ricordi in quella bicicletta

sulle rive del fiume del vento la presenza,

o nei boschi di Cambridge il respiro fiero

dei canoisti in canotta col cuore più leggero…

 

Dimmi perchè poi studiare non può esser bello

descrivere il mondo come è

parlare con questo e quello,

e rinnovare con le parole l’oscuro lato di noi

che spesso ci soverchia l’anima e ci spenge

con tutti i nostri perchè.

 

E le piaghe si rinnovano ogni giorno

in quel corpo martoriato

mentre a Giulio scotennano il cuore

e arroventano il costato,

e le perfide ferite sotto i piedi

e quelle orecchie mutilate

ed il respiro che diviene rantolo

e trasuda sul selciato.

Se per nove giorni l’hanno spinto

nell’inferno in terra

e hanno divertito i loro istinti più bestiali

la putrida violenza col sorriso,

che non voleva avere nuovi giorni

e quel ragazzo un po’ spigliato che quieto domandava cose

e studiava sempre senza fare mai peccato..

 

Quanti giorni lievi su quella bicicletta

le foreste arcane e dal fiume quella brezza

e quei suoi sorrisi di fidanzata

quei capelli sottili come seta profumata…

 

Dimmi perchè il mondo non vola

sulle terrazze del tempo

e perchè la rossa aurora

a volte mi fa piangere dentro,

dimmi perchè la razza umana

non scopre di essere la sola

a emozionarsi allo stormire del vento

che tra le fronde un lamento lieve fa…

Sperando nella libertà, la mia bicicletta va.

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L’informazione della libertà

I social network etici consentono un’informazione realmente universale e immediata nella popolazione

L’informazione della libertà

I manifesti, i volantini, i giornali murali, hanno svolto e svolgono una funzione propagandistica, informativa e organizzativa molto importante. Si pensi al ruolo durante la prima guerra e la seconda guerra mondiale o nella lotta della Resistenza.

Il ruolo dei manifesti nella storia. Dalla scuola per l'educazione alla pace

Negli ultimi decenni l’aumentata diffusione di giornali quotidiani e la presenza della radio, della televisione, e soprattutto delle nuove tecnologie, dei social network etici hanno consentito un’informazione realmente universale e immediata nelle masse della popolazione.

Fino alla fine del secolo scorso il manifesto o il giornale murale aveva un valore determinante nei rapporti di comunicazione tra dirigenti politici e le masse popolari.

Un grande fenomeno storico assai recente come la rivoluzione russa, vide un enorme uso di manifesti, manifestini, giornali murali per informare e mobilitare le masse rivoluzionarie. Negli anni del nostro Risorgimento e nell’Italia di allora, nella quale molta della popolazione era costituita da analfabeti, l’unico mezzo per comunicare decisioni importanti e talvolta di portata storica che venivano presi, erano i manifesti murali.

Questi erano letti da coloro che potevano farlo, come le persone colte o comunque appartenenti alla borghesia e i ceti più ricchi e le notizie venivano diffuse oralmente fra gli altri cittadini che non erano nemmeno nelle condizioni di leggere questi avvisi.

Le condizioni quindi della diffusione delle notizie erano talmente diverse da quelle dei nostri giorni e questo può essere il punto di partenza per avviare una riflessione sull’argomento soprattutto con i giovani studenti di storia. Si tenga conto che spesso nei volantini, negli avvisi e nei manifesti appaiono notizie che le costruzioni storiche successive hanno dimostrato non vere: essi erano evidentemente frutto di comunicazioni sbagliate ricevute da chi doveva redigere gli avvisi e ciò può far riflettere anche sulla maggiore possibilità di errori nelle informazioni dovute alle imprecisioni della trasmissione orale delle notizie.

Si pensi infatti che talvolta le informazioni sui risultati delle battaglie venivano comunicate da staffette a cavallo che riferivano in modo parziale e iniziati gli avvenimenti o magari giungevano a destinazione mentre sul campo di battaglia le sorti della lotta venivano modificate all’ultimo momento.

Visti in rapporto ai loro contenuti, i manifesti e i giornali murali sono storicamente importanti e interessanti, si riferiscono spesso a opinioni di parte e quindi contengono tutte le amplificazioni e le modificazioni dei fatti in senso positivo e negativo dettati dalla passione politica.

Questo consentirà perciò, quando si potranno offrire manifesti e documenti di parti avverse, un utile confronto che è lo stesso confronto al quale sono costantemente abituati gli storici nel loro lavoro.

E’ da esso che nasce la ricostruzione esatta dei fatti avvenuti.

Ma anche in tempi vicini a noi, anche in questi anni, i manifesti, i volantini, i giornali murali, hanno svolto e svolgono una funzione propagandistica, informativa e organizzativa molto importante.

Si pensi al ruolo durante la prima guerra e la seconda guerra mondiale o nella lotta della Resistenza.

Gli eserciti che si affrontavano sui più diversi e lontani campi di battaglia gettavano manifesti con gli aerei sulle città e villaggi del nemico per invitare alla diserzione, alla pace e alla resa, le truppe di occupazione comunicavano ordini perentori alla popolazione proprio con i manifesti murali.

Ogni lotta clandestina, dalla Resistenza antinazista e antifascista alla lotta per la libertà in Spagna o in Grecia, alla lotta di liberazione del Vietnam, ha avuto e aveva bisogno di manifesti murali di volantini, dei giornali clandestini per comunicare le notizie che gli occupanti e i dittatori non vogliono far circolare, per organizzare i gruppi di resistenza, per informare la gente comune, per non fare sentire soli coloro che sono oppressi e sperano in una migliore condizione umana e sociale. E le lotte sociali, le battaglie elettorali di oggi vedono anche esse un grande uso di manifesti di ogni tipo.

Essi divengono spesso l’espressione dell’opinione delle minoranze, degli esclusi, delle classi sociali subalterne che non possono diffondere le proprie opinioni attraverso i grandi canali di comunicazione: la stampa quotidiana legata al grande capitale, la radio e la televisione così come le nuove tecnologie e i nuovi mezzi di comunicazione.

Le lotte dei neri americani, degli studenti, degli operai vedono un grande uso dei manifesti.

L’altra America, l’altra Italia in genere l’altra umanità cioè i milioni di poveri, gli esclusi, i lavoratori che si battono per una società più libera, più uguale, trovano nei manifesti murali fogli che si diffondono fuori dalle fabbriche o dalle università o nei comizi uno strumento sempre attuale di informazione e di organizzazione.

Anzi la caratteristica della storia del manifesto degli ultimi 100 anni è proprio questa, che da mezzo di sola informazione è divenuto via via sempre più uno strumento fondamentale di organizzazione politica e sociale, quindi un elemento importante nella creazione dei fatti storici.

Crediamo perciò che i manifesti, gli avvisi, i giornali murali siano tra le testimonianze didatticamente più importanti che si possono offrire a coloro che studiano la storia. Esse non sono riservate ad atti di archivio nei quali derivano soltanto i fatti decisi nelle cancellerie o dai governi fra pochi uomini, fra coloro che dirigono le vicende umane, ma rappresentano la testimonianza più autentica del continuo contatto tra i gruppi dirigenti rivoluzionari, i conservatori, fra i capi quindi delle diverse parti in contesa e le moltitudini che ispiravano quelle lotte che dovevano seguire e subire gli interessi di ristretti ceti dominanti.

Infine, sui manifesti si può organizzare uno studio storico, soprattutto cercando di mettere in luce quali fossero appunto i rapporti tra le masse e i gruppi dirigenti, con essi si possono anche affrontare problemi linguistici considerando le caratteristiche della lingua italiana dei secoli scorsi e le speciali espressioni adoperate per chiarire dei particolari avvenimenti.

Ma, certamente, non sono soltanto i manifesti a documentare il passato lontano e recente, non si può credere che essi soltanto siano fonti della storia.

Così nell’offrire a scuola raccolte e riferimenti di manifesti, di avvisi, di volantini dedicati a avvenimenti importanti remoti o vicini, si possono completare, a livello didattico, con pagine di giornali, con documenti privati, con atti di archivio che possono così tutti insieme dare un’immagine la più ricca possibile di quell’epoca di quel momento della nostra storia.

L’importante è avere i dati per rivivere, in quei giorni, in quegli anni.

Dalla memoria dei materiali informativi del passato al futuro dei nuovi mezzi di comunicazione, l’informazione deve essere sempre libera e alla portata della maggioranza delle popolazioni.

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Anna Frank e la felicità

Oggi un amico mi ha donato una buona parola: felicità

Anna Frank e la felicità

Anna si ritrovava reclusa con una fanciullezza spezzata dalla guerra. La seconda guerra mondiale: la più spietata delle atrocità del cosiddetto secolo breve. Dai Lager, ai bombardamenti fino all’altrettanto crudele epilogo di Hiroshima e Nagasaki

La felicità

Oggi un amico mi ha donato una buona parola: felicità

Credo che ogni giorno dovremmo soffermarci e scrivere tre frasi per dire a noi stessi quello che ci ha reso felici.

Anna Frank scriveva sempre nel suo diario tre parole o frasi che ogni giorno rappresentavano un evento, una cosa, un particolare che la rendessero felice.

Lei si ritrovava reclusa con una fanciullezza spezzata dalla guerra. La seconda guerra mondiale: la più spietata delle atrocità del cosiddetto secolo breve. Dai Lager, ai bombardamenti fino all’altrettanto crudele epilogo di Hiroshima e Nagasaki.

Anna scrive nel suo diario per non farsi prendere dalla disperazione per non perdersi nel baratro più oscuro del buio abissale.

A proposito di Anna Frank, ogni giorno quando mi sveglio penso sempre che sono fortunata perché innanzitutto mi sono svegliata e sono viva e poi ho una preziosa vita umana e che non devo assolutamente sprecarla.

Dunque dovrò usare tutte le mie energie per migliorarmi e per aprire il mio cuore agli altri e avere per gli altri parole gentili e non pensieri malvagi e cattivi. Dunque devo cercare di non arrabbiarmi, ma di fare tutto il bene che posso.

Oggi un amico mi ha donato una buona parola: felicità.

E mi ha descritto come la mette in pratica per se stesso e in rapporto alla madre molto anziana. Perché la migliore parola che possa regalare un amico è la parola felicità, da attualizzare giorno per giorno nel corso dell’esistenza.

Per esempio quando tutto sembra perso e buio è necessario donare il barlume di luce interiore che mi sta nel cuore alle persone più vicine nei momenti difficili.

Dobbiamo essere felici anche per il solo fatto di esistere e di essere in vita assieme a tutti gli esseri senzienti nell’immensità infinita di questo nostro universo.

Perché siamo forse gli unici esseri viventi di questa infinita infinità e per questo motivo dobbiamo preservarci dall’estinzione totale che può derivare da molti fattori, ma soprattutto da una guerra nucleare che può innescarsi anche solo per un errore umano o di dispositivi tecnologici.

Il diritto alla pace sancisce la responsabilità dell’unica famiglia umana nel salvaguardare l’ecosistema e la specie animale, umana, vivente, terrestre.

Una guerra nucleare annienterebbe per sempre il significato e il portato dell’entità umana, tutta la sua storia, positiva o negativa che sia e dei progressi che la civiltà abbia compiuto in sintonia con la natura e con madre terra.

La felicità è un diritto come la pace e l’essere umano ha la necessità appunto di vivere e sopravvivere senza la paura della guerra nucleare. Perché questo sta scritto nel “diritto alla pace” che dovrebbe essere codificato dall’UNESCO, ossia l’agenzia scientifica e culturale dell’ONU.

Il diritto alla felicità e alla pace vanno di pari passo oltre le barriere ideologiche, per una svolta umanistica ancora prima che umanitaria, affinché l’oppresso, l’emarginato, l’ultimo della terra siano redenti, salvati e valorizzati, in un abbraccio che accoglie perché vogliamo la pace.

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Le biblioteche tra memoria e futuro

La conoscenza delle biblioteche scolastiche tra memoria e futuro

Le biblioteche tra memoria e futuro

Le biblioteche scolastiche purtroppo sono poco valorizzate e i progetti su di esse scarseggiano di risorse con i tagli economici da parte del ministero e con la politica sempre più lontana dalla possibilità di un loro potenziamento

Le biblioteche tra memoria e futuro

La conoscenza delle biblioteche scolastiche tra memoria e futuro.

Le biblioteche cosiddette scolastiche, ossia situate nelle scuole secondarie di primo grado, purtroppo sono poco valorizzate e i progetti su di esse scarseggiano di risorse con i tagli economici da parte del ministero e con la politica sempre più lontana dalla possibilità di un loro potenziamento. Come diceva Seneca: se hai una biblioteca e un orto possiedi tutto. Questo detto dovrebbe avere piena attuazione nelle scuole di ogni ordine e grado.

In molti istituti dove ho insegnato, esistono importanti biblioteche per la qualità dei contenuti librari.

Quasi ogni scuola possiede una biblioteca con molti volumi storici e collegati a percorsi storiografici degli eventi contemporanei del territorio e alle memorie storiche della resistenza e delle deportazioni, perlopiù nelle scuole dell’hinterland milanese e nella provincia di Monza e Brianza dove il fenomeno resistenziale è stato molto preponderante.

I libri delle biblioteche scolastiche potrebbero essere adeguatamente catalogati e posti in archivi online e in database fruibili da un’utenza che spazia dai docenti agli studenti, dai genitori al personale scolastico.

Inoltre ogni docente adibito alla gestione di queste biblioteche della memoria e del futuro potrebbe trasformare il proprio progetto in un “fiore all’occhiello” dell’istituto stesso, anche tramite partenariati con associazioni, patrocini di enti e patronati di istituzioni.

Si potrebbero organizzare attività di lettura ad alta voce e laboratori di scrittura creativa aperti a tutti, ricollegandosi alla memoria storica del tessuto territoriale, partendo dai temi ampi del pacifismo fino alla storia della Resistenza e delle Deportazioni tramite le narrazioni degli orrori del cosiddetto secolo breve.

Il docente incaricato potrebbe scrivere recensioni, schede didattiche, percorsi di lettura, trasposizioni teatrali, per ogni libro, fruibili dall’intera comunità scolastica e dal territorio. Inoltre si potrebbero organizzare incontri e convegni a tema con esperti, studiosi, giornalisti per ampliare e far emergere la consapevolezza della ricchezza di tali biblioteche.

Purtroppo le potenti politiche alquanto miopi e completamente assenti e prive di lungimiranza non solo relativa al portato culturale bibliotecario, ma anche didattico e formativo, hanno impedito a molti docenti di accedere al ruolo nelle biblioteche delle scuole secondarie di primo grado che rappresentano un autentico patrimonio inestimabile per la didattica e le attività formative nel loro complesso.

Una biblioteca racchiude tutto il bene dell’umanità. È un patrimonio inestimabile.

Queste biblioteche diventano un luogo di ritrovo nell’ambito della cultura e custodiscono potenzialità di esercizio mentale complesso e multifunzionale, creativo, proprio per fare formazione e aprire le menti al valore del passato storico, della memoria degli eventi, per recuperare un ideale inestimabile e imprescindibile come quello della pace che è soprattutto un diritto inalienabile sancito dalle costituzioni e dal diritto internazionale.

È nostro dovere coltivare la pace ripercorrendo i contenuti delle costituzioni nate dall’antifascismo, sancite con il sacrificio di partigiani, di deportati, di resistenti e di tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione e costruzione di un altro futuro possibile all’insegna del cambiamento per porre fine alla guerra, per l’intera umanità martoriata dal secondo conflitto mondiale. Questo rappresenta un alto monito ideale di civiltà utile a tutte le cittadinanze e non solo.

Le biblioteche scolastiche si aprono al mondo, alla memoria del passato per un nuovo futuro possibile e quanto mai necessario, come possibile e necessario è il progetto di tante biblioteche sul territorio nazionale.

Dunque come fare per poter valorizzare e potenziare questo immenso patrimonio culturale e formativo non solo locale, ma anche nazionale?

Le politiche scellerate perpetrate di anno in anno con ingenti tagli di risorse economiche e di personale alle scuole pubbliche hanno praticamente distrutto i più meritevoli progetti.

Nel mondo antico le biblioteche rappresentavano autentiche ricchezze. Si pensi, ad esempio, alla sontuosa e mitologica biblioteca di Alessandria d’Egitto, dove le genti, gli intellettuali, confluivano da tutto il mondo per fare tesoro e attingere dagli incunaboli preziosi, dai manoscritti minuziosi fino alle pergamene elaborate dagli amanuensi presenti negli archivi bibliotecari.

La comparsa e l’incremento delle nuove tecnologie ha sminuito il ruolo delle biblioteche come centro di aggregazione, educazione e trasmissione didattica informativa e formativa del sapere. Per superare il deficit del fenomeno delle tecnologie e dei social network virtuali è necessario recuperare il significato della collettività, l’importanza dell’incontro interpersonale, il significato di ritrovarsi attraverso la lettura e lo studio che non sono solo una dimensione individuale della preparazione culturale, ma diventano simboli, sistemi, ambiti di recupero del vivere comunitario e collettivo, dell’apprendimento collegiale e plurale.

Le biblioteche nelle scuole devono essere valorizzate e il loro ruolo deve essere sancito nell’ambito della programmazione didattica per una formazione completa che coinvolga la cittadinanza attiva, la comunità intera, in un grande percorso di recupero anche del disagio esistenziale giovanile e in generale più complesso, che permea, nella nostra attualità, gran parte del tessuto sociale delle città e delle periferie.

Il sapere, lo studio e la dedizione culturale verso il conoscere tramite la lettura e la scrittura sono fattori importanti per la crescita di ogni persona, concepita nella propria complessità emotiva, culturale, psicologica, in ogni dimensione dell’essere della propria identità inserita in contesti molteplici e plurali, che formano tutti i soggetti, a partire dagli studenti a una innovativa cittadinanza attiva che ci vede non solo abitanti di questo mondo, ma soprattutto figlie e figli di un contesto universale.

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Il cortile degli oleandri

Libro

Il cortile degli oleandri

È stata per noi una grande sorpresa e un immenso piacere, poter leggere “Il cortile degli oleandri”, opera della cara amica Rosaria Longoni. Un libro intenso, scritto con il cuore e con la consapevole volontà di tramandare una memoria importante: una memoria capace di trasmettere emozioni e valori

Libro di Rosaria Longoni, insegnante, già sindaco di Nova Milanese (Monza e Brianza)

Il cortile degli oleandri

Libro di Rosaria Longoni

Prefazione di Franca Ciamarone

Postfazione di Laura Tussi e Fabrizio Cracolici

 

Scheda editoriale del Libro “Il cortile degli oleandri” Mimesis Edizioni

La narrazione, garbatamente minuziosa, rende partecipi della storia tribolata di una famiglia friulana che, a testa alta con la sicurezza delle proprie radici, si integra nella vita di Muggiò, paese della provincia milanese, durante i dolorosi anni della Seconda guerra mondiale. Attraverso l’emozionante racconto di Agar, una ragazzina coraggiosa con tanta voglia di studiare e di riscattarsi, emerge la figura centrale, il vero motore di tutte le situazioni: Gigia, madre esemplare e generosa donna di fede, capace di trovare audaci soluzioni e di superare ogni ostacolo. Il sentimento antifascista che pervade la seconda parte culmina con la scelta ponderata dei protagonisti di partecipare alla guerra di liberazione in modo attivo, fra la presa di coscienza collettiva dei propri diritti in fabbrica, una chiesa vicina alle richieste di uguaglianza e di giustizia del popolo e anche semplici persone, come Gigia, pronte a sacrificare la propria vita per la libertà e la democrazia.

 

Tratto dal Libro “Il cortile degli oleandri”
“Nello, noi siamo dalla parte giusta, quante volte l’abbiamo detto? Stiamo combattendo per difendere la nostra libertà, è un nostro sacrosanto diritto, non è una stupida ostinazione e non possiamo rinunciare ora, dobbiamo continuare a lottare anche per quelli che sono stati uccisi, arrestati, deportati!”

Papà era stanco, ma sempre convinto, infatti concluse: “Hai ragione, Gigia, andiamo avanti, non è questo il momento di essere stanchi, anzi dobbiamo impegnarci ancora di più!”

 

Postfazione al Libro “Il cortile degli oleandri” Mimesis Edizioni di Laura Tussi e Fabrizio Cracolici

 

È stata per noi una grande sorpresa e un immenso piacere, poter leggere “Il cortile degli oleandri”, opera della cara amica Rosaria Longoni.

Un libro intenso, scritto con il cuore e con la consapevole volontà di tramandare una memoria importante: una memoria capace di trasmettere emozioni e valori.

Una testimonianza di quello che fu l’orrore del nazifascismo e allo stesso tempo quale fu la risposta di un popolo che per giustizia e non per odio volle riscattarsi.

Narrare storie di Antifascismo, trattare di Pedagogia della Resistenza oggi risulta essere fondamentale alla luce di un clima di odio, xenofobia e razzismo in continua crescita.

Molti sono gli scritti a nostra disposizione per studiare e comprendere il periodo nefasto del nazifascismo che sprofondò l’Italia, l’Europa e il mondo in un baratro di orrore e sofferenza indicibili. Ma narrare storie di ordinaria resistenza, anche di piccoli nuclei familiari, può rappresentare un importante passo per far comprendere i valori su cui si fonda la nostra Costituzione nata dalla Resistenza Antifascista.

E’ necessario fare memoria e ricordare la nascita dello Stato italiano e degli Italiani come popolo, in un certo senso “rinato” il 25 Aprile 1945, grazie al sacrificio di moltitudini di persone che hanno versato il proprio sangue e dato la propria vita, nel segno dell’eguaglianza sociale ed economica, della libertà di espressione, del rispetto dei diritti di tutti gli esseri umani, della pace e della fratellanza.

Attualmente, alcune frange della società italiana sembrano senza memoria, prive di attenzione per la propria storia e per il passato che appartiene loro. Proprio per questo è necessario stimolare le nuove generazioni ad un impegno costruttivo e creativo come sostiene il Partigiano, Deportato, padre costituente dell’ONU Stéphane Hessel “Creare è Resistere, Resistere è creare”.

Su Mimesis Edizioni:

http://mimesisedizioni.it/il-cortile-degli-oleandri.html

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Maria Montessori e il pacifismo

Donne coraggiose

Maria Montessori e il pacifismo

Maria Montessori continuò, durante l’esilio imposto dal fascismo, nelle sue conferenze a esprimere messaggi di pace e lanciare moniti per la nonviolenza, mentre in tutta Europa e nel mondo divampavano l’odio, la violenza e la seconda guerra mondiale, provocati dai regimi nazifascisti.

Maria Montessori: educazione e pace

Negli ultimi decenni molte discipline, dalla fisica alla sociologia, della pedagogia alla storia e alla psicanalisi si sono occupate di temi legati alla cultura della pace.

Tuttavia l’indagine storiografica ha ignorato interi filoni del pensiero pacifista e personaggi che si sono impegnata a lungo in favore della pace.

L’impegno per la pace, così come altre tematiche maturate all’interno dell’esperienza emancipazionista assume quasi sempre una connotazione pedagogica legata all’elaborazione di modelli culturali alternativi a quelli tradizionali.

Il rapporto tra educazione e pace è oggetto di trattazioni più specifiche come le riflessioni di Maria Montessori, una delle figure più significative del movimento Pacifista e emancipazionista italiano, laureata in medicina nel 1896 e nota soprattutto per la sua attività teorica e pratica di pedagogista.

E è proprio in quest’ambito che Maria Montessori dedica un’attenzione costante al tema della pace come momento centrale della formazione culturale delle nuove generazioni.

Nel definire la guerra come una malattia della vita morale dell’uomo, Maria Montessori denuncia i pericoli impliciti in ogni nazionalismo e pensa alla formazione di un uomo nuovo che possa essere considerato cittadino di un’umanità senza confini e guerre e conflitti armati. Pur non entrando nel merito di una valutazione complessiva della sua opera educativa, che presenta aspetti di notevole complessità, è interessante osservare che proprio il suo interesse pacifista costituisce una delle cause principali della sua emarginazione durante gli anni del regime fascista.

I suoi ideali si scontrano in quel periodo con il modello educativo dominante, fondato su una concezione pedagogica autoritaria, nazionalistica, maschilista e misogina. Basti pensare all’indottrinamento dei disvalori fascisti della gioventù balilla.

Il contributo di Maria Montessori rappresenta un elemento di congiunzione, nella discontinuità degli eventi, tra l’esperienza emancipazionista di fine secolo e i primi decenni del Novecento, travagliati da due conflitti mondiali.

Sono gli anni in cui il tema della pace assume connotazioni umanamente e politicamente drammatiche.

Proprio in questo contesto, Maria Montessori ne sottolinea provocatoriamente la dimensione culturale più profonda, che va oltre l’emergenza politica e che si lega a una più ampia prospettiva ideale di superamento di ogni oppressione materiale morale.

Nello scritto La Pace e l’educazione, pubblicato a Ginevra nel 1932, essa afferma, anticipando elaborazioni presenti nel pacifismo attuale, che la pace non è solamente assenza di guerra, ma, al contrario, è l’avvio di una nuova concezione dello sviluppo umano e sociale. Per Pace si intende generalmente la fine della guerra.

Ma questo concetto, puramente negativo, non è quello della pace. La pace vera, al contrario, fa pensare al trionfo della giustizia e dell’amore fra gli uomini: rivela l’esistenza di un mondo migliore dove regna l’armonia.

L’impegno delle donne per la pace si ricollega a una loro significativa, sebbene conflittuale, partecipazione concreta alla vita politica. Questa esperienza è stata spesso trascurata dagli storici, quasi che temi importanti come quelli della pace e della guerra, partendo appunto dal mondo della politica, fossero privi di connotazioni sessiste e estranei alle donne, soggetti spesso confinati, fino a poco tempo fa, anche dalla storiografia, nella parte tematica del privato. Maria Montessori fu dapprima vezzeggiata dal regime fascista, per la diffusione del suo metodo pedagogico e degli istituti e nelle scuole a esso ispirati. In seguito, quando il fascismo si rese conto del portato rivoluzionario del pensiero montessoriano, fu costretta all’esilio e continuò nelle sue conferenze a esprimere messaggi di pace e lanciare moniti per la nonviolenza all’intera umanità martoriata e in conflitto, mentre in tutta Europa e nel mondo divampavano l’odio, la violenza e la seconda guerra mondiale, provocati dai regimi nazifascisti.

Note: Bibliografia –

Laura Tussi, Educazione e pace, Mimesis 2012

Maria Montessori, La paix et l’éducation, Genève, Bureau International d’éducation, 1932

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Donna: l’impegno pacifista

La donna emancipata e pacifista nella cultura dell’Ottocento

Donna: l’impegno pacifista

L’asprezza del misoginismo ottocentesco si scontra con l’esperienza dei primi gruppi emancipazionisti. La donna emancipata e pacifista diviene allora il bersaglio da colpire, l’emblema di disordine e della sregolatezza morale.

Donna e pacifismo

Nella cultura dell’Ottocento, la rappresentazione ideale della figura femminile esprime un’attesa di salvezza dal sapore religioso che impregna la mentalità collettiva dell’epoca. La funzione pacificatrice della donna, motivo ricorrente nei manuali di allora, è spesso legata all’enfatizzazione di una naturale vocazione educativa e di una capacità di amore e di sacrificio carica di implicazioni morali.

L’attenzione sociale e culturale nei confronti della donna assume nell’Ottocento una dimensione molto ampia con un ricorso ad argomentazioni che esprimono un fine ideologico prima di allora inedito.

La vastità del fenomeno è documentata tra l’altro dalla varietà delle voci impegnate in una corale definizione dei caratteri della femminilità più autentica. La discussione sulla missione sociale della donna, tratta da una visione piena di pregiudizi della sua natura biologica, coinvolge infatti, intellettuali di diverso orientamento, cattolici, laici, atei impegnati in svariati settori della vita culturale, educatori, pedagogisti, politici, teologi, letterati, medici e antropologi. Pestalozzi, Tommaseo, Mazzini, Lombroso, Mantegazza e tanti altri si sono cimentati in una elaborazione implicitamente prescrittiva delle caratteristiche culturali morali proprie del genere femminile. La scoperta sociale, maturata in quegli anni pur tra molte contraddizioni e zone d’ombra, sul valore dell’infanzia implica di per sé una maggiore attenzione al ruolo della madre educatrice, ma non basta solo a spiegare l’intensità di un’operazione pedagogica e culturale che, esaltando le qualità morali della donna, ne sancisce l’esclusione da una partecipazione attiva alla vita sociale.

Secondo il senso comune allora dominante, la donna, confinata non solo simbolicamente alla cerchia delle mura domestiche, deve svolgere una funzione di custode della moralità collettiva: è una dimensione che va oltre gli stretti confini della sfera familiare e che investe i destini dell’intera umanità.

In questo ambito la sua funzione pacificatrice rappresenta dunque un’estensione sociale di valori legati al ruolo materno.

Anche le professioni che generalmente vengono considerate più adatte alle donne ripropongono i valori del sacrificio, dell’assistenzialismo, della capacità di amore senza riserve.

Perfino il progresso e la pacifica convivenza fra gli uomini sembrano dipendere dalla generosità di questa educatrice virtuosa. Questo tipo di affermazioni è molto frequente nella vasta letteratura che tratta per tutto l’Ottocento il tema dell’educazione della donna.

Certamente non è casuale che l’esaltazione della bontà femminile venga predicata con toni sempre più accesi proprio negli ultimi decenni del secolo, quando una nuova mobilità sociale consentirà una diversa partecipazione delle donne al mondo del lavoro, degli studi e della politica.

La donna emancipata e pacifista diviene allora il bersaglio da colpire, l’emblema di disordine e della sregolatezza morale.

L’asprezza del misoginismo Ottocentesco si scontra con l’esperienza dei primi gruppi emancipazionisti e pacifisti al cui interno il maturare di un concreto impegno per la pace comporta innanzitutto per le donne impegnate nel movimento, un ribaltamento di quei valori che, proprio esaltando la funzione pacificatrice del genere femminile, ne contrasta una partecipazione reale agli eventi della società e della storia.

È impossibile scindere i motivi dell’impegno pacifista del movimento delle donne dai contenuti delle battaglie emancipazionistiche nella seconda metà dell’Ottocento. L’associazione internazionale delle Donne fondata a Berna nel 1866 è proprio la sezione femminile della Lega per la pace e la libertà che aveva come organo di stampa il Periodico Stati Uniti d’Europa.

Sussiste dunque un preciso legame fra le questioni della pace e le vicende dell’emancipazionismo femminile in Europa. Questo legame connesso anche con il contrastato rapporto con l’associazione internazionale dei lavoratori, mette in luce la specificità dell’interesse manifestato dalle donne del movimento per la pace nei confronti del pacifismo considerato spesso come un punto qualificante di un più vasto impegno verso una società egualitaria e non sessista.

Pace, giustizia e lotta contro l’oppressione femminile sono i temi che appaiono insieme negli scritti e nei discorsi ufficiali delle più impegnate emancipazioniste. Tuttavia la prima spinta psicologica a intervenire nelle questioni della pace e della guerra esprime anche motivazioni che possono apparire ambiguamente legate a una specificità femminile di tipo tradizionale in cui ciò che domina è ancora la preoccupazione materna. Ma i frequenti appelli in difesa degli uomini, mariti, figli, fidanzati, sottoposti al pericolo bellico e la lotta per la vita contro la morte non sono destinate a restare un richiamo solo emotivo e affettivo. Molte delle analisi di allora contengono considerazioni legate a motivi più esplicitamente politici e culturali.

Questa ideologia antifemminista e misogina è presente in modo particolare nel sapere scolastico, come risulta da un’analisi dei programmi dei libri di testo e dei modelli formativi destinati agli insegnanti a questi valori assai diffusi nel senso comune di allora. Anna Maria Mozzoni oppone una proposta culturale e politica coraggiosamente alternativa per sradicare lo stereotipo della cosiddetta missione della donna basata su un equivoco sociale scientifico.

In opposizione al clima risorgimentale Paola Shiff, una delle prime donne laureate nell’Italia post unitaria, definisce nel corso di una manifestazione pacifista tenutasi a Milano nel 1888, qualsiasi guerra “un avanzo di barbarie”.

Negli ultimi anni del secolo, l’interesse per i temi della pace trae un nuovo impulso dalle questioni sollevate dalla guerra d’Africa, che spinge il movimento di emancipazione delle donne insieme ad altri gruppi politici a una forma alta di mobilitazione per la pace.

Sono numerose le leghe femminili per la pace impegnate in questa campagna. Ne parla Franca Pieroni Bortolotti nei suoi scritti sull’emancipazionismo.

Le leghe femminili organizzano soprattutto nel nord molte manifestazioni popolari contro la guerra coloniale, tentando anche di impedire la partenza dei soldati.

La società per la donna si impegna a Roma in alcune iniziative pacifiste e anticoloniali di cui dà notizia la rivista La vita femminile.

Note: Bibliografia –

Maria Montessori, La paix et l’éducation, Genève, Bureau International d’éducation, 1932

Anna Maria Mozzoni, La liberazione della donna, a cura di F. Pieroni Bortolotti, Mazzotta, Milano.

Franca Pieroni Bortolotti, La donna, la pace, l’Europa, Franco Angeli, Milano

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Libro Memoria e futuro, Mimesis Edizioni in tutte le librerie dal 6 maggio 2021

 

Il libro Memoria e futuro, Mimesis Edizioni è frutto di un lavoro collettivo portato avanti dai Disarmisti esigenti nati dall’appello Esigete! Un disarmo nucleare totale di Stéphane Hessel e Albert Jacquard e dai loro stretti collaboratori, membri anch’essi di ICAN, la Campagna Internazionale per la messa al bando delle Armi Nucleari, Premio Nobel per la Pace nel 2017. Memoria e futuro è focalizzato sulla cultura della pace del XXI secolo e lancia la proposta di una Rete per l’Educazione alla Terrestrità (RET).

La RET è orientata verso una cittadinanza planetaria organicamente pervasa di coscienza ecologica e strutturata su un ordinamento internazionale, “per assicurare la pace e la giustizia tra le Nazioni” (art. 11 della Costituzione italiana), che riconosca e tuteli i diritti dell’unica umanità e della natura. Collegandosi all’iniziativa della Carta della Terra

dell’UNESCO, la RET include, per l’appunto, l’omonimo progetto “Memoria e futuro”, esposto in queste pagine nelle sue finalità, nei suoi obiettivi e nelle sue scadenze (progetto erede dell’esperienza dell’iniziativa “Per non dimenticare” di Nova Milanese e Bolzano).

Il libro è stato scritto nel periodo di attesa dell’entrata in vigore ufficiale, fissata al 22 gennaio 2021, del Trattato per la proibizione delle armi nucleari, il TPAN (TPNW in inglese), e si propone come strumento di lotta per una mobilitazione politica di base, considerata decisiva per un futuro di progresso dell’umanità, consapevole della necessità di un lavoro culturale adeguato come retroterra: un lavoro che affondi le sue radici nella memoria valorizzante l’esperienza della Resistenza, caratterizzata dal valore dell’amore per l’umanità. L’identificazione della Resistenza con il punto di vista e il riscatto degli sfruttati e degli oppressi è la continuità da conservare e da integrare con il valore del rispetto verso il sistema complessivo della vita….” continua

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Rivista.eco – Dalla memoria alla terrestrità

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Rivista.eco – Dalla memoria alla terrestrità

Come una ricercatrice sui problemi educativi, lavorando con i Disarmisti esigenti, è pervenuta, partendo dalla “Pedagogia della Resistenza”, ad affrontare i temi intrecciati del razzismo, dell’ecologia e della pace. Educazione alla pace e educazione ecologica sono intrecciate e interdipendenti

Maria Montessori "Educazione come arma della Pace" su Rivista.eco - organo ufficiale della rete mondiale di educazione all'ambiente diretta dal Professor Mario Salomone

In collaborazione con lo storico Fabrizio Cracolici, ANPI (Associazione nazionale partigiani d’Italia) e Alfonso Navarra, portavoce dell’associazione Disarmisti Esigenti oggi, ciascuno con le sue competenze, siamo pervenuti a trattare di Pedagogia della Resistenza e Educazione alla Terrestrità, di formazione e educazione.

In questo ambito, nei nostri libri e nelle nostre pubblicazioni, proponiamo un nuovo percorso di accompagnamento alla formazione e allo sviluppo della conoscenza dei diritti civili e dei diritti inalienabili della persona. La pace con la natura è condizione della giustizia sociale e educazione alla pace e educazione ecologica sono, nella nostra visione, intrecciate e interdipendenti.

Dobbiamo considerare il mondo umano come parte integrante del mondo naturale e una riconciliazione solo tra esseri umani, che prescinda dal ripristino di un rapporto armonico con gli equilibri ecologici, non ha basi per avanzare.

Una pedagogia del futuro, ripartendo dalla scuola

La nostra è una pedagogia del futuro collegata alla nuova cultura della pace del XXI secolo per la quale ricerchiamo, lavoriamo, sperimentiamo.

Insomma, un percorso di sviluppo della democrazia, della cittadinanza attiva, della partecipazione. Per educare all’antifascismo, all’antirazzismo e alla nonviolenza, secondo il monito di Stéphane Hessel, il partigiano autore di “Indignatevi!”,  (“Indignatevi!” è il libro denuncia scritto da Hessel,  partigiano, novantatreenne, sui mali della nostra epoca)

occorre ripartire proprio dall’istituzione scuola. Noi non troviamo altra soluzione, perché la scuola, ancora prima della famiglia, rispecchia il pluralismo e la diversità impliciti nella società.

Pluralismo e diversità che si vengono a manifestare nel processo educativo: nel percorso didattico si scoprono le caratterialità, le criticità, le implicite diversità, le esigenze del singolo studente che mutua e assimila varie istanze e diverse forme di contenuto dal nucleo familiare di origine.

Le leggi razziali nazifasciste del 1938

La scuola, tra l’altro, in un passato che non dobbiamo dimenticare e archiviare, ha subito la discriminazione e l’intolleranza: basti pensare alle leggi razziali nazifasciste del 1938. E la scuola, pur con diversa entità ed intensità, continua ancora a discriminare e a prendere provvedimenti contro i più deboli. Anche il finanziamento pubblico alle scuole private è una forma di discriminazione. La riduzione degli insegnanti di sostegno ai bambini diversamente abili, la negazione della mensa ai meno abbienti sono forme di discriminazione.

I quesiti sono sempre aperti perché auspichiamo una scuola che si apra sempre più alle differenze, agli altri, e non solo da parte degli studenti, ma anche da parte degli insegnanti. Anche il mondo adulto viene messo in discussione nell’ambito e nell’ambiente scuola. Quindi una scuola più aperta. Una scuola che si apra alle implicite esigenze di ciascuno, ai caratteri di cui ognuno è portatore, alle difficoltà implicite che ciascuno presenta. È necessario costruire una scuola senza discriminazione, dove l’altro sia considerato depositario di un’autentica ricchezza da risocializzare e ripartecipare, una ricchezza da condividere nella convivenza del quotidiano secondo un impegno di responsabilità e di indignazione contro tutte le discriminazioni, contro l’intolleranza, il non rispetto e la violazione dei diritti umani.

Una nuova ricchezza sociale partecipativa che vada a incrementare un discorso di civiltà a misura di persona, per una comunità, per un assetto sociale e civile aperto alle differenze, alle divergenze, anche al conflitto, come sostiene il nostro amico Daniele Novara, direttore del Centro psicopedagogico per la pace e la gestione dei conflitti. Infatti, il conflitto è implicito nell’educazione. Noi parliamo di nonviolenza, ma con questo concetto non intendiamo un’idea di passività, di remissività, di rassegnazione, di debolezza, di lassismo, di incoerenza, di menefreghismo; intendiamo nonviolenza, in senso stretto, come cooperazione, interdipendenza, interconnessione su quelli che sono i diritti umani.

Le strumentalizzazioni di Mussolini

È quello che già sosteneva la grande pedagogista, Maria Montessori, che fu perseguitata dal fascismo. Mentre in tutt’Italia, in Europa e nel mondo divampava la violenza del secondo conflitto mondiale, la Montessori portava nei suoi convegni messaggi di speranza e di pace per l’intera umanità, a partire dall’infanzia. Inizialmente fu vezzeggiata dal fascismo, perché Mussolini voleva strumentalizzare le sue scuole, ma l’impostazione di pensiero di Maria Montessori contrastava nettamente con l’ideologia fascista e l’indottrinamento del regime; basti pensare ai principi di istruzione su cui si fondavano i dettami fascisti per indottrinare la Gioventù Balilla, basati sull’individualismo, sulla competitività ad oltranza, sul disprezzo, sull’aggressività nei confronti dell’altro.

Disvalori fascisti che, anche secondo Stéphane Hessel, sono attualmente veicolati dai mezzi di comunicazione di massa: come la cultura dell’oblio, il consumismo sempre più esasperato, estetizzante e individualistico, la competizione di tutti contro tutti; in sostanza il pensiero unico, capitalista e neoliberista.

Tornando al concetto di nonviolenza, Maria Montessori ne era promotrice, e il suo celebre motto “L’educazione come arma della pace” è un importante ossimoro per sostenere che tutto si gioca a partire dall’educazione, a partire dalla scuola, per creare contesti di socialità e di solidarietà, per andare oltre le dittature, i totalitarismi, gli sciovinismi, i nazionalismi, proprio per costruire ambienti di pace nel quotidiano.

Il bambino è portatore di pace già nel suo contesto quotidiano, a livello microsociale: e questa è una leva per arrivare, in ultima analisi, a un livello di costruzione della pace universale e globale.

Note: Rivista.eco, organo ufficiale della rete mondiale di educazione all’ambiente, diretta dal Professor Mario Salomone:
https://rivistaeco.it/dalla-memoria-alla-terrestrita-razzismo-ecologia-e-pace-insieme-leducazione-come-arma-della-pace/

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