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COP24 – UNA INTESA AL RIBASSO

COP24 – UNA INTESA AL RIBASSO (MA DI QUESTI TEMPI SI PUO’ FORSE TIRARE UN SOSPIRO DI SOLLIEVO)

Di Alfonso Navarra

A Parigi la COP21 (cui il sottoscritto ALFONSO NAVARRA ha partecipato) si era presa un giorno in più per varare l’accordo globale sul clima (il 12 dicembre 2015). Non desti scandalo dunque se alla COP24 di Katowice hanno prolungato i negoziati fino al 15 dicembre (dovevano concludersi il 14) per le regole di attuazione di quello storico accordo.
L’impegno di Parigi è mantenuto nel “Rulebook”, che dovrà essere messo in pratica nel 2020 (forse alla COP26 che terremo in Italia: il ministro Costa ha candidato il nostro Paese ad ospitarla).
Si tratta in particolare dei criteri con cui misurare le emissioni di anidride carbonica (CO2) e valutare le misure per contrastare il cambiamento climatico dei singoli paesi.
Questa uniformità dei criteri di stima è indispensabile per procedere alla revisione degli impegni nazionali “autodeterminati” nel taglio della CO2 che dovrà essere decisa, appunto, nel 2020. Si dovrebbe passare in quella sede dalle quote volontarie alle quote obbligatorie, una volta preso atto che le prime sono insufficienti: vedi ultimo rapporto dell’IPCC citato più avanti.
Alla conferenza hanno partecipato i rappresentanti di 196 paesi, compresi gli Stati Uniti “ufficiali”, nonostante il presidente Donald Trump li abbia ritirati dall’accordo di Parigi: perché la decisione sia effettiva infatti bisognerà aspettare il 2020.
Gli americani erano presenti anche con “We are still in”, il movimento guidato dallo Stato della California: sostiene che la base del Paese è ancora dentro l’accordo e, nelle sue punte più avanzate, mette in relazione il contrasto alla minaccia climatica con quella alla minaccia nucleare, supportando addirittura il Trattato di proibizione delle armi nucleari.
(Per saperne di più: https://sognandocalifornia.webnode.it/ a cura dei Disarmisti esigenti, in collaborazione con WILPF Italia e Accademia Kronos).
Seguite in particolare il DIARIO DI GIOVANNA PAGANI, che è stata “ambasciatrice” degli ecoantimilitaristi in Polonia. E soprattutto della “PACE FEMMINISTA IN AZIONE!”).
Uno dei punti più controversi che ha ritardato i lavori è stato ovviamente quello dei soldi: come i i paesi più ricchi aiuteranno quelli in via di sviluppo nella transizione energetica (ed anche nelle emergenze climatiche che andranno ad aumentare).
Ma il principale contrasto emerso ha riguardato l’ultimo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) delle Nazioni Unite, che si occupa di analizzare scientificamente l’andamento del clima e di produrre modelli sulla sua evoluzione. Nel rapporto l’IPCC ha confermato che un aumento medio della temperatura globale di almeno 1,5°C sui livelli pre-industriali è ormai inevitabile – avverrà nei prossimi 12 anni – e che per tenersi entro i 3°C di aumento complessivo sarà necessario tagliare le emissioni di anidride carbonica del 45 per cento (almeno) entro il 2020. In mancanza di azioni radicali, la temperatura media aumenterà oltre i 2 °C portando a eventi climatici più estremi e cambiando il clima di intere aree geografiche, con conseguenze per milioni di persone.
Nonostante il rapporto dell’IPCC fosse stato commissionato dalla COP21, i delegati alla conferenza di Arabia Saudita, Kuwait, Russia e Stati Uniti (tutti paesi produttori di petrolio) si sono opposti all’adozione delle sue conclusioni da parte della COP24: per questo la conferenza ha ufficialmente riconosciuto il fatto che l’IPCC abbia realizzato un importante studio, senza riconoscerne le conclusioni. Alla squadra dei “boicottatori” possiamo aggiungere anche il Brasile di Bolsonaro.
Del resto il fatto che la COP24 si sia tenuta proprio in Polonia, nella regione carbonifera della Slesia, non era di buon auspicio: il Paese che ricava dal carbone l’80 per cento della sua energia, non vuole abbandonare la peggiore delle fonti fossili; questo è stato affermato esplicitamente in apertura della conferenza dal presidente polacco Andrzei Duda.
Alla conclusione dei lavori lo stesso soggetto si è lasciato fotografare mentre balla allegro sui tavoli dell’assemblea: cosa avrà mai da festeggiare in modo così entusiastico?
Il Rulebook è stato redatto in modo da garantire maggiore flessibilità nella messa in pratica delle regole in modo da poterle rispettare più facilmente. Il Brasile aveva bloccato il processo decisionale su questo tema proponendo un sistema di mercato delle emissioni (cioè di scambio tra paesi delle proprie quote di emissioni) che secondo alcuni avrebbe permesso a certi paesi di “barare”. La decisione sul tema è stata rimandata al 2019 e così i lavori sono potuti proseguire.
Rispetto a Parigi, il ruolo dell’Europa si è fatto meno deciso e trainante e forse riflette anche la necessità di maturare approfondimenti sul tema della “giusta transizione”, come sta drammaticamente ponendo in rilievo la rivolta contro le ecotasse dei Gilet gialli in Francia.
Il problema, in sintesi, è come gestire la conversione energetica verso le rinnovabili non penalizzando in modo eccessivo i lavoratori dei settori fossili che dovranno essere chiusi ed i consumatori poveri di benzina: tutela ambientale e giustizia sociale devono andare di pari passo, altrimenti non otterremo né l’una né l’altra.
L’Italia, rappresentata dal ministro Sergio Costa, si è schierata in campo internazionale con i più “ambiziosi” ma si deve osservare che questo non corrisponde ad un impegno vero nel cambiamento interno.
Costa ha promesso che consulterà la Coalizione Clima quando varerà il Piano Clima Energia (ero nella delegazione che lo ha incontrato il 27 novembre scorso) ma quanto ha già prodotto, ad esempio il decreto sulle rinnovabili, ricalca quella strategia della “centralità del gas” che proponevano i predecessori. Il sottosegretario Crippa ha annunciato che l’Italia rivedrà al ribasso gli impegni euroepi al 2030.
Dobbiamo anche citare in modo negativo le scelte sulla TAP e sulle trivellazioni, che non possono essere compensate dal rinvio della decisione sulla TAV: possiamo già affermare che la sostanza delle promesse fatte in campagna elettorale dal M5S è stata tradita e non è il caso di chiedere nelle manifestazioni il futuro rispetto degli impegni quando questi per la parte preminente in termini di significato sociale e simbolico sono già stati violati.
Un bilancio finale? E’ stata una conferenza poco ambiziosa e di compromesso. Ma, con i tempi che corrono (e la presidenza Trump a giudizio di chi scrive rappresenta un sintomo grave) ci si può forse accontentare di conclusioni sicuramente insufficienti, ma nella cornice delle possibilità realistiche. Ovviamente chi scrive abita in Italia e non è il presidente delle Maldive, Hilda Heine, che ha commentato, giustamente dal suo punto di vista: “Voi ci avete condannato all’estinzione”.
Mi riferisco ai “tempi che corrono” perché, con Luigi Mosca, con cui ho scritto insieme “La follia del nucleare” (Mimesis edizioni 2018, altro coautore è Mario Agostinelli, mentre la prefazione è di Alex Zanotelli), sono sempre più convinto che, ad esempio, il pericolo della guerra nucleare sia in aumento. Non va sottovalutato il fatto che il Tratato sugli euromissili (quello stipulato nel 1987 grazie anche alle lotte di Comiso) stia saltando e che da parte russa si risponda facendo intendere che si stanno mobilitando Cruise in Venezuela…
La sfida climatica è vitale per la sopravvivenza dell’umanità ed è intrecciata con la sfida nucleare (anche se gli ambientalisti ne sono poco consapevoli). Per risolvere il nodo serve uno spirito di cooperazione globale nel portare avanti le conquiste “sulla carta” del diritto internazionale: anche per questo la lotta climatica deve proporsi come lotta per il disarmo e la pace e la lotta per la pace non può fare a meno della conversione ecologica.
Per approfondire le informazioni sulla COP24, si consigliano il sito dell’UNFCCC (https://unfccc.int/) e quello ufficiale dell’evento: https://unfccc.int/katowice. (Per contatti: Alfonso Navarra cell. 340-0736871)

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LA BEFFA CLIMATICA: NO AL CARBONE, SÌ AL GAS   

LA BEFFA CLIMATICA: NO AL CARBONE, SÌ AL GAS     14 dicembre 2018

di Mario Agostinelli

 

Al posto del carbone: gas o rinnovabili? In un editoriale su “Il Messaggero” del 4 Dicembre scorso ROMANO PRODI definiva una svolta storica la firma di 196 Paesi all’accordo di Parigi 2015 sul clima, che prevedeva severi obiettivi e misure concrete per la riduzione della CO2 auspicata da tutti, Cina e Stati Uniti compresi. Tre anni dopo, a Katowice per la Cop 24, quegli stessi firmatari possono annunciare un clamoroso quanto angosciante fallimento.                                    Le convenienze economiche hanno prevalso sugli impegni politici e il limite di 1,5°C di aumento della Temperatura sembra allontanarsi.
L’escamotage degli inquinatori per aggirare i patti siglati, sta nel sostituire allo “sporco” carbone            il finto “salvagente” del gas fossile, come se i naufraghi in vista della tempesta scampassero per magia, aggrappandosi ad una ciambella bucata.                                                                                     Bruciare gas comporta un po’ meno emissioni dell’equivalente in carbone, ma è pur sempre un’aggiunta di climalteranti in atmosfera.                                                                                                    Non doveva essere questa la via d’uscita dall’allarme climatico certificato da tutti gli scienziati, ma i corposi interessi del sistema centralizzato delle fonti fossili ha suggerito trucchi adeguati per continuare a legittimarsi agli occhi dei cittadini distratti.                                                                                  I negazionisti climatici hanno così estratto un “jolly” fasullo, tenuto nella manica, per calarlo sul tavolo a partita aperta. Una carta decisamente differente dagli assi indicati a Parigi per frenare l’aumento di temperatura e, invece, paragonabile ad un due di picche, quale è la sostituzione del gas al posto del carbone.                                                                                                                                     Bene, seguendo la metafora, andiamo allora a vedere il mazzo intero, per capire come mai tutti, governi e cittadini, si dichiarano disposti al cambiamento, ma alcuni non ne vogliono pagare il prezzo.

1         – La domanda di energia si sposta verso Oriente.                                                                                    Lo scenario in termini di domanda globale di energia sta cambiando profondamente.                             Se solo nel 2000 Europa e Nord America rappresentavano il 40% della domanda mondiale e l’Asia il 20%, da qui al 2040 questa situazione si invertirà.                                                                                  Se solo 15 anni fa, le società elettriche europee erano le protagoniste nella top ten mondiale, ora sei delle prime dieci sono utility cinesi.                                                                                                        Inoltre, la composizione del mix energetico globale vedrà salire la quota di rinnovabili dall’attuale 25% a oltre il 40% nel 2040, non comunque abbastanza da impedire a [gas+carbone] dirimanere la fonte principale.

Come vedremo avanti, non a causa delle arretratezze degli asiatici, ma per la pressione formidabile che lo shale gas statunitense, tenuto a basso prezzo, impone sul mercato delle importazioni in Europa e in Asia.

2       – Le fonti fossili crescono.                                                                                                                  Un quadro significativo di quanto accade e probabilmente accadrà lo offre l’International Energy Agency (IEA)attraverso il World Energy Outlook 2018                          (v.https://www.eia.gov/outlooks/ieo/pdf/executive_summary.pdf ).                                                         “Nei mercati dell’energia, le rinnovabili sono ormai diventate la tecnologia preferita, costituendo quasi due terzi delle capacità globali aggiuntive al 2040, grazie al calo dei costi e all’aumento della domanda derivante dall’economia digitale, dai veicoli elettrici e da altri cambiamenti tecnologici”. Secondo la IEA, il prossimo scenario energetico dipenderà dallescelte politiche governative in tema di limitazione delle emissioni di CO2.                                                                                                Ma dopo Parigi si è fatto ben poco: dopo due anni sostanzialmente stabili, la CO2 è cresciuta dell’1,6% nel 2017 e i primi dati suggeriscono un aumento continuo nell’anno in corso.                             Il gas naturale è il maggior responsabile della loro crescita.                                                                   Nel 2017 gli investimenti energetici globali sono arrivati a 1,8 trilioni di dollari con un calo del 2% sul 2016,          ma “dopo diversi anni di crescita, gli investimenti mondiali nellerinnovabili sono calati del 7% nel 2017 rispetto all’anno precedente e gli investimenti globali combinati nelle energie rinnovabili e nell’efficienza energetica sono diminuiti del 3% nel 2017 e stanno rallentando ulteriormente nel 2018.                                                                           Ciò a differenza degli investimenti in fonti fossili, che lo scorso anno sono saliti per la prima volta dal 2014, a 790 miliardi di dollari, contro i 318 miliardi delle rinnovabili.                                                                                                                                                  Il mattatore lo fa il gas naturale. Lo rivela l’ultimo studio “World Energy Investment 2018”  dell’IEA che definisce “preoccupante” un andamento che mette a rischio la sicurezza energetica e gli obiettivi di taglio all’inquinamento.

3 Lo spostamento verso l’elettricità.                                                                                                         Il settore dell’elettricità sta vivendo, secondo la IEA, la sua trasformazione più drammatica dalla sua nascita più di un secolo fa.        “Nel 2017 il settore elettrico ha attratto la maggior parte degli investimenti energetici, sostenuto da una forte spesa per le reti, superiore perfino a quella dell’industria petrolifera e del gas per il secondo anno consecutivo.                                                       L’energia elettrica è sempre più il “carburante” prescelto nelle economie che si affidano in modo crescente a settori industriali più leggeri e a servizi e tecnologie digitali”.                                                  La sua quota in termini di consumi finali a livello mondiale sta raggiungendo il 20% ed è destinata a salire. L’impatto dell’elettrificazione nei trasporti, negli edifici e nell’industria è una caratteristica irreversibile. L’elettrificazione apporta benefici, in particolare riducendo l’inquinamento, ma richiede ulteriori misure per decarbonizzare l’alimentazione elettrica. (https://www.elettricomagazine.it/ondigital-news/elettricita-rinnovabili-e-fossili-come-cambia-scenario-energia/ ).

4 – E qui rispunta il gas.                                                                                                                       Le decisioni finali di investimento per le centrali a carbone da costruire nei prossimi anni sono diminuite per il secondo anno consecutivo, raggiungendo un terzo del livello del 2010.                         Tutto bene?     Niente affatto,         perché sull’altro fronte fossile il miglioramento delle prospettive per il settore statunitense dello shale gas sta lanciando questo prodotto in tutti i continenti.                Con una base finanziaria più solida e sostenuto dal proprio governo, si è trasformato nel maggior concorrente mondiale nel mercato dei fossili con una produzione che, a dispetto dei danni sull’ambiente, sta crescendo al ritmo più veloce mai registrato” (v. https://energiaoltre.it/shale-oil/.

Le compagnie e i governi sono alla ricerca continua di fonti fossili ancora intatte e a minimi costi concorrenziali, in barba alle preoccupazioni per la temperatura della Terra.                                              La produzione di shale gas statunitense, che si è già espansa a un ritmo record, dovrebbe raggiungere più di 10 milioni di barili al giorno da oggi al 2025. Sarebbe come aggiungere una seconda Russia alla fornitura globale in sette anni, un’impresa storicamente senza precedenti.               Per queste ragioni Trump ripudia Parigi e spedisce alla Cop 24 di Katowice autentiche comparse non certo dotate di poteri.                                                                                                                        Intanto, qui da noi, drammi o commedie si trasformano sempre in farsa.                                               Governi, industriali, giornali e “madamine” di balzacchiana riesumazione duellano con le popolazioni locali sulla TAV e sulla TAP e si genuflettono alle “grandi opere” senza distinzione alcuna.                                                                                                                                                           Ci verranno mai a dire con quale impronta ecologica e con quale combustibile inquinante le faranno funzionare?

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SIAMO A KATOWICE PERCHE’ AMIAMO LA MADRE TERRA

SIAMO A KATOWICE PERCHE’ AMIAMO LA MADRE TERRA

(E PENSIAMO AD UN LAVORO VERDE-ROSA CHE LA CURI E LA RISPETTI)

A Katowice (Polonia), dal 3 al 14 dicembre sarà ospitata la COP24, la ventiquattresima Conferenza delle Nazioni Unite sul Clima.

Dopo gli accordi sul clima globale presi alla COP21 di Parigi le cose si sono mosse a rilento e contraddittoriamente (si pensi solo alla defezione degli USA); in Polonia si giocherà l’occasione di rilanciare l’impegno per la salvezza del Pianeta focalizzandosi in particolare sugli aspetti economici del bando progressivo decretato ai combustibili fossili che comporta una “giusta transizione”.

Noi saremo presenti con una nostra delegazione proseguendo il lavoro che stiamo portando avanti da anni. Ci confronteremo con le idee e le proposte che emergeranno dalla Conferenza portando il nostro contributo per contrastare l’intreccio tra minaccia nucleare e minaccia climatica (con priorità da accordare al sostegno al Trattato per la proibizione delle armi nucleari, come ha fatto lo Stato di California). Allo stesso tempo ci procureremo dati ed idee per un nostro progetto radicale “occupazione Verde-Rosa”, quindi con particolare focus sui problemi di genere, all’insegna di un “ecosviluppo” trainato dalla “conversione energetica ed ecologica”.

Stiamo costituendo un gruppo di lavoro che il 1° maggio 2019 presenterà un suo documento che prospetti vari scenari di eco-investimenti dal punto di vista di un nuovo ruolo protagonista delle donne.

L’economia – nell’impostazione che proponiamo – andrebbe concepita e gestita dentro una logica sociale complessiva in cui è fondamentale la costruzione di comunità aperte e pacifiche, in cammino “democratico” verso la “giustizia ecologica”.

Si tratta anche di lavorare a livello globale per la Quarta generazione dei diritti acquisiti dall’ordinamento internazionale: i diritti dell’Umanità concepita come entità unitaria e i diritti della Natura(della Madre Terra).

L’intervento pubblico, in questa cornice, dovrebbe essere orientato da indicatori come ad esempio quelli di benessere equo e sostenibile.

Noi riteniamo infine importante promuovere un cambiamento di mentalità collegato alla sperimentazione di stili di vita “sobri” e “solidali”.

Non è un compito facile che si possa prendere in mano in quanto donne e uomini “ecopacifisti” coinvolti anche nell’esigenza dell’eguaglianza sociale (una pari dignità che deve esaltare le differenze, a partire, appunto, da quella di genere).

La speranza di trasformare l’utopia di una riconciliazione società-natura in realtà forse non è ancora molto visibile per il grande pubblico e i politici; ma il cambiamento sta già avvenendo in tante persone, soprattutto nei più giovani, ed in particolare nelle giovani donne: noi intendiamo fare la nostra parte* per sostenerlo e valorizzarlo.

Giovanna Pagani – WILPF Italia (https://wilpfitalia.wordpress.com/)

delegata

Giuseppe Farinella – Il Sole di Parigi (www.ilsolediparigi.it)

Alfonso Navarra – Disarmisti Esigenti (www.disarmistiesigenti.org)

Oliviero Sorbini – Accademia Kronos (www.accademiakronos.it)

EMAIL info@ilsolediparigi.it

*https://www.accademiakronos.it/madre-terra-io-faccio-la-mia-parte/

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Fotovoltaico: nasce il prosumer

FOTOVOLTAICO:  nasce il PROSUMER
grazie all’esperienza maturata negli ultimi 10 anni l’Italia potrà essere leader nel settore
di G. Farinella

Da quando ha avuto inizio il boom delle rinnovabili e in particolare il fotovoltaico si è aperta una
nuova era per l’energia. Dai grandi impianti centralizzati per la produzione di energia elettrica
(carbone, nucleare, turbogas, etc.) siamo passati oggi a piccoli impianti dove ognuno di noi può
produrre la sua energia esponendo al sole pannelli che, grazie all’effetto fotoelettrico scoperto da
Einstein nel 1905, trasformano le radiazioni della nostra stella direttamente in energia elettrica.
Questa vera e propria “rivoluzione energetica” ormai inarrestabile richiede norme e regole che ne
permettano la diffusione e una politica energetica nazionale capace di valorizzarne le potenzialità e
consolidarne la filiera produttiva. Un esempio negativo e poco lungimirante è stato quello di avere
annullato i sussidi al fotovoltaico in maniera repentina portando alla chiusura di centinaia di
imprese del settore e alla perdita di circa 80.000 posti di lavoro (ANIE/GIFI) contro oltre 3 milioni
di occupati in aumento in Europa nel settore delle rinnovabili (IRENA 2016).
Ma, tralasciando l’aspetto legato agli incentivi economici, ci sono restrizioni normative più
fastidiose e incomprensibili quale è l’impedimento a produrre, autoconsumare e stoccare l’energia
rinnovabile prodotta da singoli o da gruppi di cittadini.
Le norme attualmente in vigore impongono al piccolo produttore di energia rinnovabile di
consumare in loco o cedere al mercato l’energia prodotta. Ad esempio, in un edificio condominiale
non è possibile installare pannelli fotovoltaici sul tetto e ridistribuire l’energia prodotta a tutti i
condomini. Il vincolo normativo dovrebbe fortunatamente essere a breve rimosso grazie
all’approvazione nel Parlamento Europeo degli emendamenti alla direttiva rinnovabili (dal 177 al
196) nel quale viene chiarito che i cittadini in forma diretta o associata hanno diritto a produrre,
autoconsumare, vendere e accumulare l’energia rinnovabile senza pagare tasse aggiuntive. Le norme
prevedono che in questo caso il prezzo di vendita non deve solo equivalere a quello di mercato, ma
deve anche riflettere il valore aggiunto in termini ambientali economici e sociali dell’energia
prodotta in forma decentrata. Quando queste norme saranno recepite dalla legislazione nazionale
potremo finalmente vedere un nuovo grande sviluppo delle rinnovabili senza costi per il bilancio
dello Stato.
E’ doveroso segnalare che l’approvazione al Parlamento Europeo nella nuova direttiva rinnovabili,
dei diritti dei produttori-consumatori (PROSUMER) di energia rinnovabile, siano essi individui o
comunità che era un elemento assente nella legislazione UE, è stato ottenuto grazie all’impegno
del Presidente della commissione parlamentare ITRE (industria ed energia) Davide Tamburrano
(M5S) e numerosi parlamentari europei dei gruppi M5S, Sinistra e Verdi.
Quando queste norme saranno recepite dalla legislazione italiana si aprirà finalmente un nuovo
grande mercato. Grazie all’esperienza italiana, che può vantare oltre 600.000 impianti di potenza
fino a 20 kW allacciati alla rete elettrica nazionale, un nuovo soggetto politico/sociale potrà vedere
la luce nel nostro paese: IL PROSUMER.

PROSUMER: utente elettrico che è contemporaneamente e localmente produttore e consumatore di
energia, se verranno superate le attuali restrizioni normative, grazie alla sua capacità di generazione
“locale” potrà essere un nuovo elemento aggregatore in grado di unire numerosi soggetti al
momento non in grado singolarmente di produrre e consumare energia autonomamente

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Appello di padre Alex Zanotelli

Non vi chiedo atti eroici, ma solo di tentare di far passare ogni giorno qualche notizia per aiutare il popolo italiano a capire i drammi che tanti popoli africani stanno vivendo.
Scusatemi se mi rivolgo a voi in questa torrida estate, ma è la crescente sofferenza dei più poveri ed emarginati che mi spinge a farlo. Per questo, come missionario e giornalista, uso la penna per far sentire il loro grido, un grido che trova sempre meno spazio nei mass-media italiani, come in quelli di tutto il modo del resto. Trovo infatti la maggior parte dei nostri media, sia cartacei che televisivi, così provinciali, così superficiali, così ben integrati nel mercato globale. So che i mass-media , purtroppo, sono nelle mani dei potenti gruppi economico-finanziari, per cui ognuno di voi ha ben poche possibilità di scrivere quello che veramente sta accadendo in Africa. Mi appello a voi giornalisti/e perché abbiate il coraggio di rompere l’omertà del silenzio mediatico che grava soprattutto sull’Africa. È inaccettabile per me il silenzio sulla drammatica situazione nel Sud Sudan (il più giovane stato dell’Africa) ingarbugliato in una paurosa guerra civile che ha già causato almeno trecentomila morti e milioni di persone in fuga. È inaccettabile il silenzio sul Sudan, retto da un regime dittatoriale in guerra contro il popolo sui monti del Kordofan, i Nuba, il popolo martire dell’Africa e contro le etnie del Darfur. È inaccettabile il silenzio sulla Somalia in guerra civile da oltre trent’anni con milioni di rifugiati interni ed esterni. È inaccettabile il silenzio sull’Eritrea, retta da uno dei regimi più oppressivi al mondo, con centinaia di migliaia di giovani in fuga verso l’Europa. È inaccettabile il silenzio sul Centrafrica che continua ad essere dilaniato da una guerra civile che non sembra finire mai. È inaccettabile il silenzio sulla grave situazione della zona saheliana dal Ciad al Mali dove i potenti gruppi jihadisti potrebbero costituirsi in un nuovo Califfato dell’Africa nera. È inaccettabile il silenzio sulla situazione caotica in Libia dov’è in atto uno scontro di tutti contro tutti, causato da quella nostra maledetta guerra contro Gheddafi. È inaccettabile il silenzio su quanto avviene nel cuore dell’Africa , soprattutto in Congo, da dove arrivano i nostri minerali più preziosi. È inaccettabile il silenzio su trenta milioni di persone a rischio fame in Etiopia, Somalia , Sud Sudan, nord del Kenya e attorno al Lago Ciad, la peggior crisi alimentare degli ultimi 50 anni secondo l’ONU. È inaccettabile il silenzio sui cambiamenti climatici in Africa che rischia a fine secolo di avere tre quarti del suo territorio non abitabile. È inaccettabile il silenzio sulla vendita italiana di armi pesanti e leggere a questi paesi che non fanno che incrementare guerre sempre più feroci da cui sono costretti a fuggire milioni di profughi. (Lo scorso anno l’Italia ha esportato armi per un valore di 14 miliardi di euro!). Non conoscendo tutto questo è chiaro che il popolo italiano non può capire perché così tanta gente stia fuggendo dalle loro terre rischiando la propria vita per arrivare da noi. Questo crea la paranoia dell’“invasione”, furbescamente alimentata anche da partiti xenofobi. Questo forza i governi europei a tentare di bloccare i migranti provenienti dal continente nero con l’Africa Compact , contratti fatti con i governi africani per bloccare i migranti. Ma i disperati della storia nessuno li fermerà. Questa non è una questione emergenziale, ma strutturale al sistema economico-finanziario. L’ONU si aspetta già entro il 2050 circa cinquanta milioni di profughi climatici solo dall’Africa. Ed ora i nostri politici gridano: «Aiutiamoli a casa loro», dopo che per secoli li abbiamo saccheggiati e continuiamo a farlo con una politica economica che va a beneficio delle nostre banche e delle nostre imprese, dall’ENI a Finmeccanica. E così ci troviamo con un Mare Nostrum che è diventato Cimiterium Nostrum dove sono naufragati decine di migliaia di profughi e con loro sta naufragando anche l’Europa come patria dei diritti. Davanti a tutto questo non possiamo rimane in silenzio. (I nostri nipoti non diranno forse quello che noi oggi diciamo dei nazisti?).   Per questo vi prego di rompere questo silenzio-stampa sull’Africa, forzando i vostri media a parlarne. Per realizzare questo, non sarebbe possibile una lettera firmata da migliaia di voi da inviare alla Commissione di Sorveglianza della RAI e alla grandi testate nazionali? E se fosse proprio la Federazione Nazionale Stampa Italiana (FNSI) a fare questo gesto? Non potrebbe essere questo un’Africa Compact giornalistico, molto più utile al Continente che non i vari Trattati firmati dai governi per bloccare i migranti? Non possiamo rimanere in silenzio davanti a un’altra Shoah che si sta svolgendo sotto i nostri occhi. Diamoci tutti/e da fare perché si rompa questo maledetto silenzio sull’Africa.
Alex Zanotelli è missionario italiano della comunità dei Comboniani, profondo conoscitore dell’Africa e direttore della rivista Mosaico di Pace
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Investimenti insufficienti nell’energia per contrastare i cambiamenti climatici

Il nuovo rapporto dell’Agenzia internazionale per l’energia sugli investimenti nel settore è un’occasione per fare il punto su temi di rilievo per il prioritario impegno necessario per affrontare la crisi climatica. Continua – ed è una buona notizia per il clima – il calo degli investimenti mondiali nelle fonti energetiche fossili che nel 2017 sono circa un terzo in meno di quelli del 2014: un calo consistente avvenuto in pochi anni.

Fra i fossili, il calo maggiore continua ad interessare gli investimenti nel carbone: la Cina che consuma circa la metà del carbone mondiale, nel 2017 ha ridotto del 55% gli investimenti in nuove centrali a carbone.

L’altra buona notizia viene dagli investimenti mondiali nell’efficienza energeticache hanno raggiunto i 236 miliardi di dollari e che continuano ad aumentare (i green bond per esempio sono triplicati) trainati da quelli per l’efficienza del riscaldamento, del raffrescamento e dell’illuminazione degli edifici, cresciuti del 3%, anche se quelli nel settore industriale mostrano segni di flessione, in particolare per effetto della riduzione degli incentivi attuata nel 2017 in Cina.

Gli investimenti nel settore elettrico a livello globale sono in continua espansione per la crescente elettrificazione, per i consistenti investimenti nelle fonti rinnovabili e nelle reti. Una riflessione merita la flessione del 7% degli investimenti mondiali negli impianti per produrre energia elettrica da fonti rinnovabili registrata nel 2017.

Anche se gli investimenti nelle fonti rinnovabili hanno raggiunto i due terzi degli investimenti totali nella generazione elettrica del 2017 e il calo non è stato omogeneo: gli investimenti nel fotovoltaico e nell’eolico offshore sono cresciuti anche nel 2017.

Il calo dei costi dell’eolico, scesi al livello più basso del decennio, hanno ovviamente inciso sul calo degli investimenti necessari per i nuovi impianti, così come il calo dei costi del fotovoltaico che però e cresciuto di più nel numero di nuovi impianti installati. Discorso a parte merita l’droelettrico dove il calo degli investimenti andrebbe forse meglio indagato, ma sarebbe quello più preoccupante.

Gli investimenti mondiali nell’elettrificazione dei trasporti e dei consumi termici degli edifici hanno avuto nel 2017 una crescita esponenziale. Le vendite di auto elettriche sono ormai sono decollate, grazie a consistenti incentivi governativi che coprono circa il 24 % in media del prezzo di vendita. Si comincia anche a registrare una riduzione del consumo di 30.000 barili di petrolio al giorno per l’avvio della diffusione delle auto elettriche. È solo un inizio perché i barili di petrolio consumati al giorno nel mondo nel 2017 sono stati ancora 1,6 milioni!

La spesa globale per l’acquisto di pompe di calore , impiegabili per il riscaldamento e il raffrescamento , nel 2017 è cresciuta di ben il 30% ,contribuendo certamente a migliorare l’efficienza energetica . Senza dimenticare però che sono ancora solo il 2,5% delle apparecchiature termiche e che gli investimenti nel solare termico sono invece in calo da quattro anni.

Buoni segnali quindi non mancano, ma per portare il sistema energetico mondiale in traiettoria con gli obiettivi climatici dell’Accordo di Parigi servirebbe un altro passo, anche negli investimenti.

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La nuova Nuclear Posture di Trump aggrava i rischi di guerra atomica

Uno scoop dell’Huffington Post diffonde i contenuti di un draft riservato

15.01.2018 Alfonso Navarra – portavoce dei Disarmisti esigenti

 

Il nuovo presidente USA Donald Trump, il cui isolazionismo propagandistico fino a qualche mese fa veniva presentato da molti nello stesso ambiente No-war come una specie di criptopacifismo (ricordiamo che la sua visita a Roma, nel maggio 2016, fu contestata da una “manifestazione” di sole tre persone anche per questo motivo), sta agendo invece in piena coerenza con una retorica sempre sbandierata di forza e “virilità” militariste. L’America di nuovo grande magari ha da barricarsi dietro alte mura, possibilmente a spese altrui, ma difendendo i portoni con fuciloni “atomici” – e convenzionali – ben spianati, e questa trucidità difensiva da cow-boy dei vecchi western fu gridata da subito, senza equivoci, nelle piazze della campagna elettorale, incluse quelle telematiche!

Dall’Huffington post sono filtrate indiscrezioni sulla Nuclear Posture Review che sarà varata sotto la responsabilità del presidente Trump : vi si può leggere la bozza finale del documento che la sua amministrazione adotterà a febbraio. Il commento è di Ashley Feinberg: “He wants a lot more nukes.

(Si vada su: https://www.huffingtonpost.com/entry/trump-nuclear-posture-review-2018_us_5a4d4773e4b06d1621bce4c5)

La Nuclear Posture Review (NPR) è un documento che definisce la “postura”, la strategia nucleare che ogni amministrazione statunitense stabilisce all’inizio del proprio mandato. Quella precedente dell’amministrazione Obama risale al 2010 tondo tondo: essa senza dubbio rifletteva solo in parte il discorso visionario pronunciato da Obama nel 2009 a Praga su “un modo libero dalle armi nucleari” (e il Trattato Nuovo START che un anno dopo stabilì con la Russia confermava molti pacifisti creduloni nella loro disillusione).

(Per scaricare la NPR di Obama: https://www.defense.gov/Portals/1/features/defenseReviews/NPR/2010_Nuclear_Posture_Review_Report.pdf)

Questi atti dell’Amministrazione Obama, START e NPR, pur insufficienti e contraddittori, però diminuivano la minaccia nucleare immediata che era stata rilanciata dall’Amministrazione di Bush Jr. (il quale nella guerra all’Iraq del 2003 esplicitamente non aveva escluso il ricorso a qualunque tipo di arma, con evidente riferimento all’arma nucleare: la giustificazione di un attacco nucleare preventivo!).

Trump ci riporta indietro di vari decenni in materia di politica nucleare, e, per quanto qualsiasi presidente USA dobbiamo considerarlo condizionato dagli enormi interessi del Pentagono e del complesso militare-industriale, nel suo caso sembra anche legittimo dubitare della “genialità” che sta millantando di fronte a chi critica le mitragliate di tweet dai contenuti diciamo eufemisticamente poco rituali ed istituzionali.

(Si veda di Alfonso Navarra: “La guerra nucleare spiegata a Greta, EMI edizioni, 2007. Una bozza del libro su Internet è rinvenibile alla URL: files.meetup.com/206790/guerra_nucleare_greta_redazione_11-12-06.rtf )

La NPR di Trump

La sua NPR sembra la proiezione emblematica di una ossessione alla sicurezza armata che può condurre ad esiti autolesionisti, così come il disprezzo della diplomazia internazionale non giova certamente alla attrattività egemonica degli USA. In sintesi,  gli Stati Uniti svilupperanno nuove testate nucleari di piccola potenza (low yield) – “più utilizzabili” (more usable) –, e moltiplicano le circostanze in cui potranno fare ricorso a queste armi, abbassando così la soglia per il loro uso.

Può venire utile menzionare che il citato Nuovo START del 2010 vieta espressamente lo sviluppo di testate nucleari “nuove “, anche se questa norma è già stata aggirata dalle modifiche sostanziali della testata termonucleare B-61. La B-61, che già ospitiamo nelle basi di Ghedi ed Aviano, ridenominata B-61-12, diventa di fatto una testata nuova, con nuove capacità militari, nelle “strategie di guerra limitata al Teatro europeo”.

(Su questo aspettto, collegato al nuclear sharing NATO: alfonso-navarra.webnode.it/archivio-articoli/dossier-nato/ )

Da Greg Mello, del Los Alamos Study Group ci vengono segnalati anche: la cessazione del programma “Interoperabile” Warhead e il mantenimento della Bomba da 1,2 megatoni, di cui si era deciso il pensionamento.

E’ importante precisare, sottolinea Mello, che esistono elementi di continuità tra i documenti sulla NPR che si sono susseguiti nella storia; quindi anche tra la NPR di Obama e quella di Trump c’è la fiaccola che si trasmette dei programmi di modernizzazione degli ordigni nucleari.

Di per sé, la NPR non autorizza o finanzia i programmi di armi nucleari, costruisce infrastrutture o ordina le distribuzioni delle testate. E’ il Congresso che deve autorizzare e finanziare i programmi: questo spiega perché storicamente molti programmi di armi nucleari non sono stati implementati. Anche nella sfera puramente militare il Presidente può solo ordinare ciò che è possibile nelle condizioni date e può incontrare una dura resistenza da parte di generali e ammiragli.

La NPR ha quindi lo status generale di una serie di linee guida e una descrizione di un programma legislativo relativo alle armi nucleari.

(si vada su: https://www.pressenza.com/2018/01/leaked-trump-nuclear-posture-review-aims-continue-obama-weapons-modernization-significant-tweaks/)

Precisato ciò, vediamo separatamente, per facilitare l’esposizione, i due aspetti che possiamo ritenere più significativi, secondo una gerarchia individuata dallo scienziato critico Angelo Baracca: 1) le testate low yield; 2) le loro modalità d’uso. 

(si vada su: https://www.pressenza.com/it/2018/01/trump-aggrava-irresponsabilmente-la-minaccia-delle-armi-nucleari/)

  1. Nuove testate di piccola potenza

La nuova NPR stabilisce lo sviluppo di due nuovi tipi testate nucleari:

1) Una nuova testata  low yield, profondamente modificata, per i missili Trident D5 lanciati dai nuovi sommergibili nucleari della classe Columbia (con una sola parte della testata termonucleare, quella a fissione).

2) La reintroduzione di missili  Cruise, pure lanciati dai sommergibili: questa decisione, che Trump aveva preannunciato qualche settimana fa, viene giustificata con il pretesto di rispondere  all’accusa alla Russia di violare il trattato INF con gli Iskander installati a Kalinigrad.

Sviluppando testate nuove si va ovviamente in direzione contraria a quella del disarmo nucleare; ma il punto è che, con la piccola potenza, dalla “deterrenza” ci si sposta verso un possibile uso “sul campo di battaglia”.

Non dovrebbe però essere chiaro che una guerra nucleare non si può chiamare guerra perché non può rimanere limitata: l’escalation e la generalizzazione sarebbero inevitabili, e gli effetti dell’esplosione o di uno scambio anche limitati di testate nucleari avrebbe conseguenze catastrofiche e livello globale?

(si veda Alfonso Navarra, “Gli ordigni nucleari come arma di distruzione climaticahttps://www.pressenza.com/it/2018/01/gli-ordigni-nucleari-armi-distruzione-climatica/).

 Modalità di impiego allargate per gli ordigni nucleari

In questa direzione va anche un notevole allargamento delle circostanze formalizzate che consentono il ricorso alle armi nucleari. La precedente NPR di Obama escludeva tale uso contro “ Stati non nucleari aderenti al Trattato di Non Proliferazione che ottemperano gli obblighi del trattato”. La nuova NPT di Trump apre invece la possibilità di ricorrere alle armi nucleari in risposta a un attacco non nucleare “che causi vittime di massa (mass casualties)” o sia “diretto contro infrastrutture critiche o siti di comando e controllo nucleare”.

Osserva in proposito, nel citato articolo su Pressenza, lo scienziato critico Angelo Baracca: “L’ambiguità di termini quali “mass casualtiese “critical infrastructureimplica che gli Stati Uniti possono considerare il ricorso alle armi nucleari praticamente in qualsiasi conflitto armato!

Questa decisione di Trump, se confermata nel documento ufficiale, violerebbe gli impegni presi dagli USA , insieme agli altri Stati nucleari, nella Conferenza di Revisione del TNP del 2010: “diminuire il ruolo e il significato delle armi nucleari in tutti i concetti, le dottrine e le politiche militari e di sicurezza” e di perseguire negoziati per l’ulteriore riduzione degli arsenali nucleari”.

Ciò sarebbe del resto in linea con il boicottaggio del nuovo Trattato di proibizione delle armi nucleari (TPAN) del 7 luglio scorso, su cui l’Amministrazione Trump ha trascinato tutta la NATO: esso TPAN avrebbe “alimentato aspettative completamente irrealistiche”, sarebbe “divisivo”, e danneggerebbe il regime di non proliferazione.

Oltre a quanto menzionato, gli Stati Uniti – finalmente lo dichiarano in modo ufficiale – non ratificheranno il Trattato di messa al bando dei test nucleari (CTBT) del 1996: essi non lo avevano mai fatto nei trascorsi 21 anni perché – è sempre il parere di Angelo Baracca – si sono sempre riservati di poter riprendere i test nucleari, e avevano potenziato a tale scopo il poligono del deserto del Nevada.

La nuova NPT di Trump va infine messa in relazione con la nuova strategia di sicurezza nazionale, dove troviamo l’affermazione esplicita che “la Cina e la Russia sfidano la potenza, l’influenza e gli interessi dell’America, tentando di erodere la sua sicurezza e prosperità“.

Qui penso si possa concordare con una parte dell’analisi di Manlio Dinucci, collaboratore de “Il Manifesto): la vera posta in gioco per gli Stati uniti (è) “il rischio crescente di perdere la supremazia economica di fronte all’emergere di nuovi soggetti statuali e sociali, anzitutto Cina e Russia le quali stanno adottando misure per ridurre il predominio del dollaro che permette agli Usa di mantenere un ruolo dominante, stampando dollari il cui valore si basa non sulla reale capacità economica statunitense ma sul fatto che vengono usati quale valuta globale”.

(Si vada su: https://ilmanifesto.it/il-vero-libro-esplosivo-e-a-firma-trump/).

Dinucci cita, traducendoli, alcuni passi salienti del documento: “Cina e Russia vogliono formare un mondo antitetico ai valori e agli interessi Usa. La Cina cerca di prendere il posto degli Stati uniti nella regione del Pacifico, diffondendo il suo modello di economia a conduzione statale. La Russia cerca di riacquistare il suo status di grande potenza e stabilire sfere di influenza vicino ai suoi confini. Mira a indebolire l’influenza statunitense nel mondo e a dividerci dai nostri alleati e partner”.

Da questa analisi strategica americana deriverebbe una vera e propria missione affidata allo strumento militare USA: “Competeremo con tutti gli strumenti della nostra potenza nazionale per assicurare che le regioni del mondo non siano dominate da una singola potenza”, ossia per far sì che l’egemonia attuale degli Stati uniti si perpetui.

La “Strategia della sicurezza nazionale degli Stati uniti”, a firma Trump, ricorda Dinucci, coinvolgerebbe quindi l’Italia e gli altri paesi della Nato, chiamandoli a rafforzare il fianco orientale contro l’”aggressione russa”, e a destinare almeno il 2% del PIL alla spesa militare e il 20% di questa all’acquisizione di nuove forze e armi.

Proprio su quest’ultimo punto del coinvolgimento europeo interviene Daniel Ellsberg, analista militare che svelò i Pentagono Papers sul Vietnam, intervistato da “Repubblica” (15 gennaio 2018) sul libro appena dato alle stampe: “The Doomsday Machine”.

La domanda della giornalista Stefania Maurizi è: “Nonostante i progressi significativi nel disarmo, oggi ci sono migliaia di armi nucleari in <hair-trigger-alert>, ovvero pronte ad essere lanciate in pochi minuti. Cosa andrebbe fatto immediatamente?”

La risposta di Ellsberg è: “Gli Stati Uniti e la NATO non dovrebbero solo adottare la politica di no first use, ma dovrebbero agire in accordo con essa, eliminando dall’Europa tutte le armi nucleari tattiche, che sono tutte altamente vulnerabili e possono portare ad un lancio su falso allarme. Ciò significa rimuovere tutte le armi oggi in Italia, Germania, Belgio, Olanda e Turchia.

Ellsberg, ovviamente, non lesina le critiche nemmeno alla Russia: “Le minacce da parte di Putin di un first use delle armi nucleari – in connessione con l’Ucraina o con Kaliningrad – sono folli e immorali, come lo sono sempre state quelle della NATO.

L’impegno di Ellsberg è, in conclusione, si parva licet, sinergico con quello del sottoscritto: allertare l’opinione pubblica sul carattere mortale della minaccia universale costituita dalle armi atomiche. Il “caso Petrov” su cui lavoriamo ne è una clamorosa conferma (vedi trailer con link sotto riportato del film su l’uomo che il 26 settembre 1983 salvò il mondo dalla guerra nucleare). E’ questo di esigere il disarmo nucleare subito l’essenza del messaggio lanciato da “La follia del nucleare: come uscirne?. Mi riferisco al libro scritto insieme a Mario Agostinelli e Luigi Mosca (Mimesis edizioni, 2016), che è uno strumento del lavoro dei “Disarmisti esigenti(www.disarmistiesigenti.org).

 ‘The Man Who Saved The World’ Promo Trailer …

 

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Gli ordigni nucleari come armi di distruzione climatica

di Alfonso Navarra – direttore de “IL SOLE DI PARIGI”
Milano – 9 gennaio 2018

L’inverno nucleare è lo scenario, di cui, tra gli altri, fu pioniere il famoso astrofisico Carl Sagan, che, leggiamo su Wikipedia, “conseguirebbe ad una ipotetica guerra termonucleare di estensione mondiale tra potenze, come la Russia, gli Stati Uniti, la Cina, la Francia, la Gran Bretagna e altri paesi in possesso di un arsenale di armamenti atomici dal potenziale distruttivo su scala globale”.
Gruppi di scienziati hanno elaborato nel corso degli anni diverse teorie riguardanti questo fenomeno: si sono basati innanzitutto sugli effetti riscontrati durante le esplosioni atomiche avvenute a Hiroshima e Nagasaki (in Giappone) sul finire della Seconda Guerra Mondiale, poi sui vari esperimenti nucleari portati a termine da molti stati nel periodo post-bellico e della Guerra fredda; infine sugli effetti collaterali del disastro di Chernobyl.
La guerra nucleare andrebbe a formare, in virtù dei venti, delle particelle di materia carbonizzata, delle polveri radioattive e di qualsiasi altra sostanza in grado di alzarsi nell’aria, una barriera impermeabile ai raggi solari che farebbe crollare le temperature nell’atmosfera. La combinazione tra le temperature gelide, l’oscurità permanente e le radiazioni dovute alle esplosioni atomiche produrrebbero sconvolgimenti climatici tali da pregiudicare la sopravvivenza delle specie animali e vegetali e provocare effetti devastanti anche sullo strato di ozono.
L’inverno nucleare deriverebbe dalla produzione di polveri fini in conseguenza dell’esplosione di testate nucleari su obiettivi civili (e quindi non sui mari o nei deserti come durante i test atomici).
Lo scenario di impiego massiccio delle armi poggia sul fatto che al momento delle esplosioni un moto convettivo (il fungo atomico) trasporta rapidamente tutte le polveri verso strati più alti.
Spiega sempre Wikipedia: “Questo dovrebbe creare una uniforme nube di polvere e cenere radioattiva sospesa nell’aria fra i 1000 e i 2000 metri da terra. La nube accumulerebbe l’energia solare e farebbe salire le temperature degli strati della tropopausa e alta troposfera fino a 80 °C mentre la superficie della Terra rimarrebbe protetta dai raggi solari e si raffredderebbe in media di 40 °C”. Scusate se è poco!
Vi sono anche scenari di impiego più contenuto di armi “atomiche” che vanno sotto il titolo di “guerra nucleare locale”: vedi articolo allegato de Le Scienze (marzo 2010), autori Alan Robock e Owen Brian Toon, dal sottoscritto citato ne: “La follia del nucleare: come uscirne” (coautori Luigi Mosca e Mario Agostinelli – Mimesis Edizioni, 2016).
Questo il sottotitolo del pezzo: “Ci si preoccupa dei rapporti tra Stati Uniti e Russia, ma una guerra nucleare regionale tra India e Pakistan potrebbe offuscare il Sole e affamare buona parte dell’umanità”.
Qui la previsione diciamo ottimistica è di solo un miliardo di morti dopo una ventina di anni, a scalare dall’epicentro del conflitto.
Nel 2014 un altro studio su un possibile conflitto nucleare tra India e Pakistan è salito agli onori della cronaca: questo invece è stato pubblicato sulla rivista Earth’s Future dell’American Geological Society (AGU).
(si vada alla URL: http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/2013EF000205/full).
Siamo sempre ad uno scambio di 50 missili a testa di 15 kilotoni l’uno ma i morti previsti raddoppiano con l’uso di nuovi modelli: 2 miliardi al posto di uno.
La stessa cifra viene fuori da uno studio dell’ International Physicians for the Prevention of Nuclear War (si vada su: http://www.ippnw.org/nuclear-famine.html). Secondo quel lavoro, un conflitto nucleare su piccola scala potrebbe portare ad una diminuzione nella produzione di grano di almeno il 10% per dieci anni, con picchi che raggiungerebbero il 20% nei momenti peggiori.
Gli ordigni nucleari, se la teoria dell’inverno nucleare fosse pienamente comprovata, potrebbero secondo ogni logica essere inseriti a tutti gli effetti nella categoria delle armi di distruzione climatica: le catastrofi climatiche che possono provocare sono un effetto essenziale del loro impiego.
Arma direttamente climatica non è quindi, ad esempio, solo la tecnologia elettromagnetica usata militarmente per sconvolgere l’ambiente: è proprio l’arma nucleare, che produce onde d’urto, tempeste di fuoco, inquinamento radioattivo ed impatto elettromagnetico; ma, con un impiego relativamente allargato, anche il cosiddetto “inverno nucleare”.
Un attacco nucleare contro la Corea di poche decine di bombe H non farebbe solo milioni di morti subito su un territorio circoscritto: il cambiamento climatico e la destabilizzazione agricola ed ecologica investirebbero un’area molto più ampia (la Cina è vicina!) e nel periodo di un paio di decenni potrebbero causare, come si è visto, centinaia di milioni di morti.
Nel 1976, un’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato una Convenzione internazionale (  Risoluzione 31/72 del 10 dicembre 1976) che ha vietato l’uso militare di tecniche di modifica dell’ambiente che hanno effetti diffusi, duraturi e gravi nel tempo.
Essa è nota come Convenzione ENMOD (Convention on the Prohibition of Military or Any Other Hostile Use of Environmental Modification Techniques), è stata aperta alla firma il 18 maggio 1977 a Ginevra ed è entrata in vigore il 5 ottobre 1978.
L’Italia ha firmato la Convenzione a Ginevra il 18 maggio 1977 e l’ha ratificata con la legge n. 962 del 29 novembre 1980.
(Per il suo testo andare alla URL: http://disarmament.un.org/treaties/t/enmod)
La Convenzione proibisce l’uso militare e ogni altro utilizzo ostile delle tecniche di modifiche ambientali aventi effetti estesi, duraturi o severi.
Il termine “tecniche di modifiche ambientali” si riferisce ad ogni tecnica finalizzata a cambiare – attraverso la manipolazione deliberata dei processi naturali – la dinamica, la composizione e la struttura della Terra, incluse la sua biosfera, litosfera, idrosfera e atmosfera, così come lo spazio esterno.
I criteri per la definizione di tali tecniche non sono definiti nel corpo della Convenzione ma nell’Intesa sull’Articolo I che, riportando quanto emerso in fase negoziale, esplicita i termini:
“esteso” come riferibile ad un’area di diverse centinaia di kilometri quadrati;
“duraturo” come riconducibile ad un periodo di mesi o di almeno una stagione;
“severo” come correlato ad un’azione che provoca danni seri o significativi alla vita umana, naturale alle risorse economiche o altre attività.
I primi due criteri sono valutati con parametri quantitativi e l’ultimo criterio con elementi qualitativi in parte riconducibili al concetto di sviluppo sostenibile.
Il divieto di guerra climatica, ovvero di utilizzo delle tecniche di modifica del clima o di geoingegneria con lo scopo di provocare danni o distruzioni, viene ripreso anche nella Convenzione sulla diversità biologica del 2010.
Vogliamo, dopo queste informazioni, a questo punto cercare il pelo nell’uovo?
La Convenzione ENMOD non tutelerebbe l’ambiente da qualunque danno provocato dalle azioni belliche o ostili ma vieterebbe solo quelle tecniche offensive che trasformano l’ambiente stesso in un’arma, ascrivibili alle tecniche di manipolazione ambientale.
In questo senso non vieterebbe l’uso di armi atomiche per distruggere – che so – Pyong Yang ed altre città coreane. Ma si dovrebbe anche considerare l’eventualità che l’attacco alle città di un Paese piccolo possa essere solo uno schermo che nasconde l’intenzione di provocare modifiche ambientali capaci di disorganizzare e portare alla fame un Paese più grande confinante.
Gli ordigni nucleari capaci di tali effetti potrebbero allora essere considerati proibiti ai sensi della citata Convenzione ENMOD e una conferenza di revisione convocata ad hoc dall’ONU potrebbe avallare un tale sviluppo innovativo del diritto internazionale.
Un’altra strada potrebbe essere quella di considerare, all’interno del percorso dell’accordo per contrastare il riscaldamento globale di Parigi del 12 dicembre 2015, la minaccia nucleare direttamente come una minaccia climatica, non solo un problema collegato alla seconda dalla potenzialità analoga di estinzione della specie umana.
La minaccia nucleare potrebbe essere vista come possibile minaccia climatica diretta, allo stesso modo dell’accumulo di gas serra.
Questo ragionamento costituirebbe un salto di paradigma anche per noi Disarmisti esigenti, che pure abbiamo lavorato sull’intreccio tra le due minacce sia a Parigi, sia a New York che a Bonn, cioé sia nel percorso disarmista che in quello climatico.
Preparare la guerra nucleare significa comunque preparare il più sconvolgente e repentino cataclisma climatico. Potrebbe avvenire non solo come effetto collaterale ma come risultato di una azione intenzionale.
Sembrerebbe quindi opportuno, anzi doveroso, che il percorso ONU delle COP climatiche (ora dalla COP 23 di Bonn si va alla COP 24 a Katowice in Polonia) ne prendesse consapevolezza e si cautelasse dall’inverno nucleare o da quanto altro potesse essere prodotto dalle armi nucleari come alterazione climatica deliberata.
La crisi coreana rende questi discorsi molto concreti per chiunque, nel momento in cui due leader statali – e disgraziatamente non si tratta di una barzelletta – fanno la gara a chi detiene il bottone nucleare più grosso!
Quanto sopra esposto dovrebbe comunque fare riflettere reti come la COALIZIONE PER IL CLIMA, che si sono costituite con l’obiettivo di costruire iniziative e mobilitazioni comuni, nazionali e territoriali, per raggiungere la massima sensibilizzazione possibile sulla lotta ai cambiamenti climatici, allo scopo di salvare il nostro Pianeta.
Se si ha a cuore il futuro dell’ecosistema globale bisogna adoperarsi per eliminare alla radice la minaccia nucleare, che oltretutto, come si è detto, potrebbe essere direttamente minaccia climatica.
Ne consegue la necessità di farsi partner attivo della Campagna ICAN (Abolizione delle armi nucleari), allo stesso modo in cui la Rete ICAN non farebbe male ad occuparsi dell’intreccio tra minaccia nucleare e minaccia climatica.
Non sarebbe affatto fuori tema “ecologista” la richiesta che, al di là delle singole organizzazioni aderenti, la COALIZIONE in quanto tale si facesse addirittura componente di ICAN in Italia, accogliendo l’appello di “SIAMO TUTTI PREMI NOBEL”, lanciato con la conferenza stampa al Senato dell’11 dicembre 2017.