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Transform – Una recensione al Libro Le Rivelazioni di Oliviero Sorbini

di Laura Tussi

Romanzo di Oliviero Sorbini – Mimesis Edizioni 

“Le Rivelazioni”, del caro amico Oliviero Sorbini, non è un romanzo “ortodosso”. In realtà si tratta di tre racconti diversi di cui uno solamente, il principale, quello che svolge un ruolo da filo conduttore, ha un suo finale. Gli altri due, uno sotto forma di narrativa, l’altro scritto come una sceneggiatura cinematografica, sono dichiaratamente incompleti. E non è certo un caso perché l’autore più volte fa riferimento al valore di ciò che non necessariamente ha una sua conclusione: “Raccontare l’amore di una persona per le piante, non ha un finale. La persona morirà senz’altro e poi moriranno le piante, magari secoli dopo. Ma quell’amore è esistito e ha lasciato la sua impronta nel mondo. Se lo racconti non hai bisogno di descrivere un finale.”

Nel romanzo di Oliviero Sorbini si assiste ad uno scambio di testimone fra i personaggi. E la stessa cosa l’autore intende fare con il lettore. È un gioco, serio, ma pur sempre un gioco, che porta il lettore a rendersi conto che la sua realtà quotidiana può essere interpretata diversamente. L’umanità ha bisogno di aiuto e forse molti di noi sono Protouomini, ovvero persone con origini extraterrestri, in grado di dare il proprio contributo. Personalmente, e so di non essere la sola, leggendo “Le Rivelazioni”, mi sono riconosciuta come una “protodonna”. Credo che questo fosse il vero obiettivo dell’autore: condurre il lettore ad immedesimarsi nel ruolo di “diverso”, ovvero di potenziale “protouomo”.

L’umanità ha bisogno di aiuto, questo ormai lo sappiamo tutti, per uscire dalla crisi climatica e non autodistruggersi con gli ordigni nucleari. L’autore sembra dire che la situazione è giunta ad un punto tale di pericolosità che soltanto con l’ausilio di entità extra terrestri potremo trovare la via della salvezza.

“Voglio farti una domanda …. Noi siamo mandati da Dio?”

“No, noi non siamo gli inviati di Dio, creatore dell’universo. Per molti aspetti, potremmo essere considerati degli Angeli. Ma non conosciamo Dio creatore. Però sappiamo molto degli Dei degli uomini…”.

Queste le prime righe del Prologo, che assumono un pieno significato solo a lettura ultimata. Il narratore ci conduce pagina per pagina a scoprire e intendere la trama, apparentemente spezzata dalla divisione in cinque parti: prologo, parte prima, parte seconda, parte terza e parte ultima.

Un gioco, ho scritto, perché il lettore viene invitato a comporre un puzzle o un mosaico che volutamente l’autore rende complicato, anche con l’uso martellante dello stesso nome: Philip, Felipe, Filippo. Certo, e questa può essere intesa anche come una critica, non è un romanzo per tutti. Per gustarlo e comprenderlo credo sia necessario amare la lettura.

Il narratore ci spiega di aver conosciuto anni prima uno scrittore americano che gli ha lasciato due manoscritti: l’inizio di un romanzo dal titolo “Quando ero Filippo” e la prima stesura di una sceneggiatura per un film, Revelations. La prima parte è costituita da un romanzo non completato e parla di un uomo di circa cinquant’anni che viene avvicinato da un personaggio misterioso che lo porterà alla scelta di abbandonare la sua vita a Roma per trasferirsi a Buenos Aires. Perché? La risposta è nel titolo: Filippo ha ricevuto la “rivelazione” e dunque è pronto a mettere a disposizione della causa la propria persona ed il proprio talento artistico. E qui sta il primo indizio importante della tesi del romanzo. Le arti soprattutto e prima di ogni altra cosa hanno scandito lo sviluppo dell’umanità. I Protouomini agiscono privilegiando principalmente l’uso delle arti, dalla musica alla pittura. Infatti, a Buenos Aires, Filippo, ora diventato Felipe, si trova a vivere in una piccola comunità artistica composta da una pittrice ed un musicista. Tutti loro hanno subito dei dolori dai quali non si sono ripresi. Sarà la causa, la salvezza dell’umanità ed il prevalere del bene sul male, a dar loro una nuova ragione per vivere con entusiasmo e con un senso e un significato pregnanti.

Nella seconda parte il protagonista è uno scrittore americano, Philip, che riceve la “rivelazione”. E qui ritroviamo però alcuni dei personaggi del romanzo, la pittrice e lo scultore. La spiegazione di questa apparente casualità è che si tratta di due manoscritti provenienti dalla stessa mano, quella dello scrittore americano che abbiamo incontrato nel prologo e dunque si tratta di due bozze diverse sostanzialmente della stessa storia. Dunque, una delle tesi dell’autore, è che attraverso le arti, l’altruismo e le innovazioni, anche tecnologiche possibili, e mai attraverso l’uso delle armi, che l’umanità potrà trovare uno sbocco diverso da quello della sua stessa estinzione. Emerge lo spirito pacifista ed ambientalista di Sorbini, non a caso soggetto attivo nella comunicazione ambientale da decenni, anche nella sua vita professionale.  È questo aspetto che mi ha attratta fin dalla prima lettura del libro e per questo ho voluto scriverne la prefazione. Sono convinta infatti che il movimento pacifista e il movimento ambientalista necessitino di nuove modalità e forme di comunicazione. E l’autore sembra invitare ognuno dei lettori a divenire soggetto attivo nell’uso della fantasia, l’unica “arma” legittima perché il bene comune trionfi sull’egoismo devastante dei potenti del nostro tempo.

di Laura Tussi

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Libera Cittadinanza – Mosaico di Pace: due “maledetti pacifisti” intervistano Nico Piro

DI LAURA TUSSI e FABRIZIO CRACOLICI 

Libera Cittadinanza: https://www.liberacittadinanza.it/articoli/pace-guerra/mosaico-di-pace-due-maledetti-pacifisti-intervistano-nico-piro

 Quando finirà la guerra in Ucraina? Cosa pensano gli italiani del conflitto? Qual è l’approccio migliore, quello militare o quello diplomatico? Muovendosi trasversalmente fra vari temi e attingendo dalla sua lunga esperienza di inviato di guerra, Nico Piro riflette sulla situazione attuale in Ucraina e sulle possibili vie d’uscita da un conflitto la cui fine sembra sempre più lontana.

“Maledetti pacifisti” è il titolo dell’ultimo libro del giornalista e reporter di guerra Nico Piro. Un titolo provocatorio che vuole sottolineare come un’informazione equa, obiettiva e libera sulla guerra sia uno strumento di pace fondamentale per contrastare una deriva bellicista che oggi si sta espandendo non solo sul piano politico, ma anche su quello culturale.

Il suo Maledetti pacifisti, vincitore del premio Ilaria Alpi, è un importante libro di denuncia, dal titolo provocatorio. Ma è davvero ancora possibile fare giornalismo al servizio del lettore e non del pensiero unico bellicista? Nico Piro è un inviato di guerra con una lunga esperienza e proprio con lui abbiamo parlato di conflitti, di pace e di comunicazione in merito a questi due temi centrali, soprattutto nell’epoca attuale.

1- Nico Piro, giornalista Rai e inviato di guerra, tu che sei stato insignito anche del premio Ilaria Alpi, e hai scritto l’importante libro di denuncia, dal titolo provocatorio, “Maledetti pacifisti”, quanto ritieni ancora possibile fare giornalismo al servizio del lettore e delle persone e non al servizio del pensiero unico bellicista? Per l’alto ideale della Pace.

La Pace: vi è sempre una possibilità. Perché dipende da noi e oggi dipende da ognuno di noi. Diceva Teresa Sarti Strada che ogni persona deve fare il suo pezzettino e però poi questi pezzettini vanno insieme e formano un mosaico che può cambiare il mondo.

Credo sinceramente che ciascuno di noi è chiamato a fare la differenza e occorre avere la determinazione e la forza di fare la differenza. Poi ovviamente non è facile, ma non è stato mai niente facile. Credo che dobbiamo per esempio con grande forza fare informazione seria, equa, vera, che deve riprendere la battaglia di Gino Strada per l’abolizione della guerra e i tempi sono più che maturi e qualcuno dirà “Ma è impossibile abolire la guerra”.

Ma per la verità, se non ricordo male, sembrava impossibile anche abolire l’apartheid fino agli anni ottanta e poi ci siamo riusciti. Sembrava pure impossibile abolire il segregazionismo razziale in America negli anni sessanta. Poi una donna a un certo punto si è seduta sul posto sbagliato in autobus e ha cambiato tutto. Quindi dobbiamo crederci. Ovviamente crederci significa anche essere pronti a pagare dei prezzi, ma credo che tutto sommato ce la possiamo fare.

2-Che pensi del silenzio assoluto intorno alla conferenza di Vienna sul TPAN, il trattato Onu di proibizione delle armi nucleari che è valso alla rete internazionale Ican il Premio Nobel per la pace nel 2017 per il disarmo nucleare universale? Una vera svolta per il mondo pacifista. Un Premio Nobel per la pace collettivo di cui i testimoni siamo tutti noi nonviolenti e pacifisti affiliati alla rete Ican. E’ una rivoluzione e una speranza per l’umanità intera. E che pensi del fatto che questo trattato ONU, il TPAN, non venga ratificato dai paesi Nato, compreso il nostro? L’egida Nato incombe su molti paesi come il nostro e impone in tutto il mondo guerre, distruzioni, massacri, terrorismo e genocidi.

Purtroppo siamo in una fase in cui i grandi progressi degli anni novanta sul controllo delle armi e delle armi nucleari sono in fase di forte risacca. Stiamo tornando indietro. Quindi credo che invece di ragionare sullo specifico episodio, sia il caso di pensare a cosa sta accadendo a livello complessivo. Purtroppo quelli che un tempo erano un disvalore, ora sono tornati ad essere un valore e cioè le armi e gli armamenti.

Viviamo una corsa globale verso il commercio e il trasporto di armi. Pensiamo al caso del Parlamento italiano. In Italia non siamo riusciti a metterci d’accordo come forza politica. Anzi non sono riusciti a mettersi d’accordo su, per esempio, come fermare la strage quotidiana di morti sul lavoro. Eppure è un’emergenza di cui tutti conosciamo l’evidenza. Tutti i giorni vi è più di un morto sui giornali. Un morto che è uscito di casa non per andare a fare la guerra, ma per andare a lavorare. Eppure in poche ore il Parlamento italiano è riuscito a mettersi d’accordo sull’innalzamento delle spese militari al 2 per cento del PIL, senza per giunta porsi il problema di quanti ospedali, quanti ambulatori, quante scuole, quanti asili chiuderemo per alzare le spese in Italia al 2 per cento.

Quindi credo che il tema oggi sia specificamente quello della abolizione della corsa al riarmo e questa corsa agli armamenti va fermata perché le armi assolutamente fanno un immane danno. Perché di fatto alimentano il ciclo della guerra, ma non solo: sottraggono soldi per utilizzi civili e questo è davvero qualcosa di molto, molto preoccupante.

3-Il pensiero unico bellicista è il risultato dell’enorme potere della industria degli armamenti per cui hanno ragione coloro che affermano che le guerre esistono perché le armi una volta prodotte vanno vendute con adeguata strategia di marketing?

No. Credo che ci sia un problema generale. L’industria delle armi fa il suo lavoro. Semplice. Il problema vero è invece il fatto che ormai si è imposta nello spazio mediatico una cultura della guerra che è la guerra normalizzata. E credo che il vero tema sia questo. Cioè la pace non ha sponsor, la guerra sì. Anche perché la guerra produce profitti monetari e non monetari per una serie di centri di potere. Esempio la politica. Boris Johnson è uno che ha usato il conflitto armato in Ucraina per riscattarsi, riuscendoci per qualche mese poi alla fine ha capitolato. Ha dovuto capitolare per riscattarsi dai disastri combinati dal suo governo in pandemia per il covid.

E quindi il problema vero è che la pace sponsor non ne ha. La pace non ha voce. La pace non ha chi investe sulla pace e questo è, secondo me, colpa dei governi per cui quando comincia una guerra, quando si prepara una guerra, si levano solo e più forte delle altre le voci di chi sostiene il conflitto bellico. Diciamo che nel caso dell’invasione russa dell’Ucraina e il seguente scontro guerresco, si è creata una situazione senza precedenti. Vale a dire è la prima volta che abbiamo memoria di un conflitto e a maggior ragione perché il pensiero unico bellicista non vuole solo avere ragione. Il pensiero unico bellicista lancia uno stigma su tutti quelli che la pensano diversamente. Il pensiero unico bellicista corrode la democrazia. Quindi il tema che ci dobbiamo porre è se oggi non possiamo parlare di pace senza essere trattati da nemici della Patria al soldo del nemico. Domani di cosa non potremo parlare?

4-Ritieni che dopo l’occasione mancata in Italia siano maturi i tempi per un Partito della Pace che si presenti in tutti gli Stati membri alle prossime elezioni europee? E’ necessario che la pace possa essere rappresentata in politica.

Ma io non credo onestamente alla politica, solo politica, intesa come partitica. Sono un dilettante. Quindi non mi applico. Credo che avere un partito della Pace sia limitante. Perché poi alla fine che cos’è la pace? la pace è progresso. Un emblema della pace: Aldo Capitini. Nei giorni scorsi Sono stato alla biblioteca di San Matteo degli Armeni a Perugia dove ho presentato il mio libro “Maledetti pacifisti”. In quella biblioteca sono conservati tutti i suoi documenti, i carteggi e le lettere e mi ha colpito vedere e capire in realtà questa figura. Quell’asceta della pace: Aldo Capitini. E’ una figura che ha fatto una scelta per la Pace. In realtà lui metteva tutto insieme: la pace è progresso. Perché la pace è creativa a vari livelli per tutti.

L’Italia, non dimentichiamolo mai, perché non lo dicono, sta vivendo il più lungo periodo di pace della sua storia che coincide col massimo periodo di benessere del nostro paese. La pace creativa dà dividendi per tutti. La guerra profitti per pochi. Il problema è che la pace li crea a lungo termine. Evidentemente della pace invece ci dobbiamo prendere cura. Perché per questo tipo di occupazione se letteralmente la pace è limitata – perché noi abbiamo bisogno anche di pace sociale – è necessario che questa categoria di pace si diffonda in tutti i settori. Non vi è solo la pace, ma anche la pace dei morti del lavoro, vi è la giustizia, cioè il progresso. Ci sono i diritti. Credo che vada tutto ottenuto insieme. Quindi credo che sia limitante condurre una attiva campagna sulla pace che non tenga conto del progresso. Esattamente come la Resistenza italiana che è stato un fenomeno molto complesso che poi in realtà non voleva difendere solo la nazione, ma voleva difendere il cambiamento. Voleva un paese migliore e poi anche la difesa dell’ integrità territoriale, ma non era solo questo. Era un fenomeno complesso. (Cfr. Resistenza e Nonviolenza creativa, Mimesis Edizioni 2022)

5 -Puoi azzardare una previsione di come finirà tra Russia e Ucraina e quanto durerà la simpatia e l’accoglienza in Europa in favore dei profughi ucraini? Anche se la guerra è sempre fondata sulla violenza.

Spero che la Polonia e i vari paesi imparino da questa vicenda: la gente che fugge dalle guerre va accolta. Non solo se l’altro da noi ha la nostra stessa religione e il nostro stesso colore di pelle. Va accolta sempre. Quindi, me lo auguro. Me lo auguro profondamente. Mi auguro la solidarietà verso i profughi ucraini esattamente come non cessi verso i profughi delle altre guerre. Il problema è che per non cessare deve cominciare. E Crotone ci insegna che non è cominciato o meglio la solidarietà è episodica. Poi un altro tema. Il cosa accade quando proviamo a fare delle previsioni sulla guerra? E’ sempre molto difficile perché la guerra alla fine è un gioco di adattamento alla violenza.

Le guerre sono cose complesse. Ma si reggono su un principio molto semplice: l’adattamento. Io colpisco te. Tu colpisci me. Io mi adatto al tuo colpo affinché non sia un colpo letale e tu ti adatti al mio affinché non sia un colpo letale. Per cui man mano che questo equilibrio di adattamento resta in piedi le guerre durano tra alti e bassi, ma durano. Le guerre lampo esistono solamente nelle speranze dei generali e dei dittatori, ma in realtà le guerre, basta considerare l’Afghanistan, che è l’archetipo dei conflitti contemporanei, cominciano, ma non finiscono. Esistono persone al mondo che hanno il potere di scatenare conflitti micidiali, ma non vi è nessuno su questo pianeta capace di fermarli. Perché non dipende da noi.

Perché quando è scoperto il vaso di Pandora della guerra, i demoni che ne escono fuori hanno una loro autonomia. Quindi non me la sento di fare previsioni. Dico però una cosa. Di stare attenti perché quando si dice “l’unica strada è la guerra” di fatto si prende una pallina e la si butta nella roulette. Ma nella roulette ci sono due colori. Il rosso e il nero. Lo zero è statisticamente trascurabile. Il rosso e il nero: e non è detto che la pallina si fermi dal lato che noi preferiamo. Quindi per questo scegliere la guerra cercando di immaginare una punizione per il cattivo è un modo per affrontare le cose. Tra l’altro il caso afghano ci insegna. La Prima Guerra Mondiale ci insegna. Ma questo conflitto non ha una soluzione militare. Ha solo una soluzione diplomatica. E’ chiaro nel momento in cui prendiamo atto di questo. Prima si arriva a una soluzione diplomatica, prima le persone smettono di morire. Il che mi sembra un tema di cui nessuno si sta facendo carico. Si continua a parlare di questo Risiko, della guerra, senza ricordarci che in mezzo esiste gente che muore.

6-Alla luce dei risultati elettorali, ritieni ancora che la maggioranza degli italiani siano per la pace o vogliono essere solo lasciati in pace?

Mi sembra abbastanza relativo. Credo che gli italiani stiano sentendo dal primo momento il peso della guerra perché i sondaggi sono concordi. Quando sono arrivati gli aumenti del gas, la fine del turismo Russo, la fine delle importazioni, danni per l’economia, inflazione, per cui anche un po’, secondo me, è banale dire che gli italiani non vogliono la guerra perché vogliono farsi i fatti loro. Mi sembra che sia in atto anche un processo di criminalizzazione dei poveri. Cioè i poveri vengono accusati di essere contro la guerra perché non vogliono pagare le bollette. Però una famiglia di basso reddito deve pagare le spese familiari e il reddito è già indirizzato verso l’ineliminabile, ossia l’energia, quindi luce e gas e la spesa. Quindi quello che c’è da mangiare. Poi l’affitto. Ma a che cosa deve rinunciare la gente? queste persone a cosa devono rinunciare? al cinema? all’auto? e probabilmente non la usano più. Alle vacanze? mai fatte. Quindi diciamo questo: a me ricorda un po’ la battuta che gira ancora in Russia su Stalin quando gli dicevano “Compagno segretario il popolo è contrario” e lui rispondeva “Cambiate il popolo”. Cioè se c’è un dato di fatto che in Italia la gente è contro la guerra, ma perché dobbiamo dire tutti i giorni che la gente è stupida?

7-Hai mai conosciuto obiettori di coscienza russi?

No. Anche perché in realtà è un fenomeno che è nato dopo. Soprattutto dopo la costrizione al servizio militare straordinaria di settembre. Gli obiettori di coscienza, i cosiddetti renitenti alle armi, alla leva ci sono anche in Ucraina. Cioè di recente vi è stata un’operazione dei servizi segreti ucraini contro i vertici della Compagnia Portuale di Odessa perché accusati di fabbricare finti documenti di imbarco per consentire ai giovani di non partecipare alla guerra.

Non è giusto verso l’Ucraina raccontarla come la stiamo raccontando cioè come un paese in armi. Ucraina significa terra di confine, quindi Terra di Mezzo e quindi è un paese dove è stata scritta la canzone Sole mio: non è stata composta a Napoli. E’ stata scritta a Odessa. E’ un paese di una complessità notevole. Con un versante filo russo più vicino alla Russia dove sono arrivati negli anni ’30 migliaia e migliaia di russi portati da Stalin per le miniere di carbone. Poi una parte che si sente più polacca. Un paese complesso come l’Italia. E poi noi, l’Italia è un paese complesso per eccellenza. Ma è un paese complesso e quindi come tale va trattato. Non credo sia giusto verso l’Ucraina. Una narrazione funzionale al pensiero bellicista, ma non è giusto definirla come un paese che non si vuole arrendere, dove il popolo vuole combattere fino alla fine, ma credo che il popolo voglia pace e pane e avere magari anche corrente elettrica e gas eccetera.

8 – Cosa puoi dire a due “Maledetti pacifisti” che tutti i giorni si scontrano con altri Maledetti pacifisti per riuscire a trovare una unione di intenti per creare delle azioni serie e concrete al fine di apportare un cambiamento? Quindi l’intenzione del tuo lavoro è una provocazione.

Il fatto di affermare: “Ma questi maledetti pacifisti”. Noi pacifisti veniamo sempre messi un po’ alla berlina. “Il solito pacifista…” Quando porti delle nuove istanze dai sempre fastidio. Però già è importante riuscire noi stessi a metterci insieme e a portare azioni un po’ più concrete e un po’ più con voce. Un po’ più pacifisti. Siamo frastagliati. Siamo divisi. Non vi è più omogeneità perché si fanno avanti i poteri forti spacciati da progressisti: la sinistra con l’elmetto e le destre.

La destra è un universo. Insomma un universo ampiamente frammentato. Pensiamo a tutti i gruppi che stanno più a destra. Le sigle. Pensiamo alle divisioni che oggi ci sono al governo. Eppure riescono sempre a trovare l’unità tra loro. Per noi pacifisti, il tema è superare le differenze e stare insieme per il grande obiettivo. Il grande obiettivo non è solo la pace in Europa e il disarmo. Il grande obiettivo è salvare la democrazia italiana. Perché il pensiero unico bellicista corrode la democrazia. Oggi è questo il problema e se non lo capiamo ci mettiamo in una posizione di enorme difficoltà. Per il futuro. Perché se il popolo della pace con tutte le sue diversità oggi non riesce a reclamare lo spazio non lo reclamerà a lungo.

Quindi credo che noi dobbiamo assolutamente fare lo sforzo – ognuno di noi – di provare a radunare questo mondo variegato del pacifismo. Insomma dall’estate, cioè da quando sono tornato stabilmente in Italia sto girando e sto andando praticamente ovunque. Più di 40 date e in realtà per parlare di pace e di questi argomenti. È un modo per stare a contatto con la vera Italia. La cosa brutta e triste è quando alla fine poi, come mi dovrebbe in realtà lusingare, ma non è così, le persone alla fine mi dicono che si sono sentiti meno sole perché vuol dire che allora le cose stanno veramente messe male. Perché se qualcuno tiene una conversazione e dove non è qualcuno, ma sono tanti e si ripetono e ti vengono a dire grazie. Mi dicono così. “Questa sera ci siamo sentiti meno soli” e vuol dire che siamo in una situazione gravissima. In questo paese stiamo marciando negli anni ’20 degli anni bui del fascismo e questo ci deve far paura. Per questo dobbiamo porci e opporci con forza, perché se non ci opponiamo con forza a questo, tutto il resto diventa assolutamente relativo. Perché poi torniamo alle gabbie salariali. Ma poi dopo le gabbie salariali in concreto cosa troviamo? La giornata di 8 ore lavorative? I contratti nazionali di lavoro? La leva obbligatoria? Dove stiamo andando? Questo è il tema che dovrebbe preoccupare tutti. Piuttosto che esibirsi a chi è più bellicista.

(Cfr. Laura Tussi, con scritti di Fabrizio Cracolici, Giorgio Cremaschi e Paolo Ferrero, Resistenza e Nonviolenza creativa, Mimesis Edizioni 2022)

In collaborazione con Fabrizio Cracolici, attivista di Pace, scrittore e membro direttivo ANPI Monza e Brianza e in collaborazione con il sito Italia Che Cambia

L’articolo è stato pubblicato qui.

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Sovranità Popolare Rivista – Alex Zanotelli. Contro la guerra e il riarmo: boicottare le banche armate

9 MILIARDI E MEZZO DI EURO IL VALORE DELLE OPERAZIONI SEGNALATE DALLE BANCHE ITALIANE RELATIVE AL COMMERCIO DI ARMI

Sovranità Popolare Rivista: https://www.sovranitapopolare.org/2023/08/01/boicotta-le-banche-armate/

fiera delle armi

Intervista di Laura Tussi a Alex Zanotelli

Le esportazioni militari aumentano il proprio quantitativo in maniera esponenziale. La spesa bellica e i sistemi d’arma sono esportati nei paesi che oltraggiano i diritti del genere umano.

Le banche finanziano questo sistema guerrafondaio e la trasparenza del commercio e dell’export degli armamenti è ai minimi storici. Quando ha preso avvio la campagna di pressione sulle banche armate e in cosa consiste?

Sono arrivato a una sola conclusione ormai.

Non ho mai visto un governo italiano così prigioniero del complesso militare industriale di questo Paese. Spaventoso. Ma davvero dentro lo stesso governo questo prostrarsi alla Leonardo è impressionante. Veramente. Mai visto. Questo di solito era riferito agli Stati Uniti. In Italia siamo arrivati alla stessa identica situazione.

E questo è gravissimo. Proprio l’altro giorno si è tenuto un incontro fatto a Roma dalla Aiad che è l’associazione del comparto Militare italiano. Tra l’altro era presente Crosetto. Ha detto che lui vuole cambiare e modificare la legge 185 perché sta bloccando troppo la vendita di armi.

Inoltre è molto preoccupato per le banche etiche perché diventa difficile adesso trovare soldi dalle banche che si sentono accusate di non essere etiche. Per cui lui ha deciso di fondare una grande nuova banca che investa soltanto nel militare. Quindi siamo davvero messi malissimo.

Penso che diventi fondamentale in questo momento proprio l’invito a tutti a evitare e soprattutto boicottare le banche armate. E veramente siamo arrivati a un punto di parossismo totale.

Con la guerra in Ucraina verranno prodotte molte armi. La guerra in Ucraina andrà avanti perché è importante produrre armamenti e poi smaltirli subito. E si procede così. Sempre.

Soprattutto quello che mi preoccupa di più non è tanto la società civile, che purtroppo non è molto cosciente, ma mi preoccupa il problema delle comunità cristiane. Il livello dovrebbe essere molto chiaro: non possono lasciare i loro soldi in mano alle banche che investono nella produzione di armi. Quel povero Gesù di Nazareth era il profeta della nonviolenza. Il grande teologo Enrico Chiavacci, al Concilio Vaticano Secondo, ha detto una cosa molto chiara. Un cristiano è obbligato a sapere dove tieni i propri soldi e in quali banche. E come quella banca usa quei soldi. E’ un dovere questo fondamentale per ognuno di noi. Quello che mi sconcerta di più è questo silenzio da parte delle comunità cristiane. E anche da parte delle parrocchie, delle diocesi, dei vescovi. Non riesco a capirlo. Ormai noi cristiani siamo talmente conformati al sistema economico, finanziario, militarizzato e ne facciamo parte. Accettiamo come una cosa normale che i nostri soldi vengano investiti in tutta questa infernale produzione. Penso che sia importante un appello alle comunità. A tutti i cittadini perché davvero devono incominciare veramente a fare una scelta sostanziale.

Non vogliamo la guerra. Siamo per la pace.

Ma se poi i soldi li depositiamo in una banca che investe in armi e ordigni militari, il fatto non è coerente. Davvero è necessario aiutare i cittadini a capirlo questo. E non è facile. Perché chiaramente sono pochi coloro che portano avanti questo discorso, ma è fondamentale. Altrimenti andremo avanti a spendere davvero per continuare a costruire armi a non finire. L’anno scorso abbiamo speso in Italia e abbiamo investito per 32 miliardi di euro in armi. Ma è pazzia collettiva. Sono tutti soldi che poi vengono tolti alla scuola, alla sanità pubblica e avanti così. La campagna di boicottaggio delle banche armate dovrebbe davvero molto motivare la gente a capire che i propri soldi non possono essere usati per costruire armamenti che ci stanno conducendo inesorabilmente a questo disastro planetario. Siamo sul crinale del baratro dell’esplosione nucleare.

E quindi dell’inverno nucleare.

E dall’altra parte, ricordiamoci, pesano altrettanto sull’ecosistema queste guerre che provocano un altissimo tasso di inquinamento e qui siamo davanti ad una estate molto calda.

Vendere armi nelle zone calde, nelle aree di conflitto armato è vietato dalla legge 185/1990 come anche dalla nostra Costituzione.

L’export di armamenti è veicolato verso i paesi impegnati nella guerra contro lo Yemen, verso i paesi come l’Egitto di al Sisi e la Turchia di Erdogan.

Puoi argomentare queste considerazioni?

Il problema drammatico. Il Ministro della Difesa Crosetto è molto preoccupato della 185 perché blocca troppo la vendita d’armi e lui vorrebbe al contrario accelerarla. E’ una legge nata su una lunga battaglia di cui ho fatto parte all’inizio con la rivista Nigrizia. Poi mi hanno “defenestrato” e sono andato in Africa. Ma quel movimento, che includeva tantissime organizzazioni, ha portato poi alla legge 185 che è l’unica legge, l’unica questa legge 185, è unica anche in Europa, nessun’ altra nazione in Europa ha una legge del genere. E’ un piccolo strumento, per prevenire un sacco di disastri, che abbiamo tra le mani, per cui è fondamentale allora incominciare a difendere questa legge davvero ostinatamente, ma per difenderla soprattutto è necessario anche pagare di persona.

I caricatori del porto di Genova i Calp, ma anche di altri porti, si sono rifiutati per esempio di caricare le armi sulle navi destinate all’ Arabia Saudita per la guerra contro lo Yemen. I portuali stanno pagando di persona. Sono incriminati. Rischiano di essere processati. E’ necessario correre il rischio di essere processati. Di avere il coraggio davvero di arrivare a questo. Diventa ormai fondamentale quello che è la disobbedienza civile.

Proprio giorni fa ho partecipato a un incontro sul caporalato in Campania e il vescovo emerito di Caserta Monsignor Nogaro ha detto proprio queste parole che è arrivato il tempo di gridare che è necessaria oggi la disobbedienza civile. Siamo arrivati a questo punto. Per cui dobbiamo davvero disobbedire.

Questo però vuol dire pagando nella propria vita e non è facile. So che questo non è facile. Ma siamo davvero messi alle strette oggi. Il cittadino che capisce quanto è folle un po’ tutto questo sistema drammatico deve davvero avere il coraggio. Vale questo per le armi.

L’idea di base della campagna di pressione sulle banche armate è valida perché tende a bloccare questo sistema di commercio di armamenti. In quali modalità?

Le modalità di questa campagna di boicottaggio delle banche armate è molto semplice. E’ necessario comprendere il problema. Si deve reagire. E’ necessario semplicemente ritirare i propri soldi dalla banca che investe in armi e vedere di trovare una banca etica, ossia un’altra banca che non investe in armi. E’ fondamentale questa azione. Tutto questo non è facile perché è chiaro che gli interessi anche spesso sono tanti perché certe banche, come le tre banche principali in Italia Unicredit, Intesa Sanpaolo e Deutsche Bank danno alti dividendi che sono molto più vantaggiosi che in altre banche dove non investono in armi e quindi ognuno anche qui ci perde a livello personale. Alla fine però a questo punto dobbiamo vedere di cominciare a capire che non si può continuare così e quindi bisogna davvero muoversi in questo senso.

Per fare questo per arrivare a che sia efficace la campagna, penso che ci siano due fattori fondamentali. Finora abbiamo lanciato questa campagna con Pax Christi e le tre riviste Nigrizia, Missione Oggi, Mosaico di pace, ma non basta. Stiamo premendo per esempio a livello di chiesa. La chiesa italiana faccia un passo in avanti a questo livello. Non è possibile questo continuo investimento in armi e spero davvero che si riesca a arrivare a questo boicottaggio delle banche armate.

Ma poi ci vorrebbe anche per la società civile la capacità da parte almeno di alcuni giornalisti di rilanciare con forza tutta questa azione, perché molta gente non sa nulla di queste cose. Sono nella totale ignoranza, per cui questo è fondamentale. Questa campagna davvero si deve rilanciare con grande forza. Solo così mettiamo in crisi il sistema. L’altra cosa che chiaramente è ancora più dura sarebbe una disobbedienza civile di tanti che lavorano in fabbriche d’armi che si rifiutino di continuare a fare il proprio lavoro. Purtroppo il problema è che questo sistema in cui viviamo è un sistema che non ha nessun valore e ideale. Ho scritto recentemente in occasione del funerale di Berlusconi che l’amoralità, cioè non moralità di Berlusconi è diventata l’etica del popolo italiano.

Purtroppo questo è il problema.

Il problema fondamentale è che non ci sono più valori e non più ideali e questo richiede soprattutto da parte della rete della Chiesa che, nelle esperienze religiose, occorre tornare davvero a formare una coscienza di valori perché i cittadini mi sembra che abbiano perso la percezione di quello che sta avvenendo e bisogna arrivare alla coscienza di principi che è fondamentale.

Sfiora di molto i 9 miliardi e mezzo di euro il valore delle operazioni segnalate dalle banche italiane relative al commercio di armi.

Le riviste missionarie Nigrizia, Mosaico di pace e Missione oggi come denunciano il fatto che gli istituti di credito si sono messi al servizio delle aziende belliche?

In generale le tre riviste sono molto chiare sulla denuncia di tutto questo. E’ incredibile. Nove miliardi di utili. Praticamente di una gravità estrema. Utili fatti sulle armi. Fatti sulla pelle e sul massacro di tanta gente. Alla fine è fondamentale dire che le tre riviste continuano in questa loro denuncia però non è sufficiente. Sono tre voci e tra le riviste missionarie che non hanno gran peso alla fine nella società italiana. Ci vorrebbe davvero che qualche televisione seria o qualche grosso giornale iniziasse una campagna fondamentale per questo livello di denuncia. Ma chiaramente il problema è che sono tutti parte del sistema e basta vedere un giornale e chi lo paga, da dove ricevono fondi economici e quindi diventa veramente difficile. Penso che anche questa è una vera e propria missione. Sono un missionario e a volte sembra sempre di parlare al deserto. Ma è importante continuare a declamare la nostra posizione. Invitare tutti davvero a incominciare a riflettere su come usano e come i propri soldi vengono usati. Vale per le banche armate; vale anche per chi investe in fossili: le aziende e anche le banche. E’ la stessa cosa; perché sono le due realtà che ci stanno portando alla possibilità che la presenza umana non ci potrà più essere in futuro per l’esplosione nucleare o per l’estate incandescente. Per cui diventa un problema anche l’investimento sui fossili. E’ difficilissimo fare passare queste scelte. E’ una lotta costante, ma dobbiamo continuare senza stancarci.

Anche il PNRR sarà sempre più proiettato all’investimento e produzione di armi?

Aumenta la produzione di armi e si tolgono i fondi dalle scuole, dalla sanità, dalla cultura, dall’istruzione.

Il PNRR cioè il piano nazionale di ripresa e resilienza si utilizza per le armi e chiaramente toglie anche la spina alla sanità, ma anche a Bruxelles adesso non so cosa abbiano deciso effettivamente. Perché sembra che la proposta di uno dei programmi è che il PNRR venga utilizzato per le armi e non so come il Parlamento Europeo abbia votato con discussioni che stanno andando avanti, ma è chiaramente qualcosa di estremamente grave questo. Il PNRR dovrebbe servire alla società, alla società civile e soprattutto servire a portare avanti la scuola. Sto vedendo a Napoli il disastro scolastico che abbiamo, ma altrettanto, non soltanto a livello di scuola. Ma la sanità. E’ pauroso il crollo della sanità. Così i fondi vanno a finire in armi e non ci sono più per tutto il resto. Questa è una cosa assolutamente grave.