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La nuova Nuclear Posture di Trump aggrava i rischi di guerra atomica

Uno scoop dell’Huffington Post diffonde i contenuti di un draft riservato

15.01.2018 Alfonso Navarra – portavoce dei Disarmisti esigenti

 

Il nuovo presidente USA Donald Trump, il cui isolazionismo propagandistico fino a qualche mese fa veniva presentato da molti nello stesso ambiente No-war come una specie di criptopacifismo (ricordiamo che la sua visita a Roma, nel maggio 2016, fu contestata da una “manifestazione” di sole tre persone anche per questo motivo), sta agendo invece in piena coerenza con una retorica sempre sbandierata di forza e “virilità” militariste. L’America di nuovo grande magari ha da barricarsi dietro alte mura, possibilmente a spese altrui, ma difendendo i portoni con fuciloni “atomici” – e convenzionali – ben spianati, e questa trucidità difensiva da cow-boy dei vecchi western fu gridata da subito, senza equivoci, nelle piazze della campagna elettorale, incluse quelle telematiche!

Dall’Huffington post sono filtrate indiscrezioni sulla Nuclear Posture Review che sarà varata sotto la responsabilità del presidente Trump : vi si può leggere la bozza finale del documento che la sua amministrazione adotterà a febbraio. Il commento è di Ashley Feinberg: “He wants a lot more nukes.

(Si vada su: https://www.huffingtonpost.com/entry/trump-nuclear-posture-review-2018_us_5a4d4773e4b06d1621bce4c5)

La Nuclear Posture Review (NPR) è un documento che definisce la “postura”, la strategia nucleare che ogni amministrazione statunitense stabilisce all’inizio del proprio mandato. Quella precedente dell’amministrazione Obama risale al 2010 tondo tondo: essa senza dubbio rifletteva solo in parte il discorso visionario pronunciato da Obama nel 2009 a Praga su “un modo libero dalle armi nucleari” (e il Trattato Nuovo START che un anno dopo stabilì con la Russia confermava molti pacifisti creduloni nella loro disillusione).

(Per scaricare la NPR di Obama: https://www.defense.gov/Portals/1/features/defenseReviews/NPR/2010_Nuclear_Posture_Review_Report.pdf)

Questi atti dell’Amministrazione Obama, START e NPR, pur insufficienti e contraddittori, però diminuivano la minaccia nucleare immediata che era stata rilanciata dall’Amministrazione di Bush Jr. (il quale nella guerra all’Iraq del 2003 esplicitamente non aveva escluso il ricorso a qualunque tipo di arma, con evidente riferimento all’arma nucleare: la giustificazione di un attacco nucleare preventivo!).

Trump ci riporta indietro di vari decenni in materia di politica nucleare, e, per quanto qualsiasi presidente USA dobbiamo considerarlo condizionato dagli enormi interessi del Pentagono e del complesso militare-industriale, nel suo caso sembra anche legittimo dubitare della “genialità” che sta millantando di fronte a chi critica le mitragliate di tweet dai contenuti diciamo eufemisticamente poco rituali ed istituzionali.

(Si veda di Alfonso Navarra: “La guerra nucleare spiegata a Greta, EMI edizioni, 2007. Una bozza del libro su Internet è rinvenibile alla URL: files.meetup.com/206790/guerra_nucleare_greta_redazione_11-12-06.rtf )

La NPR di Trump

La sua NPR sembra la proiezione emblematica di una ossessione alla sicurezza armata che può condurre ad esiti autolesionisti, così come il disprezzo della diplomazia internazionale non giova certamente alla attrattività egemonica degli USA. In sintesi,  gli Stati Uniti svilupperanno nuove testate nucleari di piccola potenza (low yield) – “più utilizzabili” (more usable) –, e moltiplicano le circostanze in cui potranno fare ricorso a queste armi, abbassando così la soglia per il loro uso.

Può venire utile menzionare che il citato Nuovo START del 2010 vieta espressamente lo sviluppo di testate nucleari “nuove “, anche se questa norma è già stata aggirata dalle modifiche sostanziali della testata termonucleare B-61. La B-61, che già ospitiamo nelle basi di Ghedi ed Aviano, ridenominata B-61-12, diventa di fatto una testata nuova, con nuove capacità militari, nelle “strategie di guerra limitata al Teatro europeo”.

(Su questo aspettto, collegato al nuclear sharing NATO: alfonso-navarra.webnode.it/archivio-articoli/dossier-nato/ )

Da Greg Mello, del Los Alamos Study Group ci vengono segnalati anche: la cessazione del programma “Interoperabile” Warhead e il mantenimento della Bomba da 1,2 megatoni, di cui si era deciso il pensionamento.

E’ importante precisare, sottolinea Mello, che esistono elementi di continuità tra i documenti sulla NPR che si sono susseguiti nella storia; quindi anche tra la NPR di Obama e quella di Trump c’è la fiaccola che si trasmette dei programmi di modernizzazione degli ordigni nucleari.

Di per sé, la NPR non autorizza o finanzia i programmi di armi nucleari, costruisce infrastrutture o ordina le distribuzioni delle testate. E’ il Congresso che deve autorizzare e finanziare i programmi: questo spiega perché storicamente molti programmi di armi nucleari non sono stati implementati. Anche nella sfera puramente militare il Presidente può solo ordinare ciò che è possibile nelle condizioni date e può incontrare una dura resistenza da parte di generali e ammiragli.

La NPR ha quindi lo status generale di una serie di linee guida e una descrizione di un programma legislativo relativo alle armi nucleari.

(si vada su: https://www.pressenza.com/2018/01/leaked-trump-nuclear-posture-review-aims-continue-obama-weapons-modernization-significant-tweaks/)

Precisato ciò, vediamo separatamente, per facilitare l’esposizione, i due aspetti che possiamo ritenere più significativi, secondo una gerarchia individuata dallo scienziato critico Angelo Baracca: 1) le testate low yield; 2) le loro modalità d’uso. 

(si vada su: https://www.pressenza.com/it/2018/01/trump-aggrava-irresponsabilmente-la-minaccia-delle-armi-nucleari/)

  1. Nuove testate di piccola potenza

La nuova NPR stabilisce lo sviluppo di due nuovi tipi testate nucleari:

1) Una nuova testata  low yield, profondamente modificata, per i missili Trident D5 lanciati dai nuovi sommergibili nucleari della classe Columbia (con una sola parte della testata termonucleare, quella a fissione).

2) La reintroduzione di missili  Cruise, pure lanciati dai sommergibili: questa decisione, che Trump aveva preannunciato qualche settimana fa, viene giustificata con il pretesto di rispondere  all’accusa alla Russia di violare il trattato INF con gli Iskander installati a Kalinigrad.

Sviluppando testate nuove si va ovviamente in direzione contraria a quella del disarmo nucleare; ma il punto è che, con la piccola potenza, dalla “deterrenza” ci si sposta verso un possibile uso “sul campo di battaglia”.

Non dovrebbe però essere chiaro che una guerra nucleare non si può chiamare guerra perché non può rimanere limitata: l’escalation e la generalizzazione sarebbero inevitabili, e gli effetti dell’esplosione o di uno scambio anche limitati di testate nucleari avrebbe conseguenze catastrofiche e livello globale?

(si veda Alfonso Navarra, “Gli ordigni nucleari come arma di distruzione climaticahttps://www.pressenza.com/it/2018/01/gli-ordigni-nucleari-armi-distruzione-climatica/).

 Modalità di impiego allargate per gli ordigni nucleari

In questa direzione va anche un notevole allargamento delle circostanze formalizzate che consentono il ricorso alle armi nucleari. La precedente NPR di Obama escludeva tale uso contro “ Stati non nucleari aderenti al Trattato di Non Proliferazione che ottemperano gli obblighi del trattato”. La nuova NPT di Trump apre invece la possibilità di ricorrere alle armi nucleari in risposta a un attacco non nucleare “che causi vittime di massa (mass casualties)” o sia “diretto contro infrastrutture critiche o siti di comando e controllo nucleare”.

Osserva in proposito, nel citato articolo su Pressenza, lo scienziato critico Angelo Baracca: “L’ambiguità di termini quali “mass casualtiese “critical infrastructureimplica che gli Stati Uniti possono considerare il ricorso alle armi nucleari praticamente in qualsiasi conflitto armato!

Questa decisione di Trump, se confermata nel documento ufficiale, violerebbe gli impegni presi dagli USA , insieme agli altri Stati nucleari, nella Conferenza di Revisione del TNP del 2010: “diminuire il ruolo e il significato delle armi nucleari in tutti i concetti, le dottrine e le politiche militari e di sicurezza” e di perseguire negoziati per l’ulteriore riduzione degli arsenali nucleari”.

Ciò sarebbe del resto in linea con il boicottaggio del nuovo Trattato di proibizione delle armi nucleari (TPAN) del 7 luglio scorso, su cui l’Amministrazione Trump ha trascinato tutta la NATO: esso TPAN avrebbe “alimentato aspettative completamente irrealistiche”, sarebbe “divisivo”, e danneggerebbe il regime di non proliferazione.

Oltre a quanto menzionato, gli Stati Uniti – finalmente lo dichiarano in modo ufficiale – non ratificheranno il Trattato di messa al bando dei test nucleari (CTBT) del 1996: essi non lo avevano mai fatto nei trascorsi 21 anni perché – è sempre il parere di Angelo Baracca – si sono sempre riservati di poter riprendere i test nucleari, e avevano potenziato a tale scopo il poligono del deserto del Nevada.

La nuova NPT di Trump va infine messa in relazione con la nuova strategia di sicurezza nazionale, dove troviamo l’affermazione esplicita che “la Cina e la Russia sfidano la potenza, l’influenza e gli interessi dell’America, tentando di erodere la sua sicurezza e prosperità“.

Qui penso si possa concordare con una parte dell’analisi di Manlio Dinucci, collaboratore de “Il Manifesto): la vera posta in gioco per gli Stati uniti (è) “il rischio crescente di perdere la supremazia economica di fronte all’emergere di nuovi soggetti statuali e sociali, anzitutto Cina e Russia le quali stanno adottando misure per ridurre il predominio del dollaro che permette agli Usa di mantenere un ruolo dominante, stampando dollari il cui valore si basa non sulla reale capacità economica statunitense ma sul fatto che vengono usati quale valuta globale”.

(Si vada su: https://ilmanifesto.it/il-vero-libro-esplosivo-e-a-firma-trump/).

Dinucci cita, traducendoli, alcuni passi salienti del documento: “Cina e Russia vogliono formare un mondo antitetico ai valori e agli interessi Usa. La Cina cerca di prendere il posto degli Stati uniti nella regione del Pacifico, diffondendo il suo modello di economia a conduzione statale. La Russia cerca di riacquistare il suo status di grande potenza e stabilire sfere di influenza vicino ai suoi confini. Mira a indebolire l’influenza statunitense nel mondo e a dividerci dai nostri alleati e partner”.

Da questa analisi strategica americana deriverebbe una vera e propria missione affidata allo strumento militare USA: “Competeremo con tutti gli strumenti della nostra potenza nazionale per assicurare che le regioni del mondo non siano dominate da una singola potenza”, ossia per far sì che l’egemonia attuale degli Stati uniti si perpetui.

La “Strategia della sicurezza nazionale degli Stati uniti”, a firma Trump, ricorda Dinucci, coinvolgerebbe quindi l’Italia e gli altri paesi della Nato, chiamandoli a rafforzare il fianco orientale contro l’”aggressione russa”, e a destinare almeno il 2% del PIL alla spesa militare e il 20% di questa all’acquisizione di nuove forze e armi.

Proprio su quest’ultimo punto del coinvolgimento europeo interviene Daniel Ellsberg, analista militare che svelò i Pentagono Papers sul Vietnam, intervistato da “Repubblica” (15 gennaio 2018) sul libro appena dato alle stampe: “The Doomsday Machine”.

La domanda della giornalista Stefania Maurizi è: “Nonostante i progressi significativi nel disarmo, oggi ci sono migliaia di armi nucleari in <hair-trigger-alert>, ovvero pronte ad essere lanciate in pochi minuti. Cosa andrebbe fatto immediatamente?”

La risposta di Ellsberg è: “Gli Stati Uniti e la NATO non dovrebbero solo adottare la politica di no first use, ma dovrebbero agire in accordo con essa, eliminando dall’Europa tutte le armi nucleari tattiche, che sono tutte altamente vulnerabili e possono portare ad un lancio su falso allarme. Ciò significa rimuovere tutte le armi oggi in Italia, Germania, Belgio, Olanda e Turchia.

Ellsberg, ovviamente, non lesina le critiche nemmeno alla Russia: “Le minacce da parte di Putin di un first use delle armi nucleari – in connessione con l’Ucraina o con Kaliningrad – sono folli e immorali, come lo sono sempre state quelle della NATO.

L’impegno di Ellsberg è, in conclusione, si parva licet, sinergico con quello del sottoscritto: allertare l’opinione pubblica sul carattere mortale della minaccia universale costituita dalle armi atomiche. Il “caso Petrov” su cui lavoriamo ne è una clamorosa conferma (vedi trailer con link sotto riportato del film su l’uomo che il 26 settembre 1983 salvò il mondo dalla guerra nucleare). E’ questo di esigere il disarmo nucleare subito l’essenza del messaggio lanciato da “La follia del nucleare: come uscirne?. Mi riferisco al libro scritto insieme a Mario Agostinelli e Luigi Mosca (Mimesis edizioni, 2016), che è uno strumento del lavoro dei “Disarmisti esigenti(www.disarmistiesigenti.org).

 ‘The Man Who Saved The World’ Promo Trailer …

 

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Gli ordigni nucleari come armi di distruzione climatica

di Alfonso Navarra – direttore de “IL SOLE DI PARIGI”
Milano – 9 gennaio 2018

L’inverno nucleare è lo scenario, di cui, tra gli altri, fu pioniere il famoso astrofisico Carl Sagan, che, leggiamo su Wikipedia, “conseguirebbe ad una ipotetica guerra termonucleare di estensione mondiale tra potenze, come la Russia, gli Stati Uniti, la Cina, la Francia, la Gran Bretagna e altri paesi in possesso di un arsenale di armamenti atomici dal potenziale distruttivo su scala globale”.
Gruppi di scienziati hanno elaborato nel corso degli anni diverse teorie riguardanti questo fenomeno: si sono basati innanzitutto sugli effetti riscontrati durante le esplosioni atomiche avvenute a Hiroshima e Nagasaki (in Giappone) sul finire della Seconda Guerra Mondiale, poi sui vari esperimenti nucleari portati a termine da molti stati nel periodo post-bellico e della Guerra fredda; infine sugli effetti collaterali del disastro di Chernobyl.
La guerra nucleare andrebbe a formare, in virtù dei venti, delle particelle di materia carbonizzata, delle polveri radioattive e di qualsiasi altra sostanza in grado di alzarsi nell’aria, una barriera impermeabile ai raggi solari che farebbe crollare le temperature nell’atmosfera. La combinazione tra le temperature gelide, l’oscurità permanente e le radiazioni dovute alle esplosioni atomiche produrrebbero sconvolgimenti climatici tali da pregiudicare la sopravvivenza delle specie animali e vegetali e provocare effetti devastanti anche sullo strato di ozono.
L’inverno nucleare deriverebbe dalla produzione di polveri fini in conseguenza dell’esplosione di testate nucleari su obiettivi civili (e quindi non sui mari o nei deserti come durante i test atomici).
Lo scenario di impiego massiccio delle armi poggia sul fatto che al momento delle esplosioni un moto convettivo (il fungo atomico) trasporta rapidamente tutte le polveri verso strati più alti.
Spiega sempre Wikipedia: “Questo dovrebbe creare una uniforme nube di polvere e cenere radioattiva sospesa nell’aria fra i 1000 e i 2000 metri da terra. La nube accumulerebbe l’energia solare e farebbe salire le temperature degli strati della tropopausa e alta troposfera fino a 80 °C mentre la superficie della Terra rimarrebbe protetta dai raggi solari e si raffredderebbe in media di 40 °C”. Scusate se è poco!
Vi sono anche scenari di impiego più contenuto di armi “atomiche” che vanno sotto il titolo di “guerra nucleare locale”: vedi articolo allegato de Le Scienze (marzo 2010), autori Alan Robock e Owen Brian Toon, dal sottoscritto citato ne: “La follia del nucleare: come uscirne” (coautori Luigi Mosca e Mario Agostinelli – Mimesis Edizioni, 2016).
Questo il sottotitolo del pezzo: “Ci si preoccupa dei rapporti tra Stati Uniti e Russia, ma una guerra nucleare regionale tra India e Pakistan potrebbe offuscare il Sole e affamare buona parte dell’umanità”.
Qui la previsione diciamo ottimistica è di solo un miliardo di morti dopo una ventina di anni, a scalare dall’epicentro del conflitto.
Nel 2014 un altro studio su un possibile conflitto nucleare tra India e Pakistan è salito agli onori della cronaca: questo invece è stato pubblicato sulla rivista Earth’s Future dell’American Geological Society (AGU).
(si vada alla URL: http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/2013EF000205/full).
Siamo sempre ad uno scambio di 50 missili a testa di 15 kilotoni l’uno ma i morti previsti raddoppiano con l’uso di nuovi modelli: 2 miliardi al posto di uno.
La stessa cifra viene fuori da uno studio dell’ International Physicians for the Prevention of Nuclear War (si vada su: http://www.ippnw.org/nuclear-famine.html). Secondo quel lavoro, un conflitto nucleare su piccola scala potrebbe portare ad una diminuzione nella produzione di grano di almeno il 10% per dieci anni, con picchi che raggiungerebbero il 20% nei momenti peggiori.
Gli ordigni nucleari, se la teoria dell’inverno nucleare fosse pienamente comprovata, potrebbero secondo ogni logica essere inseriti a tutti gli effetti nella categoria delle armi di distruzione climatica: le catastrofi climatiche che possono provocare sono un effetto essenziale del loro impiego.
Arma direttamente climatica non è quindi, ad esempio, solo la tecnologia elettromagnetica usata militarmente per sconvolgere l’ambiente: è proprio l’arma nucleare, che produce onde d’urto, tempeste di fuoco, inquinamento radioattivo ed impatto elettromagnetico; ma, con un impiego relativamente allargato, anche il cosiddetto “inverno nucleare”.
Un attacco nucleare contro la Corea di poche decine di bombe H non farebbe solo milioni di morti subito su un territorio circoscritto: il cambiamento climatico e la destabilizzazione agricola ed ecologica investirebbero un’area molto più ampia (la Cina è vicina!) e nel periodo di un paio di decenni potrebbero causare, come si è visto, centinaia di milioni di morti.
Nel 1976, un’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato una Convenzione internazionale (  Risoluzione 31/72 del 10 dicembre 1976) che ha vietato l’uso militare di tecniche di modifica dell’ambiente che hanno effetti diffusi, duraturi e gravi nel tempo.
Essa è nota come Convenzione ENMOD (Convention on the Prohibition of Military or Any Other Hostile Use of Environmental Modification Techniques), è stata aperta alla firma il 18 maggio 1977 a Ginevra ed è entrata in vigore il 5 ottobre 1978.
L’Italia ha firmato la Convenzione a Ginevra il 18 maggio 1977 e l’ha ratificata con la legge n. 962 del 29 novembre 1980.
(Per il suo testo andare alla URL: http://disarmament.un.org/treaties/t/enmod)
La Convenzione proibisce l’uso militare e ogni altro utilizzo ostile delle tecniche di modifiche ambientali aventi effetti estesi, duraturi o severi.
Il termine “tecniche di modifiche ambientali” si riferisce ad ogni tecnica finalizzata a cambiare – attraverso la manipolazione deliberata dei processi naturali – la dinamica, la composizione e la struttura della Terra, incluse la sua biosfera, litosfera, idrosfera e atmosfera, così come lo spazio esterno.
I criteri per la definizione di tali tecniche non sono definiti nel corpo della Convenzione ma nell’Intesa sull’Articolo I che, riportando quanto emerso in fase negoziale, esplicita i termini:
“esteso” come riferibile ad un’area di diverse centinaia di kilometri quadrati;
“duraturo” come riconducibile ad un periodo di mesi o di almeno una stagione;
“severo” come correlato ad un’azione che provoca danni seri o significativi alla vita umana, naturale alle risorse economiche o altre attività.
I primi due criteri sono valutati con parametri quantitativi e l’ultimo criterio con elementi qualitativi in parte riconducibili al concetto di sviluppo sostenibile.
Il divieto di guerra climatica, ovvero di utilizzo delle tecniche di modifica del clima o di geoingegneria con lo scopo di provocare danni o distruzioni, viene ripreso anche nella Convenzione sulla diversità biologica del 2010.
Vogliamo, dopo queste informazioni, a questo punto cercare il pelo nell’uovo?
La Convenzione ENMOD non tutelerebbe l’ambiente da qualunque danno provocato dalle azioni belliche o ostili ma vieterebbe solo quelle tecniche offensive che trasformano l’ambiente stesso in un’arma, ascrivibili alle tecniche di manipolazione ambientale.
In questo senso non vieterebbe l’uso di armi atomiche per distruggere – che so – Pyong Yang ed altre città coreane. Ma si dovrebbe anche considerare l’eventualità che l’attacco alle città di un Paese piccolo possa essere solo uno schermo che nasconde l’intenzione di provocare modifiche ambientali capaci di disorganizzare e portare alla fame un Paese più grande confinante.
Gli ordigni nucleari capaci di tali effetti potrebbero allora essere considerati proibiti ai sensi della citata Convenzione ENMOD e una conferenza di revisione convocata ad hoc dall’ONU potrebbe avallare un tale sviluppo innovativo del diritto internazionale.
Un’altra strada potrebbe essere quella di considerare, all’interno del percorso dell’accordo per contrastare il riscaldamento globale di Parigi del 12 dicembre 2015, la minaccia nucleare direttamente come una minaccia climatica, non solo un problema collegato alla seconda dalla potenzialità analoga di estinzione della specie umana.
La minaccia nucleare potrebbe essere vista come possibile minaccia climatica diretta, allo stesso modo dell’accumulo di gas serra.
Questo ragionamento costituirebbe un salto di paradigma anche per noi Disarmisti esigenti, che pure abbiamo lavorato sull’intreccio tra le due minacce sia a Parigi, sia a New York che a Bonn, cioé sia nel percorso disarmista che in quello climatico.
Preparare la guerra nucleare significa comunque preparare il più sconvolgente e repentino cataclisma climatico. Potrebbe avvenire non solo come effetto collaterale ma come risultato di una azione intenzionale.
Sembrerebbe quindi opportuno, anzi doveroso, che il percorso ONU delle COP climatiche (ora dalla COP 23 di Bonn si va alla COP 24 a Katowice in Polonia) ne prendesse consapevolezza e si cautelasse dall’inverno nucleare o da quanto altro potesse essere prodotto dalle armi nucleari come alterazione climatica deliberata.
La crisi coreana rende questi discorsi molto concreti per chiunque, nel momento in cui due leader statali – e disgraziatamente non si tratta di una barzelletta – fanno la gara a chi detiene il bottone nucleare più grosso!
Quanto sopra esposto dovrebbe comunque fare riflettere reti come la COALIZIONE PER IL CLIMA, che si sono costituite con l’obiettivo di costruire iniziative e mobilitazioni comuni, nazionali e territoriali, per raggiungere la massima sensibilizzazione possibile sulla lotta ai cambiamenti climatici, allo scopo di salvare il nostro Pianeta.
Se si ha a cuore il futuro dell’ecosistema globale bisogna adoperarsi per eliminare alla radice la minaccia nucleare, che oltretutto, come si è detto, potrebbe essere direttamente minaccia climatica.
Ne consegue la necessità di farsi partner attivo della Campagna ICAN (Abolizione delle armi nucleari), allo stesso modo in cui la Rete ICAN non farebbe male ad occuparsi dell’intreccio tra minaccia nucleare e minaccia climatica.
Non sarebbe affatto fuori tema “ecologista” la richiesta che, al di là delle singole organizzazioni aderenti, la COALIZIONE in quanto tale si facesse addirittura componente di ICAN in Italia, accogliendo l’appello di “SIAMO TUTTI PREMI NOBEL”, lanciato con la conferenza stampa al Senato dell’11 dicembre 2017.