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Appello di padre Alex Zanotelli

Non vi chiedo atti eroici, ma solo di tentare di far passare ogni giorno qualche notizia per aiutare il popolo italiano a capire i drammi che tanti popoli africani stanno vivendo.
Scusatemi se mi rivolgo a voi in questa torrida estate, ma è la crescente sofferenza dei più poveri ed emarginati che mi spinge a farlo. Per questo, come missionario e giornalista, uso la penna per far sentire il loro grido, un grido che trova sempre meno spazio nei mass-media italiani, come in quelli di tutto il modo del resto. Trovo infatti la maggior parte dei nostri media, sia cartacei che televisivi, così provinciali, così superficiali, così ben integrati nel mercato globale. So che i mass-media , purtroppo, sono nelle mani dei potenti gruppi economico-finanziari, per cui ognuno di voi ha ben poche possibilità di scrivere quello che veramente sta accadendo in Africa. Mi appello a voi giornalisti/e perché abbiate il coraggio di rompere l’omertà del silenzio mediatico che grava soprattutto sull’Africa. È inaccettabile per me il silenzio sulla drammatica situazione nel Sud Sudan (il più giovane stato dell’Africa) ingarbugliato in una paurosa guerra civile che ha già causato almeno trecentomila morti e milioni di persone in fuga. È inaccettabile il silenzio sul Sudan, retto da un regime dittatoriale in guerra contro il popolo sui monti del Kordofan, i Nuba, il popolo martire dell’Africa e contro le etnie del Darfur. È inaccettabile il silenzio sulla Somalia in guerra civile da oltre trent’anni con milioni di rifugiati interni ed esterni. È inaccettabile il silenzio sull’Eritrea, retta da uno dei regimi più oppressivi al mondo, con centinaia di migliaia di giovani in fuga verso l’Europa. È inaccettabile il silenzio sul Centrafrica che continua ad essere dilaniato da una guerra civile che non sembra finire mai. È inaccettabile il silenzio sulla grave situazione della zona saheliana dal Ciad al Mali dove i potenti gruppi jihadisti potrebbero costituirsi in un nuovo Califfato dell’Africa nera. È inaccettabile il silenzio sulla situazione caotica in Libia dov’è in atto uno scontro di tutti contro tutti, causato da quella nostra maledetta guerra contro Gheddafi. È inaccettabile il silenzio su quanto avviene nel cuore dell’Africa , soprattutto in Congo, da dove arrivano i nostri minerali più preziosi. È inaccettabile il silenzio su trenta milioni di persone a rischio fame in Etiopia, Somalia , Sud Sudan, nord del Kenya e attorno al Lago Ciad, la peggior crisi alimentare degli ultimi 50 anni secondo l’ONU. È inaccettabile il silenzio sui cambiamenti climatici in Africa che rischia a fine secolo di avere tre quarti del suo territorio non abitabile. È inaccettabile il silenzio sulla vendita italiana di armi pesanti e leggere a questi paesi che non fanno che incrementare guerre sempre più feroci da cui sono costretti a fuggire milioni di profughi. (Lo scorso anno l’Italia ha esportato armi per un valore di 14 miliardi di euro!). Non conoscendo tutto questo è chiaro che il popolo italiano non può capire perché così tanta gente stia fuggendo dalle loro terre rischiando la propria vita per arrivare da noi. Questo crea la paranoia dell’“invasione”, furbescamente alimentata anche da partiti xenofobi. Questo forza i governi europei a tentare di bloccare i migranti provenienti dal continente nero con l’Africa Compact , contratti fatti con i governi africani per bloccare i migranti. Ma i disperati della storia nessuno li fermerà. Questa non è una questione emergenziale, ma strutturale al sistema economico-finanziario. L’ONU si aspetta già entro il 2050 circa cinquanta milioni di profughi climatici solo dall’Africa. Ed ora i nostri politici gridano: «Aiutiamoli a casa loro», dopo che per secoli li abbiamo saccheggiati e continuiamo a farlo con una politica economica che va a beneficio delle nostre banche e delle nostre imprese, dall’ENI a Finmeccanica. E così ci troviamo con un Mare Nostrum che è diventato Cimiterium Nostrum dove sono naufragati decine di migliaia di profughi e con loro sta naufragando anche l’Europa come patria dei diritti. Davanti a tutto questo non possiamo rimane in silenzio. (I nostri nipoti non diranno forse quello che noi oggi diciamo dei nazisti?).   Per questo vi prego di rompere questo silenzio-stampa sull’Africa, forzando i vostri media a parlarne. Per realizzare questo, non sarebbe possibile una lettera firmata da migliaia di voi da inviare alla Commissione di Sorveglianza della RAI e alla grandi testate nazionali? E se fosse proprio la Federazione Nazionale Stampa Italiana (FNSI) a fare questo gesto? Non potrebbe essere questo un’Africa Compact giornalistico, molto più utile al Continente che non i vari Trattati firmati dai governi per bloccare i migranti? Non possiamo rimanere in silenzio davanti a un’altra Shoah che si sta svolgendo sotto i nostri occhi. Diamoci tutti/e da fare perché si rompa questo maledetto silenzio sull’Africa.
Alex Zanotelli è missionario italiano della comunità dei Comboniani, profondo conoscitore dell’Africa e direttore della rivista Mosaico di Pace
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Investimenti insufficienti nell’energia per contrastare i cambiamenti climatici

Il nuovo rapporto dell’Agenzia internazionale per l’energia sugli investimenti nel settore è un’occasione per fare il punto su temi di rilievo per il prioritario impegno necessario per affrontare la crisi climatica. Continua – ed è una buona notizia per il clima – il calo degli investimenti mondiali nelle fonti energetiche fossili che nel 2017 sono circa un terzo in meno di quelli del 2014: un calo consistente avvenuto in pochi anni.

Fra i fossili, il calo maggiore continua ad interessare gli investimenti nel carbone: la Cina che consuma circa la metà del carbone mondiale, nel 2017 ha ridotto del 55% gli investimenti in nuove centrali a carbone.

L’altra buona notizia viene dagli investimenti mondiali nell’efficienza energeticache hanno raggiunto i 236 miliardi di dollari e che continuano ad aumentare (i green bond per esempio sono triplicati) trainati da quelli per l’efficienza del riscaldamento, del raffrescamento e dell’illuminazione degli edifici, cresciuti del 3%, anche se quelli nel settore industriale mostrano segni di flessione, in particolare per effetto della riduzione degli incentivi attuata nel 2017 in Cina.

Gli investimenti nel settore elettrico a livello globale sono in continua espansione per la crescente elettrificazione, per i consistenti investimenti nelle fonti rinnovabili e nelle reti. Una riflessione merita la flessione del 7% degli investimenti mondiali negli impianti per produrre energia elettrica da fonti rinnovabili registrata nel 2017.

Anche se gli investimenti nelle fonti rinnovabili hanno raggiunto i due terzi degli investimenti totali nella generazione elettrica del 2017 e il calo non è stato omogeneo: gli investimenti nel fotovoltaico e nell’eolico offshore sono cresciuti anche nel 2017.

Il calo dei costi dell’eolico, scesi al livello più basso del decennio, hanno ovviamente inciso sul calo degli investimenti necessari per i nuovi impianti, così come il calo dei costi del fotovoltaico che però e cresciuto di più nel numero di nuovi impianti installati. Discorso a parte merita l’droelettrico dove il calo degli investimenti andrebbe forse meglio indagato, ma sarebbe quello più preoccupante.

Gli investimenti mondiali nell’elettrificazione dei trasporti e dei consumi termici degli edifici hanno avuto nel 2017 una crescita esponenziale. Le vendite di auto elettriche sono ormai sono decollate, grazie a consistenti incentivi governativi che coprono circa il 24 % in media del prezzo di vendita. Si comincia anche a registrare una riduzione del consumo di 30.000 barili di petrolio al giorno per l’avvio della diffusione delle auto elettriche. È solo un inizio perché i barili di petrolio consumati al giorno nel mondo nel 2017 sono stati ancora 1,6 milioni!

La spesa globale per l’acquisto di pompe di calore , impiegabili per il riscaldamento e il raffrescamento , nel 2017 è cresciuta di ben il 30% ,contribuendo certamente a migliorare l’efficienza energetica . Senza dimenticare però che sono ancora solo il 2,5% delle apparecchiature termiche e che gli investimenti nel solare termico sono invece in calo da quattro anni.

Buoni segnali quindi non mancano, ma per portare il sistema energetico mondiale in traiettoria con gli obiettivi climatici dell’Accordo di Parigi servirebbe un altro passo, anche negli investimenti.

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2018: Auguri all’Umanità per evitare il disastro climatico e nucleare

Propositi di „rivoluzione disarmista ed ecologica“ (Carlo Cassola) nel 2018 che ci viene incontro

Noi DE agiamo nell’ambito della “rivoluzione disarmista” (Carlo Cassola): la denuclearizzazione non è un pranzo di gala ad uso dei balletti diplomatici. Sono necessari profondi cambiamenti, che hanno il loro motore nella rivolta geopolitica degli Stati (attualmente in fase embrionale) sostenuta dalla mobilitazione di base (anche qui siamo molto al di sotto del necessario). L’ordigno (non arma) nucleare, inserito nel suo apparato globale, cambia la natura del potere e della guerra. Non è equivalente alle “armi di distruzione di massa” che pure sono state usate: le chimiche in particolare in modo diffuso durante la prima guerra mondiale. Il potere nucleare crea un differenziale di potenza che fa fare un salto di qualità allo Stato che possiede gli ordigni “atomici”. Si ha una differenza di status e di rango nell’agone internazionale che le armi chimiche (ma anche quelle biologiche) non procurano. La guerra nucleare inoltre non è guerra ma uno sconvolgimento distruttivo di altra natura, da paragonare, nell’uso limitato, alle catastrofi naturali, nell’uso bellico ai cataclismi planetari. L’uso dell’arma chimica non cambia la natura della guerra, il suo modo fondamentale di combatterla, i suoi scopi, il suo senso. (Questo vale a maggior ragione per altre categorie di armi proibite: le mine antiuomo, le cluster bombs). Questi concetti però non sembrano chiari per chi afferma: togliere le armi nucleari non è poi così turbativo dell’ordine vigente, non richiede grossi cambiamenti. La stessa NATO si potrebbe, a loro avviso, denuclearizzare e rimanere nella sostanza tale e quale. Il presupposto dei pacifisti ispirati al marketing americano è: „queste armi sono dinosauri di un’epoca tecnologica trascorsa, se volete preparare ed eventualmente fare la guerra avete modi più moderni ed efficaci (anche se noi e voi ovviamente preferiamo la pace)“. Il 19 maggio nell’incontro internazionale di Milano ci sforzeremo di chiarire ed approfondire perché questo punto di vista è erroneo e fuorviante. E paradossalmente in ciò siamo confortati dal pensiero militare più avveduto e scaltrito: cito in proposito il generale Fabio Mini di “Che guerra sarà”, Il Mulino, 2017, che ho appena letto con estremo interesse. Uno dei punti che Mini spiega e sottolinea è che per le due massime potenze nucleari la tensione è rivolta verso la guerra preventiva, alla ricerca del primo colpo nucleare vincente: se ne facciano una ragione tutti coloro che parlano in modo sempliciotto di disarmo nucleare liscio e facile. L’obsolescenza del nucleare potrebbe scattare se, come si accennava, altre forme di armi e di guerra potessero provocare lo stesso differenziale di potenza: la capacità teorica di chi ne è dotato di annientare totalmente, e senza ripercussioni, chi non ne è dotato. Mini si chiede se la cyberguerra può raggiungere la stessa capacità e funzione: ma al momento la risposta è negativa. Essa – cyberguerra – è attualmente integrata nel sistema della potenza che ha al suo cuore il nucleare, e ne aumenta il rischio. Per Mini una futura guerra nucleare è più che probabile, se si sta alle logiche ed alle tendenze in atto, che di fatto la preparano e la avvicinano. L’altro punto che ci differenzia è la centralità del rischio nucleare, che in noi prevale sui ragionamenti geopolitici e giuridici. Vale a dire che per noi, in ragione del pericolo mortale – incombente e concretissimo – che occorre scansare, la denuclearizzazione, ed in particolare il disarmo nucleare, è la priorità delle priorità. Nessun ragionamento geopolitico (il disarmo favorirà negli equilibri di potenza questo o quello?) o giuridico (per rimuovere le „atomiche“ si deve chiedere il permesso, a livello internazionale e/o nazionale, alla legge X o alla procedura Y?) può essere messo prima. Quando parliamo con gli Stati NATO a noi non interessa sapere se la denuclearizzazione la indebolirà – la NATO – oppure se essa – denuclearizzazione – è compatibile con lo statuto dell’Alleanza e le sue strategie. Noi prospettiamo ai governi NATO, come a chiunque, il punto di vista dell’Umanità che vuole sopravvivere liberandosi da un rischio mortale. Spetta poi ai governi gestire il processo di eliminazione del rischio, se lo ritengono, conservando (o tentando di conservare) vecchi quadri giuridici e di alleanze politico-militari. Non è compito nostro avere preoccupazioni o dare consigli in merito. Ad ognuno il suo ruolo ed il suo mestiere. Quello che anima i DE è la consapevolezza ma anche il sentimento della minaccia esistenziale che è un imperativo categorico neutralizzare. E‘ il sentimento – non scontato – di chi pone l’amore ed il rispetto della vita (= la convivenza armonica tra società umana e Natura) come valori centrali. Ma anche la consapevolezza che la minaccia esistenziale globale ha tre inneschi innestati: 1) il nucleare, sia civile che militare; 2) lo squilibrio ecologico, con al centro il riscaldamento globale da combustibili fossili; 3) la diseguaglianza sociale crescente che la tecnologia della potenza sta trascinando persino sul livello biologico: lo stesso Mini ci ricorda che il Supersoldato sta trainando il Superuomo! Riguardo alla strategia politica internazionale abbiamo posto il problema della centralità del Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari rispetto al Trattato di Non Proliferazione delle stesse. Il ritmo lento delle ratifiche (solo 3 ufficiali dopo 5 mesi mentre l’accordo di Parigi sul clima dopo 4 era già entrato in vigore! Ed è, questo di Parigi, un accordo che ha aperto una vera faglia geopolitica!) ci deve spingere a riflessioni e probabilmente a riconsiderazioni. Cassola è sempre lì ad ammonirci sul rischio di Patti alla Briand-Kellog (nel 1928 la guerra venne dichiarata fuori legge!): quindi occhio alla Nuclear Free Zone globale, il nostro obiettivo è il disarmo nucleare totale ed effettivo. Vediamo cosa succederà questo 2018 quando il „fronte del TPAN“ (speriamo si riveli tale e che almeno non ci siano defezioni tra i 122 Stati che il 7 luglio a New York lo anno adottato!) si confronterà con il „fronte del TNP“, intendendo con questa espressione le potenze che di esso si fanno scudo per giustificare il loro „oligopolio atomico“. Noi abbiamo comunque sempre giocato una seconda carta da proporre come complementare: affiancare il „percorso umanitario“, oggi premiato dal Nobel per la pace, con il „percorso di Parigi“: dobbiamo aiutare la maturazione della consapevolezza e dell’impegno che la difesa della vita e del Pianeta da tutte le minacce esistenziali esige una limitazione della sovranità degli Stati nel senso del bene comune. La rivoluzione disarmista, cioé l’Internazionale dell’Umanità, il federalismo mondiale che – nella cooperazione che crea sicurezza comune – abolisce frontiere ed eserciti nazionali, per noi è anche una rivoluzione ecologista: al cuore di essa ci sta la rapida transizione verso il „modello energetico rinnovabile al 100%“: e qui trova spazio e senso l’azione locale, territoriale, che deve inserirsi in un obiettivo globale con un coordinamento internazionale. Per questo, promuovendo „Il Sole di Parigi (www.ilsolediparigi.it)“, partecipiamo alle COP dell’ONU contro il riscaldamento globale e ora stiamo lavorando per portare la „Coalizione per il Clima“ a lavorare per il TPAN anche alla COP 24 che si terrà nel novembre 2018 in Polonia. Nel sito www.disarmistiesigenti.org ci presentiamo così: „I “Disarmisti esigenti” sono un progetto politico di attiviste e attivisti e personalità nonviolente, nonché di organizzazioni internazionali, nazionali e locali che lavorano per la pace e il disarmo. La nostra nascita nel 2014 avviene in risposta alla chiamata dell’appello di Stéphane Hessel ed Albert Jacquard ad “esigere un disarmo nucleare totale”. Abbiamo quindi dato vita e gambe ad un accordo operativo che si costituisce come strumento culturale e politico per contribuire al movimento mondiale antinucleare, impegnato a liberare l’umanità dalla principale minaccia esistenziale che pende sulla sua testa. Ciò significa e comporta, tra l’altro, radicare in Italia la Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari, con l’ambizione, da parte nostra, che sia condivisa a livello globale la necessità di una rapida transizione dalla proibizione giuridica (processo aperto dal Trattato del 7 luglio 2017) alla loro totale eliminazione fisica. Questo obiettivo, incoraggiato dal conferimento del premio Nobel per la pace ad ICAN (www.icanw.org), richiede una strategia ed un lavoro con un’ottica internazionale che rappresenta il nucleo della nostra ragion d’essere.” Le organizzazioni fondatrici del progetto, la LOC, la LDU, la Campagna OSM-DPN, con i loro stretti partner (WILPF Italia, PeaceLink, Energia Felice, Accademia Kronos, la francese Armes Nucléaires STOP), sono di natura nonviolenta. Questo spiega il tentativo di un metodo di lavoro aperto, inclusivo, attento al lavoro di base, che prende ispirazione dall’esperienza del vero erede di Aldo Capitini, il nostro caro Alberto L’Abate, appena scomparso, ma compresente. L’ancoraggio a questo metodo ci ha fatto lanciare, grazie alla collaborazione della senatrice Loredana De Petris, l’11 dicembre scorso, con una conferenza stampa al Senato, la campagna „Siamo tutti premi Nobel“. Per noi ICAN non è un feudo di lobbysti del pacifismo, ma la casa di tutte le attiviste e gli attivisti che si sono battuti ed intendono battersi per la denuclearizzazione, con lotte ad ogni livello, alcune risalenti a decenni fa. L’appello è a tutti i soggetti collettivi dell’associazionsimo, grandi, medi, piccoli, a diventare membri ICAN. E’ stato, da noi diffuso, in quella occasione, con i No Guerra NO NATO, e con Pax Christi, un comunicato comune (vai su: https://www.petizioni24.com/impegnodisarmistaparlamentari ) che costituirà anche la base per una richiesta di impegno coerente per i candidati nelle forze politiche che si presentano alle prossime elezioni politiche del 2018. L’impegno richiesto specifica che promuovere la firma e la ratifica, da parte del Governo italiano, del TPAN comporta, per conseguenza logica, politica ed etica, la rimozione di tutto il dispositivo del nucleare militare dal territorio italiano e la fuoriuscita dalla condivisione nucleare NATO.

Alfonso Navarra – portavoce Disarmisti Esigenti Milano 30 dicembre 2017

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3-SUN: a Catania nuovi pannelli con finanziamento europeo

Il progetto è finanziato dal programma europeo di ricerca e innovazione Horizon 2020 European Call LCE-09-2016-2017, finalizzato all’incremento della competitività delle industrie Europee nel fotovoltaico, è coordinato da 3SUN.

AMPERE ha l’obiettivo di sviluppare una linea pilota completamente automatizzata per la produzione di moduli basati su una tecnologia innovativa ad alta efficienza. Il nuovo modulo sarà di tipo bifacciale a eterogiunzione di silicio amorfo e cristallino, una soluzione che garantisce alte performance, in termini di efficienza e produttività e un basso deterioramento dei pannelli. I nuovi moduli saranno realizzati nella prima metà del 2018, per arrivare rapidamente a una produzione massima di 240 MWp nel 2019.

L’importo del finanziamento per il consorzio AMPERE ammonta a 14 milioni di euro (di cui 8,3 per 3SUN e 0,5 per Enel Green Power) destinati all’acquisizione e installazione di attrezzature automatizzate presso l’impianto di 3SUN, per la realizzazione di una linea produttiva di celle in tecnologia ad eterogiunzione.

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Rischio perdite da 22 miliardi di euro nel 2030 per le centrali a carbone europee

Carbon Tracker:  rischio perdite da 22 miliardi di euro nel 2030 per le centrali a carbone europee

Carbon Traker, uno dei più importanti “think tank” europei con sede a Londra, ha pubblicato uno studio “Lignite of the living dead” nel quale si indicano possibili perdite nei prossimi anni per le aziende europee che gestiscono centrali a carbone. Già adesso 196 delle 619 centrali a carbone è in perdita, senza calcolare i danni ambientali.

La previsione scaturita da una attenta analisi degli indici economici (BAU) delle principali aziende europee che operano nel settore della produzione di energia con centrali a carbone indica che nel 2030, nello scenario di applicazione degli accordi Parigi sul clima (B2DS) , saranno quasi tutte in rosso. Chiuderle, come indica lo studio, eviterebbe perdite per ben 22 miliardi di euro.

Interessanti alcuni dati che emergono dal rapporto per alcuni paesi: la Germania, che è il paese con il maggior numero di centrali a carbone, chiudendole eviterebbe 12 miliardi di perdite, la Polonia dove si svolgerà il prossimo anno la COP24 eviterebbe perdite per 2,2 miliardi. Per l’Italia che già prevede la dismissione delle 6 centrali a carbone esistenti i costi sono quasi a zero ma con una significativa riduzione dell’inquinamento ambientale e della emissione di CO2.

Giuseppe Farinella

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ISTITUZIONI​ ​CATTOLICHE​ ​DA​ ​TUTTO​ ​IL​ ​MONDO​ ​NEL PIÙ​ ​AMPIO​ ​ANNUNCIO​ ​CONGIUNTO​ ​DI DISINVESTIMENTO​ ​DAI​ ​COMBUSTIBILI​ ​FOSSILI

40​ ​istituzioni​ ​prendono​ ​parte​ ​all’annuncio:​ ​tra​ ​queste​ ​le​ ​istituzioni cattoliche​ ​di​ ​Assisi​ ​ed​ ​una​ ​banca​ ​cattolica

Una coalizione di istituzioni cattoliche annuncia oggi il proprio disinvestimento dai combustibili fossili. Con 40 organizzazioni, si tratta del più ampio annuncio congiunto di disinvestimento da parte di organizzazioni di ispirazione religiosa. Le istituzioni provengono dai 5 continenti e rappresentano realtà diverse:​ ​dagli​ ​istituti​ ​religiosi​ ​alle​ ​istituzioni​ ​finanziare,​ ​fino​ ​alle​ ​alte​ ​gerarchie​ ​della​ ​Chiesa.

La decisione di rimuovere il proprio sostegno finanziario ai combustibili fossili è basata sia sul valore condiviso della cura della casa comune che sulla prospettiva finanziaria di preparare le basi per un’economia​ ​a​ ​impatto​ ​zero​ ​di​ ​carbonio.

Ad Assisi, città di San Francesco e luogo sacro profondamente significativo per gli 1.2 miliardi di cattolici in tutto il mondo luogo e meta di numerosi pellegrinaggi ogni anno, tre istituzioni cattoliche ed il Comune hanno deciso di disinvestire. Il gruppo cattolico include il Sacro Convento, complesso monasteriale e luogo sacro che ospita la Tomba di San Francesco, Santo da cui Papa Francesco ha preso ispirazione tanto per il nome quanto per la Laudato Si’. Il Sacro Convento è considerato la casa spirituale dei​ ​fratelli​ ​francescani​ ​nel​ ​mondo.

Ad Assisi, insieme al Sacro Convento, presenti nell’annuncio di disinvestimento anche la Diocesi umbra di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino e l’Istituto Serafico per sordomuti e per ciechi, un ente ecclesiastico​ ​senza​ ​scopo​ ​di​ ​lucro​ ​che​ ​fornisce​ ​assistenza​ ​ai​ ​bambini​ ​disabili.

In maniera complementare, anche il Comune di Assisi ha annunciato il proprio disinvestimento dai combustibili​ ​fossili.

Oltre all’importante annuncio significativo dalla città di San Francesco, diverse realtà cattoliche in tutto il mondo hanno deciso di abbandonare l’investimento in combustibili fossili. In Sudafrica, l’Arcidiocesi cattolica di Città del Capo ha investito in fondi sociali ed etici. La Conferenza Episcopale del Belgio, braccio operativo della Chiesa Cattolica in Belgio, è la prima conferenza episcopale al mondo che si unisce all’annuncio di disinvestimento. Ai vescovi in Belgio si unisce il Vicariato di Brabant en Mechelen.

Queste realtà spirituali sono accompagnate da realtà operanti nel settore finanziario. Due istituzioni finanziarie hanno annunciato il proprio disinvestimento. La Banca per la Chiesa e la Caritas della Germania è una delle prime banche cattoliche al mondo a disinvestire dai combustibili fossili. L’ente finanziario, che ha un bilancio di 4,5 miliardi di euro, disinveste da carbone, sabbie e scisti bituminosi in quanto​ ​considerato​ ​moralmente​ ​imperativo​ ​e​ ​fiscalmente​ ​responsabile.

La banca è seguita nel disinvestimento da Oikocredit Belgium, un’istituzione finanziaria ecumenica e uno dei maggiori enti di finanziamento privato in termini di microfinanza. Ad Oikocredit si uniscono altre 12 istituzioni​ ​belghe.

Le realtà sopra citate sono tra le 40 che hanno disinvestito in totale. L’impegno comune di 40 istituzioni religiose più che quadruplica le dimensioni dell’annuncio congiunto cattolico pubblicato nel mese di maggio, quando nove organizzazioni cattoliche hanno comunicato la propria scelta di disinvestimento. Fino​ ​ad​ ​oggi,​ ​circa​ ​5​ ​trilioni​ ​di​ ​dollari​ ​sono​ ​stati​ ​tolti​ ​dai​ ​combustibili​ ​fossili.

Questo importante annuncio di disinvestimento avviene nell’ambito del “Tempo del Creato”, il mese di celebrazioni​ ​dedicato​ ​alla​ ​preghiera​ ​ed​ ​azione​ ​per​ ​il​ ​Creato,​ ​condivisa​ ​da​ ​una​ ​vasta​ ​comunità​ ​ecumenica.

Per​ ​maggiori​ ​informazioni,​ ​contattare:

Belgio:​ ​​ ​Karel​ ​Malfliet,​ ​Ecokerk,​ ​+32(0)478.65.12.93,​ ​​karel@ecokerk.be Germania:​ ​Kate​ ​Cahoon,​ ​Germany​ ​Campaigner,​ k​​ ate@350.org Sud​ ​Africa:​ ​Kevin​ ​Roussel,​ ​Direttore​ ​Esecutivo,​ ​Catholic​ ​Welfare​ ​and​ ​Development

+27606855749​ ​kevin.roussel@cwd.org.za USA:​ ​Rebecca​ ​Elliott,​ ​Movimento​ ​Cattolico​ ​Mondiale​ ​per​ ​il​ ​Clima,​ ​202.717.7228,

reba@catholicclimatemovement.global

Il Movimento Cattolico Mondiale per il Clima è una comunità di centinaia di migliaia di individui Cattolici ed una rete globale di organizzazioni che intendono rispondere alla chiamata ad agire di Papa Francesco​ ​nell’Enciclica​ ​Laudato​ ​Si’.

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FOTOVOLTAICO BATTE CARBONE IN MAROCCO

L’ energia elettrica prodotta in Marocco nella centrale fotovoltaica NOOR4 costerà meno di 0, 04 euro a kWh. Meno di quella prodotta con il carbone. Un grande risultato a dimostrazione che insieme a idroelettrico,  eolico e biomasse le rinnovabili sono il futuro del pianeta.

NOOR4 è parte del complesso di produzione di energia elettrica più grande del mondo NOOR.

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Andamento anomalo del clima nel mediterraneo da AK notizie

CAMBIAMENTI CLIMATICI
ANDAMENTO ANOMALO DEL CLIMA NEL MEDITERRANEO: UNA SICCITA’ PEGGIORE DEGLI ULTIMI 900 ANNI
di Filippo Mariani
E’ dal 1998 che anno dopo anno si registra, soprattutto nel nord del nostro Paese una continua diminuzione delle precipitazioni, mentre le regioni centro meridionali subiscono a volte le cosiddette “bombe d’acqua” che causano frane, allagamenti e a volte vittime. Studiosi del NOAA e della NASA ha studiato questo fenomeno che interessa il clima del Mediterraneo, incrociando dati storici, studio degli anelli degli alberi, osservazioni satellitari, inquinamento delle superficie dei mari e indagando specificatamente sulle recenti opere dell’uomo ( degli ultimi 200 anni) che vanno dai disboscamenti alla nascita di grandi invasi d’acqua con sbarramenti artificiali. Alla fine lo studio ha dimostrato che quello che sta accadendo nei Paesi del Mediterraneo è la peggiore siccità degli ultimi 900 anni. La mappa della siccità nell’area del Mediterraneo. |NASA/ Goddard Scientific Visualization Studio
Lo studio ha dimostrato che tutta l’area Mediterranea è influenzata da fenomeni atmosferici di portata planetaria e, quindi, dall’andamento della North Atlantic Oscillation e della East Atlantic Pattern, circolazioni atmosferiche che interessano l’Oceano Atlantico e di conseguenza interferiscono con le condizione climatiche di tutto il bacino del Mediterraneo. Oltre a ciò si è aggiunta la correlazione con l’impronta umana soprattutto in Medio Oriente che nell’ultimo secolo ha prodotto vasti disboscamenti, introdotto in agricoltura la monocoltura, aumentati a dismisura spazzi urbani a discapito dell’ambiente naturale, incentivato l’allevamento di capre e deviato corsi d’acqua. Ciò ha facilitato in tutta l’area mediorientale l’arrivo di una pesante siccità, la quale anch’essa ha influenzato e influenza il clima del bacino del Mediterraneo. La situazione si è talmente radicalizzata che nei prossimi anni dovremmo cancellare dalle nostre memorie storiche le stagioni come i nostri nonni ci raccontano, e, quindi, prevedere fenomeni di prolungate siccità e di estremizzazioni meteo in Italia, in particolare sulle regioni meridionali ( nubifragi e bolle di calore). Tutto questo ci obbliga a dotarci di Strategie Nazionali sui Cambiamenti Climatici, creando in ogni città italiana piani di prevenzione e di intervento contro fenomeni climatici avversi. I Paesi del bacino del Mediterraneo che secondo lo studio saranno sempre di più coinvolti in questo cambiamento climatico sono: La Spagna meridionale, la Francia meridionale, tutta l’Itala, la Grecia e la Turchia. L’UE da qualche anno ha invitato tutti gli Stati membri a dotarsi di Piani Nazionali di Adattamento ai Cambiamenti Climatici ( PNA ). Anche l’Italia si è attivata, ma al momento a parole……
Il fiume Po al 17 marzo 2017

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Energia, non solo una partita tra ENI e Enel di Mario Agostinelli

Il nuovo amministratore delegato dell’Enel Francesco Starace, in una audizione al Senato nell’ottobre del 2014 (l’audizione si tenne il 15 ottobre) sostenne che Enel doveva chiudere senza esitazioni ben 25 mila MW di centrali termoelettriche a seguito di un eccesso di offerta di elettricità, il calo dei consumi, l’aumento della generazione rinnovabile. Interessante notare che il suo predecessore, Fulvio Conti, in una audizione in senato, solo due mesi prima (il 26 marzo 2014), non aveva fatto alcun accenno a future dismissioni. Il processo prevede il confronto con tutti i soggetti presenti sui territori interessati. Si profila così la opportunità di un nuovo paradigma per l’energia che comprenda prodotti e servizi per l’efficienza energetica, la gestione intelligente dei consumi e soluzioni per la mobilità sostenibile.

Per Montalto di Castro (3300 MW) e Porto Tolle (2640 MW), due “monumenti” dello sviluppo delle fonti fossili in Italia, sono da tempo aperti i bandi e, con essi, un’occasione importante di decarbonizzazione. Visto il numero di impianti coinvolti non sarebbe fuori luogo una riflessione di livello nazionale, in particolare per considerare i possibili effetti sull’occupazione.

Il piano Futur-e rappresenta una “provocazione” che il governo non ha ancora osato proporre a livello nazionale. Si pensi alla Sen varata dall’ex ministro Passera focalizzata sul gas e pure alle indicazioni dell’attuale ministro Calenda rilasciate prima della bocciatura del referendum costituzionale, assai poco orientate allo sviluppo delle rinnovabili.

Sono anni che il nostro Paese si trova in una situazione di fragilità delle reti e sovracapacità produttiva, con un numero di centrali termoelettriche sovradimensionato, frutto degli effetti del cosiddetto decreto “Sblocca Centrali” del 2002, per cui nell’arco di un decennio (2003/2012), sono stati autorizzati cicli combinati a gas per oltre 30GW.

Il piano di chiusura di 25 mila megawatt di centrali a olio combustibile, carbone e gas va nella direzione di migliorare il quadro elettrico nazionale, chiudendo impianti obsoleti, poco efficienti. e con output nocivi e sollecitando un aggiornamento della rete che sostenga la produzione distribuita e consenta lo stoccaggio. Ridurre l’inquinamento dell’aria di cui si parla molto – in particolare nel bacino della pianura Padana – in questo inverno scarso di precipitazioni significa ridurre progressivamente la combustione in tutti i settori, compreso quello della generazione elettrica.

Vista la novità della posizione Enel e a fronte della chiusura di 25 mila MW di termoelettrico, abbiamo – anche sul piano temporale – la straordinaria occasione di esigere e co-progettare adesso la contropartita rilanciando la generazione da rinnovabili, la valorizzazione dei bilanci e dei piani energetici territoriali, l’efficienza degli edifici e la rivoluzione del sistema della mobilità. A quanto trapela dalle stanze ministeriali, non sembra che questo sia l’approccio con cui il Governo e il ministro Calenda, ispirati dal miraggio Eni di fare del Pese l’hub europeo del gas, intendano varare la Sen, Strategia Energetica Nazionale.

Enel invece chiude impianti improduttivi, perché è più redditizia la gestione delle reti e delle vendite; quindi la capacità installata termo (in Italia e fuori) continuerà a ridursi e si prevede che scenda a 36,5 GW nel 2019: gli scenari della compagnia prevedono ricavi da nuove attività legate alla vendita di dispositivi per l’efficienza energetica, alla mobilità elettrica e a nuovi servizi ancora da definire. Proprio sulla mobilità elettrica il governo è fortemente latitante e sembra ignorare i benefici effetti sulla qualità dell’aria nei centri urbani.

Tornando alle centrali del progetto Futur-e, riteniamo che si debba chiedere una partecipazione attiva ma non per evitarne la chiusura ma per trovare, nei vari territori, soluzioni che siano compatibili con una politica di creazione di posti di lavoro e di miglioramento ambientale. Vanno evitate soluzioni speculative che prevedano nuove colate di cemento, va studiato ogni singolo territorio per scoprirne le risorse e sostituire impianti inquinanti con imprese capaci di coniugare lavoro e risorse naturali. E’ tempo di porsi su posizioni innovative e non di mera difesa del passato. Il quadro dell’energia è cambiato e servono attori che possano confrontarsi con imprese e governo con una visione ampia a sufficienza da contenere occupazione, benessere ambientale per l’intera popolazione e riqualificazione della politica industriale.