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BRICS e diritto alla pace. Una strategia per superare il duopolio globale (Laura Tussi)

di LAURA TUSSI su FARO DI ROMA: https://www.farodiroma.it/tag/laura-tussi/

L’ultimo vertice Brics si è svolto dal 22 al 24 agosto 2023 a Johannesburg in Sudafrica. I cinque paesi fondatori, ossia Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica si sono riuniti per decidere se accettare la richiesta di adesione dei primi 13 paesi richiedenti l’entrata nell’alleanza, cioè gli Emirati arabi uniti, Arabia Saudita, Bangladesh, Venezuela, Argentina, Indonesia, Etiopia, Bahrain, Messico, Nigeria, Algeria, Egitto, Iran.

I 13 Paesi e i nuovi equilibri mondiali
Se questi 13 paesi entrassero nella coalizione Brics l’unione degli abitanti potrebbe raggiungere quasi 5 miliardi di persone. Una operazione simile e questa eventualità potrebbero rappresentare un colpo estremamente pesante e duro per l’economia americana e europea con il dollaro sicuramente depotenziato a livello economico e commerciale.

La rivoluzione economica e finanziaria prevede lo scambio di più monete
La rivoluzione economica non consiste più in una moneta forte che detiene il controllo dei beni, ma in tante valute native che diventano più potenti grazie a un uso altamente diffuso. Risultano esserci altre 22 nazioni interessate a entrare nei Brics tra cui Cuba, Kazakistan, Indonesia, ad esempio.

Asia e Africa due continenti economicamente “forti” grazie alle materie prime
Da tenere in considerazione anche la prevista crescita demografica molto elevata tra Asia e Africa e questo evento fa pensare che i paesi occidentali non potranno mantenere la loro potenza economica e commerciale.
Una delle ragioni del processo di accelerazione della crescita e del consolidamento dei Brics avviene perché questi paesi economicamente forti detengono anche gran parte delle materie prime del mondo. Anche l’accordo di libero scambio tra i paesi dell’Asia e dell’Oceania chiamato RCEP sposta molto l’economia verso est.

La guerra in Ucraina: fattore di squilibrio globale
Questo conflitto attuale in Ucraina sta ulteriormente cambiando gli equilibri e gli assetti globali.
Con gli Stati Uniti che cercano di essere sempre presenti e egemoni in Europa.
Ma i segnali giunti indicano che i BRICS vogliono contrapporsi a questo tentativo. Un’alternativa al monopolio statunitense può essere un’opportunità di sviluppo di ampie aree che attualmente risultano essere molto depresse.

La contrapposizione con Cina e India e Russia dettata da un crinale apocalittico contro Ucraina e Stati Uniti e Nato
La contrapposizione potrebbe sfociare in una drastica spinta dittatoriale e radicalizzazione dei rapporti tra NATO e Stati Uniti contro i paesi come Cina e Russia e altre nazioni. Per questo si parla costantemente in materia geopolitica internazionale della necessità non di un duopolio, ma di un mondo multipolare e libero dalle armi e dagli ordigni di distruzione di massa nucleari.

Lottiamo per l’abolizione dell’armamentario nucleare mondiale
Armi nucleari che sia gli Stati Uniti e la NATO sia i BRICS detengono e ne fanno ampio vanto a discapito della sicurezza mondiale e della reale possibilità di un mondo di pace e giustizia sociale. Inoltre l’umanità ha il diritto di vivere senza la paura e il terrore del conflitto nucleare. Questo è il diritto alla felicità primaria. Vivere senza il terrore dell’arma micidiale nucleare.

Mai più il nucleare
Ma è sempre più auspicabile un diritto alla pace da inserire nell’agenzia culturale e scientifica dell’ONU che è appunto l’UNESCO.

Il diritto alla pace: una rivoluzione umanistica ancora prima che umanitaria
Un diritto alla pace che prevede la somma di trattati che costituiscono il diritto internazionale dalla Dichiarazione dei diritti umani del 1948 alla Carta della terra, dalle Cop per il clima al trattato di proibizione delle armi nucleari TPAN/TPNW. Il diritto internazionale quindi che prevede il diritto alla pace con questi presupposti è una rivoluzione umanistica ancora prima che umanitaria per il sostegno e l’aiuto nei confronti dei più fragili, dei diseredati, degli ultimi del pianeta per un movente salvifico e di redenzione dalla povertà estrema e dalla subalternità al potere in qualsiasi forma e tipologia. Una rivoluzione umanistica e umanitaria è il diritto alla pace che vede un pianeta multipolare, privo di confini imposti da potentati economici.

Il diritto alla pace incardinato in quel che resta delle giurisprudenze internazionali
Il diritto alla pace contro la subcultura dell’egoismo capitalista, del pensiero unico neoliberista, del potere dell’ego e dell’eroe che costituiscono disvalori neofascisti e neoliberisti ancora attualmente veicolati da tutti i media e dal mondo dei social.
Disvalori di prepotenza, di prevaricazione, comando, competizione a oltranza che si sono visti nel secolo passato con le grandi dittature.

L’imposizione del capitalismo, del fascismo e del pensiero unico neoliberista
I disvalori neoliberisti e neofascisti che impongono l’attuale guerra in Ucraina e che hanno alimentato le cosiddette e surrettizie guerre umanitarie hanno condotto l’umanità alla guerra mondiale a frammenti e all’attuale crinale del baratro nucleare per cui come genere umano e specie viventi sul pianeta ci troviamo a 90 secondi dalla mezzanotte atomica. Per allontanare questo terribile rischio e spettro nucleare che prevede l’annientamento dell’umanità intera, di tutte le specie viventi e di tutta la loro storia e cultura è sempre più necessario costruire ponti di dialogo, reti di memoria, legami di pace, per affrontare e allontanare lo spettro dei potentati dei signori della guerra, dell’atomo, del petrolio, dell’acciaio, che detengono e comportano sempre il rischio della fine ultima, dell’Armageddon nucleare.

Smettere di fare la guerra
Per la pace nel mondo l’unico mezzo a nostra disposizione è smettere di fare la guerra, di combattere e è necessario agevolare la diserzione delle armi.
È impensabile continuare con l’invio dissennato di armi sul fronte bellico ucraino.
Questo comporta un’escalation senza precedenti come durante la guerra in Vietnam. Con il complesso militare industriale che testava i nuovi ordigni con diossina e napalm.

Ucraina. Un’escalation militaresca che comporta sempre più vittime
Una risoluzione guerrafondaia con le morti di giovani, donne, bambini, anziani in pratica civili e di tutte le categorie sociali esposte ai rischi del fronte militare come anche tanti e molti lavoratori e operai. Oggi infatti il teatro ucraino, dove si affrontano eserciti come successe in Indocina, permette di valutare l’impatto della intelligenza artificiale e degli strumenti di disturbo elettromagnetico nelle operazioni militari moderne. Uno studio sul campo in grado di dare indicazioni su possibili vantaggi futuri nel programmato scontro nel lontano oriente. Tutto questo senza considerare la sofferenza del popolo ucraino e l’impatto sulla natura. Per questo dobbiamo dire basta all’invio di armi e dobbiamo costruire la pace, facendo riferimento al costrutto già esistente nell’ONU, attraverso l’UNESCO, del diritto alla pace incardinato nel diritto internazionale.

Laura Tussi

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Bibliografia essenziale:

Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Resistenza e nonviolenza creativa, Mimesis Edizioni.

Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Memoria e futuro, Mimesis Edizioni. Con scritti e partecipazione di Vittorio Agnoletto, Moni Ovadia, Alex Zanotelli, Giorgio Cremaschi, Maurizio Acerbo, Paolo Ferrero e altri

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“L’Occidente contro il resto del mondo”. Giorgio Cremaschi analizza il ruolo della NATO, che abolendo la parola pace mette a rischio il futuro stesso del mondo

di LAURA TUSSI su FARO DI ROMA https://www.farodiroma.it/tag/laura-tussi/

“La Nato non è un’alleanza euroatlantica, ma in realtà è un’alleanza militare mondiale. L’Occidente contro il resto del mondo”. Lo sottolinea Giorgio Cremaschi, storico sindacalista della Fiom e esponente di Potere al Popolo, intervisato da FarodiRoma. L’anno scorso, nel vertice di Madrid, ricorda Cremaschi, “il Documento strategico ha definito chiaramente che la Russia è il nemico principale con cui c’è uno scontro, con un’affermazione proprio di rottura totale. Ma a parte questo vi è la gravità di questo documento. Non mi risulta che altri documenti della Nato avessero affrontato questo tema. E hanno individuato come secondo nemico la Cina. La Cina non è in Europa. Eppure viene individuata come secondo nemico. Viene detto che la Cina, con la sua politica, minaccia – testuali parole – gli interessi, la sovranità e i valori della Nato: quindi la Cina è considerata il secondo nemico.
Ovviamente vengono elencati poi gli stati nemici classici (Iran, Corea eccetera) e si definisce un impegno militare della Nato in vaste zone del mondo, come il Sahel e il Medio Oriente e l’Indocina. Ritorna in campo l’Indocina. Dall’epoca del Vietnam non sento più parlare della Indocina”.

Cremaschi, ma tutto questo è passato sotto silenzio?
Noi lo abbiamo denunciato al Controvertice di Madrid, ma viviamo travolti da una propaganda guerrafondaia, e l’opinione pubblica è stata tenuta all’oscuro del fatto che la Nato con questo Documento strategico non solo ha deciso di rafforzare il conflitto con la Russia, ma ha assunto una dimensione di conflitto mondiale cioè la Nato è in guerra con tre quarti del mondo, il mondo dei Brics, poi vi è un elenco vario, è un manifesto ideologico: i nostri valori e i loro. Noi siamo la democrazia, voi siete le dittature: è un documento di guerra al resto del mondo, dall’Occidente al resto del mondo ed è di una gravità inaudita perché, ripeto, saltano un po’ di attenuazioni, di ipocrisie che si erano tenute nel passato. La Nato non è più euroatlantica anche se i suoi aderenti si chiamano euroatlantici, ma è un’alleanza militare mondiale che sfida il mondo.

Il Documento strategico della NATO sostiene il riarmo di massa e la convinzione profonda che l’arma nucleare sia uno strumento di pace. Lo dico così. Tra l’altro vi è una frase che fa venire i brividi. Perché a un certo punto nel documento, la Nato dice che per quanto riguarda l’uso dell’arma nucleare per le sue previsioni vi sia un uso remoto e dico remoto. Remoto e non escluso. Cioè remoto è già un termine che riguarda anche la vicinanza: vuol dire distanza. Non è tanto vicino, ma non è fuori dalle nostre distanze, dalle nostre dimensioni. Il vertice Nato: un vertice gravissimo e pericolosissimo nel quale si è scatenata tutta la belva guerrafondaia. Prendendo, a questo punto, voglio dirlo esplicitamente, a pretesto la guerra in Ucraina, perché io non credo che si costruisca così come è vero e giusto dire che Putin non ha sicuramente deciso negli ultimi giorni di fare la guerra all’Ucraina e quindi sussiste un progetto politico e militare che viene da lontano almeno dal 2014 da quando è scoppiata la guerra nel Donbass.

Però è altrettanto vero che un progetto così profondo di riarmo mondiale contro il resto del mondo non si inventa in pochi minuti…
Vuol dire che la Nato lo meditava da tempo e vuol dire che siamo appunto di fronte a un progetto di grande guerra e di confronto e dominio mondiale che noi dobbiamo contrastare. Questo è il mondo occidentale, capitalistico, “bianco”, che con un linguaggio da epoca coloniale ottocentesca, “noi siamo la civiltà e portiamo la civiltà nel mondo”, si arma contro il resto dell’umanità. Questo è di una gravità assoluta.
2 – A dare la linea di quella che sarà l’Alleanza atlantica del futuro, nel pieno della crisi in corso a causa della guerra in Ucraina, il segretario generale Stoltenberg ha posto l’entità del rafforzamento a est.
A contare non sono solo l’aumento delle forze militari, ma la modifica dell’intera postura di difesa e deterrenza, ossia come la Nato intende usare uomini e mezzi per garantire l’espansione del patto Atlantico.
Purtroppo per il popolo della pace e per l’intera umanità, alla Nato del futuro servono nuovi investimenti. Il bilancio dovrebbe quasi raddoppiare.

Non cambia la mentalità della guerra fredda di creare nemici e impegnarsi in conflitti sul campo?
Alla Nato del futuro servono nuovi investimenti a bilancio. Dovrebbe quasi raddoppiare la spesa globale militare, dunque non cambia la mentalità della guerra fredda di creare nemici e impegnarsi in conflitti sul campo. Direi che siamo oltre la guerra fredda perché questo vertice si sta talmente ingrandendo, è una minaccia di guerra a tutto il mondo ed è un impegno di guerra diretta verso la Russia cioè noi siamo in guerra e in questo momento, combattono formalmente solo l’Ucraina contro la Russia, ma con una quantità enorme di armi e anche di consiglieri e di aiuti, non sono solo armi sono guerriglieri e consiglieri.
La Nato è in guerra contro la Russia e d’altra parte il ministro della difesa di Stato maggiore delle Forze Armate della Gran Bretagna che si chiama Sanders esattamente come il senatore socialista americano che ha lo stesso nome ma non credo che abbia le stesse intenzioni e posizioni. Sanders ha dichiarato che bisogna prepararsi a mandare i soldati contro la Russia quindi noi siamo ancora dentro un meccanismo di escalation militare che va avanti e che viene alimentato e che si alimenta su se stesso e di cui la prima vittima attualmente è l’Europa. In tutte le sue forme: Europa come Russia, Ucraina, come unione europea, Francia, Germania e così via. L’Europa è uscita dall’Europa come Unione Europea. Francia e Germania paesi dove vi è il dominio totale in questa situazione, sia quello dei paesi con governi di destra e di estrema destra è bene ricordarlo guerrafondai, hanno trascinato con sé tutti gli altri e quindi è una spinta propulsiva. E trovo un po’ ridicolo che si può dire però l’altra Europa più riflessiva di Macron e poi ci mettono sempre Draghi anche se non è vero perché in realtà è un paracarro degli Stati Uniti dentro l’Unione Europea.
Ma la verità è che l’Europa che pensava di dialogare con la Russia non conta nulla e conta solo il campo militare. Già sussiste il vertice del G7 per altro che è una specie di sindacato di controllo della Nato. E’ bene ricordarsi che la Nato è fatta un po’ a scatole cinesi. E’ una matrioska: ci sono gli Stati Uniti al centro di tutto e sono loro che comandano. Poi un’altra matrioska un po’ più grande a turno che è il G7 e dopo la Nato che è diciamo così è il terzo livello e poi dopo ci sono altri paesi di confine, come l’Ucraina che sono aggregati alla Nato e sono un quarto livello anche se non sono formalmente della Nato, ma ormai ne fanno parte. Quindi al centro il nocciolo duro sono i potenti, gli Usa che comandano e che poi riuniscono il G7 che prende e impone decisioni alla Nato: tutto il resto non conta.
In seguito, vi sono appunto i governi che vogliono fare di più, i polacchi e la Gran Bretagna. E’ il modello di governance della Nato e quindi dentro questo modello di governance è evidente che la decisione di fondo, che è stata presa, è quella di mandare avanti la guerra. La parola pace è stata abolita. La parola pace nel vocabolario della Nato e nel vocabolario dell’Unione Europea non esiste.

Laura Tussi

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Bibliografia essenziale:

  • Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Resistenza e nonviolenza creativa, Mimesis Edizioni.
  • Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Memoria e futuro, Mimesis Edizioni. Con scritti e partecipazione di Vittorio Agnoletto, Moni Ovadia, Alex Zanotelli, Giorgio Cremaschi, Maurizio Acerbo, Paolo Ferrero e altr*
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Il Business delle armi e la cancellazione dei fiumi

Lo strano caso di RWM Italia SPA.

Intervista a Massimo Coraddu, Fisico, consulente di parte procedimenti giudiziari poligoni Quirra e Teulada e consulente tecnico delle associazioni che si ribellano alla fabbrica di armi RWM e alla sua espansione

di Laura Tussi

Lo stabilimento RWM Italia Spa, la cosiddetta “fabbrica di bombe” che si trova nel Sud Sardegna, è stata convertita dal 2010 in una struttura militare, con la produzione orientata all’esportazione di armi. Nonostante le controversie ambientali e normative, l’azienda ha ottenuto le autorizzazioni per l’ampliamento dello stabilimento. In questa intervista parliamo della questione con Massimo Coraddu, fisico e consulente che conosce tutti i risvolti di questa vicenda.

La RWM Italia Spa, un azienda di proprietà della multinazionale degli armamenti Rheinmetall, ha acquistato nel 2010 dalla SEI (Società Esplosivi Industriali) uno stabilimento nel sud della Sardegna, nel Sulcis, in una valle al confine tra il territorio dei comuni di Domusnovas e Iglesias.

Sino al 2010 era uno stabilimento per la produzione di esplosivi per applicazioni civili (cave e miniere), a cui, dieci anni prima, nonostante le proteste e l’opposizione di buona parte della popolazione, era stata affiancata anche una linea di produzione per esplosivi e ordigni militari. Nel giro di un paio d’anni la nuova gestione dell’RWM ha riconvertito lo stabilimento a una produzione esclusivamente militare, cancellando del tutto la produzione di esplosivi per scopi civili. Con una politica commerciale assai spregiudicata l’RWM ha infatti orientato la sua produzione verso l’esportazione di armi, in prevalenza verso paesi extra-europei, anche impegnati in sanguinosi conflitti, di fatto i clienti più interessati a ricevere forniture di bombe, mine, missili e proiettili.

Quali sono i casi più eclatanti di RWM rispetto alla produzione e all’export di armi?

Clamoroso il caso delle forniture di bombe per aereo all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti, un ordine pluriennale per circa 20.000 bombe con un importo di 400 milioni di euro, ordigni che sono stati impiegati per bombardare la popolazione Yemenita nel conflitto in corso dal 2016.

Quali sono le responsabilità dei vari governi che si sono susseguiti?

L’esportazione era stata autorizzata dall’esecutivo guidato da Matteo Renzi ma, in seguito ai bombardamenti indiscriminati contro la popolazione civile, il primo governo Conte ha poi sospeso le licenze di esportazione nel luglio 2019, tra le proteste di RWM che lamentava gravi danni economici, che non risultano però dai bilanci aziendali, sempre floridi, purtroppo. Per la cronaca, il governo Meloni, a Giugno 2023, ha ripristinato le licenze di RWM per l’esportazione di bombe per aereo verso l’Arabia Saudita.

Come cambia il fatturato di RWM da quando vengono sbloccate le licenze di export di armi verso le petromonarchie dell’Arabia Saudita?

L’esportazione di armi verso paesi in guerra è risultato un business assai redditizio per la RWM-Rheinmetall, visto che all’epoca della dismissione definitiva della produzione civile, nel 2012, il fatturato dell’azienda ammontava a circa 42 milioni di euro, con 6 milioni e mezzo di profitti, mentre nel 2019, anno in cui sono state sbloccate le licenze di esportazione verso le petro-monarchie arabe, il fatturato era cresciuto a oltre 114 milioni con oltre 25 milioni di profitti. La stessa crescita vertiginosa non aveva però interessato la manodopera impiegata, visto che nello stesso periodo i dipendenti dello stabilimento RWM di Domusnovas Iglesias erano aumentati di appena 30 unità,  passando da 67 a 97. La crescita del business RWM non si è arrestata neppure con la sospensione delle sue più lucrose licenze di esportazione, visto che i fatturati hanno continuato a crescere: nel 2022 (ultimo bilancio disponibile) l’azienda ha registrato infatti 179 milioni di euro con quasi 19 milioni di utili, mentre il numero di dipendenti dello stabilimento è aumentato di una unità, arrivando a 98.

Oltre all’Arabia Saudita e agli altri Emirati in quali vari paesi volti a seminare guerra e terrore è indirizzata la produzione RWM?

L’azienda infatti, negli ultimi anni, ha sostenuto le esportazioni di bombe a Sauditi ed Emiratini, provvedendo ad allargare e diversificare il ventaglio dei suoi clienti, includendo altri paesi impegnati in conflitti armati: ha fornito bombe ad alta penetrazione alla Turchia, ha stretto accordi con l’azienda israeliana Uvision per la produzione e la commercializzazione dei droni-killer della serie Hero (utilizzati anche nel recente conflitto Arzebajian-Armenia) e recentemente ha fatto sapere di essere impegnata anche nella produzione di proiettili di artiglieria da fornire all’Ucraina per alimentare il conflitto in corso…

Come si vede si è avuto un vertiginoso aumento di fatturati e profitti senza crescita di occupazione, infatti l’azienda fa massiccio ricorso alla fornitura di manodopera interinale per coprire i picchi di produzione, senza assumere nuovo personale, e sbarazzandosi disinvoltamente dei lavoratori interinali alla prima incertezza.

Perché è stato necessario l’ampliamento dello stabilimento produttore di bombe?

La crescita degli ordini, a partire dallo scoppio della guerra in Yemen nel 2016, ha avuto però come conseguenza la saturazione della capacità produttiva dello stabilimento di Domusnovas-Iglesias, rendendo necessario il suo ampliamento. Di conseguenza l’azienda ha programmato, a partire dal 2017, un imponente piano di potenziamento degli impianti, con la realizzazione di nuovi reparti di produzione, magazzini, strade e piazzali e persino di un nuovo poligono per effettuare test esplosivi.

Perché l’area RWM è interessata da un forte rischio idrogeologico?

La realizzazione di tali nuove strutture risultava però assai problematica a causa della collocazione dello stabilimento, che in buona parte non si trova neppure in un area con destinazione industriale, ed è oltretutto privo di servizi di acquedotto e fognatura, non possiede un depuratore per il trattamento dei reflui industriali ed è servito da un unica strada di accesso di sezione molto ridotta, sulla quale transitano mezzi pesanti carichi di ordigni ed esplosivi. Oltretutto si trova incassato in una valle dalle pareti ripide e franose, attraversata da un fiume ad elevato rischio di esondazione (il Rio Figu) che divide in due lo stabilimento passando in mezzo agli impianti.

L’area è molto impattante in termini ambientalisti anche perché nei pressi si trova un importante territorio naturalistico. Puoi spiegare in cosa consiste?

Per queste ragioni l’area in cui si trova la fabbrica RWM risulta interessata da un rischio idrogeologico elevato, aggravato anche dalle passate attività minerarie dismesse da decenni, senza essere mai state messe in sicurezza, ed è quindi interessata da diversi vincoli. Se si aggiunge che a poche centinaia di metri dallo stabilimento si trova anche una importante area naturalistica protetta (la Z.S.C. ITB041111 “Monte Linas Marganai”) si capisce come l’area sia assolutamente inadatta per un attività così impattante e pericolosa e che il progetto per l’ampliamento degli impianti non poteva e non doveva essere accolto.

La RWM è riuscita nei suoi obiettivi di ampliamento nonostante queste problematiche ambientaliste?

L’azienda è invece riuscita a portare avanti i suoi piani di ampliamento, nonostante le problematiche evidenziate e le diffuse proteste, ricorrendo ad alcuni sotterfugi e stratagemmi risultati poi irregolari e illegittimi. In particolare ha frazionato il suo piano di ampliamento di potenziamento degli impianti in un gran numero di interventi (tra il 2017 e il 2021 se ne contano circa un centinaio …), per i quali ha richiesto altrettante autorizzazioni edilizie, come se si trattasse di singoli progetti indipendenti e scorrelati. Oltretutto ha sistematicamente negato che nel suo stabilimento di Domusnovas-Iglesias si producessero esplosivi attraverso procedimenti chimici, nonostante l’azienda fosse in possesso di licenze di fabbricazione di esplosivi di tipo PBX, rilasciati dal ministero dell’interno, e che i manuali pubblicati dai collaboratori dell’azienda mostrassero chiaramente come per la produzione di questi esplosivi fossero coinvolti processi chimici di polimerizzazione.

E la Valutazione di Impatto Ambientale?

Grazie a queste evidenti forzature RWM ha ottenuto che le amministrazioni coinvolte (comuni, Provincia e Regione) rilasciassero tutte le licenze edilizie per l’ampliamento dei suoi impianti senza nessuna Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), che oltretutto è obbligatoria per le industrie chimiche che producono esplosivi.

Come si è posta la popolazione nella produzione di armi nel Sulcis? come si è svolta la protesta degli abitanti e dei cittadini?

Alla produzione di armi nel Sulcis si è sempre opposta una parte significativa della popolazione,  sin dall’avvio delle prime linee di produzione da parte della società SEI. Tale opposizione si è poi rivitalizzata e rafforzata a partire dal 2015, con le notizie dell’impiego delle bombe prodotte in Sardegna nella guerra in Yemen, e dei progetti di ampliamento di RWM. Questa opposizione si è sempre espressa in vari modi: manifestazioni sia nell’area della fabbrica, con l’intento di ostacolarne le produzioni, sia di fronte alle istituzioni responsabili di favorirne l’ampliamento, ma anche azioni legali finalizzate a bloccare licenze di esportazione e progetti di ampliamento.

Quindi RWM non è stata mai sottoposta alla VIA – Valutazione Impatto Ambientale?

In particolare, dal 2019 al 2021 abbiamo portato avanti un lungo contenzioso legale, nei tribunali amministrativi, per dimostrare che RWM aveva ottenuto le licenze edilizie per ampliare il suo stabilimento di Domusnovas-Iglesias in modo irregolare e illegittimo. Nel novembre del 2021 il Consiglio di Stato ci ha finalmente dato ragione, sentenziando che il frazionamento del piano di ampliamento di RWM in una miriade di singoli progetti non era legittimo, che quello di RWM è uno stabilimento chimico che produce esplosivi e che quindi il suo piano di ampliamento doveva essere sottoposto complessivamente a Valutazione di Impatto Ambientale, cosa mai avvenuta.

Si può anche parlare di abuso edilizio? Ad esempio di reparti abusivi dell’azienda?

Di conseguenza il Consiglio di Stato ha annullato le autorizzazione alla realizzazione di alcune delle opere più importanti realizzate dall’azienda, compresi il nuovo poligono per test esplosivi e i nuovi reparti per la produzione di ordigni ed esplosivo di tipo PBX. L’azienda nel frattempo, mentre i tribunali decidevano sui ricorsi, ha realizzato in gran fretta i lavori di ampliamento, terminati nel 2021, e si ritrova quindi ora con i reparti finiti ma abusivi, privi di autorizzazione edilizia, e che quindi non possono entrare in funzione.

Quindi la RWM non si è rassegnata all’idea di poter rinunciare all’ampliamento?

RWM-Rheinmetall non si è affatto rassegnata all’idea di non poter avviare i nuovi reparti e ha chiesto alla Regione Sardegna di effettuare una VIA a posteriori delle opere realizzate illecitamente, sostenendo che un eventuale esito positivo autorizzerebbe l’azienda ad aprire i reparti e avviare la produzione. Si tratta di una evidente forzatura della normativa, visto che in questo modo la VIA, che di regola andrebbe effettuata prima della realizzazione delle opere e non a posteriori, agirebbe come una sorta di sanatoria delle opere realizzate illecitamente, tuttavia la Regione Sardegna nell’estate del 2022 ha avviato la procedura per la VIA “postuma” del progetto di ampliamento dello stabilimento RWM (in realtà solo di una parte di esso), e la procedura è ancora in corso.

Dunque si può parlare di rischio idrogeologico e mancata tutela paesaggistica?

Naturalmente le stesse organizzazioni che si erano opposte all’ampliamento si oppongono ora anche alla VIA-”postuma” per lo stabilimento RWM di Domusnovas-Iglesias, sostenendo che la procedura è illegittima e che, in ogni caso, non può avere un esito positivo, a causa dei numerosi vincoli che insistono sull’area, non solo legati al rischio idrogeologico, ma anche alla tutela paesaggistica, alla mancata destinazione industriale dell’area, all’impatto sulla vicina area naturalistica protetta (Z.S.C. ITB041111 “Monte Linas Marganai”).

L’azienda vuole quindi eliminare un reticolo idrografico per ampliare i suoi spazi e quindi la produzione bellica?

In questo contesto si inserisce la richiesta di RWM di cancellare dal “reticolo idrografico” alcuni corsi d’acqua presenti all’interno della sua proprietà. Tale richiesta, a gennaio 2024, è stata rivolta all’Autorità di Bacino Idrografico, un ufficio regionale che si occupa di sicurezza idrogeologica, con il supporto dei comuni di Iglesias e di Domusnovas.

RWM vuole eliminare tutti i corsi d’acqua che ne impediscono l’espansione?

L’azienda chiede in pratica di eliminare sulla carta tutti i corsi d’acqua interni alla sua proprietà che confluiscono nel Rio Figu, il fiume a elevato rischio di esondazione che attraversa lo stabilimento. Alcuni dei corsi d’acqua di cui si chiede la cancellazione si trovano però all’interno dello stabilimento, e le norme di salvaguardia avrebbero obbligato l’azienda a rispettare delle fasce di sicurezza di ampiezza variabile tra 20 e 50 metri, cosa che non è avvenuta, visto che attualmente l’alveo di questi corsi d’acqua appare profondamente alterato dalle costruzioni realizzate, sino a scomparire del tutto in alcuni tratti. Oltretutto tali corsi d’acqua confluiscono nel Rio Figu a cui, a causa dell’elevato rischio idrogeologico, è associata una fascia di rispetto larga 150 metri, nella quale si trova una zona a rischio idrogeologico (zona cosiddetta Hi4) dove, per ragioni di sicurezza, non possono assolutamente essere realizzati impianti industriali come quelli di RWM. Ciò nonostante, anche in tempi recenti, l’azienda per espandersi ha realizzato in quest’area a elevato rischio idrogeologico imponenti sbancamenti (per decine di migliaia di metri cubi) e ha costruito grandi strutture. Ancora ci chiediamo come sia stato possibile che abusi di questa entità siano stati realizzati alla luce del sole, senza che nessuna delle autorità competenti muovesse obiezioni.

Vi è una forte esposizioni a impattanti rischi idrogeologici?

I corsi d’acqua di cui l’azienda chiede la cancellazione confluiscono nel Rio Figu proprio nelle aree Hi4, ad elevato rischio idrogeologico, senza che la relazione aziendale che ne chiede la cancellazione rilevi questo fatto fondamentale. A dire la verità la richiesta presentata dall’azienda contiene carte non aggiornate (risalenti a prima del 2000), in cui tutti gli ampliamenti dello stabilimento RWM realizzati nel frattempo non appaiono neppure!

Due settimane fa le organizzazioni che si sono sempre opposte all’ampliamento di RWM, hanno mandato all’ Autorità di Bacino Idrografico un documento critico sulla richiesta di cancellazione dei corsi d’acqua dalla proprietà RWM, in cui si fanno presente le anomalie esposte pocanzi. L’Autorità di Bacino ha risposto ieri (17 Aprile), accogliendo sostanzialmente le nostre osservazioni, sospendendo l’esame della richiesta di cancellazione e chiedendo chiarimenti ai comuni di Iglesias e Domusnovas. Data la contemporanea presenza dell’area di un rischio idrogeologico molto elevato e di una industria “a rischio di incidente rilevante” (classificata così in base alla direttiva “Seveso III” dell’UE), a noi sembra ovvio che la richiesta di cancellazione dei corsi d’acqua, e delle relative fasce di tutela, non possa essere accolta, e che anzi vada accertata la presenza di eventuali abusi.

Quali sono le proposte e le decisioni per evitare rischi idrogeologici?

Vista così, la richiesta presentata da Rheinmetall-RWM per la cancellazione dei corsi d’acqua dalla loro proprietà, potrebbe apparire come un maldestro tentativo di alleggerire i vincoli idrogeologici presenti nell’area e rendere più facile una sorta di “sanatoria” di fatto degli abusi compiuti.

Tuttavia una decisione definitiva non è ancora stata presa, anche la procedura di VIA “postuma” è ancora in corso, e l’opposizione a questa produzione mortifera e al suo ampliamento è forte e determinata.

RWM vuole forzare le normative esistenti sia sulla fornitura dei paesi belligeranti sia sulla tutela del paesaggio e dei suoi abitanti

In definitiva appare evidente come una industria che produce armi ed esplosivi destinati ad alimentare i conflitti in corso riesca spesso a forzare le normative esistenti, sia quelle che dovrebbero impedire la fornitura di armamenti ai paesi in guerra, sia quelle che dovrebbero tutelare la sicurezza della popolazione, dell’ambiente e del territorio.

Nonostante le evidenti violazioni, sanzionate anche dai tribunali, sono stati realizzati in un area a elevato rischio idrogeologico impianti ad alto rischio, destinati a fabbricare ordigni micidiali. Anche in presenza di sentenze ormai passate in giudicato, l’azienda non si rassegna e ricorre a ogni mezzo, compresa la “cancellazione” legale dei corsi d’acqua dalla sua proprietà, pur di “sanare” la situazione e ottenere l’apertura e la messa in produzione dei nuovi impianti realizzati illecitamente.

L’intera società non deve essere corrotta nella propria mentalità, orientandola a una economia di guerra, ossia bellica e militarista

Quando si parla di capacità di corruzione dell’industria degli armamenti, non si vuole intendere tanto l’eventuale corruzione di singoli individui e/o funzionari pubblici, quanto piuttosto la capacità di corrompere l’intera società, che viene progressivamente orientata a una economia bellica, rinunciando di fatto a fondamentali garanzie di salute e sicurezza per la popolazione. Questo progressivo scivolamento verso una economia di guerra avviene sotto i nostri occhi, attraverso procedimenti anche legali, o semi-legali, che portano alla progressiva erosione delle norme e delle garanzie che dovrebbero tutelare la sicurezza della popolazione, il territorio e l’ambiente.

Come si pone la resistenza di queste popolazioni contro i colossi dell’industria militare?

La resistenza della popolazione contro questi colossi degli armamenti è impari, la società civile trova difficoltà a opporsi alle schiere di avvocati e tecnici al soldo delle società armiere, le amministrazioni pubbliche sono per lo più orientate alla difesa difesa degli interessi dei produttori di armi, e giustificano il loro atteggiamento con la vaga promessa di una manciata di “posti di lavoro”. La storia dello stabilimento Rheinmetall-RWM, in questo senso, è esemplare.

La resistenza contro la resistibile ascesa dell’industria delle armi è tuttavia irrinunciabile, ne va della nostra sopravvivenza.

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  • Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Resistenza e nonviolenza creativa, Mimesis Edizioni.
  • Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Memoria e futuro, Mimesis Edizioni. Con scritti e partecipazione di Vittorio Agnoletto, Moni Ovadia, Alex Zanotelli, Giorgio Cremaschi, Maurizio Acerbo, Paolo Ferrero e altr*
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Alex Zanotelli: “Disobbedienza civile per difendere la legge 185 sull’export di armi”

Di Laura Tussi 

La legge 185 del 1990 è uno strumento fondamentale che garantisce trasparenza sui finanziamenti all’industria bellica. Oggi questa trasparenza è in pericolo. Ne abbiamo parlato con Alex Zanotelli, che ha ripercorso il processo che ha portato all’approvazione di questo testo più di trent’anni fa e ha avanzato alcune proposte su come fronteggiare le minacce che si trova ad affrontare oggi.

Avete mai sentito parlare della legge 185? Probabilmente no, ma soprattutto in questa epoca in cui i conflitti che coinvolgono indirettamente il nostro paese non accennano a diminuire di intensità, è un testo fondamentale. Prima di tutto la legge 185 è nata nel 1990 dalla spinta di un grande movimento popolare che includeva I beati costruttori di pace, con Don Tonino Bello e altre numerose associazioni. E poi includeva tutte le organizzazioni di base, anche del mondo cattolico.

«All’epoca persi il mio incarico di direttore di Nigrizia proprio per le mie denunce sulle armi», ricorda Alex Zanotelli. «Penso che anche questo brutale provvedimento abbia ispirato tutto questo movimento consentendo di far approvare questa legge, che è un unicum in Europa». Con padre Zanotelli affrontiamo dunque la discussione sulla drammatica attualità, che rischia di vanificare i risultati ottenuti da quella grande mobilitazione.

1- Il Senato ha approvato le modifiche alla legge 185/90 che regolamenta le esportazioni di armi convenzionali. Con queste modifiche si vogliono cancellare gli obblighi di trasparenza e rendicontazione in Parlamento su export di armi e relativi finanziamenti. Se la legge passerà non sarà più possibile avere la lista delle banche armate e sarà compromessa la trasparenza.

Penso che non tutti facilmente conoscano la legge 185. Prima di tutto la 185 è una legge che è nata nel 1990; nata dietro la spinta di un grande movimento popolare che includeva I beati costruttori di pace all’Arena di Verona con Don Tonino Bello e altre numerose associazioni.

E poi includeva tutte le organizzazioni di base anche cattoliche. Inoltre ero stato defenestrato dal ruolo di direttore di Nigrizia proprio per le mie denunce sulle armi. Anche questo brutale provvedimento penso che abbia ispirato tutto questo movimento e abbiamo ottenuto così questa legge che è unica, è un unicum in Europa e non esiste una legge con questi estremi in tutta Europa e in molti Paesi. Praticamente cosa dice la legge: un controllo prima di tutto parlamentare sulle armi e è fondamentale questo ed è proprio questo controllo che permette al parlamento di dare ogni anno a proposito i nomi delle banche che pagano per le armi. La supervisione sulle armi per noi è fondamentale per conoscere e poi boicottare le banche che pagano per gli armamenti. Non avremmo mai potuto far anche la campagna contro le banche armate se non avessimo avuto questo strumento. Per esempio oggi sappiamo che l’80% degli investimenti sono impiegati per costruire armi – chiaramente costruire armi significa che bisogna avere finanziamenti dalle banche – per cui l’80% di questi soldi per la costruzione di armi in Italia proviene da tre banche Unicredit, Intesa Sanpaolo, Deutsche Bank.

L’80% e quindi cominciamo da questo dato. E poi la campagna ha disturbato il governo però non è stata finora veramente praticata. Il problema è in sostanza etico. Come faccio a mettere i miei soldi in una banca che costruisce strumenti di morte che poi vanno a uccidere persone in guerra. Menziono sempre il grande teologo che ha partecipato al concilio Vaticano secondo Monsignor Chiavacci di Firenze. Bravissimo. Conosceva il problema finanziario meglio di tanti altri intellettuali e economisti e diceva che è un dovere etico e morale per un cristiano, ma anche per ogni cittadino, sapere dove mette i propri soldi e come quegli investimenti vengono utilizzati. Questo principio fondamentale che è stato alla base della campagna contro le banche armate purtroppo non sta passando. Passa di più tra persone che si dichiarano atee piuttosto che a livello di chiesa. Se le diocesi italiane, se le parrocchie, ritirassero i propri soldi da queste banche, metteremo in crisi letteralmente la costruzione di armi. Se vogliamo davvero mettere in crisi il sistema, dobbiamo letteralmente boicottare le banche armate. Chi l’ha capito è stato Crosetto il ministro, non il nostro il ministro, della difesa in Italia che è veramente turbato e infastidito dalle banche etiche. L’ha detto lui in un incontro con i pezzi grossi per le armi. Non vuole le banche etiche perché possono etichettare le banche come banche armate. Allora lui vorrebbe fare una propria banca. Incredibile. Soltanto per pagare la costruzione di armi che vuol dire però che questa campagna ha già incominciato a portare i suoi frutti se si arriva a questo livello. Adesso il problema è che la legge 185/90, che traccia anche le banche armate, vogliono metterla in discussione in parlamento. E’ già passata al Senato e sta passando adesso, penso che passerà molto in fretta, alla camera. Ecco perché abbiamo fatto a Roma una conferenza stampa recentemente per cercare di mettere insieme tutte le realtà che nel 1990 avevano portato a questa legge.

2- Per contrastare lo strapotere delle Banche armate come si potrebbe attuare su larga scala una forma di obiezione del risparmiatore in favore della banca etica?

Penso dobbiamo capire che non è a livello individuale di risparmiatore o altro, in quanto è sempre l’individuo alla fine che si impegna, ma deve diventare una campagna di massa e collettiva. Questo lo dico non soltanto per la costruzione di armi, ma altrettanto importante è – purtroppo in Italia se ne parla pochissimo – mentre all’estero è molto forte, è stata promossa con grande forza da WCC il consiglio ecumenico delle chiese a Ginevra e promossa la campagna contro i fossili che è andata meglio della campagna contro le banche armate che poi pagano per l’estrazione del petrolio e queste cose funzionano quando diventano processi di massa: questa è la forza. Altrimenti diventano “io sono bravo perché non metto i miei soldi nella banca armata”. No. Non è una questione di mettersi la coscienza a  posto. La questione è che dobbiamo davvero far saltare delle situazioni assurde con la nonviolenza e questo è uno dei metodi sia per la costruzione di armi sia per quanto riguarda la stessa questione per i fossili e  anche in questo caso sono sempre coinvolte pressappoco le stesse banche la Unicredit anche Intesa Sanpaolo. E quella forza vale anche per i grandi boicottaggi dal basso. Non si tratta di mettere la coscienza a posto, ma se vuoi cambiare, deve diventare un boicottaggio di massa. E è quello che ad esempio gli americani hanno fatto quando hanno capito come la Nike sottopagava le donne in Indonesia. Immediatamente è partito un  boicottaggio nazionale della Nike che ha messo in crisi profonda l’azienda multinazionale. E sono andati, poco tempo dopo, subito in Indonesia a alzare il salario delle donne: questa è l’efficacia.

3- La storica esortazione quella di Pertini “svuotiamo gli arsenali e riempiamo i granai” può essere invocata per le banche che finanziano le fabbriche di armi? e invece provocano un grave indebitamento dei piccoli agricoltori.

Certamente è un passaggio anche questo su cui pensare. Dovrà essere pensata bene come deve essere fatta la campagna per boicottare le banche che finanziano i produttori di armi. Perché per le campagne ci vuole tempo e devono essere tutti i soggetti coinvolti efficaci altrimenti diventano fasulle e soprattutto è necessario il consenso popolare e di massa.

4- Puoi commentare il comunicato stampa dell’ONU che si rifà alla sentenza della corte internazionale di giustizia del 26 gennaio nonché alla convenzione di Ginevra e chiede sostanzialmente agli Stati membri di interrompere l’export di armi verso Israele?

l’Italia ha un trattato secretato con Israele. Continua a vendere e ha continuato a vendere armi in tutto questo periodo della guerra o meglio un autentico genocidio che Israele sta perpetrando ai danni del popolo palestinese. Agli Stati quello che importa sono gli interessi economici e finanziari. Il permettere che le fabbriche di armi producano sempre ordigni militari. Quindi questo è il limite di perorazioni e invocazioni che si fanno sugli Stati. Le altre campagne toccano la coscienza della gente che deve essere cambiata perché è quella grande rivoluzione che arriverà dal basso e sarà nonviolenta, quando la gente prenderà coscienza e urlerà e griderà: basta.

5- Pensi che quando la riforma della 185 arriverà alla camera ci sarà una forte e massiccia manifestazione a Roma?

Non lo so. Faremo di tutto. Ma è molto più efficace pensare a qualcosa d’altro. L’ho proposto prima che arrivi ancora alla camera durante questo periodo. La mia proposta anche durante la recente conferenza stampa di Roma è che di fatto dobbiamo pensare che siamo qui rappresentanti di varie realtà che non vogliamo che venga modificata la legge 185 e dobbiamo fare un’azione efficace. Oggi è inutile parlare di pace. E’ totalmente inutile. E citerò sempre la testimonianza attiva e efficace di padre Daniel Barragan, gesuita americano, che ha sostenuto e animato la resistenza negli Stati Uniti durante la guerra contro il Vietnam. Diceva: “ragazzi è inutile parlare di pace, perché fare pace costa altrettanto come fare guerra”. Quell’uomo, quel gesuita ha fatto 44 mesi di galera negli Stati Uniti per le sue scelte contro la guerra in Vietnam, per vari tentativi, perché oggi siamo arrivati a un punto solo ormai. Sono convinto che abbiamo bisogno di atti di disobbedienza pubblica e civile e di massa e avere la capacità di disobbedire e andare in tribunale e andare anche in prigione. Perché la mia proposta sarebbe quella di sollevarsi seriamente e di fare qualche gesto davanti al parlamento italiano di disobbedienza civile dal basso e stiamo pensando a come fare, ma bisogna attivarsi e mettersi in moto e si diventa più efficaci e credibili con un gesto di questo tipo per attirare anche la stampa con manifestazioni. Come i ragazzi di Ultima Generazione che mettono in atto queste provocazioni.

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  • Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Memoria e futuro, Mimesis Edizioni. Con scritti e partecipazione di Vittorio Agnoletto, Moni Ovadia, Alex Zanotelli, Giorgio Cremaschi, Maurizio Acerbo, Paolo Ferrero e altr*
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Il Partigiano Emilio Bacio Capuzzo, il destino in quel nome (Laura Tussi)

di LAURA TUSSI

FARO DI ROMA: https://www.farodiroma.it/il-partigiano-emilio-bacio-capuzzo-il-destino-in-quel-nome-laura-tussi/

Il Partigiano Emilio Bacio Capuzzo ci ha lasciato nel 2017, anno del Premio Nobel per la pace a Ican per il disarmo nucleare universale.

Con Laura Tussi e Fabrizio Cracolici il partigiano deportato Emilio Bacio Capuzzo ha testimoniato in più di 200 presentazioni del libro “Un racconto di vita partigiana”.
Si recò in numerose scuole, non solo di Bovisio Masciago e Nova Milanese, ma anche in moltissimi istituti scolastici della Lombardia e di altre regioni: ovunque venisse richiesto il suo intervento e la sua testimonianza di alti ideali antifascisti.

Il partigiano Bacio ha lasciato la sua Nova Milanese quasi sette anni fa; a lui i compagni hanno intitolato la sezione ANPI che ha “comandato” per anni. La memoria della sua figura, contraddistinta da una grande coerenza, li guida sul sentiero tracciato dal suo esempio. 

In collaborazione con la sottoscritta e con Fabrizio Cracolici, già presidente Anpi Nova Milanese – Monza e Brianza e membro attuale del direttivo provinciale Anpi, e da sempre attivista di pace e videomaker, il partigiano deportato Emilio Bacio Capuzzo ha testimoniato in più di 200 presentazioni in pubblico del libro Un racconto di vita partigiana. Si recò in numerose scuole, ma anche in moltissimi istituti scolastici della Lombardia e di altre regioni.

Bacio non era un nome di battaglia, ma di battesimo

Si chiamava Bacio, ma perché potesse ricevere il battesimo, i genitori gli diedero come primo nome Emilio. Perché Bacio non è il nome di nessun santo del calendario ecclesiastico. Emilio Bacio Capuzzo, partigiano e deportato. Alla sua memoria è intitolata la sezione ANPI di Nova Milanese, diretta da Fabrizio Cracolici, per dieci anni, che, assieme alla sottoscritta (giornalista e scrittrice), condivise l’amicizia con il partigiano: entrambi, infatti, eravamo presenti al suo capezzale nel giorno della morte.

In punto di morte la rivelazione a Bacio del Premio Nobel per la Pace al movimento pacifista

E quando rammentiamo la sua figura, proprio a quei tristi e toccanti attimi corre il nostro ricordo, a quella giornata di ottobre del 2017, che raccolse gli ultimi pensieri di Bacio rivolti proprio alla pace. La campagna per il disarmo nucleare ICAN, infatti, era appena stata insignita del Premio Nobel per la Pace e il partigiano esortava ad impegnarsi perché questo grande ed importante risultato si potesse finalmente concretizzare.

Abbiamo salutato Bacio ancora in vita con una notizia da Nobel…

Noi siamo riusciti a comunicargli, in punto di morte, il conseguimento del Premio Nobel per la Pace per il disarmo nucleare universale. Premio nobel la cui testimonianza è ricaduta come un grande impegno per il disarmo e la nonviolenza sul movimento pacifista mondiale e i suoi vari esponenti che testimoniano questo premio nelle varie iniziative e presentazioni in pubblico, a livello locale, nazionale, internazionale. Una “compresenza tra viventi e non viventi” come direbbe Aldo Capitini. Anche se Bacio vive sempre in mezzo a noi e illumina il nostro cammino di attivismo per la nonviolenza e il disarmo.

Un saggio di narrazione dedicato al Partigiano Emilio Bacio Capuzzo. Un racconto di vita partigiana

Ad Emilio Bacio Capuzzo e alla sua esperienza resistenziale è dedicato il libro Un racconto di vita partigiana. Il ventennio fascista e la vicenda del partigiano Emilio Bacio Capuzzo, edito da Mimesis nel 2012 e recentemente in seconda edizione.

La figura di Bacio ricordata nell’opera multimediale del giornalista d’inchiesta Daniele Biacchessi

La sua figura continua ad affascinare ed è presentata anche nell’opera multimediale curata da Daniele Biacchessi, L’Italia liberata. Storie partigiane. Il testo, accanto ad altre personalità che scrissero la storia della lotta di Liberazione, tratta anche l’esperienza del partigiano Bacio.

Il partigiano Bacio da sempre antifascista fin nel grembo della madre

Antifascista lo era ancora prima della nascita, già nel grembo di sua madre. Suo padre, operaio socialista, per aver rifiutato la famigerata tessera del fascio venne licenziato e ricevette anche lo sfratto dal proprietario di casa, che era sostenitore del regime. Con una moglie, tre figli e un quarto in arrivo, si vide costretto a sperare nella benevolenza di parenti, prima che la miseria lo conducesse, assieme alla famiglia, da Anguillara Veneta a Nova Milanese. 

L’interruzione degli studi per la scelta antifascista di tutta la famiglia

Il fascismo precluse a Bacio, che non poteva permettersi nemmeno la dotazione del materiale didattico, un regolare percorso di scolarizzazione. «Ho dovuto smettere di andare a scuola perché i miei genitori non avevano una lira per comperarmi i libri ed i quaderni. C’era solo la fame».

Operaio alla Breda Campovolo di Sesto San Giovanni: sempre fame e povertà

Fame e miseria lo accompagneranno anche alla Breda Campovolo, dove lavorerà come apprendista aggiustatore, in seguito al diploma di apprendistato conseguito all’Ercole Marelli di Sesto San Giovanni, un tempo soprannominata la Stalingrado d’Italia.

La partecipazioni agli scioperi del 1944 nel triangolo industriale milanese

La vicenda partigiana di Bacio ha inizio con la preparazione degli scioperi del marzo 1944, che, caratterizzati da una forte connotazione politica, interessarono il triangolo industriale, specialmente il milanese. Ricercato dai fascisti, si unì ai primi gruppi partigiani. «Loro mi cercavano, e allora io poi andai in diversi cascinotti perché ormai il fidanzato di mia sorella non è che potesse rischiare a tenermi lì per diversi giorni ancora».

Bacio si aggregò sia ai SAP che ai GAP, formazioni partigiane di azioni dirette e sabotaggi

Quando la fabbrica in cui lavorava venne rasa al suolo dalle “super fortezze volanti”, ricevette l’ordine di presentarsi al comando tedesco per essere destinato alla Junker in Germania. Fu allora che scelse di aggregarsi ai GAP, nei quali operò con sabotaggi, volantinaggio, recupero di armi. 

Incarcerato a San Vittore e deportato nel Lager di Bolzano

Quando un compagno, sotto tortura, pronunciò il suo nome, assieme a quello di altri partigiani, venne incarcerato dapprima a Monza, poi a San Vittore e infine deportato nel lager di Bolzano. Fuggì, lanciandosi dal treno giunto quasi al confine, al Brennero. Riuscì con altri compagni a gettarsi dal “treno della morte” in corsa. Il cosidetto Transport dei deportati. E si unì alle formazioni partigiane della Valsesia.

Dalla Valsesia alla Brigata Osella fino alla Liberazione

Inserito nella 82° Brigata Osella, partecipò attivamente nella squadra guastatori fino alla Liberazione, quando entrò a Nova Milanese liberata e partecipò il 29 aprile 1945 alla grande manifestazione di Milano. Un’esperienza breve la sua, eppure intensa ed estremamente viva, che ebbe sempre cura di condividere, in seguito, con le nuove generazioni. In diverse occasioni incontrò i fanciulli delle scuole elementari di Bovisio Masciago, narrando la sua battaglia di civiltà e le orribili pagine del fascismo. Memorabile e toccante il ricordo del suo 25 aprile, vissuto come un giorno di festa, perché la guerra era ormai terminata.

Laura Tussi

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Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Resistenza e nonviolenza creativa, Mimesis Edizioni.

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Dalla Scala di Milano al Teatro Lirico di Parma all’unisono il motto “Cessate il fuoco” e l’esposizione della bandiera palestinese

di LAURA TUSSI

Nei giorni scorsi al Teatro Regio di Parma, al Teatro Lirico di Cagliari, al Teatro alla Scala di Milano e in altri teatri d’Italia sono stati esposti striscioni con la scritta disperata e dissacrante “cessate il fuoco“ e si è apertamente urlato all’unisono da parte degli artisti e attivisti organizzatori il motto “Palestina libera” e le parole “non in nostro nome”.

Persone assassinate: buy ⁴dati in continuo incremento a livello esponenziale da oltre 75 anni di occupazione

In quanto il genocidio in atto a Gaza ormai conta oltre 30.000 persone di cui quasi 9000 donne e quasi la totalità bambini e adolescenti sotto i vent’anni. Ma ogni giorno le vittime aumentano. Sono in costante incremento. E non numeri. Ma persone. Donne, uomini, vecchi e bambini esattamente come tutti noi. Uno sterminio, uno stillicidio, un vero e proprio massacro che ormai si protrae da oltre 75 anni. E perché non poterlo chiamare genocidio? Anche in Congo 25 milioni di morti. Un altro genocidio gravissimo della storia come quello degli armeni.

L’etimologia del termine genocidio deve farci riflettere

Quindi l’”uccisione di una genia” che è l’etimologia del termine genocidio non è un’accezione errata e scorretta. Perché il genocidio potrebbe estendersi e diventare globale.
Con l’escalation nucleare e il rischio di una conflagrazione globale irreversibile. 

Non permettetevi di distruggerci. Di annientare la nostra umanità

I potenti non devono osare e permettersi di distruggere la vita dell’umanità intera per i loro più biechi interessi. 
La nostra umanità è irripetibile. 
Noi siamo esseri senzienti capaci di ragionare e amare e di sognare. 

Il ministro israeliano definisce i Palestinesi “animali umani” da uccidere

Il 9 ottobre 2023 il ministro della difesa israeliano Gallant affermò che Israele stava combattendo contro ‘animali umani’ e dichiarò l’assedio totale alla striscia di Gaza. In altre parole decise di privare la striscia di Gaza di tutti i beni essenziali come cibo, acqua, corrente, benzina.

Madre Terra è in una conflagrazione a frammenti quasi totale alle porte della terza guerra mondiale

Il pianeta terra è in fiamme per molteplici conflitti armati dove a discapito e in dispregio dell’ottemperanza delle dichiarazioni della convenzione di Ginevra le prime vittime sono tutti civili e donne e bambini. Il cuore di noi intellettuali è in lacrime perché non abbiamo più parole per convincere i potentati di turno a finire di combattere con armi che sono ormai anche nelle grinfie dell’intelligenza artificiale usata a scopi malefici.

Il ruolo degli intellettuali e degli attivisti è quello di descrivere e fare sentire al mondo le ragioni dell’amore e del bene

Noi intellettuali dobbiamo prendere coraggio e continuare con gli attivisti a denunciare e a resistere, resistere, resistere. Dobbiamo scrivere e parlare e trattare di una de-escalation a livello mondiale e della volontà che deve provenire dagli scranni del potere di mettere sul tavolo dei governi del male non più armi e armamentari nucleari, ma la forza del diritto, del diritto internazionale, della diplomazia per intessere delle tregue, per attuare trattative per implementare negoziati e scambi commerciali tra i paesi belligeranti.

Per un “cessate il fuoco” consapevole e universale

Vogliamo il cessate il fuoco a Gaza e nello Yemen e in tutte le guerre dimenticate dell’Africa. Non vogliamo più inviare armi ai potentati di turno. Dobbiamo denunciare all’unisono che non vogliamo inviare colossi di armamenti per decine di centinaia di migliaia e milioni di dollari nei paesi belligeranti. Basta armi in Ucraina. E smettiamo di inviare ordigni militari in tutte le nazioni in guerra. E non dobbiamo mai stancarci di denunciare e scrivere nei nostri libri e articoli e trattati che “vogliamo la pace”.

Le nefandezze delle modifiche alla legge 185/90 e dell’investimento in ordigni di distruzione di massa da parte delle banche armate

Non dobbiamo accettare il trasporto e il commercio di armi e dobbiamo fermare gli investimenti bellici delle banche armate. La legge 185/90 recentemente ha subito delle modifiche per cui non si può più risalire alle banche che maggiormente investono in armamenti bellici. Dobbiamo tutti temere per il bene del genere umano intero tramite la guerra e il suo tragico epilogo: l’apocalisse nucleare. Non dobbiamo assolutamente spaventarci, ma continuare a scrivere di fatto questa inesorabile realtà e la verità degli eventi. 

I moniti e gli insegnamenti dei grandi intellettuali del libero pensiero

I grandi del libero pensiero da Giordano Bruno a Margherita Hack ci ricordano che siamo figli delle immense costellazioni e innumerevoli galassie e deriviamo dalla stessa materia astrale. Questo non esclude che potrebbero esserci nell’universo altri esseri viventi simili a noi.

L’umanità terrestre possiede grandi valori e ideali intrinseci

Ma la nostra umanità deve attivarsi per rendere perenne e tramandare ai posteri l’eredità della sua storia positiva e negativa che sia, con il bene e il male contrapposti, ma pur sempre la grande storia del sapere del genere umano in grado di razionalizzare la verità circostante e di ricavarne un pensiero e con la facoltà di sognare.

Noi abbiamo un sogno. E questo sogno è la pace

Certo. Sognare. Sognare la pace. Sognare un mondo finalmente privo di conflittualità armate e di odio e di violenza tra noi sorelle e fratelli. L’unione e l’unità fraterna internazionale e mondiale sono indispensabili per generare l’amore e un sentire di pace, uno stato di riconciliazione tra popoli, genti, etnie, minoranze. Una pace che disarma i potenti che detengono la supremazia su madre terra.
Su una entità cosmica come le stelle delle infinite galassie che noi in quanto figli del pianeta dobbiamo tutelare dalle minacce e dalle emergenze più incombenti.

Una testimonianza dal valico di Rafah

Triestino Mariniello è Professore Associato alla Liverpool John Moores University (Regno Unito). Attualmente lavora presso la Humboldt University di Berlino, dove sta conducendo un progetto di ricerca sull’ammissibilità dei casi dinnanzi alla Corte penale internazionale (CPI).
Ha pubblicato una serie di libri, articoli ed altri contributi, fra l ́altro, su temi di diritto penale internazionale, diritto internazionale umanitario e diritti umani.
Triestino Mariniello è membro del team di rappresentanza delle vittime di Gaza davanti alla Corte Penale Internazionale. In passato, ha ricoperto diversi ruoli alla CPI, dove ha assistito i giudici della Camera preliminare in merito alle situazioni in Sudan, Repubblica Democratica del Congo e Kenya.

È stato consultato come esperto in giustizia penale internazionale e diritti umani da organizzazioni governative e non governative.
Triestino Mariniello è stato inviato a Rafah per conto del tribunale dell’Aja e vuole raccontarci questa terribile esperienza.

Testimonianza di Mariniello inviato dal tribunale dell’Aja a Rafah
“Siamo appena stati al valico di Rafah e abbiamo visto gli effetti concreti dell’assedio totale. Abbiamo visto centinaia di camion con aiuti umanitari fermi da mesi, alcuni da gennaio anche con cibo e acqua. Per miglia abbiamo visto camion con aiuti umanitari in attesa di ricevere l’autorizzazione per entrare nella striscia di Gaza e abbiamo visto capannoni gestiti dalla Mezzaluna Rossa in cui si trovano i beni respinti da Israele. Parliamo di incubatrici, generatori di correnti, parliamo di bagni sedie per i disabili anche i cornetti al cioccolato, etichettati come beni di lusso e respinti da Israele. Tra i beni respinti dalle autorità ci sono medicine come chemioterapici, insulina per bambini ritenuta pericolosa da Israele, e anche anestetici in un contesto in cui ai bambini sono amputati arti senza anestesia. La Mezzaluna Rossa ci ha detto che se si respinge una sola scatola con aiuti umanitari l’intero carico presente sul camion viene respinto. Questa privazione di beni essenziali avviene mentre i residenti di Gaza stanno morendo. Non solo a causa dei bombardamenti, ma anche per la fame. E la diffusione di malattie. Il giorno prima che arrivassimo a Rafah era stato consentito da Israele soltanto l’accesso nella striscia di Gaza mentre la popolazione civile avrebbe voluto che entrassero tra i settecento e i novecento camion al giorno e la decisione di Israele di impedire e ritardare e respingere i beni essenziali è una violazione dell’ordinanza della corte internazionale di giustizia che ha imposto a Israele di consentire l’accesso ai beni umanitari nella striscia di Gaza e può configurare anche un crimine di guerra. Il crimine di guerra di affamare intenzionalmente come metodo di guerra i civili. Al momento l’unica soluzione per consentire l’accesso a tutti questi è il cessate il fuoco permanente della striscia di Gaza”.

Laura Tussi

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Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Resistenza e nonviolenza creativa, Mimesis Edizioni.

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“David Maria Turoldo, il Resistente”, un frate eclettico che fu baluardo della Lotta Partigiana Antifascista (Laura Tussi)

di LAURA TUSSI

Padre David Maria Turoldo fu poeta, filosofo, sacerdote, autore, traduttore, fondatore di riviste e giornali. Su di lui sono stati pubblicati centinaia di libri e documenti, ma senza dare ampia notizia della sua partecipazione alla Resistenza del 1943-45 contro il nazifascismo. Fa eccezione il libro “David Maria Turoldo, il Resistente” a cura di Guerino Dalola e ANPI Franciacorta, con prefazione di Laura Tussi – Campagna “Siamo tutti Premi Nobel per la Pace con ICAN” e Fabrizio Cracolici – ANPI direttivo provinciale Monza e Brianza, Mimesis Edizioni.

Turoldo era amico del card. Martini che lo ha sostenuto e appoggiato negli ultimi anni di isolamento

La nascita del trattato su Turoldo e la Resistenza Partigiana Antifascista

Il trattato dal titolo “David Maria Turoldo, il Resistente”, a cura di Guerino Dalola, in collaborazione con Donatella Rocco, Antonio Santini, Mino Facchetti, Pierino Massetti, Gian Franco Campodonico e di ANPI Franciacorta, Mimesis Edizioni, consiste in un importante saggio autoprodotto con il patrocinio di vari enti e associazioni, tra cui la Città di Chiari, il Comune di Coccaglio, il Comune di Cologne, i Servi di Maria – provincia di Lombardia e Veneto e l’associazione Gervasio Pagani.
Due le linee generali – ed altrettante le preoccupazioni principali – che hanno ispirato la ricerca, oltre al desiderio di rendere omaggio a un grande personaggio che ha ancora uno stuolo di amici ed estimatori.

La Resistenza pluralista che nasce da varie realtà politiche

Innanzitutto, l’ennesima riconferma che la Resistenza al nazifascismo non è, non è stata e non sarà mai monopolio di una forza politica piuttosto che un’altra o di un gruppo piuttosto che un altro; è invece stata – ed è – il risultato della collaborazione di varie forze politiche e sociali, di diverse espressioni culturali e professionali, di persone e gruppi che si sono messi insieme per realizzare un grande obiettivo condiviso. “Tra i morti della Resistenza – scriverà Turoldo – vi erano seguaci di tutte le fedi. Ognuno aveva il suo Dio… e parlavano lingue diverse e avevano pelle di colore diverso”.

L’unico Trattato su David Maria Turoldo protagonista della Resistenza

In secondo luogo, anche l’inquinamento della memoria e delle coscienze (non solo quello atmosferico!) sta soffocando il mondo. Per avere la certezza che quanto accaduto non possa mai più ripetersi, non basta essere “anti”; diventa infatti sempre più urgente impegnarsi nella progettazione e nella realizzazione di un mondo fondato sulla collaborazione e sulla solidarietà, sul confronto e sul rispetto reciproco, sulla fratellanza e sull’attenzioni agli ultimi. Campi in cui primeggia la figura di padre Turoldo, uno dei grandi sognatori, dei grandi progettisti e degli operai più attenti ed impegnati nella costruzione di quel mondo.

I contatti con la Resistenza bresciana soprattutto nella Franciacorta

Padre David Maria Turoldo è stato un grande Resistente a Milano, ma era in contatto anche con la Resistenza bresciana, soprattutto nella zona della Franciacorta.
Secondo Turoldo la figura del Partigiano riveste certamente una eccezionale e fondamentale importanza, ma in uno specifico momento e in una determinata situazione.

La Resistenza come scelta e anche stile di vita da realizzarsi nell’impegno quotidiano

Invece, sempre secondo Turoldo, essere Resistente è una scelta di vita che non può verificarsi solo in un determinato tempo e in uno spazio contingente. La Resistenza, i Resistenti attuano un impegno quotidiano, da realizzarsi nel percorso di ogni giorno, senza distrazioni, nel corso di una intera esistenza.

Resistenza come liberazione autentica dell’umanità perché la libertà deve sempre essere riconquistata e la pace messa in atto

La liberazione autentica dell’umanità, oltre che dal nazifascismo e dalle dittature, richiede una militanza, una acribia nel tempo, un impegno molto più profondo sul piano culturale, relazionale, politico, sociale, familiare. L’impegno del Resistente non ha fine e scadenze, perché la libertà non si rinnova da sola, ma deve essere sempre riconquistata con l’impegno di ognuno di noi.
Infatti la Resistenza non è mai finita.

La libertà oltre gli schieramenti partitici per la costruzione di un mondo libero e di pace

Turoldo non ha mai voluto schierarsi con nessun partito politico, perché, lui stesso spiegherà, la libertà, la costruzione di un mondo migliore, i diritti delle persone, la solidarietà, il progresso alternativo che non è tale se non è per tutti, il soccorso a chi vive nell’indigenza, a chi vive nelle difficoltà, a chi vive nel bisogno, il rispetto di tutte le fedi politiche e religiose, non sono istanze appartenenti all’uno o all’altro schieramento partitico, ma sono valori appartenenti alla nostra comune umanità.

La Resistenza come testimonianza di pace soprattutto con esempi concreti

Per il Resistente il vero campo di lotta è la normalità, la testimonianza, non solo con le parole, ma con esempi di vita. Il Resistente non è solo antifascista.
La vera scelta del Resistente è un’alternativa totale, a favore di una società, di un contesto sociale, completamente diversi, per una nuova presente e futura umanità, perché la pace non è solo mancanza di guerra, ma è nonviolenza, è costruzione di convivenza solidale e fraterna.

Le fonti storiche non danno la ricostruzione storiografica di Turoldo come Partigiano

Le esperienze di Turoldo furono molteplici come Partigiano in una delle vicende più importanti della sua vita: la Resistenza. Ma le fonti storiche non danno ricostruzione storiografica editata di ampio respiro di padre Turoldo per la sua attività nella lotta di Liberazione nazionale e per il contributo notevole che ha offerto nella ricostruzione morale e materiale del nostro Paese.

La testimonianza del Comandante Partigiano Aldo Aniasi, poi sindaco di Milano

“Una lacuna nella storia del pensiero democratico e antifascista di impronta cattolica alla quale bisognerebbe pensare di porre rimedio”, così scrive Aldo Aniasi, comandante partigiano, assessore e sindaco di Milano, deputato e ministro socialista e presidente della FIAP federazione italiana associazioni partigiane. Scrive sempre Aldo Aniasi, che come uomo della Resistenza padre Turoldo privilegiò sempre una scelta unitaria, lo spirito unitario della Resistenza, lo spirito dell’unità antifascista.

Turoldo e i suoi molteplici rapporti con gli intellettuali antifascisti

Intrattenne rapporti con comunisti, socialisti, azionisti e incontrava personaggi come Eugenio Curiel, Rossana Rossanda e altri importanti dirigenti della sinistra.
Uno dei risultati più significativi dell’intero lavoro di confronto e dialogo realizzato nel convento di San Carlo a Milano per iniziativa di padre Turoldo e padre De Piaz è la nascita e la diffusione – soprattutto da parte di Teresio Olivelli, Claudio Sartori ed altri collaboratori bresciani – del giornale clandestino antifascista “Il ribelle”.

Il giornale clandestino “il ribelle” e la predicazione in Duomo a Milano

Anche la predicazione in Duomo su incarico del Cardinale Schuster diventa espressione della Resistenza di padre Turoldo. Appena dopo la Liberazione del 25 Aprile 1945, saranno ventinove i Lager visitati da padre Turoldo alla ricerca di sopravvissuti e riuscirà a riportare in salvo a casa circa duecento prigionieri.

Turoldo visita i Lager dopo il 1945. Per non dimenticare

Scrive Turoldo “Una sola possibilità affinché non si ripeta quanto è avvenuto: ricordare e capire, far ricordare e far capire. Così ho visto la sola Europa possibile, quella della solidarietà dei sopravvissuti”.
Scrive Ernesto Balducci “Il grande dono di David è di essere nato povero, in mezzo ai poveri, agli ultimi… David è rimasto un povero. I poveri sono fuori del perimetro della storia”.

Turoldo contro l’abrogazione del divorzio e dell’aborto per non imporre i dettami religiosi a chi non crede

In occasione degli appositi referendum, padre Turoldo vota contro l’abrogazione del divorzio e dell’aborto, perché i principi religiosi non possono essere imposti a chi non crede: la religione va spiegata e proposta, mai imposta con una legge.

Turoldo, De Piaz e Bettazzi per la liberazione di Aldo Moro

Nella primavera del 1978, padre Turoldo, insieme al confratello De Piaz, avvia una trattativa con le Brigate Rosse, per la liberazione di Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana. L’iniziativa a cui partecipa anche il vescovo di Ivrea monsignor Luigi Bettazzi, presidente di Pax Christi, viene bloccata dall’opposizione delle autorità ecclesiastiche.

Iniziative come Nomadelfia per una rigenerazione della cultura

La Corsia dei Servi e Nomadelfia furono le iniziative più care sia a Turoldo sia a padre De Piaz, basate su concetti di primaria importanza: tanto la fede che le scelte politiche diventano operative e efficaci solo nell’ambito di una cultura che permetta di uscire dall’inerzia di una fede accolta solo per tradizione e pregiudizio, per tentare invece una rigenerazione dalla vera cultura con maggior impulso possibile.

L’incontro con Cassola e Balducci per la fondazione della LDU – Lega per il Disarmo Unilaterale

Invitato a un congresso sul disarmo nucleare nel febbraio 1978, Turoldo ebbe l’occasione di incontrare Carlo Cassola, che lo invitò al convegno nazionale della LDU – Lega per il Disarmo Unilaterale.

La prosecuzione della LDU con le Associazioni pacifiste affiliate alla rete internazionale Ican Premio Nobel per la pace per il disarmo nucleare universale

Gli aderenti attuali della Lega per il Disarmo Unilaterale sotto la sigla “Disarmisti Esigenti” stanno lavorando all’interno della campagna ICAN – International Campaign to Abolish Nuclear Weapons e con molte altre associazioni del panorama italiano affiliate a ICAN, tra cui anche PeaceLink- Telematica per la Pace, alla ratifica del trattato ONU, il TPAN, per la proibizione delle armi nucleari, varato a New York a palazzo di vetro nel luglio 2017 da 122 nazioni e dalla società civile organizzata in ICAN.
ICAN grazie alla costituzione del trattato Onu per l’abolizione delle armi nucleari è stata insignita Premio Nobel per la Pace 2017.

La Salmodia della speranza che illustra gli orrori del cosiddetto secolo breve: il Novecento

E poi ricordiamo la Salmodia della Speranza che attraversa la drammatica esperienza dell’Europa prima e durante la Seconda Guerra Mondiale: il trionfo dei dittatori, il nazismo, il fascismo, il razzismo, i grandi massacri, i Lager, Hiroshima e Nagasaki, la Resistenza.

Per una Chiesa pluralista e cosmopolita che accolga tutti quegli innocenti che ancora nascono solo per morire

Per una Chiesa che accoglie i diversi, gli emarginati, gli oppressi, gli ultimi, le vittime di cui tutti siamo parte nel contesto sociale, comunitario, culturale e nel mondo, nel terribile deserto della sopraffazione e della violenza dove tante voci chiedono libertà, giustizia e verità per tutti quegli innocenti che ancora nascono solo per morire come a Gaza e in tutte le guerre imposte dalla Nato e dai poteri forti che detengono gli ordigni di distruzione di massa nucleari e che pretendono il monopolio sulle materie prime nel mondo.

Laura Tussi

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Vittorio Agnoletto. Quattro anni dal primo lockdown: dimenticarsi della pandemia mette a rischio il nostro futuro

su Il Fatto Quotidiano:

https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/03/09/quattro-anni-dal-primo-lockdown-dimenticarsi-della-pandemia-mette-a-rischio-il-nostro-futuro/7471861/

9 marzo 2020, scattava il lockdown nazionale. Il 21 febbraio 2020 era stato individuato il primo caso italiano di infezione da Covid-19. Erano giorni tremendi, di paura e sgomento. Ma anche di confusione, errori e di inconfessabili pressioni. Non è casuale che fino ad ora il triste anniversario sia passato nel silenzio di quasi tutti i media mainstream. Proprio per questo è bene ricordare cosa accadde.

Non dimentichiamoci che…

28 febbraio 2020: i positivi in Lombardia erano già 531 dei quali 103 nella zona bergamasca. L’allora assessore al Welfare, Giulio Gallera, dichiarava, riferendosi ad Alzano: “Nuove zone rosse non sono all’ordine del giorno nell’ordinanza che abbiamo preso”.

2 marzo: i contagi a Bergamo in 24 ore sono quasi raddoppiati da 100 a 209, Gallera annuncia: “Stiamo lavorando intensamente… per rafforzare il personale negli ospedali e coinvolgere anche i soggetti privati che da oggi entreranno nella cabina di regia per ampliare la rete dei posti in terapia intensiva, compresa al gestione dei casi ordinari”. Ci sono voluti undici giorni dal primo caso a Codogno, prima che regione Lombardia decidesse di coinvolgere, nel contrasto alla pandemia, le strutture private convenzionate con Il Servizio Sanitario Nazionale, SSN.

Il 2 marzo, secondo un’inchiesta della giornalista Francesca Nava pubblicata in The Post Internazionale, l’Istituto Superiore di Sanità aveva richiesto la creazione della zona rossa a Nembro e Alzano. Non se ne fece nulla, il contagio continuò a diffondersi e il numero dei morti ad aumentare. Pochi giorni prima, il 27 febbraio, il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, pubblicava sui suoi profili social, il video “Milano non si ferma”. Il giorno prima Giorgio Gori, sindaco di Bergamo postava sulla sua pagina Facebook l’appello: “Bergamo non ti fermare!”.

Rimuovere quello che è accaduto è pericoloso

Il desiderio di rimuovere quanto avvenuto è un fenomeno comprensibile per una collettività che tanto ha sofferto, ma non possiamo né dobbiamo dimenticare cosa è accaduto e le responsabilità di chi ha compiuto determinate scelte con le loro tragiche conseguenze. Non possiamo rischiare che la storia si ripeta. Abbiamo pagato un prezzo altissimo, siamo tra le prime dieci nazioni per decessi Covid. Non dimentichiamoci i medici nei dipartimenti d’emergenza costretti a scegliere, chi curare e chi abbandonare al proprio destino. Abbiamo giurato a noi stessi che simili situazioni non avrebbero dovuto ripetersi. Un’occasione persa.

I soldi in arrivo con il Pnrr avrebbero dovuto costituire il volano per rilanciare il Servizio sanitario nazionale. Ma quei fondi sono stati indirizzati altrove, utilizzati perfino per grandi opere destinate a peggiorare ulteriormente la già precaria situazione ambientale; alla sanità restano solo le briciole. Dei 191 miliardi del Pnrr circa 15, pari all’8% del totale, erano destinati alla sanità, poi il governo Meloni ha cancellato 414 case e 96 ospedali di comunità e i fondi sono stati tagliati ulteriormente. I soldi del Pnrr sono destinati quasi solo a costruire edifici e ad acquistare strumenti diagnostici, non ad assumere personale; molte delle strutture costruite verranno quindi affidate in gestione al privato. Non sono stati aumentati in modo generalizzato gli stipendi di medici e infermieri ed è quindi proseguita la fuga all’estero che in vent’anni ha coinvolto 180.000 operatori sanitari. Le liste d’attesa sono infinite, i pronti soccorsi sono sempre più simili ai gironi danteschi nonostante lo sforzo di chi ci lavora, i medici di Medicina generale soffocano nella burocrazia.

Nel frattempo, aumentano i farmaci diventati introvabili, che lasciano nella solitudine e nella disperazione i malati. I servizi territoriali vengono tagliati, i consultori ridotti, decine di migliaia di adolescenti e di bambini, che dopo quanto sofferto durante la pandemia avrebbero necessità di un sostegno psicologico, sono abbandonati a sé stessi con CPS e UONPIA, Unità Operative di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, prive di personale e di risorse economiche.

Non c’è dubbio che siamo messi peggio che nel 2019, in epoca prepandemica. Se dovesse arrivare una nuova pandemia, oggi avremmo meno strumenti.

Una grande missione

Chi ci governa procede coniugando la furia devastatrice verso il Ssn, le cui spoglie vengono consegnate al privato, con un’irresponsabilità autodistruttiva ormai fuori da ogni controllo. Scrive Lula, presidente del Brasile: “Il futuro post pandemia non è garantito per nessuno. È oggetto di conflitto… Coloro che, come noi, cercano da tempo di costruire un mondo di opportunità uguali per tutti, in cui la vita, i diritti umani e l’ambiente siano valori reali e impossibili da spezzare, hanno di fronte una grande missione” (“Senza respiro Un’inchiesta indipendente sulla pandemia Coronavirus in Lombardia, Italia, Europa. Come ripensare un modello di sanità pubblica” Vittorio Agnoletto, ed. Altreconomia 2020 pag. 9-10).

La lotta per il diritto universale alla salute è un obiettivo prioritario per tutti coloro che si oppongono allo stato delle cose presenti e che vogliono ancora immaginare un futuro possibile.


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Faro di Roma. Il TPAN, trattato contro le armi nucleari, compie tre anni, ma l’Italia non lo vuole ratificare (Laura Tussi)

di LAURA TUSSI

Il terzo anniversario del TPAN, il Trattato per la proibizione delle armi nucleari, è una ricorrenza lieta da festeggiare, ma non in Italia. Il nostro paese infatti non l’ha mai ratificato e conferma il suo ruolo di subalterno rispetto alle potenze militari globali. Fa il punto della situazione la nostra Laura Tussi, in dialogo con Sandro Ciani, esponente ICAN di ritorno dalla seconda conferenza degli stati parte del TPNW a New York.

Il 22 gennaio 2023 ricorre il terzo anniversario della entrata in vigore del TPAN – Trattato per la proibizione delle armi nucleari adottato nel 2017 in una Conferenza ONU a New York anche grazie alla pressione dal basso di una rete internazionale comprendente oltre 500 organizzazioni pacifiste, insignita per questo contributo di un Premio Nobel per la pace.

La storia del trattato contro le armi nucleari.

Lo straordinario lavoro della “Società Civile”, che si riconosce sotto ICAN come una coalizione globale di organizzazioni non governative (Ong), ha consentito non solo la nascita di tale trattato nel 2017, ma anche la sua entrata in vigore il 22 gennaio del 2021.

Le ratifiche del Trattato Onu TPNW per l’abolizione delle armi nucleari.

Le ratifiche espresse dai vari paesi sono al momento pari a 69, anche se si attendono con fiducia ulteriori ratifiche. Questo processo di allargamento ci avvicina sempre di più verso l’universalizzazione giuridica del trattato, prevista nell’articolo 12, con l’obiettivo di giungere ad una effettiva eliminazione delle armi nucleari nel mondo.

L’effetto di stigmatizzazione della cosiddetta deterrenza nucleare.

Da subito il Trattato, valido solo per chi lo ratifica, produce un effetto culturale e politico globale di “stigmatizzazione” della deterrenza nucleare minandone la legittimità.

“Il Trattato produce un effetto culturale e politico globale di “stigmatizzazione” della deterrenza nucleare minandone la legittimità”

Basta ricordare come il tema della sicurezza legato alla deterrenza viene disinvoltamente utilizzato come giustificazione ideologica per minacciare il nemico, imporre la propria visione geopolitica e/o il proprio modello economico, dimenticandosi degli inaccettabili rischi alla quale viene sottoposta l’intera umanità!
In tal senso essa si lega alla corsa agli armamenti iniziata nel secondo dopoguerra, e ne costituisce l’impalcatura concettuale e la giustificazione ideologica.

Rischio nucleare: la parola d’ordine è prevenire.

Le attuali guerre in corso aumentano esponenzialmente i rischi legati ad una eventuale guerra nucleare per errore, sabotaggio o peggio per volontà di una delle parti: vorremmo insistere sul fatto che si tratta di fermare non solo le guerre presenti, ma anche quelle future; infatti, le guerre sono generalmente precedute da un periodo più o meno lungo dalla loro preparazione. Le circa 70 guerre attualmente in corso (incluse quelle in Ucraina ed in Palestina) avrebbero potuto essere in tal modo evitate. La parola chiave è quindi “prevenire”.

Per approfondimenti su tale tematica, viene condiviso il link

L’esempio ineguagliabile di disobbedienza agli ordini di Stanislav Petrov.

Ci preme ricordare una figura simbolo del possibile disastro nucleare mondiale scongiurato nel Settembre del 1983 da Stanislav Petrov, un uomo che ha avuto il coraggio di non rispondere ad un presunto attacco nucleare con 5 testate nucleari da parte degli USA verso i territori dell’URSS, rivelato da un errato allarme atomico da parte dei sistemi satellitari di allora, salvando così tutti noi dalla catastrofe conseguente:

L’immobilismo italiano: una grave battuta d’arresto.

Disarmisti esigenti e Mondo senza guerre e senza violenza, come associazioni membri di ICAN, sono impegnate, insieme ad altre associazioni Italiane, da decenni nella campagna per la denuclearizzazione del nostro Paese e per la ratifica del TPAN stesso; nonostante nel 2017 centinaia di parlamentari italiani sottoscrissero il “Parliamentary Pledge” della Campagna ICAN in favore del trattato, ad oggi si continua a registrare il rifiuto del Parlamento ad iniziare un dibattito pubblico che porti alla sua firma e ratifica, coinvolgendo anche la società civile nonché il corpo elettorale, la cui maggioranza si esprime a favore del trattato.

Ad oggi si continua a registrare il rifiuto del Parlamento a iniziare un dibattito pubblico che porti alla firma e ratifica del trattato.

Quindi siamo ancora qui a denunciare la realtà imbarazzante e amara della nostra classe politica che dagli anni 1980 in poi si è trasformata progressivamente in una oligarchia partitocratica atta ad occupare oltre agli spazi della politica istituzionale anche quelli della politica sociale, ossia delegando al cittadino solo la possibilità di votare tramite leggi elettorali alcune delle quali la consulta ha successivamente dichiarato incostituzionali (come il Porcellum e l’Italicum).

Sono ricordi lontani i dinieghi di alcune figure politiche italiane di rilievo degli anni 1970 che non permisero all’allora Presidente Kissinger di utilizzare le basi NATO in Italia per la guerra del Kippur.

Sta salendo il livello d’allarme per la militarizzazione del territorio italiano.

L’ombra della NATO oggi imperversa e impedisce che l’Italia assuma una posizione autonoma, come una sorta di muro a fronte di alcuni parlamentari e della maggioranza del nostro Paese. I firmatari che dichiararono le preoccupazioni espresse nel Preambolo del Trattato circa le catastrofiche conseguenze umanitarie che risulterebbero da un qualsiasi uso di armi nucleari.

L’immobilismo italiano non ci rende orgogliosi del nostro Paese.

Tale immobilismo della nostra politica internazionale non ci rende “orgogliosi” del nostro Paese, anzi rappresenta una scandalosa vergogna, per cui ci rivolgiamo in questo terzo anniversario a tutto il popolo italiano affinché si renda conto del danno rappresentato dalla presenza di bombe nucleari in varie località del nostro paese, senza che gli eventuali piani di evacuazione, legati da eventuali incidenti nucleari, siano stati implementati e/o resi pubblici.

La nascita del TPAN/TPNW e la sua entrata in vigore dimostrano come la società civile può ottenere risultati straordinari.

ICAN ha previsto lo strumento dell’appello alle città: https://cities.icanw.org

Tale appello può essere raccolto da tutti gli enti nazionali locali, inclusi i governi delle regioni: la nascita del TPNW e della sua entrata in vigore dimostra come la società civile può ottenere risultati straordinari. Quindi chi si sente minacciato da tali armi, contatti gli enti locali di sua appartenenza affinché aderiscano all’appello.

Il nostro Bel Paese dovrebbe ritrovare la sua storica ispirazione e vocazione di pace.

L’Italia, insieme all’Europa, deve tornare protagonista dei processi di pace nel Mediterraneo abbracciando la “neutralità” come assetto geopolitico tra le parti in conflitto: proprio l’Italia potrebbe assumere un ruolo di primo piano ritrovando la sua naturale e storica vocazione alla pace ed al rispetto dei diritti umani dando vita ad un nuovo umanesimo di carattere universale, proprio come accadde in una certa misura tra il 1400 ed il 1500 con l’Umanesimo prima ed il Rinascimento poi.

Nel mondo esistono esempi virtuosi, come il Sud Africa, al quale l’Italia potrebbe ispirarsi.

In tal senso esistono nel mondo esempi virtuosi, come il Sud Africa, al quale l’Italia potrebbe ispirarsi: infatti, una volta superato l’oblio dell’Apartheid, grazie a Nelson Mandela, ha avuto il coraggio di uscire dal suo programma legato alle armi nucleari battendosi oggi strenuamente per l´implementazione del TPNW sia nel continente Africano che nel resto del Pianeta terra.

Laura Tussi

Sitografia per approfondire

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Bibliografia essenziale:

Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Resistenza e nonviolenza creativa, Mimesis Edizioni.

Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Memoria e futuro, Mimesis Edizioni. Con scritti e partecipazione di Vittorio Agnoletto, Moni Ovadia, Alex Zanotelli, Giorgio Cremaschi, Maurizio Acerbo, Paolo Ferrero e altri

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Faro di Roma. Vittorio Agnoletto: il costituzionalismo terrestre, per una società della cura e della pace (Laura Tussi)

Dal profitto a una società della cura e della pace. La nostra comune umanità e il sentimento e il sentire umano della nostra specie sono chiamate a affrontare e risolvere le gravi sfide globali, l’intreccio tra minaccia nucleare e militare, ecologica e climatica e della disuguaglianza e delle oppressioni sociali. Laura Tussi, in collaborazione con Fabrizio Cracolici ha intervistato Vittorio Agnoletto, in occasione della presentazione del libro “Memoria e futuro” (Mimesis Edizioni, 2021) che vuole essere uno strumento della Rete di Educazione alla Terrestrità. L’intervista può essere vista su YouTube, sul canale video “Siamo tutti premi Nobel per la pace con ICAN”.

La crisi planetaria è alimentata dai dettami di potere del capitalismo neoliberista, nelle sue varie declinazioni, dagli squilibri tra ecosistemi ambientali che ormai arrancano sotto le pressioni e i misfatti della società che ha smarrito ogni senso del limite, e dal mancato controllo popolare sulla sanità dominata da Big Pharma, le multinazionali farmaceutiche. La nostra comune umanità e il sentimento e il sentire umano della nostra specie sono chiamate a affrontare e risolvere le gravi sfide globali, l’intreccio tra minaccia nucleare e militare, ecologica e climatica e della disuguaglianza e delle oppressioni sociali. La pandemia da Covid-19 come si inserisce in questo quadro? Possiamo paragonare il virus pandemico globale a una “bomba nucleare prevedibile”?

Grazie per questa domanda perché mi permette proprio di partire da una considerazione fondamentale, cioè che questa pandemia ci lascia dei messaggi importantissimi.

Siamo di fronte a qualcosa che era tuttaltro che imprevedibile. Noi stiamo assistendo a una zoonosi, cioè ad un salto di specie da parte di un agente infettivo che finora era vissuto all’interno di alcuni animali separati da altre specie e in particolare da quella umana. Le conseguenze dell’attuale modello di sviluppo hanno favorito il salto di specie.

Questa è la causa fondamentale della situazione che stiamo vivendo. Sfruttando ogni centimetro quadrato del pianeta, attraverso meccanismi quali la deforestazione, gli allevamenti intensivi, stiamo provocando i cambiamenti climatici e l’abbattimento delle barriere che separano una specie dall’altra. Questi processi hanno provocato la situazione attuale. Se noi vogliamo evitare nel futuro di doverci confrontare con altre pandemie e con le loro conseguenze, è arrivato il momento di prendere coscienza dell’assoluta necessità di cambiare questo modello di sviluppo.

Lo sfruttamento senza limiti della Terra porta alla distruzione del pianeta stesso e di tutti gli esseri viventi. Non si può pensare di uscirne tornando alla situazione precedente perché proprio quel modello è la causa del disastro attuale. Dobbiamo uscirne guardando in avanti e trovando una modalità completamente diversa di coesistenza e convivenza tra gli esseri umani e le varie specie; da questa situazione o ne usciamo insieme o non ne usciamo.

Pensiamo all’aspetto più banale e più semplice; attraverso l’uso della mascherina inviamo un messaggio preciso: salviamo la nostra vita e quella di chi ci sta vicino.

Ma da tutto ciò ne deriva anche una valutazione politica. Noi vent’anni fa dicevamo: voi G8 noi 6 miliardi. Adesso noi possiamo dire: noi 7 miliardi 800 milioni, voi poche centinaia o forse decine di migliaia di persone.

Un ristrettissimo gruppo di individui – gli azionisti delle grandi aziende farmaceutiche che stabiliscono prezzi estremamente alti e rivendicano per vent’anni il monopolio dei brevetti sui farmacie sui vaccini – sta condannando a morte milioni di persone.

Questa pandemia ha esplicitato questo scontro, ma ha reso evidente anche l’esistenza di due logiche fra loro totalmente diverse e alternative. Da una parte il ‘tutti contro tutti,’ per esempio la concorrenza tra un Paese e l’altro per procurarsi i vaccini e dall’altra parte invece la collaborazione internazionale. Pensiamo solo ai medici cubani, venezuelani, cinesi, rumeni, albanesi che sono venuti volontariamente a lavorare in Italia per darci una mano nella lotta contro la pandemia.

Sono culture inconciliabili che si scontrano in modo estremamente duro e ognuno di noi ha la responsabilità di decidere da che parte stare.

La possibilità di restare soffocati, di rimanere “senza respiro”, non è solo un sintomo del virus pandemico, ma è una metafora dei nostri tempi affannosi e macabri, alla ricerca di soluzioni globali, di radicali svolte a livello planetario. Come può, secondo voi, e in particolare secondo te, Vittorio Agnoletto, che sei stato portavoce del Social Forum globale, avvenire tutto questo grandioso processo umano, che aveva mosso i suoi primi passi con il movimento alterglobal, arrestato con la brutale repressione degli attivisti ecopacifisti che manifestavano contro il G8 di Genova 2001?

Il movimento altermondialista aveva capito dove stava andando il nostro pianeta; dove ci stava portando questo modello di sviluppo. Allora, negli anni a cavallo tra i due millenni, noi avevamo lanciato un grido d’allarme: “Questo modello di sviluppo rischia di provocare una crisi economica e sociale catastrofica attraverso la finanziarizzazione dell’economia e rischia di creare degli sconvolgimenti nella natura, che potranno condurre anche alla scomparsa di alcune aree del pianeta e di interi popoli.” Abbiamo lanciato questi allarmi indicando quali erano le strade alternative da percorrere. Non ci hanno creduto. I poteri forti del G8 e delle multinazionali e del neoliberismo più spietato hanno attivato una repressione durissima cercando di screditare quel movimento e le conseguenze le abbiamo davanti agli occhi.

Ma le ragioni di quel movimento non sono scomparse

Ricordiamoci che 10 anni dopo il 2001, l’anno del primo Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre e del Forum di Genova, in Italia una grande coalizione riuscì ad unire le stesse realtà che avevano costruito il Genoa Social Forum vincendo i referendum per la difesa dell’acqua come bene pubblico e quello contro il nucleare. Sono i semi del grande movimento che si è sviluppato a cavallo tra i due secoli e che ritroveremo anche in Fridays For Future, con una spinta proveniente soprattutto dalle giovani generazioni che rivendicano l’unicità del pianeta e affermano a gran voce: non abbiamo una Terra di riserva!

È un messaggio molto forte, che ci ammonisce sulla responsabilità delle generazioni attuali rispetto alle generazioni future. Mai come in questo momento le scelte che gli esseri umani possono compiere, avranno una capacità così forte di impattare il destino delle generazioni future.

“Io non respiro, non respiro…Voglio respirare, respirare”. Quando ripensiamo al grido di George Floyd in quel momento di disperazione nella lotta per la sopravvivenza, udiamo il grido che viene da tutta l’umanità, dalla natura, dal pianeta, perché siamo noi esseri umani che rischiamo di non poter più respirare.

Nel dicembre 2020 abbiamo assistito al primo tentativo di trasformare l’acqua in un prodotto da collocare sui mercati finanziari internazionali, come una merce qualunque, aprendo la strada alla possibilità che, in un futuro forse non troppo lontano, un pugno di multinazionali possano diventare proprietarie di una parte significativa delle riserve idriche del pianeta. Di questo passo prima o poi qualcuno penserà di privatizzare anche l’aria!

In questa situazione la risposta non può altro che essere globale. Dobbiamo puntare sullo sviluppo di reti internazionali, costruire la rete delle reti per cambiare il destino del pianeta. Venti anni fa dicevamo ‘un altro mondo è possibile’: oggi dobbiamo dire ‘un altro mondo è urgentemente necessario’. È una corsa contro il tempo.

Come considerate l’entrata in vigore del TPNW/TPAN – Trattato Proibizione Armi Nucleari, se per “nonviolenza efficace”, come fa anche Papa Francesco nella Laudato si’, intendiamo i progressi del diritto internazionale? Ritenete che “l’ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni” (art. 11 della Costituzione italiana, secondo comma) sia componente imprescindibile del movimento internazionale della società civile che scommette sul futuro sostenibile di una unica comunità planetaria di destino?

Credo che sia stata questa una tappa molto importante nella storia del genere umano. Però purtroppo, come accade molte volte, quello che viene sancito nelle dichiarazioni e nei trattati internazionali non si trasforma automaticamente in una pratica reale e condivisa. Ci siamo battuti per arrivare a questo trattato: il TPNW/TPAN. Adesso l’impegno più importante è che venga rispettato e che il maggior numero possibile di Paesi lo sottoscriva e lo ratifichi. Mentre noi stiamo discutendo di questi argomenti, la corsa al nucleare prosegue non solo nell’ambito civile, ma anche nell’ambito militare. Assistiamo ad una farsa, secondo la quale esiste la possibilità di un nucleare verde, pulitissimo, non rischioso. Su questo dobbiamo avere una posizione netta e precisa.

Hai fatto bene Laura ad accennare alla necessità di iniziative finalizzate a riscrivere l’architettura istituzionale che dovrebbe regolare la convivenza tra gli esseri umani; questo è un punto fondamentale. Abbiamo bisogno di una Costituzione globale. Oggi, per fare un esempio, una nazione può decidere di costruire una grande diga modificando il percorso di un fiume, provocando conseguenze pesantissime su altri Paesi; in casi simili le legislazioni nazionali sono totalmente impotenti e le dichiarazioni e i trattati internazionali non hanno forza cogente e non vi è nessuna autorità in grado di esigerne il rispetto.

Dobbiamo operare per arrivare ad una Costituzione mondiale; apprezzo molto, ad esempio, le elaborazioni in questo campo di Riccardo Petrella e di Luigi Ferrajoli.

In quale modo pensate che il concetto di educazione alla cittadinanza planetaria possa trovarsi in rapporto alla cultura della pace che abbiamo declinato come cultura della terrestrità nel libro “Memoria e futuro”? Stimate essenziale che il cittadino del mondo sia anche un soggetto dotato di responsabilità ecologica verso la Terra come “unico corpo vivente”, ben oltre la metafora della “casa comune”?

Credo che non ci siano dubbi che ogni soggetto vivente abbia una sua responsabilità rispetto al presente e al futuro; per poter gestire in modo consapevole tale responsabilità è necessario avere memoria del passato e delle conseguenze che certe scelte hanno prodotto. Senza memoria è impossibile sviluppare una credibile progettualità futura; per questo “Memoria e futuro” (Mimesis Edizioni, 2021) è un titolo “azzeccato”. Non si può parlare di futuro senza mettere al centro il ruolo delle istituzioni pedagogiche e formative; ma questo è un altro tallone d’Achille della nostra società, come abbiamo potuto purtroppo verificare anche durante la pandemia, con il grande disinteresse per il presente e il futuro dei nostri giovani.

Tornando al dibattito sulla necessità di una Costituzione mondiale, è importante sottolineare come tale progetto debba partire, prima di tutto, dalla piena attuazione di quelle dichiarazioni universali, di quei trattati, di quegli accordi internazionali firmati e sottoscritti e che rischiano di rimanere inattuati, di rimanere solo vuoti esercizi lessicali. Sta a noi richiamare gli Stati e le istituzioni alle loro responsabilità.

Laura Tussi in collaborazione con Fabrizio Cracolici