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La Strategia energetica nazionale di Calenda è inutile – di Mario Agostinelli e Roberto Meregalli

16 maggio 2017

Il 10 maggio in audizione alla Camera, il ministro Carlo Calenda, insieme al collega Galletti, ha presentato la nuova Strategia energetica nazionale (Sen). Quarantasette slide per elencare obiettivi in materia di sicurezza, decarbonizzazione ed efficienza per l’anno 2025 [qui il documento].

Competitivitàambiente e sicurezza sono i tre pilastri della nuova Sen, esattamente gli stessi di quella 2013 (ma nel 2013 ce n’era un quarto: favorire la crescita economica attraverso lo sviluppo del settore energetico). Competitività significa prezzi dell’energia in linea con quelli dei “concorrenti” europei, ambiente allineamento con i target europei, sicurezza significa diversificazione dei fornitori di gas perché più sono e meno siamo dipendenti da uno di essi.

La prima sensazione, vedendo questa presentazione è quella di trovarsi di fronte ad un documento che recepisce genericamente i cambiamenti in atto nel settore energetico unitamente agli obiettivi europei in tema di ambiente e nulla più. Il che francamente risulta molto deludente e riconferma i dubbi di coloro che si chiedono quale utilità pratica abbia questa nuova Sen.

Sul fronte dell’efficienza si sottolinea come le misure relative al settore residenziale siano troppo costose, parliamo delle detrazioni fiscali, per cui se ne prevede una revisione che probabilmente mirerà a concentrare le risorse verso interventi strutturali sugli edifici. Di positivo l’annuncio di un fondo di garanzia per eco-prestiti prendendo come modello quanto realizzato in altri paesi europei.

Sulla mobilità si evidenzia come nel nostro paese circolino 16,7 milioni di autovetture molto inquinanti (euro 0-3) e che quindi sia quanto mai urgente uno svecchiamento. Però come misure si parla concretamente solo di gas metano (si annuncia il decreto tanto atteso sul biometano!) e di biocarburanti, accennando alla conversione delle raffinerie in bioraffinerie: la materia dei biocarburanti si traduce in sostanza in banali percentuali nella miscelazione del carburante.

Per l’auto elettrica si parla di incentivi solo per dire che “dovranno essere proporzionali al differenziale di emissioni e di efficienza energetica” ma non c’è nessuna cifra obiettivo, niente di niente, nessuna strategia. Viene da pensare che se ci sarà uno sviluppo della mobilità elettrica in Italia sarà per effetto delle imprese, Enel in primis (è di fresca la nomina dell’ex ad di Enel Green Power alla nuova divisione che dovrà, fra le alte cose, occuparsi proprio di e-mobility). Mentre l’Unione petrolifera prevede che nel 2030 si venderanno solo 150mila elettriche (saranno solo lo 0,5% del parco autoveicoli), Enel stima invece che già nel 2020 nel nostro paese se ne venderanno 90mila rispetto alle 2.560 vendute nel 2016. Il governo invece alla Ponzio Pilato, non prevede proprio nulla. Sta alla porta si direbbe.

Il vero pezzo forte della nuova Sen, quantomeno quello adatto a conquistare l’attenzione dei media è però il target sul carbone, nell’ambito della generazione elettrica. Vengono ipotizzati tre scenari di uscita dal carbone con orizzonti 2025-2030.

Uno inerziale, che prevede la dismissione di 2 GW e il mantenimento di quattro impianti (Torrevaldaliga Nord, Brindisi Sud, Fiumesanto e Sulcis); uno “intermedio” che prevede anche la chiusura di Brindisi, e infine uno radicale che prevede la chiusura di tutte le centrali. Per tutti e tre gli scenari sono indicati i “costi” che il sistema dovrebbe accollarsi (ergo i cittadini) per sostituire questa generazione col gas e con nuovi investimenti nelle reti. L’ultimo scenario costerebbe però circa 3 miliardi di euro in più rispetto allo scenario base perché, secondo quanto detto dal ministro Calenda, richiederebbe investimenti tra 8,8 e 9 miliardi di euro sulla rete. Ma lo scenario “inerziale” rappresenta semplicemente quello che le imprese hanno già deciso autonomamente (anzi potremmo pure dire in contrato col ministero). Lo scenario zero carbone, se fissato al 2025 comporta il mancato ammortamento dei Torre Valdaliga Nord, l’ultima centrale costruita in Italia.

Per il gas ovviamente si prevede un gran futuro (Eni ha battuto Enel?), poiché serviranno nuove centrali per sostituire il carbone e per gestire la variabilità delle fonti non affrontata con lo sviluppo degli accumuli. Nelle slide si parla di un nuovo rigassificatore, del Tap e dello sviluppo del Gnl (gas naturale liquefatto) e della metanizzazione della Sardegna.

E per le rinnovabili? Gli obiettivi sono quelli europei, quindi 27% dei consumi complessivi lordi al 2030 che tradotti significherebbero quasi il 50% della generazione elettrica (siamo al 33% oggi); 28-30% nel riscaldamento e 17-19% nei trasporti, ma non si dettagliano le fonti.

Che giudizio dare a un primo sguardo? Difficile darne uno positivo. Per prima cosa nelle 47 slide ci sono troppe cose (gasdotti, rigassificatori, Gnl, biometano, rinnovabili, pompe di calore, reti elettriche, mobilità) e di tutte si dice qualcosa di genericamente positivo, ma mancano delle scelte nette e ambiziose. Come sempre, tutto al presente, in una monotona continuità, poco o niente di adeguato al futuro.

Sen inutile quindi, meglio concentrarsi sul Piano Clima ed energia che l’Ue ci chiede e dovremo consegnare in bozza a fine anno.

pubblicato sul sul Fatto Quotidiano (http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/05/16/la-strategia-energetica-nazionale-di-calenda-e-inutile/3589615/)

Commenti che segnaliamo sul sito web del quotidiano

ionic35 

Ma si finanzia sempre e solo un’industria ? quella automobilistica ?

Marvin 

Io devo ancora capire perchè` quando si parla di politiche energetiche si parla di e-mobility. E come parlare dei nuovi frullatori o delle nuove lavatrici e vedere quanto piu` efficenti sono. Davvero siamo ridotti a fare i conti su questi numerini?

Stefano70 

Questa SEN non è inutile… è DANNOSA.
Perché per l’ennesima volta l’Italia perde l’occasione di cavalcare il futuro, scegliendo invece di subirlo, quando si troverà in posizione di inferiorità rispetto alle nuove esigenze (crisi manifesta dei fossili), avendo speso in infrastrutture anacronistiche (TAP, NGL, riconversioni a gas) e senza infrastrutture utili (Smart Grid, servizi prosumer, dorsali potenziate, accumuli).

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Obama gioca sull’accordo di Parigi le sue ambizioni di leader globale di Alfonso Navarra

Abbiamo avuto l’ex presidente “nero” degli Stati Uniti Barack Obama a Milano, accolto con la moglie Michelle come una rock star dalla gente accorsa per vederlo, in visita al Duomo ed al Cenacolo di Leonardo, ricevuto in Comune dal Sindaco Giuseppe Sala che gli ha conferito la cittadinanza onoraria, ospite di lusso in cene mondane a pagamento (850 euro per sedere al suo tavolo) e in convegni per cui ha ricevuto compensi, pare, di 400.000 euro: ho appena visionato in TV lo sketch del figlio di Maurizio Crozza sull’argomento .

Il convegno in questione è Seeds&Chips, svoltosi alla Fiera di Milano Rho in continuità con l’EXPO del 2015.

Il focus del suo intervento nell’occasione, il 9 maggio, è stato proprio l’accordo di Parigi, in fondo una sua creatura, messa oggi a rischio dalla lobby fossile di cui è espressione (tra le altre cose) il nuovo presidente USA (fino a quando in carica? Aspettiamo gli esiti del Russiagate…) Donald Trump.

Ecco quello che, secondo l’ADN Kronos, sarebbe stato il discorso del premio Nobel per la pace:

L’accordo di Parigi è stato un momento di azione collettiva senza precedenti. Certo – ha detto – non ha risolto il problema del cambiamento climatico, non ha stabilito standard sufficientemente elevati, ma ha creato una impalcatura, una architettura e un meccanismo attraverso cui ogni anno ogni Paese poteva ridurre progressivamente le proprie emissioni di gas serra“.

Donald Trump sarà pure scettico (nella campagna elettorale l’effetto serra era una hoax=bufala inventata dai cinesi e le pagine sul cambiamento climatico sono state cancellate dal sito della Casa Bianca) e sembra ora non sappia bene che fare ma, Obama si è detto convinto che gli Usa non invertiranno senso di marcia, pur con qualche possibile rallentamento. “Il settore privato ha già deciso che il nostro futuro è quello delle energie pulite e sta investendo in quella direzione“, ha spiegato.

Gli Stati Uniti devono dare l’esempio al mondo intero ed essere leader nella lotta al cambiamento climatico – ha continuato Obama – Gli Stati Uniti e l’Europa devono dare il buon esempio nel contrasto ai cambiamenti climatici, in particolare ai Paesi emergenti che ci stanno guardando“.

Bisogna cambiare anche il modo in cui si fa agricoltura. Nel giro di pochi decenni l’agricoltura potrebbe essere causa del 60-70% delle emissioni di gas serra a livello mondiale. Dobbiamo intraprendere un percorso verso un futuro sostenibile, investendo sull’agricoltura con impegni privati e con le ultime tecnologie disponibili“, ha aggiunto.

L’ANSA ha riportato un altro punto fondamentale del suo discorso. L’impegno di Obama dopo aver lasciato la Casa Bianca sarebbe quello di “formare la prossima generazione di leader” nel mondo. L’ex presidente Usa nel suo discorso di Milano ha spiegato che di questo ha discusso anche con il segretario del PD Matteo Renzi (che ha ringraziato per aver contribuito all’esito di Parigi) per “creare una rete efficiente di attivisti globali“.

L’impegno americano preso per Parigi era quello di diminuire del 28% le emissioni di CO2 entro il 2025 ma secondo il New York Times, articolo di Brad Plumer intitolato: “Stay In or Leave the Paris Climate Deal? Lessons From Kyoto”, apparso il 9 maggio 2017 (vai su https://www.nytimes.com/2017/05/09/climate/paris-climate-agreement-kyoto-protocol.html?_r=0), può essere tranquillamente ridimensionato senza andare contro le regole dell’accordo COP21.

Questo viene sottolineato dal New York Times per ricordare a Trump che la scelta non è solo “prendere o lasciare”, si può anche seguire una via di riduzione degli impegni che può permettergli, per così dire, di salvare la faccia, non isolandosi dal mondo che ribadisce che i risultati di Parigi vanno salvaguardati (si veda la prima telefonata del neopresidente francece Macron al presidente cinese Xi Jinping).

Su questo sito del “Sole di Parigi” abbiamo ricordato che al G7 energia tenutosi in aprile a Roma la dichiarazione congiunta dei sette Paesi – USA, Canada, Giappone, Francia, Italia, Germania, Gran Bretagna – che avrebbe dovuto rafforzare la cooperazione mondiale contro il global warming, è saltata perché la delegazione americana ha mantenuto fede alla sua tesi di clima-scetticismo, mettendo in forse la sua permanenza nell’intesa sottoscritta nella capitale francese due anni fa.

Poi abbiamo saputo dalla Reuters che sarebbero favorevoli a rimanere nell’accordo proprio l’ex petroliere Rex Tillerson messo a Segretario di Stato, insieme al segretario per l’energia Rick Perry, ma appunto a determinate condizioni: ad esempio versare meno dollari nel Green Climate Fund e appianare il previsto taglio delle emissioni, andando così incontro alle richieste delle lobby fossili, soprattutto l’industria petrolifera.

In questi suoi primi 100 giorni Trump, per sì e per no, ha già impresso una svolta “nera” alle politiche verdi di Obama, prima rimettendo in pista la costruzione dell’oleodotto Keystone XL, poi schierandosi totalmente contro il Clean Power Plan sulle emissioni delle centrali a carbone.

Non tutta l’America la pensa così, per fortuna, anzi simpatizza con la green economy, e non solo a livello di opinione pubblica (come indicano i sondaggi riportati dal citato articolo del NYT): lo Stato di California, ad esempio, di recente ha annunciato l’obiettivo di ripulire completamente il mix elettrico entro il 2045, affidandosi unicamente alla produzione di energia rinnovabile.

Ma tornando a cosa farà da grande Obama dopo la fine dell’incarico presidenziale, possiamo individuare nel suo viaggio milanese la prima manifestazione di una sua ambizione a candidarsi come “leader del mondo”, promotore di una “internazionale democratica” , riconosciuto come “capo” da Matteo Renzi in una intervista rilasciata il 10 maggio al Corriere della Sera (vai su: http://www.corriere.it/politica/17_maggio_10/obama-milano-renzi-dall-italia-aiutero-creare-nuovi-leader-politici-1328338a-354d-11e7-ae5c-ac92466523f8.shtml).

A questo proposito citiamo il commentatore politico Paolo Valentino, in un articolo del Corriere della Sera, sempre del 10 maggio: “La Fondazione Obama, il costruendo Centro di Chicago, la futura biblioteca presidenziale, il terzo libro appartengono alla tradizione di ogni ex capo della Casa Bianca. Ma ciò che fa la differenza è che Obama si è dato né più né meno che un vero programma politico. È come se, liberato dai lacci e lacciuoli dell’ufficio, egli riscopra la sua vera ambizione di leader globale, quello che aveva immaginato e raccontato di voler essere nella campagna del 2008, per poi piegarsi alle limitazioni e ai doveri della carica. “Vorrei preparare la prossima generazione di leader del mondo”, dice alla platea milanese, che lo accoglie come neppure Bono o George Clooney.

(…) Barack Obama parla ancora da leader globale. Ma questa volta la sua è leadership morale, rafforzata da uno star power rimasto intatto nonostante le cicatrici degli anni del potere. E proprio per questo potrebbe essere ancora più efficace. Otto anni dopo Yes, we can, lo slogan che fece sognare una generazione, egli si candida idealmente a presidente del mondo. Forse l’uomo nato alle Hawaii e cresciuto in Indonesia, il padre dal Kenya e la madre dal Kansas, ha trovato la sua vera vocazione“.

La mia opinione personale? Il problema dei problemi è quello del disarmo nucleare, la cui via sarà aperta – si spera – dal bando degli ordigni deciso dalla Conferenza ONU che si chiuderà il prossimo luglio a New York. E’ comunque significativo della forza oggettiva del problema ecologico, che viene subito dopo come questione globale (la terza è la disuguaglianza che crea un baratro con l’élite ristretta dell’1%), anche se le risposte non sono all’altezza, che questo ruolo di presidente del mondo morale Obama lo voglia interpretare mettendosi alla testa della lotta contro i cambiamenti climatici…