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Altro che tregua. A Gaza è stata imposta l’interruzione degli aiuti e non quella dei bombardamenti che stanno annientando i palestinesi. Israele è ancora il popolo dell’esilio di cui parlava Moni Ovadia nel suo libro?

Moni Ovadia, Il Popolo dell’Esilio, Editori Riuniti. Recensione di Laura Tussi su FARO DI ROMA

“Si stanno rivelando per quello che sono, cioè una tragica farsa, le nuove trattative volute dagli USA in Qatar, con l’obiettivo del tutto teorico, purtroppo, di una sempre più improbabile restituzione degli ostaggi in cambio del cessate il fuoco, uno stop al genocidio in atto che, evidentemente, Israele non vuole proprio accettare. Ed ecco che ieri le operazioni di aiuti umanitari delle Nazioni Unite a Gaza sono state sospese in seguito al nuovo ordine di Israele di evacuare Deir Al-Balah nella zona centrale della Striscia, come ha comunicato un portavoce delle Nazioni Unite. “Non siamo in grado di lavorare oggi nelle condizioni in cui ci troviamo”, ha affermato il funzionario, parlando a condizione di anonimato. “Non ce ne andremo da Gaza perché la gente ha bisogno di noi lì”. “Stiamo cercando di bilanciare le esigenze della popolazione con l’esigenza di sicurezza e protezione del personale delle Nazioni Unite”, ha aggiunto.
Dall’inizio della guerra tra Israele e Hamas a ottobre, l’Onu ha dovuto a volte “ritardare o mettere in pausa” le sue operazioni, “ma mai fino al punto di annunciare concretamente che non può più fare nulla”, come invece sta succedendo ora, ha aggiunto il funzionario. Siamo cioè al punto più basso della crisi, nel quale si è persa da parte di Israele e di chi lo sostiene, ogni remora o riferimento alla coscienza civile.

Eppure – come ci racconta la nostra Laura Tussi nella recensione al libro di Moni Ovadia Il popolo dell’esilio, pubblicato dagli Editori Riuniti – i valori dell’uguaglianza e dell’accoglienza erano alla base dell’idea stessa di Popolo Ebraico, la cui vocazione era quella di vivere nella pace”.

Salvatore Izzo

La Rivista Tempi di Fraternità propone una recensione a “Il Popolo dell’Esilio”, opera di Moni Ovadia, grande interprete e musicista poliedrico e eclettico e attore istrionico e impegnato sui temi politici di stringente attualità. La recensione è inerente la questione mediorientale e il conflitto tra Israele e Palestina.

La Rivista e la Redazione di Tempi di Fraternità sono impegnate sui temi del diritto internazionale alla pace, al dialogo, alla democrazia, alla luce dei processi di riconciliazione tra genti, popoli e minoranze, con le loro culture e tradizioni creative, al fine di esorcizzare, con gli strumenti della creatività e della bellezza di fantasie oniriche e musicali, e superare la strategia della tensione e del terrore di tutti i conflitti armati, delle dittature imperialiste e dei regimi sciovinisti, che impongono guerre e genocidi.

 IL POPOLO DELL’ESILIO

Opera di Moni Ovadia

Recensione di Laura Tussi

Editori Riuniti

http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/mediooriente/Notizie_1323270578.htm

In pagine di alta e rara intensità, Moni Ovadia, abile interprete, poliedrico musicista e eclettico attore, esprime la propria posizione sulla questione mediorientale, con la voce ironica e commossa di un ebreo che desidera intensamente la pace fra i due popoli, rompendo il proprio canto con quesiti difficili e oscuri presagi della discordia che separa terre e uomini. Un canto di bellezza creativa che esprime una vocazione libertaria,1’istintiva diffidenza nei confronti del potere cristallizzato, dell’autorità prepotente, contro ogni antisemitismo, indagando la verità, oltre asfittici schematismi ideologici, banali slogan propagandistici e cortocircuiti della memoria.

Moni Ovadia, attraverso l’opera “Il popolo dell’esilio”, manifesta una profonda vocazione per la condizione dell’esule, dello straniero, nel regno della giustizia sociale, dove i ruoli non pretendono alcun significato e le gerarchie sono abolite, nel viaggio in cammino verso l’umanità, sulla Terra che è Santa perché la si abita da stranieri fra gli stranieri, in un alto concetto di economia di giustizia, contro ogni deriva nazionalista, con fantasia e creatività: due concetti chiave.

Una condanna all’Europa intrisa ancora di odio per l’altro e che non diventerà mai un’unica nazione degna, finché non accoglierà le alterità e le minoranze, condannando e contrastando le ideologie xenofobe, tramite l’espulsione dalle istituzioni di capi politici che sfruttano il pregiudizio e fomentano l’odio razziale.

Moni Ovadia si schiera contro la virulenza e la rigidità sionista, delirio del confine e rivendicazione di un’identità sclerotizzata e ottusa, in nome di una “sicurezza”, sul cui altare si immolano ideali di giustizia, di pace e umanità, tramite la mistica della forza del potere. Dall’opera affiora invece pressante l’esigenza di Pace per far  riemergere la memoria dello sterminio nazista dall’ossessione, dalla paranoia, per trasformarsi in un alto momento mnestico creativo, di vivacità fantasiosa e musicale, di un nuovo umanesimo universalista, nella condizione dell’esilio in cui l’essere umano rivela lo splendore che lo conduce alla pace, all’uguaglianza, all’alleanza con gli altri esseri viventi, con l’ambiente e l’ecosistema, in sospensioni sabbatiche di spazio e tempo, in un’auspicabile diasporizzazione universale, contro la peste del nazionalismo che ingenera guerra e stermini. Occorre abitare la terra da stranieri fra gli stranieri, praticando la giustizia sociale e affermando un paradigma di relazione e accoglienza con il popolo antagonista, in un ideale sublime di erranza, nella prospettiva di una diaspora universale, precondizione necessaria per costruire la pace, dove prevalga l’idea dell’esilio come patria che riconosce le potenzialità della fragilità dell’umano, in profonde strutture dell’emozione e del sentimento comuni, in una riconoscibilità identitaria indefinita e in continua ridefinizione, di tradizioni, narrazioni, lingue, letterature, musicalità e creazioni artistiche, di popoli senza confini, bandiere, eserciti, burocrazie, senza retorica patriottarda, in un infinito e osmotico collettivo di diaspore universali. All’insegna della vivacità creativa del popolo dell’esilio. Dunque la questione ebraica rappresenta proprio il quesito dell’alterità.

Il nazifascismo odiava l’ebreo della diaspora, sradicato, fragile, ubiquo, capace di tenere in sé le contraddizioni, l’ossimoro di molteplici identità, senza rinunciare a nessuna di esse; l’ebreo maestro del pensiero critico e della vivacità culturale creativa, padrone della dialettica del dubbio, portatore dell’idea rivoluzionaria di una redenzione universale, fondata sulla precaria, onirica, evanescente bellezza dell’uomo fragile, inventore dell’elezione dal basso, di redenzione dalla condizione di schiavo, di straniero, oltre le logiche spietate di teocrazie nazionaliste votate all’annientamento delle diversità. La Torah è un messaggio universalista. La Torah, oltre la formazione marxista e libertaria, ispira il pensiero dell’Autore nelle lotte per la giustizia sociale, per le rivendicazioni palestinesi, per tutti gli oppressi, per le donne, gli omosessuali e per i diritti del creato, degli animali che lo abitano, dove il tempo diviene lo spazio dell’esistenza nell’abolizione della logica del confine, nella vera visione universalistica ebraica, dell’amore per il divenire creativo e per le culture di musicalità oniriche nel tempo della fantasia del popolo. Lo Shabbat è extraterritoriale ed extratemporale, per pensare alla donna e all’uomo come soggetti di pensiero spirituale, etico, di giustizia e amore, nella relazione con se stessi, con l’altro, con la società, per alimentare i circuiti virtuosi dell’esistenza, nella centralità della vita, della dignità, dell’uguaglianza, oltre lo sfruttamento capitalistico, la mercificazione consumistica, in una buildung straordinaria, dove la società può indagare le questioni del proprio esistere, le aspirazioni e le derive, le grandezze e le miserie, le patologie e il sublime dell’uomo fragile, oltre i falsi idoli del potere, oltre le vocazioni idolatriche. Il passato e il presente si intrecciano nei ricordi per affermare che la terra non è stata donata per alimentare la guerra e il nazionalismo, ma per dimostrare che l’unico modo per costruire la pace è essere “popolo che sa vivere sulla terra da straniero fra gli stranieri” apportando culture universalistiche di amore per l’arte, per ogni tipo di arte e per la vita creatrice di bellezza. 

Sitografia per approfondire:

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Bibliografia essenziale:

  • Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Resistenza e nonviolenza creativa, Mimesis Edizioni.
  • Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Memoria e futuro, Mimesis Edizioni. Con scritti e partecipazione di Vittorio Agnoletto, Moni Ovadia, Alex Zanotelli, Giorgio Cremaschi, Maurizio Acerbo, Paolo Ferrero e altr*
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Moni Ovadia. Diventiamo tutti attivisti di Pace.

di Laura Tussi

Appello di Moni Ovadia perchè l’Italia aderisca al trattato TPNW: “cominciamo ad abolire le armi nucleari per poi abolirle tutte. La questione in campo è assoluta, è la questione della vita”.

“Cominciamo dall’abolizione delle armi nucleari perché un giorno ci sia l’abolizione totale delle armi”, suggerisce Moni Ovadia, artista poliedrico ed attivista per la pace, in un video a sostegno di ICAN, la campagna contro le testate nucleari che nel 2017 ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace anche se solo poco più di un terzo dei 193 paesi dell’ONU hanno ratificato finora il TPNW, cioè il trattato per il disarmo nucleare, nato in risposta anche all’appello di Papa Francesco nello storico discorso all’ONU del 2015. Purtroppo l’Italia, pur avendo affermato di “condividere con gli Stati parti del Trattato l’obiettivo di un mondo libero dalle armi nucleari” e di apprezzare “il ruolo svolto dai Parlamenti e dalla società civile per il raggiungimento di questo obiettivo”, ha deciso di non voler aderire alla prima e unica norma internazionale che mette al bando le armi nucleari, preferendo la fedeltà alla NATO al dare ascolto alla volontà del suo popolo. Il Trattato sulla Proibizione delle armi nucleari TPNW infatti proibisce agli Stati di sviluppare, testare, produrre, realizzare, trasferire, possedere, immagazzinare, usare o minacciare di usare gli armamenti nucleari, o anche permettere alle testate di stazionare sul proprio territorio. Inoltre impedisce loro di assistere, incoraggiare o indurre altri Paesi ad essere coinvolti in tali attività proibite, che è esattamente quel che fa la NATO.

Ad oggi 68 Stati lo hanno ratificato, impegnandosi a promuovere un processo graduale e sicuro verso un disarmo nucleare totale, mentre sono 92 i Paesi che lo hanno firmato. Negli ultimi mesi altri 9 Stati sono entrati a far parte dell’elenco dei ratificatori, una crescita che dimostra la dinamica positiva di rafforzamento del Trattato, come reso evidente anche dal dibattito della Conferenza di Vienna dell’anno scorso. Un appuntamento di confronto che, nonostante la grande tensione internazionale, ha condannato in modo inequivocabile “qualsiasi minaccia nucleare, sia essa esplicita o implicita e a prescindere dalle circostanze”, la più forte ed esplicita condanna multilaterale di sempre della minaccia di usare armi nucleari.

“Come molti altri attivisti per la pace, tra i quali la nostra Laura Tussi, scrittrice, giornalista ed esperta di tematiche educative, Moni Ovadia, nato a Plovdiv in Bulgaria nel 1946, da una famiglia ebraico-sefardita, non si rassegna a un tale stallo, che lasciando proliferare le armi nucleari, rischiando di condannare l’umanità all’estinzione. E in questo video spiega le ragioni dell’ICAN: “Sono Moni Ovadia – esordisce – e sostengo ICAN (International Campaign to abolish nuclear weapons) campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari. A ICAN è stato conferito il premio Nobel per l’importanza del suo magistero di pace. Premio Nobel per la pace. Diventiamo tutti insieme a ICAN attivisti di pace, donne e uomini di pace. La questione in campo è assoluta: è la questione della vita. La differenza fra chi combatte per l’abolizione delle armi nucleari e chi invece non fa nulla e è indifferente, è il discrimine per chi vuole stare dalla parte della vita e chi invece accetta l’abbraccio della morte come condizione di esistenza. Dunque sostenete questa campagna: diventate attivisti della vita e non è difficile capire che cosa è in gioco. Siamo in gioco noi, ma sono in gioco i nostri figli, i nostri nipoti e i nostri pronipoti. Cominciamo dall’abolizione delle armi nucleari perché è un giorno ci sia l’abolizione totale delle armi”. Un obiettivo reso sempre più impellente ed evidente da quanto avvenuto negli ultimi mesi, in particolare con la guerra tra la Russia e l’Ucraina o in Medio Oriente, dove l’uso di una bomba atomica su Gaza è stato evocato da parte di un ministro di Israele. Ed un traguardo a cui ci si potrebbe realmente avvicinare implementando le 50 proposte del “Piano di Azione” elaborato a Vienna nel giugno dello scorso anno, durante la prima Conferenza degli Stati Parti del Trattato.

Di seguito il video e il commento di Laura Tussi”.

Salvatore Izzo, direttore di FARO DI ROMA

Appello di Moni Ovadia

La questione in campo è assoluta: è la questione della vita.

“Sono Moni Ovadia e sostengo ICAN (International Campaign to abolish nuclear weapons) campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari. A ICAN è stato conferito il premio Nobel per l’importanza del suo magistero di pace. Premio Nobel per la pace. Diventiamo tutti insieme a ICAN attivisti di pace, donne e uomini di pace. La questione in campo è assoluta: è la questione della vita. La differenza fra chi combatte per l’abolizione delle armi nucleari e chi invece non fa nulla e è indifferente, è il discrimine per chi vuole stare dalla parte della vita e chi invece accetta l’abbraccio della morte come condizione di esistenza. Dunque sostenete questa campagna: diventate attivisti della vita e non è difficile capire che cosa è in gioco. Siamo in gioco noi, ma sono in gioco i nostri figli, i nostri nipoti e i nostri pronipoti. Cominciamo dall’abolizione delle armi nucleari perché è un giorno ci sia l’abolizione totale delle armi.” di Moni Ovadia

Video di Moni Ovadia sul Premio Nobel per la Pace a ICAN: https://www.youtube.com/watch?v=03gei4RCRB8

Con molte personalità dell’attivismo nonviolento per la pace, da anni siamo parte costruttiva, creativa e attiva della rete internazionale ICAN per il disarmo nucleare universale, di cui in Italia fanno parte diverse associazioni

Siamo un coordinamento di associazioni basato sui grandi moniti e appelli all’umanità del partigiano francese Stéphane Hessel con il suo libro postumo pubblicato in Italia ESIGETE! un disarmo nucleare totale. 

La rete ICAN è stata insignita premio Nobel per la pace 2017 a Oslo e questo rappresenta un riconoscimento per tutti gli attivisti che si occupano di disarmo nucleare nel mondo, guidati dall’obiettivo di promuovere il progetto storico del diritto internazionale: l’abolizione e l’interdizione degli ordigni nucleari.

Il governo italiano non ha ancora approvato e ratificato il trattato ONU del 7 luglio 2017, che è valso a tutti noi di ICAN – e ripetiamo a tutti gli attivisti antinucleari – il premio Nobel per la pace 

Il trattato ONU è stato varato a New York nel Palazzo di Vetro, la sede delle Nazioni Unite, da 122 nazioni dietro la spinta determinante della società civile internazionale organizzata in ICAN. A questa stesura erano presenti di persona Alfonso Navarra, storico ecopacifista, attivista nonviolento insieme a Peppino impastato e importante protagonista delle lotte per il disarmo nucleare da Comiso ai porti a rischio nucleare; Giovanna Pagani, dirigente di Wilpf-Italia e lo scienziato italo-francese Luigi Mosca.

I nostri libri “La follia del nucleare” e  “Antifascismo e Nonviolenza” tracciano il percorso che ha condotto l’ONU e la società civile internazionale al trattato del 7 luglio 2017

Lo slogan positivo della cultura di pace che sta alla base di questi trattati si riassume nel motto “Prima l’umanità, prima le persone”. Questo adagio, nella nostra interpretazione, applicata specialmente in Italia, ma con un’ottica globale, contrappone la nuova cultura della pace del XXI secolo al rischio di una subcultura fascista, dove i fascisti, a partire dal presidente americano, e a seguire i politici e i capi di stato, impongono uno slogan negativo e contrapposto al nostro: prima gli americani, prima i francesi, prima gli ucraini, prima i russi, prima gli italiani, prima i padani eccetera. Invece nel comune villaggio globale, nel nostro sistema mondo, nell’universale afflato di mondialità che accomuna tutti noi, i popoli e l’umanità comune e solidale, come attivisti ecopacifisti ci rendiamo sempre più conto di appartenere a un’unica razza comune come sosteneva Einstein, a un’unica famiglia umana. Per questo adottiamo il celebre adagio del noto pacifista e attivista Vittorio Arrigoni, barbaramente assassinato a Gaza nel 2011: Restiamo Umani.

Una comune umanità che è minacciata da tre ‘bombe’ che incombono come una spada di Damocle sulla sua incolumità. Le tre bombe di cui tratta anche il comboniano padre Alex Zanotelli: 

-l’attività militare che trova la sua massima espressione nella guerra nucleare. 

-La bomba climatica che comporta quotidiani disastri e dissesti climatici per le emissioni eccessive di gas serra. 

-La bomba dell’ingiustizia sociale e della disuguaglianza globale dove l’1% dei ricchi detiene risorse pari a quelle controllate dal restante 99% dell’umanità. 

Per questo facciamo nostri i moniti e gli appelli del Partigiano Stéphane Hessel, deportato a Buchenwald, padre costituente della dichiarazione dei diritti dell’umanità del 1948, presidente del tribunale Russell sulla Palestina

Il suo saggio “Indignatevi!” ha venduto milioni di copie in tutto il mondo e ha ispirato il movimento degli indignati e di Occupy Wall Street. Un autentico uomo di pace: una speranza di futuro, un ponte intergenerazionale tra il passato antifascista e le alternative per il futuro prossimo, per le nuove generazioni, per una rivoluzione ecologista, pacifista, disarmista e femminista. Per una utopia realizzabile di pace e solidarietà perché per dare risposte di sinistra alla crisi strutturale e al revanchismo delle nuove destre estreme e dei populismi occorrono soluzioni democratiche e civili. 

Stéphane Hessel, nell’appello scritto con i Resistenti francesi nel 1944 e pubblicato nel saggio “Indignatevi!”, suggerisce delle soluzioni alla crisi economica e di valori che attualmente sta stritolando e destrutturando il pianeta

La soluzione prevede la nazionalizzazione delle banche e delle industrie strategiche con un’economia al servizio delle persone, tramite investimenti pubblici per creare lavoro e per livellare la disuguaglianza globale e sociale per evitare la miseria dei ceti più deboli che ingenera risposte razziste e capri espiatori.

La campagna Onu per il disarmo nucleare universale con la rete ICAN e le COP ONU per il clima costituiscono le campagne globali tramite cui costruire una nuova internazionale dei diritti, delle persone, dei popoli, dell’umanità.

Infatti la dipendenza dai combustibili fossili e dal nucleare è alla base di un modello sociale predatorio, accumulatorio e insostenibile che è causa principale di guerre e conflitti nel mondo. Per questo motivo il nostro attivismo, l’impegno di noi ‘AlterGlocalisti’ è volto a salvare il clima e la pace, per costruire una conversione ecologica fondata su un nuovo e alternativo modello energetico, decarbonizzato, denuclearizzato, rinnovabile al 100%, ossia pulito, democratico e socialmente giusto. 

La divisione dell’umanità in tutte le sue forme, dal razzismo al fascismo, dalla xenofobia ai nazionalismi agli etnicismi, contrasta nettamente con il contesto culturale e giuridico di unica famiglia umana proclamato dalla dichiarazione Onu del 1948, che deriva dall’immane tragedia della seconda guerra mondiale con 65 milioni di morti: interi paesi in macerie, bombardamenti a tappeto, Dresda 100.000 morti, Auschwitz e Hiroshima

Da questo immane trauma nasce un sussulto positivo come la dichiarazione Onu e le Costituzioni Antifasciste nate dalla Resistenza partigiana. La banca d’affari mondiali J. P. Morgan tempo fa ha attaccato pesantemente le costituzioni antifasciste e le dichiarazioni volte allo sviluppo dell’umanità e alla tutela dei diritti umani perché considerate troppo democratiche e ostacolo al progresso e alla risoluzione della crisi strutturale in quanto volte alla tutela della dignità umana. Il nostro slogan positivo “Prima l’umanità, prima le persone” vuole contrastare la disuguaglianza globale strutturata con muri, frontiere, ghetti nazionalistici, etnicismi. Con questi presupposti, le nazioni europee sbarrano le porte ai migranti vecchi, giovani, donne, bambini che fuggono da guerre, persecuzioni, terrorismo, disastri ambientali, manovre economiche e che vorrebbero trovare, in modo legale e sicuro, solidarietà, assistenza, accoglienza sulle nostre sponde, nei nostri territori. Invece l’Occidente risponde con una politica di riarmo e guerrafondaia, per cui le spese militari nel mondo sono in continuo incremento e provocano pericoli e miserie per l’umanità come il rischio di un inverno e di un’apocalisse nucleare: così i diritti e la dignità umana vengono sempre negati e calpestati. Nella nostra attuale congiuntura assistiamo al precipitare di ampi settori della popolazione italiana e non solo, sotto l’influenza di ideologie xenofobe, razziste, fasciste, dell’esaltazione del cattivismo dilagante, del qualunquismo antiegualitario che contrastano nettamente con i principi della nostra Costituzione. Per far fronte a questa deriva anche l’ ANPI nazionale potrebbe aderire alla rete ICAN  premio Nobel per la pace 2017 per il disarmo nucleare universale e alla coalizione per il clima e per la conversione ecologica e rinnovabile della nostra economia e del nostro modo di vivere e di pensare.

E come l’ANPI anche altre grandi organizzazioni sociali e sindacali: è questo il senso della campagna che abbiamo lanciato: “Siamo tutti premi Nobel per la pace con ICAN”, che vede come suo primo testimonial Moni Ovadia

La solidarietà umana, richiamata nell’articolo 2 della Costituzione, va praticata con l’unione popolare oltre le barriere nazionalistiche, per la difesa di un pianeta minacciato dall’attuale dittatura finanziaria dei mercati internazionali. Il diritto a sopravvivere e a vivere senza la paura della guerra nucleare è un diritto alla pace oltre le barriere ideologiche. Il diritto alla pace, insieme alla Carta della Terra, all’Agenda ONU 2030 e alle COP per la tutela del clima, sono parte del programma dell’agenzia culturale e scientifica dell’Onu che è l’Unesco. Il diritto alla pace è appunto attuato e attivato oltre le barriere, i limiti, i confini, i muri, i ghetti nazionalistici partoriti dal cattivismo culturale, ma con la ferma considerazione del valore dell’aiuto e del sostegno umanitario per una svolta umanistica affinché il debole, l’emarginato, l’oppresso siano redenti, salvati e valorizzati. Il disarmo nucleare universale e il diritto alla pace costituiscono una importante rivoluzione nella nostra società mondiale dove attualmente prevalgono l’egoismo, l’individualismo, la sete dissennata di potere, ossia il pensiero unico che secondo Hessel è ancora veicolato dai massmedia. Questi disvalori neofascisti e neoliberisti provocano guerre volute dall’intero complesso, apparato, sistema industriale-militare-energetico, che dopo anni dalla guerra nel Golfo, di nuovo impone la guerra in Libia, finanzia le guerriglie siriane, supporta con armi i Saud contro lo Yemen, in uno dei più gravi e grandi e tragici genocidi della storia contemporanea. I movimenti nonviolenti e pacifisti perdono di creatività e proattività perché si fanno avanti i poteri forti spacciati da progressisti. 

Per far fronte a queste condizioni disumane, a questa deriva di valori strutturale, occorre creare ponti di memoria, ponti di dialogo, reti di relazioni, legami di pace per evitare la supremazia dei potentati dei signori dell’atomo, del petrolio, della guerra, dell’acciaio detentori del rischio dell’apocalisse nucleare

La forza della nonviolenza e della disobbedienza civile consistono nella volontà di far prevalere la verità, il confronto politico, la pace nei contesti plurali e multiculturali. La democrazia e la forza della verità devono prevalere sull’egoismo, sulla logica del neoliberismo finanziario, sul potere che impone di mercificare tutto con le lobby e le multinazionali del libero mercato che disprezzano l’ambiente, la persona, i diritti umani e travalicano il significato di bene comune. Occorre riappropriarci dei beni comuni per tutelarli dalla privatizzazione mercificatoria in favore della vita e dell’appartenenza a molteplici culture. I nostri beni comuni come la pace, l’antifascismo, il disarmo nucleare, per superare i pregiudizi, per prevenire, gestire e trascendere i conflitti, per stemperare paure e ostilità, per una laicità aperta, inclusiva, relazionale, per il diritto alla pace e a vivere senza la paura dello sterminio nucleare. 

Questo il messaggio profondo dei nostri libri che è nella matrice, nel DNA delle culture antifasciste, antitotalitarie, antidogmatiche oggi le culture nonviolente. Questa è anche l’essenza della nostra iniziativa, sulla quale attualmente concentriamo gli sforzi, che punta ad allargare le adesioni alla Rete ICAN.

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No profit on pandemic

No profit on pandemic

di Laura Tussi e Fabrizio Cracolici

 

Spot con le Videotestimonianze di Vittorio Agnoletto, Luigi Ciotti, Moni Ovadia, Gino Strada.

La disuguaglianza dei vaccini ha un profondo impatto sociale ed economico sui paesi con bassi tassi di vaccinazione. L’economia mondiale perderà trilioni di dollari, soprattutto nei paesi a basso e medio reddito.

Il COVID-19 si diffonde a macchia d’olio. Le soluzioni devono diffondersi ancora più velocemente. Nessuno è al sicuro fino a che tutti non avranno accesso a cure e vaccini sicuri ed efficaci.

“Non si chiede – ha dichiarato la dott.ssa Bottazzi – alle multinazionali di cambiare il loro modo di lavorare, ma di pensare a come aiutare il resto del mondo, favorendo la decolonizzazione per lo sviluppo dei prodotti anche nei Paesi più poveri, lasciando da parte in questo momento il business”. Ma le sue parole sono cadute nel vuoto.

Raramente un’ingiustizia è stata così evidente. Né le dichiarazioni di Papa Francesco, né l’appello di oltre cento premi Nobel ed ex capi di stato hanno convinto l’Ue, l’Uk e la Svizzera a modificare la propria posizione contraria alla proposta di moratoria temporanea dei brevetti sui vaccini e i kit diagnostici per il Covid-19 e alla contemporanea richiesta di socializzare il know-how, proposte avanzate nell’ottobre 2020 da India, Sudafrica e sostenuta da oltre cento Paesi. Non è “solo” una questione di giustizia verso popoli lontani; i nostri governanti hanno il dovere di difendere la salute dei propri cittadini, anche facendo di tutto per evitare che si sviluppino delle varianti che potrebbero riportarci a nuovi lockdown e non solo.

Abbiamo tutti diritto a una cura.

Firma questa iniziativa dei cittadini europei per essere sicuri che la Commissione europea faccia tutto quanto in suo potere per rendere i vaccini e le cure anti-pandemiche un bene pubblico globale, accessibile gratuitamente a tutti e tutte.

Un video che in pochi secondi riassume le nostre ragioni. Un video da far girare ovunque possibile.

 

Link al video:

https://www.facebook.com/right2cure.it/videos/674159166920250

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Moni Ovadia in Rai per la strage di Bologna

Moni Ovadia commemora la strage di Bologna

Moni Ovadia in Rai per la strage di Bologna

La Rai ha realizzato un filmato nel 2011 incentrato sullo straziante monologo di Moni Ovadia in ricordo delle vittime innocenti del terrorismo per la strage alla stazione di Bologna di comprovata matrice fascista

Moni Ovadia

Moni Ovadia commemora la strage di Bologna in Piazza Maggiore durante il Concerto del 2 Agosto

La Rai ha realizzato un filmato nel 2011 incentrato sullo straziante monologo di Moni Ovadia in ricordo delle vittime innocenti del terrorismo per la strage alla stazione di Bologna di comprovata matrice fascista.

 

La commemorazione della strage alla stazione di Bologna di comprovato stampo fascista è un evento a cui abbiamo partecipato in qualità di attivisti Anpi – associazione nazionale partigiani d’Italia e a cui siamo stati presenti di persona, non solo alla manifestazione nazionale, ma anche al concerto serale in Piazza Maggiore a Bologna il 2 Agosto del 2011, in cui Moni Ovadia si è esibito con uno straordinario monologo davvero straziante per ricordare tutte le vittime innocenti del terrorismo.

In quell’occasione era presente la Rai che ha realizzato un filmato in questo link di seguito. Noi come attivisti antifascisti e anche come amici di Moni Ovadia siamo presenti nel servizio televisivo.

La presenza militante degli attuali antifascisti costituisce un grande e importante baluardo di memoria attiva, un significativo monito, affinché non si ripetano mai più queste orrende atrocità e si ottengano finalmente verità e giustizia.

Fabrizio Cracolici e Laura Tussi, attivisti ANPI

Moni Ovadia – RAI.TV

La Musica di Raitre è presente in Piazza Maggiore a Bologna per riprendere il Concerto di chiusura del Concorso Internazionale di Composizione “2 Agosto”, nel ricordo della strage alla stazione di Bologna e in memoria di tutte le vittime del terrorismo.

Moni Ovadia, voce narrante.

Chiara Monetti e Stefano Cuppi, organizzazione.

http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-71ace410-16d6-4d5b-868a-dde4c0c1b0c5.html#p=0

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Laura Tussi19 maggio 2020

Intervista a Moni Ovadia di Laura Tussi su Invicta Palestina

Moni Ovadia si ricollega e riflette sul tema di Agenda Onu 2030 – Obiettivo “Pace, Giustizia e Istituzioni solide” con molteplici spunti di approfondimento nonché analizzando la vignetta dell’acuto vignettista Vauro che ritrae un padre e un figlio palestinesi a Gaza. 

In una vignetta del mio amico Vauro, i missili israeliani piovono da tutte le parti. Il bambino dice a suo padre: “Papà ho paura” il padre risponde: “Perché hai paura? Non siamo mica a New York”. Noi abbiamo tolto a una parte dell’umanità persino il diritto alla paura. Abbiamo visto milioni di volte la ripetizione dell’efferatezza che ha portato alla distruzione delle Torri Gemelle con 2890 morti circa, ma non abbiamo visto con la stessa frequenza le immagini dei morti innocenti iracheni e afghani delle cosiddette “guerre umanitarie”.

Parto da questa considerazione perché ci sono paesi i cui governi, ma anche una parte considerevole dei cittadini, sono gravati – anche se la parola è impropria – dalla logica del privilegio, ossia che noi abbiamo diritto a essere come siamo, non è un privilegio dovuto al luogo di nascita.

Che merito abbiamo per essere nati in un posto invece di un altro? Nessuno. 

Non esiste un merito. Infatti anche Mimmo Lucano e Alex Zanotelli dicono di non chiedere mai a una persona da dove viene: “L’ha portata il vento”…

La legalità internazionale è stata, da parte di ripetuti governi israeliani, calpestata con una indecenza che non ha limiti. Consideriamo che nessun governo israeliano ha fatto quello che doveva essere il dovere sacrale di un governo democratico, ossia stabilire i confini dello Stato di cui quel governo è governo. Lo Stato di Israele non ha una costituzione. Quindi non ha stabilito i suoi confini. Per cui l’arbitrio è la regola in tutte le cose che riguardano il conflitto israelo-palestinese. In particolare, il conflitto con i paesi arabi ha altre modalità ancorché si basa comunque su questa politica dello stato dei fatti compiuti. Politica del totale dispregio per le risoluzioni internazionali e, conseguentemente, per le istituzioni internazionali preposte alla pace. E tutto questo ad opera del governo e dell’autorità militare di un paese in cui il saluto comune è pace, invece di dire “Ciao”, “Buongiorno” si dice “Shalom” cioè Pace. La pace è addirittura iscritta nelle priorità della lingua.

Nei Link l’intervista a Moni Ovadia di Laura Tussi: testi integrali

https://www.peacelink.it/pace/a/47552.html

https://www.peacelink.it/ospiti/a/47600.html

su Invicta Palestina: Centro di Documentazione sulla Storia, Cultura, Tradizioni della Palestina

https://www.invictapalestina.org/archives/38974

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Agenda ONU 2030 – Moni Ovadia e la Pace

Dialoghi con Moni Ovadia – Intervista di Laura Tussi

Agenda ONU 2030 – Moni Ovadia e la Pace

Riflessioni con Moni Ovadia relative all’Obiettivo “Pace, Giustizia e Istituzioni solide” – Agenda ONU 2030

Moni Ovadia e Laura Tussi

Intervista a cura di Laura Tussi – Dialoghi con Moni Ovadia

 

Introduzione:

La dignità non è negoziabile. Non ha prezzo. Riconoscerla anche al peggiore dei carnefici, al più efferato degli aguzzini è la migliore risposta possibile alla logica dell’odio, dello sterminio, del genocidio. La dignità traccia un solco invalicabile tra la cultura della vita e il dominio della morte. Tra la cultura della pace e la subcultura della guerra.

 

Dialoghi: Moni Ovadia e la pace

 

Moni Ovadia si ricollega e riflette sul tema di Agenda Onu 2030 – Obiettivo “Pace, Giustizia e Istituzioni solide” con molteplici spunti di approfondimento nonché analizzando la vignetta dell’acuto vignettista Vauro che ritrae un padre e un figlio palestinesi a Gaza.

 

In una vignetta del mio amico Vauro, i missili israeliani piovono da tutte le parti. Il bambino dice a suo padre: “Papà ho paura” il padre risponde: “Perché hai paura? Non siamo mica a New York”. Noi abbiamo tolto a una parte dell’umanità persino il diritto alla paura. Abbiamo visto milioni di volte la ripetizione dell’efferatezza che ha portato alla distruzione delle Torri Gemelle con 2890 morti circa, ma non abbiamo visto con la stessa frequenza le immagini dei morti innocenti iracheni e afghani delle cosiddette “guerre umanitarie”.

Parto da questa considerazione perché ci sono paesi i cui governi, ma anche una parte considerevole dei cittadini, sono gravati – anche se la parola è impropria – dalla logica del privilegio, ossia che noi abbiamo diritto a essere come siamo, non è un privilegio dovuto al luogo di nascita.

Che merito abbiamo per essere nati in un posto invece di un altro? Nessuno.

 

Non esiste un merito. Infatti anche Mimmo Lucano e Alex Zanotelli dicono di non chiedere mai a una persona da dove viene: “L’ha portata il vento”…

Intervista a Moni Ovadia

Eppure la provenienza, il luogo di nascita diventano un merito. Vogliamo rivendicarli come merito che diventa merito a priori senza nessuna legittimazione che diventa, poi, privilegio e il privilegio viene confuso con il diritto.

Ci sono molti pensieri che mi si affastellano nella mente. Infatti, non parlo mai secondo uno schema preordinato; vado a braccio per mantenere maggiore vitalità di riflessione. Nella questione posta, è stato fatto cenno e riferimento alle istituzioni solide. Perché l’uso di questo termine lo trovo particolarmente appropriato? Perché noi non abbiamo istituzioni solide. Abbiamo istituzioni allo stato liquido casomai, per dirla come Zigmunt Bauman. Ma più ancora allo stato gassoso.

L’ONU dovrebbe essere l’istituzione che regola la pace, a partire da essa, ma è totalmente impotente, come si vede nelle violazioni delle risoluzioni delle Nazioni Unite: se sono praticate dai paesi privilegiati vengono imbracciate come motivazione per essere eseguite immediatamente. Ad esempio, il caso dell’Iraq; lo ricordate tutti. Ma se la violazione di una risoluzione, visto che è stato fatto il caso della Palestina – che particolarmente mi sta cuore – viene fatta a danno dei non privilegiati, allora è bellamente sfregiata e ignorata e irrisa: mi riferisco alla risoluzione 242 e 338.

La legalità internazionale è stata, da parte di ripetuti governi israeliani, calpestata con una indecenza che non ha limiti. Consideriamo che nessun governo israeliano ha fatto quello che doveva essere il dovere sacrale di un governo democratico, ossia stabilire i confini dello Stato di cui quel governo è governo. Lo Stato di Israele non ha una costituzione. Quindi non ha stabilito i suoi confini. Per cui l’arbitrio è la regola in tutte le cose che riguardano il conflitto israelo-palestinese. In particolare, il conflitto con i paesi arabi ha altre modalità ancorché si basa comunque su questa politica dello stato dei fatti compiuti. Politica del totale dispregio per le risoluzioni internazionali e, conseguentemente, per le istituzioni internazionali preposte alla pace. E tutto questo ad opera del governo e dell’autorità militare di un paese in cui il saluto comune è pace, invece di dire “Ciao”, “Buongiorno” si dice “Shalom” cioè Pace. La pace è addirittura iscritta nelle priorità della lingua.

 

Perché succede questo?

 

Perché lo stato di Israele non fa eccezioni a quella che è stata la logica imperiale romana si vis pacem para bellum “Se vuoi la pace, prepara la guerra”, cioè colpisci gli altri per avere la pace a casa tua. Perché questa è la logica. La pace spetta solo a noi e agli altri no.

I paesi che più parlano di pace, prendo a esempio lo Stato di Israele, non perchè io sia contro Israele, ma perché, pur essendo piccolo, è fra quelli più armati del mondo. Come anche gli Stati Uniti d’America. Un mio amico iracheno il professor Adel Jabbar che insegnava sociologia delle migrazioni prima a Ca’ Foscari e poi a Bolzano, mi diceva: “Hai notato questa cosa? I governanti degli Stati Uniti sono i governanti del paese che ha più armi in assoluto al mondo”. Infatti, ci sono armi degli Stati Uniti in ogni angolo del pianeta: Oceano indiano, Oceano Pacifico, Europa, Paesi arabi, Asia. Dovunque ci sono armi statunitensi e sono proprio quegli stessi USA che inveiscono contro gli arabi dicendo, come rimarcava il professor Jabar , ” Gli arabi – noi arabi – sono aggressivi”.

 

Curioso vero? gli USA e Israele sono fra i maggiori commercianti di armi e colpevoli di fomentare guerre.

 

Gli Israeliani sono armati fino ai denti, ma fanno le vittime. Mentre il primo atto di pace dovrebbe essere quello di ritirare le armi dalle terre occupate illegalmente. La Nato è stata istituita per contrastare il “nemico” di oltre cortina, l’Unione Sovietica. L’Unione Sovietica è finita morta e stramorta e la Nato invece di sciogliersi o ripiegare si è allargata, cioè ha messo i missili in tutti i paesi ex sovietici. Questi sono solo esempi, naturalmente per capire che questo sistema internazionale, questa logica non porterà mai alla pace.

Non facciamoci illusioni. Perché la logica è quella della guerra. Per esempio l’apologia del sicuritarismo, è una ideologia bellicista. All’’altro’ si attribuisce di fomentare insicurezza. Naturalmente questa è una vecchia tecnica per legittimare il proprio armarsi e la propria aggressività.

I nazisti sono stati esemplari in questo. Hanno lasciato e imposto un esempio clamoroso, ma è così ancora, questa è il background che domina la forma mentis della gran parte dei governanti. Non sono un ingenuo, ma per esempio se un paese come il nostro, che ha una costituzione repubblicana e la costituzione repubblicana è l’unico documento che fa di noi una comunità nazionale, fa riferimento a idee sacrali di patria, di “prima gli italiani” mi vengono i brividi alla schiena. Il popolo italiano, nel recente passato, ha avuto una parte che ha combattuto contro l’altra, provocando inenarrabili massacri. Italiani contro italiani. Dove è questo famoso popolo? E le guerre civili? Mostrano che i popoli intesi come unità mistico-nazionalista non esistono sono un’ipostatizzazione romantica che sta dietro all’ideologia del Blut und Boden, sangue e terra.

 

Ma quale sangue?

 

Sono termini ideologici e manipolazioni del linguaggio per mistificare la realtà. Infatti, se noi siamo uomini di pace, saremo molto più affini a uno spagnolo a un francese a un catalano a un americano a un russo che condivide i nostri ideali di quanto non siamo con il nostro presunto concittadino il quale ha nei nostri confronti sentimenti di ostilità bellica. Il nazionalista quello che continua a ripetere ‘il popolo, gli italiani’, non ama affatto il popolo di cui parla e di cui inventa l’esistenza, perché il nazionalista ama solo quelli che la pensano come lui e gli altri li odia. Considera i suoi concittadini, che non la pensano come lui, dei nemici. Dunque per arrivare alla pace, secondo me, bisogna che la smettiamo per prima cosa di concedere cittadinanza ai linguaggi dell’odio. Siamo un insieme di genti accomunate da una lingua. Ma neppure la lingua ci identifica. I ticinesi parlano la nostra stessa lingua, con una cadenza che per noi suona un po’ buffa, ma sono svizzeri: che importanza ha? Oggi gli ucraini e i russi sono ai ferri corti, eppure la gran parte degli ucraini parla quotidianamente russo non ucraino. Lo so perché io conosco il russo e ho avuto musicisti ucraini anche giovani che hanno lavorato con me e parlavamo in russo, la prima lingua che veniva loro in mente, pur conoscendo anche l’ucraino. Ma non esiste una tendenza nazionalista innata a parlare la propria lingua. Molti sono stati educati con il russo e i figli, siccome i padri parlano russo e hanno parlato loro in russo, parlano questa lingua. Non è la lingua che accomuna, non è il sangue, il sangue è rosso. Basta. Che cosa allora accomuna? Una cosa ci fa comunità nazionale: il patto costituzionale.

 

Siamo italiani perché ci riconosciamo nella Costituzione repubblicana. È vero?

 

No. Una parte del nostro popolo la ignora completamente. Non sanno neanche l’articolo uno. Soprattutto non sanno questa parte dell’articolo uno: “l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Traduzione: secondo la Costituzione in Italia è sovrana la Costituzione. Non il popolo.

 

Quanti sanno questa cosa?

 

Addirittura primi ministri l’hanno ignorata, ammesso che la sapessero. Allora, ecco: ciò che ci rende una comunità nazionale; dovrebbe essere la forza dell’istituzione generata da un patto, ma non è così. Ecco perché siamo così lontani dal nostro dettato costituzionale. L’articolo undici parla di ripudio della guerra; eppure noi abbiamo partecipato a guerre aggressive e ci siamo solamente limitati a cambiarne il nome. Abbiamo acquistato armi di aggressione, perché i famosi F35 sono tutto fuorché armi da difesa. Allora, invece di spendere tutta quella montagna di soldi per armi di aggressione, avremmo potuto farci costruire il famoso Dome: sono quelle strutture antimissile che sono difensive, puramente difensive. Faremmo già un piccolo passo verso lo smantellamento dell’idea di guerra, se avessimo un puro esercito di difesa come quello svizzero.

Quindi, noi siamo molto lontani dalla pace.

La solidificazione delle istituzioni già esistenti sarebbe un passo importante, ma questo implicherebbe che le nazioni aderenti all’istituzione riconoscessero all’istituzione la primazia nelle questioni di pace. Siamo lontani anni luce. Cioè, non siamo ancora scesi dalle piante. Però, qualcosa dobbiamo fare. E non lo stiamo facendo. Per esempio: l’Italia ha sottoscritto e ratificato la dichiarazione dei diritti universali dell’uomo. E come è possibile che un magistrato del TAR abbia detto “Basta parlare di diritti universali! Parliamo dei diritti degli italiani”. Questo nel 2019!  Significa regredire alla seconda guerra mondiale. Contrapporre i presunti diritti nazionali ai diritti universali, ovvero dire ‘noi siamo più degli altri’ e rivendicare il funesto slogan ‘padroni a casa nostra’ è una perversione. Noi abbiamo avuto un ammaestramento dal lungo cammino dell’uomo. A un certo punto dello sviluppo, il cammino dell’uomo, aldilà delle formazioni delle civiltà, approda a una consapevolezza di senso: il senso dell’esistenza di un’identità dell’essere umano, unica ed universale. Oggi lo sappiamo scientificamente. Il più grande genetista italiano, il professor Cavalli Sforza lo ha acclarato su base scientifica: esiste un solo uomo su questa terra ed è il Sapiens Sapiens Africanus. Noi veniamo tutti dal cuore dell’Africa. Nessuno escluso. Anche se alcuni gruppi umani

portano piccolissime parti del patrimonio genetico del Neanderthal che indicano l’occorrenza di relazioni risalenti a oltre 40.000 anni fa. Successivamente i Neanderthal si estinsero.

Ora. Invece di riconoscere questa evidenza etica e scientifica, si regredisce a rivendicare differenze. Attenzione! A tremila anni dal riconoscimento etico, rivelato dal canone biblico, scritto nel Genesi che c’è un uomo. Non sono credente. Ma affermare che tutti gli uomini discendono da Adamo è un’affermazione sconvolgente, azzardata ai limiti dell’impossibile, ma ha aperto un orizzonte rivoluzionario.

 

Uno dei libri del Talmud, il pirkei’Avot uno dei più grandi libri talmudici domanda: “Ma perchè è stato detto ‘tutti gli uomini discendono da un uomo solo’? un solo esemplare? cioè Adamo il primo?

 

I maestri rispondono: “E’ stato fatto per la pace”. Perché nessun uomo possa dire al suo simile “il mio progenitore era migliore del tuo”. E noi vorremmo regredire a più di tremila anni fa, in un paese che si dichiara cristiano? Il vero problema della pace a mio parere è la questione del senso. Noi oggi siamo affidati a una deriva di significati. Un singolo si può definire cristiano nel momento in cui vive e pensa come il più convinto dei “pagani”, o degli idolatri e nessuno lo chiama a rispondere al senso di ciò che dice? Abbiamo avuto un ministro della repubblica che ha agitato il Vangelo, libro di pace e di amore, in un comizio politico per pervertirne il senso intimo. Continuamente nel Vangelo si trova la parola pace, eppure qualcuno lo agita come un’arma ed è un Ministro della Repubblica che ha giurato sulla Costituzione e fa carta straccia del libro sacro del paese, laico ma sacro, senza che ci sia una reazione significativa.

Allora vuol dire che il problema dell’istituzione solida si pone nei confronti della pace e l’istituzione non dovrebbe tanto agire nelle questioni politiche o geopolitiche quanto agire sul senso. Un’istituzione solida che tutelasse la pace, si sarebbe dovuta opporre migliaia di volte per impedire lo sfregio dell’idea, a partire dall’uso del linguaggio dell’odio. Perché la prima manifestazione della guerra sono le parole dell’odio. Fin quando noi non affermiamo la questione del senso come priorità, non cammineremo di un centimetro verso la pace autentica, ma ci troveremo in tregue e pacificazioni. Ricordiamoci la frase di Tacito: “hanno fatto un deserto e l’hanno chiamato pace.”

Dunque per me oggi la questione più cogente è la questione del senso.

 

Cosa vuol dire essere un cristiano?

 

A mio parere non significa praticare una religione formale, ma essere entrato nel solco del cammino che ha tracciato Gesù; ha tracciato un solco dicendo:”Se mi seguite troverete verità, pace, amore, libertà, perdono”. Il mio amico Don Andrea Gallo, sacerdote cattolico di benedetta memoria, una volta, in Liguria, in occasione del conferimento di un premio, col suo linguaggio sapido e colorito – relata refero – si espresse così:”Gesù non ha istituito una religione, ha tracciato un cammino e ha detto seguimi e troverai:”pace, uguaglianza, fratellanza, amore”. E se non vuoi seguirmi ‘Vai un po’ a quel paese!!!’. Cosa voleva dire Don Gallo? Che non può esserci coazione in una fede: c’è una scelta. Perché l’idea stessa di coazione è inaccettabile. E’ una contraddizione in termini e anche il Corano nel versetto 99 della decima Sura lo rileva. Recita così:”Se Allah avesse voluto fare di tutti gli uomini una sola comunità di fede, l’avrebbe fatto lui”. Evidente che non l’ha fatto e il versetto prosegue “e chi sei tu per costringere un uomo a credere contro la sua volontà?” cioè il Corano riconosce la piena dignità dei non credenti e dei diversamente credenti. Però questa semplice evidenza non importa assolutamente ai fanatici islamisti, come ai fanatici cristiani, come ai fanatici ebrei, perché nessuno li richiama mai a rendere conto del senso. Noi abbiamo abbandonato il senso per affidarci a una deriva di significati veicolati ad usum di un potere autoreferenziale che pretende impunità. Ho scritto il libro “Madre Dignità” perché mi sono interrogato sul fatto che la nostra Costituzione, così straordinaria, fosse progressivamente diventata un guscio vuoto. Articolo 3 “Lo Stato deve rimuovere tutti gli ostacoli che impediscono l’uguaglianza dei cittadini”. Ora, il dettato non chiede che tutti vivano nello stesso loculo vestiti con la divisa di Mao Tse Tung, bensì, per fare un esempio, di parificare il salario delle donne a quello degli uomini per lo stesso lavoro. Un simile provvedimento si sarebbe dovuto proporre ed attuare subito. Sono passati settant’anni e siamo qui ancora a discuterne. E delle quote rosa e di tutte queste stupidaggini…perché il senso della Costituzione sembra non interessare a nessuno. E naturalmente l’operazione di linguaggio, cioè destituire di forza il senso e invece rilanciare la molteplicità dei significati, uno vale l’altro, è quello che crea le condizioni che poi ingenerano conflitti e che legittima la liceità di disattendere i fondamenti etici del nostro vivere a favore di bellicismi, privilegi, di violenze e di ogni sorta di arbitrio: però ci si dice noi viviamo in una democrazia! Ma sulla base di quale ‘film’ noi viviamo in una democrazia?  I nostri regimi, come è stato detto da Predrag Matvejević, professore di letteratura russa all’università di Roma e grande intellettuale croato: “si chiamano democrature e non democrazie”. Una vera democrazia non può che costruire la pace, perché la democrazia si fonda sull’uguaglianza degli uomini. Se tu riconosci al tuo concittadino l’uguaglianza, non ti viene da negarla all’altro, che non è tuo concittadino per pure ragioni di evoluzione storica. Gli Stati Uniti sono una testimonianza. Lì sono venuti da ogni angolo del mondo: l’economia del Grande Paese ne aveva bisogno e li hanno importati. Nel corso di alcuni anni sono diventati cittadini statunitensi che vengono citati addirittura come paradigma dello spirito statunitense.

Se noi sentiamo una canzone di George Gershwin, immediatamente pensiamo a New York, Broadway, agli Stati Uniti, eppure George Gershwin non si chiamava così, il suo vero nome era Jacob Gershowitz, era un ebreo russo che non era neanche nato negli Stati Uniti e che ha dato agli Stati Uniti, per quello che concerne la musica dei bianchi, diciamo così, la sua identità più specifica. Quindi, come vediamo, l’altro può diventare come noi e persino “più di noi”. E di esempi così se ne potrebbero trovare a centinaia, oggi anche in Italia.

Mi sono domandato come mai la nostra Costituzione può essere così facilmente disattesa pur essendo una Costituzione straordinaria. Perché, a mio parere, non è stata posta con la necessaria forza la questione della dignità che è pure rubricata nella nostra Costituzione. Ma, per esempio, nella costituzione tedesca, nella sua primissima parte che si chiama Grundgesetz, parte fondamentale, al primo articolo comma uno, recita così “La dignità umana è intangibile”, non la dignità del cittadino tedesco, ma la dignità umana e  dichiara assiomaticamente che la dignità non è a disposizione di alcuna autorità. Un potere statuale, anche il più democratico, può sospendere un diritto nell’occorrenza di un crimine. Un ladro viene messo in galera: lo si priva del diritto alla libertà e dei diritti connessi. Ma non lo si può privare della dignità. La dignità si sfarina se un potere cerca di condizionarla. La dignità precede i diritti ed è la consapevolezza della dignità che ha potuto dare vita alle legislazioni che l’hanno poi declinata nei diritti. La dignità è la condizione assoluta che appartiene alla vita e a ogni essere umano dalla sua nascita. Non la si può mettere in discussione. Se togli la dignità, vuol dire che distruggi la vita. E’ come se uccidessi la persona. I nazisti lo hanno capito molto bene e hanno tolto a coloro che hanno dichiarato nemici la dignità, dopodichè assassinarli per essi non era un crimine, ma una procedura legittima.

Allora i presupposti della pace sono riconoscimento della piena totale integrità dell’essere umano e aggiungerei dell’essere vivente. Per cui le istituzioni solide dovrebbero richiamare instancabilmente e inesorabilmente, a mio parere, a questo concetto. A partire dal linguaggio. Perché la trasformazione del linguaggio crea una consuetudine a lasciar perdere. Certo linguaggio che si usa oggi, dieci anni fa, vent’anni fa sarebbe stato impossibile. Sarebbe successo il finimondo. Invece, adesso è diventato corrente. Per esempio, la parola più schifosa, le due parole più schifose che si sono ingenerate negli ultimi anni in questa cloaca mediatica che domina le comunicazioni nel nostro paese: buonismo e giustizialismo. Sono parole che stanno in bocca a furfanti di ogni risma. Bisognerebbe reagire alla perversione del linguaggio che passa da un linguaggio di civiltà del rispetto reciproco a una inciviltà dell’insulto, della calunnia, della disgregazione del senso della piena dignità dell’essere umano chiunque egli sia. Si passa a un linguaggio di guerra. Perché la guerra non nasce semplicemente; la guerra intesa come lo spirito della guerra, non nasce solo da ragioni improvvise di conflitto, ma nasce da una sottocultura che si invera costantemente e ripetutamente. Per esempio, l’uso della parola terrorista nei confronti di qualcuno di cui non vuoi riconoscere la dignità. Ho sentito dire da molti ultras sionisti: “I palestinesi sono tutti terroristi”. Se tu lasci passare questo linguaggio, puoi bombardare Gaza e ammazzare civili e bambini perchè tanto sono tutti terroristi. “Cosa volete da noi? Perché ce l’avete con noi? Siete amici dei terroristi?” Dicono gli ultras del  sedicente sionismo.

Per queste ragioni il nostro lavoro richiede un impegno immenso da cui non ci possiamo sottrarre. Francamente vorrei anche andare in pensione dalla militanza, ma non posso perché ho un dovere al quale non mi posso sottrarre verso le prossime generazioni.

 

E Greta Thunberg, la ragazzina svedese?

 

Greta, la ragazzina svedese ci ha ricordato una cosa particolarmente significativa fra le altre. E’ andata, a 16 anni, a dire ai potenti della terra “Voi state condizionando lo sviluppo del pianeta con politiche predatorie e scellerate di cui non sarete voi a pagare le conseguenze”. Perchè se un sessantenne prende una decisione che poi creerà catastrofi, le pagheranno le generazioni  future, non lui. Dovrebbe essergli impedito. Questa attitudine a ritenersi i padroni del pianeta è fare la guerra alle generazioni future e le classi dirigenti, in questo senso sono impregnate di uno spirito bellicista, per un solo scopo: difendere e garantire i propri privilegi. Primo Levi in riferimento alla shoà ci ha lasciato questa eredità: “Se volete che non si ripeta ciò che  è stato e che si può ripetere, lottate con tutte le vostre forze contro la logica dei privilegi!” Il monito di Primo Levi si sta avverando: immigrati mandati a morire nei lager libici di botte, di torture, di violenze. Che differenza c’è fra gli ebrei che venivano respinti?

Mi piacerebbe, in una delle prossime ricorrenze del Giorno della Memoria, inviare una lettera al Presidente della Repubblica, chiedendo che in occasione delle celebrazioni venga interdetta la presenza di coloro che respingono i migranti verso la morte. Perché la pace si fa contrastando gli uomini di guerra. Un essere umano non può dirsi tale se non riconosce se stesso nel suo simile emarginato, oppresso, in pericolo di vita. E la condizione dell’esilio, della paura, dello smarrimento è la condizione più specifica dell’uomo e della sua fragilità: l’uomo è creatura fragile. Grazia Deledda diceva:”Canne al vento”. Una mia amica cardiologa ha parafrasato:”Noi siamo carne al vento”. Questo siamo noi esseri umani. Per costruire la pace, dobbiamo riconoscere la nostra fragilità e la nostra fragilità la riconosciamo nell’ultimo degli uomini. In quel nostro simile, noi vediamo chi siamo realmente. Se non siamo in grado di riconoscerci negli ultimi, non usciremo dal bellicismo e andremo incontro a guerre ancora peggiori per la questione dell’acqua, delle, risorse,  della siccità. In conclusione il problema della pace non è tema per anime belle.

Il problema della pace è per persone che amano l’umanità.

E coloro invece che non sentono questo amore non ne sono degne: L’amore non è un sentimento sdolcinato per innamorati. Ma è il riconoscimento di impegno personale verso l’altro, perchè la questione dell’alterità è la madre di tutte le questioni dell’umanità. Se non la riconosceremo, continueremo a fomentare guerre e conflitti. L’altro non è il nemico da combattere e da eliminare per sentirci sicuri, ma è il nostro simile da incontrare e riconoscere per incontrare e riconoscere noi stessi.

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Medicina Democratica

Riace. Musica per l'Umanità

Mettiamo a disposizione una recensione al libro

“Riace, musica per l’umanità” Autori vari,

a cura di Laura Tussi e Fabrizio Cracolici
Mimesis Edizioni

http://mimesisedizioni.it/

Sono onorato di scrivere questa recensione, io umile eco-pacifista di provincia . Non una provincia qualsiasi, ma quella di Livorno, che concentra quasi tutte le contraddizioni denunciate dagli autorevoli autori del libro, dalla base USA di Camp Darby, al porto militarizzato di Livorno, alle grandi fabbriche inquinanti e climalteranti di Livorno, Rosignano e Piombino. Il libro “Riace” è agile e profondo allo stesso tempo: ruota intorno alla straordinaria esperienza di accoglienza e integrazione dei migranti a Riace, un paesino della Calabria orientale, già celebre per i famosi “Bronzi”, che testimoniano di antichi rapporti interculturali. Paesino spopolato dall’emigrazione verso nord dei calabresi, e fatto rivivere dai migranti, prevalentemente profughi di guerra, accolti dal sindaco Domenico “Mimmo” Lucano: un’esperienza straordinaria descritta nell’intervista a Mimmo, e proposta dagli altri autori del libro a ricevere il premio Nobel per la pace.
Scrive padre Alex Zanotelli nel suo pezzo “per un’utopia possibile”:
“Ho gioito quando ICAN 1ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace, per il suo impegno contro le armi nucleari. Come credente nel Dio della vita, non posso che essere contrario a questi strumenti di morte che minacciano oggi l’umanità. Lo sono anche come missionario che ha toccato con mano la sofferenza degli impoveriti. Infatti le armi nucleari proteggono un sistema profondamente ingiusto, proteggono il 10% della popolazione mondiale che consuma da sola il 90% dei beni prodotti.
Penso sia significativo legare il Premio Nobel dato a ICAN per la campagna contro le armi nucleari e la campagna per dare il Premio Nobel a Domenico Lucano, sindaco di Riace, il paese dell’accoglienza.
L’umanità ha oggi davanti a sé due gravi minacce,
Mentre l’abolizione delle armi nucleari e una nuova politica di accoglienza, come è stata fatta a Riace, permetterebbero all’umanità di rifiorire.
Per me è chiaro che il primo passo è quello dell’abolizione delle armi nucleari, perché servono a proteggere privilegi.
Le armi atomiche servono a proteggere un sistema mondiale ingiusto che forza 3 miliardi di persone a vivere con due dollari al giorno e 821 milioni a patire la fame. Per cui gli impoveriti sono costretti a migrare.
Le migrazioni oggi non sono un’emergenza, sono strutturali a questo sistema.
Per questo mi auguro che la campagna per il Premio Nobel per la Pace a Lucano abbia successo e che Riace diventi un esempio per tutti, dimostrando che le migrazioni non sono un problema, ma una risorsa per far rivivere questa vecchia Europa.”
Notiamo il termine “Impoveriti” che usa Alex: non poveri, ma impoveriti dalla rapina pluri-secolare da parte dei paesi predatori, essenzialmente l’Europa.
Vittorio Agnoletto, con la consueta lucidità documenta, dopo aver citato Virgilio e Ulisse:” Il diritto di emigrare, afferma il giurista Luigi Ferrajoli, dovrebbe diventare un nuovo principio costituente nell’architettura istituzionale a livello mondiale.
Il diritto di emigrare, il diritto alla libertà di movimento oltre qualunque confine, è antico come la storia dell’umanità; non a caso è stato riaffermato con forza il 10 dicembre del 1948, nella Dichiarazione universale dei diritti umani, che nell’articolo 13 recita: “1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato. 2. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese”. Per poi proseguire con l’articolo 14: “1. Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni…”.
Nel 1966 la Convenzione internazionale sui diritti civili e politici ribadisce tale diritto nell’art. 12 comma 2: “Ogni individuo è libero di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio”.
Principi ripresi dalla Costituzione italiana all’art. 35, dove afferma che la Repubblica: “Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell’interesse generale, e tutela il lavoro italiano all’estero”.
Il riferimento al lavoro non è certo casuale; la ricerca di un’occupazione in grado di garantire il proprio mantenimento e quello di tutta la famiglia è la ragione prima che da sempre spinge ad abbandonare la propria terra, innescando fenomeni collettivi destinati a produrre profondi cambiamenti sociali.”
Fabrizio Cracolici e Laura Tussi scrivono: “ Dov’è finita la voglia di contribuire alla realizzazione di un mondo giusto, equo e solidale? Oggi i nostri fratelli fuggono da guerre e da luoghi martoriati dalla nostra sete di potere, dico nostra perché è il ricco e opulento Nord del mondo che sempre più sta sfruttando un Sud del mondo che è in una situazione insostenibile (a dire il vero, anche per la complicità di élites locali succubi e vendute).
Si sta giocando con la vita di esseri umani che l’Occidente tratta come invasori, quando i veri invasori siamo noi, con i nostri eserciti, i nostri capitali, le nostre merci.
Il “cattivismo” di chi dileggia i presunti “buonisti” dilaga continuamente come metodo di distrazione di massa: chi detiene il potere così si garantisce nuovo e rinnovato controllo sulle popolazioni, scagliando contro gli ultimi del mondo i penultimi.”
Qui è evidente la “guerra tra poveri” voluta ed alimentata dai “sovranisti” delle due sponde atlantiche.
Cracolici e Tussi vanno al cuore dei problemi: “Le tre bombe di cui tratta anche il comboniano padre Alex Zanotelli:
– l’attività militare che trova la sua massima espressione nella guerra nucleare;
– la bomba climatica che comporta quotidiani disastri e dissesti climatici per le emissioni eccessive di gas serra;
– la bomba dell’ingiustizia sociale e della disuguaglianza globale dove l’1% dei ricchi detiene risorse pari a quelle controllate dal restante 99% dell’umanità”
E propongono, richiamando Hessel, delle soluzioni:
“Stéphane Hessel, nell’appello scritto con i resistenti francesi nel 1944 e pubblicato nel saggio Indignatevi!, suggerisce delle soluzioni alla crisi economica e di valori che attualmente sta stritolando e destrutturando il pianeta. La soluzione prevede la nazionalizzazione delle banche e delle industrie strategiche con un’economia al servizio delle persone, tramite investimenti pubblici per creare lavoro e per livellare la disuguaglianza globale e sociale per evitare la miseria dei ceti più deboli che ingenera risposte razziste e capri espiatori.”
Oggi la “resistenza” si fa con nuovi strumenti:
“ la rete ICAN e le COP ONU per il clima costituiscono un impegno globale tramite cui costruire una nuova internazionale dei diritti, delle persone, dei popoli, dell’umanità. Infatti la dipendenza dai combustibili fossili e dal nucleare è alla base di un modello sociale predatorio di accumulazione insostenibile che è causa principale di guerre e conflitti nel mondo. Per questo motivo il nostro attivismo, l’impegno di noi “alter-glocalisti” è volto a salvare il clima e la pace, per costruire una conversione ecologica fondata su un nuovo e alternativo modello energetico, decarbonizzato, denuclearizzato, rinnovabile al 100%, ossia pulito, democratico e socialmente giusto.”
Alessandro Marescotti , presidente di Peacelink con sede a Taranto, aggiunge nuove riflessioni e richiami storici fondamentali, ma scende anche in particolari “concreti” su che cosa significhi l’immigrazione sull’economia italiana e europea.
“Anche Mimmo Lucano ha deciso di violare le leggi ingiuste per un principio superiore. È accusato di favoreggiamento e di aver celebrato matrimoni per favorire l’immigrazione clandestina. Anche Valentino 2 era di fatto accusato di favoreggiamento.
A qualcuno non piacerà l’accostamento, ma siamo disobbedienti. Sia san Valentino sia Mimmo Lucano hanno compiuto un gravissimo reato: il “reato di umanità”. Di questo reato noi ci dichiariamo corresponsabili con san Valentino e con Mimmo Lucano. ……
Leggiamo i dati della Banca d’Italia riportati sul report Il contributo della demografia alla crescita economica.
Secondo la Banca d’Italia, senza migranti l’Italia sarebbe in gravissima crisi demografica ed economica, lo dicono i dati, i numeri del report che si trovano in questo mio brano, che a qualcuno risulterà un po’ indigesto.
Gli sviluppi demografici sarebbero stati estremamente penalizzanti per l’Italia se non fosse intervenuto negli ultimi 25 anni un significativo flusso migratorio in entrata. Scrive Enrico Cicchetti: “Particolarmente importante è risultato il contributo dei migranti alla crescita del PIL nel decennio 2001-2011: la crescita cumulata del PIL è stata positiva per il 2,3% mentre sarebbe risultata negativa e pari a -4,4% senza l’immigrazione. Il PIL pro capite senza la componente straniera avrebbe subito nel decennio 2001-2011 un calo del 3%”.
La demografia è centrale nel ragionamento della Banca d’Italia: si calcola che entro il 2041 nemmeno i flussi migratori previsti saranno in grado di invertire la tendenza demografica negativa in corso, per cui avremo molti anziani e pochi giovani, con uno sbilanciamento che sarà letale per l’economia se non arriveranno in nostro soccorso proprio loro: gli immigrati.
Se queste sono le conclusioni a cui sono arrivati i ricercatori della Banca d’Italia, viene da pensare che Mimmo Lucano a Riace abbia fatto esattamente quello che un sensato economista dovrebbe sostenere: l’accoglienza. Per contrastare non solo la disumanità, ma anche il declino economico.”
Anche Moni Ovadia richiama la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: “Tutti gli uomini nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”. “Questo enunciato – scrive – dovrebbe essere per ogni cittadino democratico il mantra di una fede laica e secolare che abbia al centro l’umanità in quanto tale prima di ogni successiva connotazione. Mimmo Lucano pratica questo mantra come un irrinunciabile strumento di relazione e di amministrazione di una comunità, per questo è riuscito a creare un’integrazione giusta eticamente e funzionalmente. È riuscito a creare un capolavoro di giustizia, mostrando che un altro mondo è possibile hic et nunc (qui ed ora, ndr).
Qual è stata la forza – prosegue Ovadia – che ha permesso a Mimmo Lucano di dare vita a un progetto così importante e vincente? A mio parere una cultura profonda e una consapevolezza che nasce dall’essersi formati al grande pensiero dell’umanesimo marxista e illuminista che ha forgiato le lotte per l’emancipazione e la liberazione degli ultimi, degli oppressi.
Gli uomini come Lucano sono il raggio di luce che fende le nebbie della sottocultura del disprezzo e dell’odio il cui esito ultimo è quello di condurre l’Italia nel marasma del discredito e dell’infamia.”
Parole pesanti quanto misurate ed appropriate che usa Ovadia. Sottolineo che è l’unico che richiama il “grande pensiero dell’umanesimo marxista e illuminista”, nel libro, in un’epoca in cui il pensiero marxista è messo di fatto all’indice.
L’intervista a Mimmo Lucano, il sindaco sospeso di Riace, è un piccolo capolavoro, che vale da solo la lettura del libro:
“Mi sono trovato per una casualità ad accogliere una nave sulle coste di Riace, con dei profughi: da quello sbarco mi sono avvicinato a questi esseri umani. Tanti elementi hanno fatto breccia nella mia sensibilità, per esempio la questione curda e le rivendicazioni politiche, che durano da più di un secolo, di questo popolo senza uno Stato, a cui viene impedito persino di parlare il proprio idioma. …………..
I nostri luoghi sono stati crocevia di scambi, di incontri, di contaminazioni tra culture, tra popoli, tra etnie e questo ci permette di incontrare con soddisfazione e orgoglio e senza pregiudizi le altre persone. …..
Avevo capito che meno le realtà sono contaminate dalla società dei consumi, che tende a far prevalere gli aspetti della materialità, della competizione e dell’egoismo, più sopravvive questo spontaneismo dell’animo. E questo è stato un elemento fondamentale. Nessuno ha mai detto “sono arrivati, ci rubano il lavoro”. L’apertura ci ripagava e nasceva il turismo solidale e nascevano queste attività di artigianato nelle cantine abbandonate dove lavoravano insieme persone del luogo e rifugiati.
…….. se è stato possibile in quel luogo dove si vivono queste condizioni e dimensioni di fortissima precarietà con le emigrazioni, con il latifondismo agrario, con l’emarginazione e la rassegnazione sociale, con le mafie, allora è possibile ovunque. Se è possibile nei luoghi dove si emigra, è possibile ovunque. Allora non ci sono alibi. Perché Riace non è una teoria, è una storia vera. Fatta di persone, uomini, donne, bambini. Di persone che hanno cercato di creare una comunità globale e che hanno dimostrato che la convivenza tra esseri umani che provengono da luoghi diversi e con diverse etnie e religioni è possibile. E che insieme è meglio. È possibile quasi connettere le varie identità e il riscatto dello stato sociale e dello stato umano. Riace ha dimostrato questo. Quindi anche per il futuro bisogna ripartire da quest’idea. È una speranza per l’umanità.
Le conclusioni sono di Alfonso Navarra, sotto il titolo “Il nuovo umanesimo è la nonviolenza efficace”.
“La nonviolenza di cui parlava il partigiano Hessel, e da me condivisa, non era e non è l’ideologia passiva e moraleggiante del “sopportate le ingiustizie e sforzatevi di perdonare i prepotenti”, ma l’intelligenza strategica fondata sulla forza dell’unione popolare.
Il fascismo dei nostri giorni è attrattivo non perché leva il braccio nel saluto romano e nemmeno perché offre ai suoi adepti l’adrenalina di un nuovo squadrismo; bensì perché propone assistenza sociale agli uomini dimenticati, promettendo alle vittime della globalizzazione neoliberista l’illusione dell’appartenenza a comunità omogenee, “identitarie”, frammentate, l’una contro l’altra, armate nella concorrenza reciproca.” Qui Navarra rilancia il rigetto della guerra tra poveri. E propone:
“Dobbiamo costruire una nuova Internazionale dei movimenti alternativi che sospinga le enormi opportunità di liberazione e trasformazione delle campagne ecopacifiste, a partire da quella per la proibizione giuridica delle armi nucleari, primo passo per la loro eliminazione effettiva.
La nonviolenza efficace: questa via in cui i mezzi sono omogenei ai fini è quanto mi permetto ancora di suggerire a chi, alla ricerca di un nuovo umanesimo, ha fame di verità e sete di giustizia.”
Scritto a Livorno, la città dei Quattro mori incatenati dai Medici, banchieri e schiavisti, nel primo giorno di una primavera dimezzata dal Coronavirus 21 marzo 2020

Maurizio Marchi – Medicina Democratica Livorno

1) ICAN International Campaign to Abolish Nuclear Weapons, Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari, che raccoglie 541 organizzazioni in 103 paesi, e ha ottenuto il premio Nobel per la pace nel 2017.
2) Valentino, cristiano martirizzato nel 270 d.c.

Note: Anche su http://www.medicinademocraticalivorno.it/

Articolo pubblicato da Laura Tussi

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Appello: No arsenali, si ospedali

Coronavirus – Appello

Appello: No arsenali, si ospedali

La proposta dei Disarmisti esigenti, di WILPF Italia e di personalità ispirate dalla cultura della terrestrità e della pace: convertire le spese militari in investimenti per la salute, aderire al Trattato di proibizione delle armi nucleari, ritirarsi dalle guerre neocoloniali in cui siamo coinvolti
Appello: No arsenali, si ospedali

APPELLO

Appello: No arsenali, si ospedali

FIRMA QUI

Coronavirus: emergenza collegata alla distruzione degli habitat, effetto del riscaldamento globale e delle guerre.
Che fare per fronteggiarla?
La proposta dei Disarmisti esigenti, di WILPF Italia e di forze e personalità ispirate dalla cultura della terrestrità e della pace: convertire le spese militari in investimenti per la salute, aderire al Trattato di proibizione delle armi nucleari, ritirarsi dalle guerre neocoloniali in cui siamo coinvolti

Promossa da Disarmisti Esigenti e WILPF Italia (coordinamento politico organizzativo), membri italiani ICAN

Con invito ad aderire, sostenere, diffondere

 

Emergenza coronavirus: è chiaro che “dopo” la crisi in cui siamo tragicamente immersi ben poco resterà come “prima”. E noi, i promotori del presente appello, siamo tra quelli che vorremmo un “dopo” di grande cambiamento in direzione positiva, in cui il “prima” – il malsviluppo dell’accumulazione per il profitto e per la potenza che ci ha condotto alla catastrofe – sia consapevolmente abbandonato.
Questo “dopo” dovrebbe incorporare i valori che, praticati “durante”, ci permetteranno di superare nel miglior modo possibile questo difficile momento: dopo anni di chiusure nazionalistiche, di razzismi, di odi e conflitti armati, un senso di solidarietà tra le persone e tra i popoli; dopo l’attacco a tutto ciò che è statale e le privatizzazioni selvagge, una rivalutazione della sfera pubblica e degli interventi programmati da parte governativa; e soprattutto un inizio di consapevolezza della dipendenza e fragilità umana rispetto alle forze della Natura, che deve tradursi in comportamenti individuali e collettivi sobri e prudenti, di rispetto per tutta la comunità dei viventi. L’ecosistema globale sconvolto reagisce e ci attacca con “nuovi” virus, in attesa di colpi ancora più tremendi che verranno da tempeste, alluvioni, siccità, desertificazione, carestie…
Potremmo ora, edotti dalla drammatica esperienza che stiamo affrontando, finalmente percepire che tutti gli esseri umani, articolati nei vari popoli, sono una unica famiglia che appartiene alla Madre Terra e che, come consigliava Martin Luther King: “Dobbiamo imparare a vivere tutti insieme come fratelli, altrimenti periremo tutti insieme come idioti”.

La componente ecopacifista dell’arcipelago nonviolento, ispirata dai Disarmisti esigenti, e a WILPF Italia, membri della Rete ICAN (Campagna Internazionale per l’abolizione delle armi nucleari), premio Nobel per la pace 2017, sulla base di questi presupposti di convivenza e collaborazione pacifica universale, propone che si inizi la conversione del sistema militare anche per sostenere le spese sanitarie urgenti necessarie per sconfiggere l’epidemia in corso, evitando la catastrofe.
L’apparato militare-industriale-fossile-nucleare è la principale causa delle minacce che incombono sull’umanità tutta: in primis il pericoloso intreccio tra minaccia nucleare e minaccia climatica in sinergia con la disuguaglianza economica e l’oppressione le cui vittime sono in crescita esponenziale a partire da donne, bambini e i soggetti fragili.

E’ necessario, allora, che le risorse pubbliche ad esso destinate comincino a essere dirottate verso un serio “Green New Deal”, una conversione ecologica dell’economia, uno stop all’accumulazione illimitata e un focus sui bisogni umani e di salvaguardia dell’ambiente, realizzante la piena occupazione; un ecosviluppo che vede tra i suoi pilastri anche una sanità pubblica messa in grado di fronteggiare emergenze come quella terribile da coronavirus.

Come richiesta urgente per l’Italia, proponiamo in particolare che le spese militari, a partire da quelle incostituzionali degli F35 e dei sistemi d’arma offensivi, siano dirottate subito verso misure sanitarie a beneficio della vita e della salute dei cittadini.

Reiteriamo la richiesta che l’Italia ratifichi il Trattato di proibizione delle armi nucleari, contribuendo alla sua entrata in vigore. E’ mai possibile – non possiamo non chiederci – che una maggioranza al governo che ha votato per questo Trattato al Parlamento europeo poi si sottragga a questo impegno in Italia permettendo che si continuino a buttare soldi per mantenere le bombe atomiche USA in Europa (e sul nostro territorio)?

Nel mondo sono in corso varie guerre con dreammatiche conseguenze umanitarie ed ambientali, di cui tre proprio di fronte al nostro balcone mediterraneo: Siria, Yemen e Libia, questa ultima che vede più direttamente implicata l’Italia, a difesa dell’ENI, in intricatissime partite geopolitiche con il petrolio e le altre risorse energetiche come posta principale.
Dal punto di vista dell’epidemia queste guerre potrebbero essere devastanti, come a suo tempo lo fu la famigerata influenza “spagnola”.
Qui citiamo le parole dell’illustre infettivologo Aldo Morrone, direttore del San Gallicano:
“Se ci fosse una vera volontà di contrasto dell’epidemia bisognerebbe partire da un immediato stop alle guerre, da un immediato riconoscimento del diritto alla mobilità dei migranti e dei rifugiati, in sicurezza. Non è una fissazione pacifista ma una necessità scientifica”.

Ascoltiamo queste parole e decidiamo di ritirarci unilateralmente da queste guerre e di revocare le missioni militari all’estero.
Sosteniamo l’alternativa della difesa civile non armata e nonviolenta promuovendo in particolare i corpi civili e le ambasciate di pace.
Orientiamo fondi pubblici verso la riconversione produttiva della industria bellica verso il settore civile: non bombe e cannoni ma, ad esempio, i ventilatori e le attrezzature mediche di cui abbiamo tutti bisogno.
Ricordiamo il celebre adagio del mai dimenticato Presidente partigiano Sandro Pertini: “Si svuotino gli arsenali di guerra portatori di morte, si colmino i granai sorgenti di vita per milioni di persone che soffrono”.

Primi firmatari:

Alex Zanotelli  – Moni Ovadia -Luigi Mosca – Michele Carducci –

Antonella Nappi – Sabina Santovetti –

Tiziano Cardosi – Adriano Ciccioni – Tonino Drago – Giuseppe Farinella – Angelo Gaccione – Renato Napoli – Oliviero Sorbini

Coordinamento politico-organizzativo:

Alfonso Navarra, Fabrizio Cracolici, Laura Tussi – Disarmisti Esigenti, promotori di XR PACE (cell. 0039-340-0736871 email alfonsonavarra@vrgilio.it)

Antonia Sani – Giovanna Pagani – Patrizia Sterpetti – WILPF Italia

*****

«Il virus sia la chance che ci permetta di ritessere ciò che è infranto»

Lorenzo Maria Alvaro intervista Moni Ovadia su VITA

http://www.vita.it/it/interview/2020/03/17/il-virus-sia-la-chance-che-ci-permetta-di-ritessere-cio-che-e-infranto/310/

Per l’intellettuale ebreo l’emergenza sanitaria può essere un’occasione. «È una grande chance perché ci dimostra che dobbiamo fondare il nostro progetto umano sulla fragilità, non sulla forza. Ci può insegnare a porre come perno della costruzione della nostra società, la forza della fragilità»

Sono ormai tre settimane che l’emergenza Covid19 è l’argomento principale di ogni media della terra, Ma mentre prima il virus era una vicenda del lontano Oriente oggi, dopo che l’asia ha di fatto archiviato velocemente l’emergenza, nell’occhio del ciclone c’è l’Occidente. Con l’Europa, oggi il centro dell’emergenza e gli Stati Uniti che lo diventeranno presto. C’è chi però non si limita al conto dei malati o al conteggio dei danni economici. Moni Ovadia, intellettuale italiano di origini ebraiche, che come tutti è chiuso in casa, «lascio andare i pensieri, leggo molto e cerco di guardare al di là del contingente, per afferrare un’orizzonte».

 

Come vede gli italiani in questa situazione?

Molto onestamente sono in genere infastidito dalla retorica patriottarda dei politici. Trovo però che queste manifestazioni da balconi e finstre siano il frutto di una reazione collettiva che cerca di ritrovare il senso di comunità. Quello che però dovremmo ricordare è che in Italia ci sono 12 milioni di evasori. È bello cantare e condividere un momento come questo. È un modo di sentirsi vicini. Ma mi piacerebbe che insieme a questo si attivassi un processo di rimessa in questione di come viviamo, non “al tempo del coronavirus”, ma normalmente. E di conseguenza del senso cui apparteniamo. Oggi il nostro baricentro è lo sfrenato consumismo. Al limite il piagnisteo diffuso quando ci è impossibile esercitarlo. Dobbiamo ritrovare il senso della centralità della vita, della centralità del bene comune, della centralità della comunità sociale umana unica. Mi piacerebbe se si attivasse una profonda riflessione su questo. Sarebbe bello ritrovare il senso della vita, della fratellanza, della solidarietà. Non voglia fare il grillo parlante sia chiaro.

Però lo sta facendo…

Forse è vero (ride). Ma deve essere il fatto che sto facendo un reading dell’Enciclica di Papa Francesco che credo sia un documento che dovrebbe diventare patrimonio comune. Se c’è uno che non crede e che non è cattolico né cristiano sono io, però accidenti bisogna dire che è un’Enciclica prima di tutto sociale e quindi anche coerentemente ecologica. In quel testo noi ritroviamo il senso di quello che è definirsi “esseri umani” e di quel grande cammino verso una società di giustizia sociale che abbiamo intrapreso da migliaia di anni ma che è stato cortocircuitato dall’economia iper liberista che il Pontefice definisce “economia di morte”. È così vero. Basterebbe pensare che il Governo ancora a una volta mette in campo protezioni per tutti tranne che per gli operai della logistica. Ancora una volta la spina dorsale del sistema produttivo, la classe operaia, viene dimenticata in ragione del profitto. È una malattia da cui dobbiamo guarire.

Lei che si è sempre definito di sinistra radicale divulga un’Enciclica papale?

(Ride) Ai miei amici di sinistra quando l’ho letto ho detto: “Fate un po’ come cazzo volete ma io vado a prendere la linea del Vaticano”. La verità è che abbiamo bisogno di meticciato culturale. Non ne usciamo se no facciamo un’alleanza. Come diceva Papa Giovanni XXIII servono “tutti gli uomini di buona volontà”. Senza settarismi. Non è il momento.

Può essere il Coronavirus l’imprevisto che ci dà la chance di rivedere i nostri modelli ed equilibri?

Assolutamente. Prima di tutto però dobbiamo dire che questo virus ha l’aspetto tragico delle morti. Non si può dimenticarlo. Detto questo è una grande chance. Soprattutto perché dimostra che noi dobbiamo fondare il nostro progetto umano sulla fragilità non sulla forza. Ci può insegnare a porre come pivot, come perno, della costruzione della nostra società, la forza della fragilità. Che è solo apparentemente un’ossimoro: se ci riconosciamo fragili evitiamo di cadere vittime dell’arroganza, dell’hubris.

Per citare Vaclav Havel “Il potere dei senza potere”…

Esattamente. Siamo creature fragili e questo virus ce lo sta dimostrando in modo drammatico. Oggi la cosa più sensata è accettarlo. Sarebbe bello, e lo dico in senso laico, che questo obbligo forzato di stare nelle proprie case con le proprie famiglie diventi l’occasione di un ritiro spirituale. Cioè di riflessione sul valore delle relazioni umane e di ciò che è l’autenticità che la vita ci offre che abbiamo barattato con il consumo. Anzi tramutato in consumo.

Ha citato la fragilità, l’hubris, il mondo classico che è la culla di quel pensiero e di questo modo di guardare all’uomo. In questo senso il mondo latino, mediterraneo, può tornare a indicare una strada che si è persa per inseguire una visione più calvinista della vita, sempre più chiara guardando a Boris Johnson e Donald Trump?

Come ebreo approfitto di questa domanda molto giusta per dire che, in termini weberiani, l’unica fede che ha stabilito una relazione tra accumulazione capitalistica e redenzione è cristiana: il calvinismo. Non gli ebrei. Nonostante le barzellette (ride). Mai nel Talmud né nella Torah si troverà un riferimento all’accumulo di danaro come valore. Venendo al punto questa domanda mette il dito in una grande piaga. Tutto ciò che ha formato la civiltà dell’Occidente, del vicino Oriente e attraverso l’Islam anche a parte dell’Oriente è nato tra la Mezzaluna fertile e il Mediterraneo. Ebraismo, grecità, Cristianesimo, Islam. Sono nati in quel magico luogo. Il cristianesimo ha preso una deriva che lo ha portato a perdere i valori originali quando si è occidentalizzato, quando ha smarrito l’elemento della sapienza mediterranea orientale. Oggi l’Occidente cos’è a parte denaro, mercato e questo tipo di idolatrie? Ha una proposta spirituale? No.

L’Occidente ha anche grandi meriti però, o no?

Certamente. L’Occidente ha fatto grandi cose e dobbiamo essere onesti. Come i diritti, l’immensa cultura dei diritti. Ma di quella cultura, a parte i diritti civili che non disturbano il potere vero, non si può allo stesso tempo dire che ha abbandonato quel cammino dei diritti? Addirittura qualche solone ha scritto che a causa dei problemi economici non ce li possiamo più permettere i diritti sociali. Dobbiamo tornare al senso primo, quel cammino di conoscenza. Come diceva Emmanuel Lévinas “la filosofia parla greco. L’etica parla ebraico” e latino per via del contributo decisivo cristiano, dico io. Allora se noi ritroviamo quell’humus orientale, quell’aria desertica e quei venti del Mediterraneo, quel calore che è anche un calore intellettuale e spirituale, possiamo riprendere il cammino di redenzione dell’umanità. Se accettiamo di partire per la tangente occidentalista siamo persi. Teniamo conto che il cristianesimo diventa potere in Occidente. Ecco perché Papa Francesco è odiato dal potere, e anche da metà della sua stessa Chiesa.

In che senso?

Papa Francesco viene dall’altra parte del globo. Ma come chiamiamo le culture del Sud America? Latinoamericane. Perché c’è tutta la radice ispanica, quel clima di cui parlavo. Dove una parte del cristianesimo ha addirittura trovato la sua radice rivoluzionaria con la Teologia della Liberazione con il grande vescovo Hélder Câmara. Ma perfino il vescovo Óscar Romero è stato ucciso, nonostante non fosse un progressista. Il motivo è che difendeva il diritto dei poveri. Câmara diceva: «quando faccio l’elemosina ai poveri mi chiamano santo. Ma quando combatto la povertà mi chiamano comunista». Francesco viene da quel contesto. Quindi tronando al punto: noi europei mediterranei guardando al Medio Oriente, con rispetto invece che con aggressività, possiamo ricominciare un cammino. Ritessere quella parte interrotta per andare avanti. Dobbiamo ritessere l’infranto per poi proseguire.

A proposito della relazione Occidente e Oriente, l’economista Marcello Esposito, sostiene che questa emergenza sancisca il sorpasso orientale nei nostri confronti. È così?

Il problema è l’arroganza dell’Occidente che pensa di poter dare lezioni a tutti. C’è invece un enorme mondo, quello del lontano Oriente, che ha avuto grandissime spiritualità, verso cui noi continuiamo ad avere questo atteggiamento osceno di superiorità. Penso anche alla russofobia americana. Credo si debba piuttosto ridefinire la condizione geopolitica attraverso una pluralità di voci.

L’emergenza coronavirus potrebbe ridare la centralità perduta alla politica rispetto all’economia?

Assolutamente. Ma abbiamo bisogno di ridefinire il concetto di democrazia. Non può voler dire solo andare a votare ogni cinque anni. Questa è una scorza di democrazia. Un guscio vuoto. Per farlo serve ridefinire il senso della politica. Per me i partiti non hanno più senso, guardo ai movimenti. E guardo al Terzo settore, al sociale. Che oggi di fatto sopperisce all’abdicazione dello Stato. Quella è politica. Quella è la politica di cui abbiamo bisogno. Non i partiti. Con nuove forme da inventare. Pensiamo alla deriva della privatizzazione del mondo cominciata con Bill Clinton, tanto adorato dalla cosiddetta sinistra riformista. Bisogna ricordare che “privato” significa anche “tolto”. Cioè privare qualcuno di qualcosa. Abbiamo bisogno piuttosto di “privato sociale”, cioè di un privato che non pensa che cose come la sanità e l’acqua siano delle commodities, cioè beni negoziabili.

Note: Firma la petizione: https://www.petizioni.com/no_arsenali_si_ospedali
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Mimmo Lucano a Palazzo Reale di Milano

L’evento ha visto il coordinamento di Vittorio Agnoletto e la partecipazione di Moni Ovadia

Mimmo Lucano a Palazzo Reale di Milano

La presentazione del libro “Riace. Musica per l’Umanità” è stata per Milano un evento molto partecipato e la città ha dato una risposta positiva all’iniziativa: più di 700 persone in sala

L’evento ha visto il coordinamento di Vittorio Agnoletto e la partecipazione di Moni Ovadia

Con Mimmo Lucano, Moni Ovadia, Vittorio Agnoletto e tutti noi a Milano a Palazzo Reale

Mimmo Lucano a Palazzo Reale di Milano 

 

La presentazione del libro Riace musica per l’umanità è stata per Milano un evento molto partecipato e la città ha dato una risposta positiva all’incontro: più di 700 persone in sala. L’evento ha visto il coordinamento di Vittorio Agnoletto che sapientemente ha saputo gestire tutte le testimonianze.

Dopo i saluti istituzionali del consigliere Basilio Rizzo di Milano in Comune, è intervenuto Fabrizio Cracolici, spiegando le motivazioni della realizzazione di questo libro. Ha portato un appello alla comune umanità partendo dall’esempio dei nostri grandi maestri di vita.

Successivamente Laura Tussi ha esaminato e sviluppato il contenuto del libro contestualizzandolo nell’ambito delle comuni lotte sociali.

Giovanna Procacci Presidente del Comitato 11 giugno di Milano, che segue personalmente le fasi del processo a Mimmo Lucano, ha spiegato cosa sta succedendo.

Con Mimmo Lucano a Milano

Successivamente Alfonso Navarra ha spiegato l’importanza di unire le lotte sui diritti umani a quelle per la salvaguardia dell’ambiente, del clima e per la sicurezza del pianeta contro il rischio di guerre nucleari.

Vittorio Agnoletto ha fatto un Excursus storico sul diritto alla mobilità dell’uomo.

E poi è stato il momento della testimonianza di Mimmo lucano.

È stato un fiume in piena: con grande umanità e grande trasparenza da una persona che sta dedicando la sua esistenza a una causa comune come quella del diritto alla vita di chi fugge dalle guerre per cercare un riscatto.

L’iniziativa è stata chiusa dall’intervento di Moni Ovadia che ha stimolato tutti ad un impegno collettivo.

Gli interventi sono stati intervallati dalla musica d’impegno di Renato Franchi, Gianfranco D’Adda e Dan Shim Sara Galasso – Orchestrina del suonatore Jones.

Mimmo Lucano è con noi a Milano

Per l’intera durata dell’incontro Giulio Peranzoni ha disegnato in live i temi affrontati in questa presentazione.

Possiamo dire che questo evento di Milano inaugura e presenta in prima assoluta un libro che sarà un mezzo a sostegno di una causa e per il bene comune.

Durante questo incontro Mimesis Edizioni ha aperto una sottoscrizione a sostegno della fondazione Riace – è stato il vento e ha donato a tutti i contribuenti il libro.

Diretta streaming:

https://www.facebook.com/MilanoInComuneSinistraCostituzione/videos/527369151147577/

 

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La proposta di un patto antinucleare tra disarmisti e ecologisti

Incontro alla casa delle Associazioni di Milano

La proposta di un patto antinucleare tra disarmisti e ecologisti

Per un green new deal che inglobi il modello Riace. Con i messaggi di Moni Ovadia e Alex Zanotelli contro il nucleare civile e militare

Report dell'incontro

Report:

Il portavoce dei Disarmisti esigenti (membri della Rete ICAN, Premio Nobel per la pace 2017), Alfonso Navarra, in un incontro alla Casa delle Associazioni di Milano, ha posto il problema della ambigua posizione antinucleare dei nuovi movimenti ecologisti, prendendo spunto dalla testimonianza della sua partecipazione diretta alla manifestazione del 3 dicembre a Londra contro il vertice del 70ennale della NATO.

XR – Extinction Rebellion: protesta forte e comunicativa

Navarra aveva risposto ad un appello di XR PEACE inglese che chiedeva attivisti dall’Italia di XR disposti a farsi arrestare nella contestazione nonviolenta del 3 dicembre, per rendere forte e comunicativa la protesta.

Il movimento XR Peace per il disarmo nucleare ha come coordinatrice Angie Zelder che presenta all’attivo un curriculum di ben 100 arresti in seguito ad azioni dirette nonviolente. Quasi tutti gli attivisti di XR Peace sono reduci dalle battaglie a livello europeo degli anni 1980 per lo smantellamento degli euromissili nucleari (in Italia Comiso). Gli attivisti di Comiso e di XR Peace sono i ribelli all’estinzione dell’umanità e come nuovi partigiani hanno fatto una scelta di vita con  conseguenze e responsabilità imprescindibili in chi sostiene coerentemente cause di importanza vitale.

XR e il rifiuto del possibilismo filonuclearista

I pacifisti di XR a livello internazionale cominciano ad acquisire e recepire le istanze del rifiuto del possibilismo nucleare che Fridays For Future per il momento esprime e conferma con le dichiarazioni di Greta Thunberg e che ora parte della base (si vedano i Fridays for Peace di Trieste) sta cercando di superare evitando i tentativi di strumentalizzazione da parte della lobby del nucleare.

Navarra ha annunciato che sulle orme della XR PEACE inglese si costituirà in Italia XR PACE e che sua missione specifica sarà incardinare l’emergenza nucleare nel movimento che si batte per l’emergenza climatica, di modo che si comprenda che è il loro intreccio a dover essere affrontato per orientare l’intera società alla pace verso la Natura, condizione per la giustizia sociale.

La NATO non muore mai anche se cerebrolesa

Macron sostiene che la Nato è in uno stato di morte cerebrale, ma in realtà si è deciso, durante il vertice di Londra, un aumento delle spese militari davvero considerevole e spaventoso (100 miliardi di euro all’anno per i Paesi europei). La riconversione ecologica e il cosiddetto Green New Deal non contemplano, a giudizio di Navarra, il sistema militare perché esso ruba investimenti alla green economy, contrariamente a quanto deciso nel vertice Nato. Le riunioni del Consiglio europeo appena svoltesi prevedono fasi transitorie con mezzi che non sono in grado di risolvere e fermare i mutamenti climatici perché vedono la possibilità che l’energia nucleare sia finanziabile: vedono il nucleare e il gas utili per la transizione ecologica. La linea dell’Unione Europea è che il nucleare non sia propriamente sostenibile, ma utile per la transizione.

Conferenza stampa a Roma con i messaggi di Moni Ovadia e Alex Zanotelli

La conferenza stampa di Roma del 18 dicembre 2019, organizzata dai Disarmisti esigenti, da Accademia Kronos e dalla WILPF, con i messaggi di Moni Ovadia e Alex Zanotelli,  ha proposto una mobilitazione per un Green New Deal dove il nucleare sia abolito come soluzione.

Si continua a cercare il dialogo con i movimenti giovanili per proporre questa consapevolezza antinucleare, un patto antinucleare di ecologisti e disarmisti. Il nucleare dal punto di vista sociale è una fonte energetica molto centralizzata e sotto il controllo delle lobby e delle multinazionali. Con i governi parafascisti e sovranisti e il “cattivismo” dilagante non è possibile rispondere da buonisti per risolvere il problema di fondo in quanto il sistema di globalizzazione mondiale ha eroso il welfare e i diritti universali. A questa deriva di crisi strutturale che disorienta e spaventa i settori popolari dobbiamo rispondere con la tutela dei beni comuni e pubblici come il welfare universalistico per l’accoglienza dei migranti, con la green economy, per modelli universalistici di sviluppo internazionale, in vista di una innovativa riconversione ecologica dove la cittadinanza attiva e globale sia protagonista.

Per un’innovativa riconversione ecologica

Un’innovativa riconversione ecologica che porti alla piena occupazione, per la cui attuazione occorre il risparmio sia delle spese militari, sia dei sussidi ambientalmente dannosi al petrolio e alle grandi opere inutili e nocive che vedono il formarsi di movimenti a loro contrasto come i notav, i nomuos, i notriv, i noilva eccetera. Per una autentica conversione ecologica occorrono regole e infrastrutture pubbliche e grandi investimenti per una diversa mobilità e uno stato sociale universalistico che comprenda la solidarietà con i migranti, come una serie importante di azioni congiunte.

Per un green new deal che inglobi il modello Riace

Riace. Musica per l'Umanità

E’ quindi intervenuto Fabrizio Cracolici presentando il libro edito dalla Mimesis edizioni, “Riace. Musica per l’Umanità”.

Il cosiddetto mondo occidentale moderno e progressista, ha sottolineato Cracolici,  ha colonizzato e sfruttato i territori da cui partono le grandi migrazioni forzate, al fine di detenere il potere e il controllo sulle risorse come il gas, il petrolio, il coltan. Le persone fuggono dalle guerre innescate dallo sfruttamento e dall’estrazione di coltan, petrolio e gas per alimentare l’industria occidentale. Il vero problema è il sistema occidentale che crea disperazione in altri paesi con le grandi migrazioni non solo dall’Africa, ma anche dall’Italia in altre nazioni e continenti: i cosiddetti migranti economici che non sono un problema, ma una risorsa. I governi parafascisti vogliono far concepire un pericolo le migrazioni perché vogliono mettere contro gli ultimi e i più deboli per continuare a sfruttarli.

Riace: un altro mondo è possibile

Riace è un luogo di speranza dove si sviluppano processi che verranno esportati in tutto il mondo. È una grande visione della vita comprendere che le migrazioni possono nascere da uno slancio di umanità volto all’alternativa a questo sistema di potere che impone di sbilanciare il pianeta con poche persone molto ricche e molte persone molto povere. Riace è un modello contestualizzato e al contempo internazionale che ben si compenetra con le lotte di emancipazione che si stanno svolgendo a livello planetario: infatti la nostra comune umanità propone azioni concrete per il bene comune dell’accoglienza nel rispettare l’altro, il fratello, le persone migranti “portate dal vento” che sono una risorsa per tutta l’umanità.

Messaggio di Moni Ovadia:

Buongiorno sono Moni Ovadia, avrei voluto essere presente di persona a un incontro come quello di oggi che viene tenuto in una sede istituzionale e che affronta temi di decisiva importanza per il nostro presente e il nostro futuro. La questione ecologica e quella del disarmo nucleare sono intrinsecamente connesse perché entrambe attengono alla sopravvivenza dell’umanità e della vita stessa su questo pianeta. E’ a mio parere una assoluta priorità affrontare i temi in discussione ponendoli in testa alle agende politiche di chi governa e di chi legifera. E’ la politique politicienne che deve passare in secondo piano. le istituzioni devono accogliere le sollecitazioni e le richieste che vengono dal basso attraverso ininterrotte mobilitazioni. Devono farlo non con parole retoriche o dichiarazioni di buona volontà ma con fatti precisi. Stupisce per questo la decisione europea di accogliere il nucleare come alternativa al fossile. Il nucleare non è una alternativa come provato ampiamente dalle catastrofi di Chernobyl e Fukushima. Questa volta non si tratta di congiunture da superare, ma di inaugurare un’altra epoca, quella della centralità della vita.

Messaggio di Alex Zanotelli:

Buongiorno sono Alex Zanotelli. Sull’App di Papa Francesco, lui chiede preghiere per la fine dell’era nucleare. Chiaramente Francesco ha in mente il nucleare militare. Infatti a Nagasaki è stato durissimo su questo punto. È il Papa che è stato il più duro di tutti gli altri anche del concilio Vaticano secondo, dicendo che il possesso di armi nucleari è immorale e criminale e che una protezione di una nazione e del mondo con armi nucleari è criminale. È un insegnamento estremamente significativo questo. È il più avanzato della Chiesa cattolica e ne siamo grati a Francesco. Ma dobbiamo ricordare che il Papa sta parlando del nucleare non solo militare. Ma è talmente ovvio che il nucleare civile è essenzialmente legato al nucleare militare e che i due sono fortemente interconnessi. Per cui ritengo estremamente grave che molti, nel movimento che sta lottando per salvare il pianeta, pensano che una delle soluzioni energetiche sia quella di ottenere l’energia anche tramite il nucleare civile. Non lo possiamo assolutamente accettare. L’Italia è stata chiara. Nel referendum, il popolo italiano ho detto no al nucleare civile. Noi come popolo italiano abbiamo detto la nostra. Ma dovrebbe essere ormai chiaro. E mi auguro che si faccia chiarezza anche a livello di Chiesa. E’ doveroso che la chiesa anche in Italia e tramite il Papa anche nel mondo si esprima contro il nucleare, perché è un pericolo. È un pericolo in tutti i sensi. Quello che ci attende sono situazioni catastrofiche climatiche. E allora siamo certi che sono così sicuri tutti questi impianti nucleari civili? abbiamo visto quello che è successo a Fukushima in Giappone. Non possiamo vedere altre Fukushima in giro per il mondo con tutto quello che questo significa e comporta in un momento di degrado climatico come quello attuale. Quindi è fondamentale dire no all’unione europea perché si sta aprendo al nucleare civile. L’Unione Europea non può fare questo passo. È davvero grave. Quindi auguro a tutti che questa conferenza stampa e questo nostro impegno di militanti contro il nucleare militare, diventi anche impegno contro il nucleare civile perché i due sono profondamente interconnessi e legati. E non sono una soluzione per il futuro che ci attende. Un futuro che sarà fortemente minacciato da grandi cambiamenti climatici. Auguro un buon lavoro a tutti voi attivisti contro il nucleare.

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