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Balcani e Ucraina: cos’hanno in comune le ultime due guerre che hanno scosso l’Europa?

di Laura Tussi (sito)

Dall’ingerenza della NATO alla mobilitazione del movimento pacifista e nonviolento, fino ai riferimenti al diritto internazionale. Attraverso le parole e l’esperienza del segretario dei Corpi Civili di Pace Gianmarco Pisa – segretario nazionale dell’Istituto Italiano di Ricerca per la Pace – Corpi Civili di Pace –, proviamo a capire meglio la situazione geopolitica attuale analizzando i conflitti in Balcani e Ucraina, le ultime guerre che, in ordine di tempo, hanno interessato il territorio europeo.

di LAURA TUSSI

Solo il personale civile, purché fornito delle necessarie competenze, può affrontare in modo, al tempo stesso, legittimo, affidabile e credibile, l’azione di inibizione della violenza senza l’uso delle armi, senza il ricorso alla violenza, anzi, specificamente, mediante l’approccio costruttivo proprio della nonviolenza. È su questo assunto che si basano i Corpi Civili di Pace, istituiti in via sperimentale nel 2013 per porre le basi per la realizzazione di una più ampia e strutturata “difesa civile, non armata e nonviolenta” in situazioni di conflitto e di emergenze ambientali.

Gianmarco Pisa è un operatore di pace, attivista e pubblicista, nonché segretario nazionale dell’Istituto Italiano di Ricerca per la Pace – Corpi Civili di Pace, con cui è intervenuto in Kosovo, dopo essere stato anche nei Balcani ancora fumanti dopo il conflitto della fine degli anni novanta. Con lui proviamo a costruire un parallelismo proprio fra quella guerra – l’ultima combattuta nel cuore dell’Europa, fino al 20 febbraio 2022 – e l’attuale conflitto ucraino

Balcani e Ucraina: a proposito di queste ultime due guerre “europee”, possiamo rifarci alla teoria dei “corsi e ricorsi storici”?

Mi sembra si possa richiamare, più che la nozione vichiana dei “corsi e ricorsi storici”, soprattutto il vecchio adagio di Marx del “18 brumaio di Luigi Bonaparte”, secondo il quale “«”tutti i grandi fatti della storia universale si presentano, per così dire, due volte, la prima volta come tragedia, la seconda volta come farsa”. Spesse volte, una farsa dolorosa e cinica.

Foto di Charles Rosemond

Nella situazione attuale – inaugurata dal colpo di stato di Euromaidan del febbraio 2014, proseguita con la guerra civile, durata otto anni, nel Donbass, e approdata all’intervento militare russo del febbraio 2022 – una nutrita schiera di giornalisti ha ribadito la tesi per cui la guerra in corso in Ucraina segna “il ritorno della guerra in Europa”. Si tratta di una tesi propagandistica, in alcuni casi utilizzata come vera e propria propaganda di guerra, e in ogni caso falsa e fuorviante.

Falsa perché sarebbe sufficiente ricordare il lungo ciclo di guerre nei Balcani, prima la guerra in Croazia e in Bosnia, tra il 1992 e il 1995, poi ancora il conflitto armato in Kosovo e la guerra della NATO alla Jugoslavia nel 1999. Fuorviante perché serve a spostare il peso della responsabilità su una sola parte: tende a rimuovere il fatto che furono appunto gli Stati Uniti e la NATO a portare, nel 1999, pesantemente una guerra nel cuore dell’Europa e induce viceversa a pensare che questa responsabilità ricada esclusivamente sulla Russia di oggi.

Difficile, in ogni caso, tacere delle responsabilità della NATO nella militarizzazione e nella spirale di guerra nella quale sempre più rischia di precipitare l’Europa. È appena il caso di ricordare che, solo in Europa, Stati Uniti e NATO dispongono di decine di basi militari e dislocano decine di bombe nucleari in sei basi sparse tra Germania, Belgio, Paesi Bassi, Turchia, e Italia; nel nostro Paese ad Aviano e a Ghedi.

Attualmente è in corso il dibattito sul diritto e la giustizia internazionale, ma è bene anche ricordare quali presupposti giuridici e quali violazioni del diritto internazionale si sono consumati con la guerra alla Jugoslavia del 1999.
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Le Nazioni Unite hanno richiamato i capisaldi del diritto internazionale: la pace e la sicurezza internazionale, il rispetto della sovranità, dell’indipendenza politica e dell’integrità territoriale degli Stati, il rispetto dell’autodeterminazione dei popoli e il principio di non ingerenza nelle questioni interne dei singoli Paesi. Nell’ambito dei principi fondamentali della giustizia internazionale non esiste un principio “più fondamentale” degli altri; d’altra parte, è noto che gli stessi diritti umani sono un complesso universale e indivisibile. La guerra non può dunque essere uno strumento legittimo di risoluzione delle controversie, così come sanzioni unilaterali e illegittime non possono essere considerate uno strumento praticabile. Allo stesso modo, la violazione di accordi e trattati non può essere accettata.

guerra carro armato

In relazione alla guerra in corso, è opportuno richiamare la violazione degli accordi di Minsk da parte ucraina. Se invece si torna al precedente del 1999, è impossibile dimenticare che quella che fu presentata addirittura come una “guerra umanitaria” fu in realtà un’aggressione a tutti gli effetti ai danni di un Paese indipendente, la Jugoslavia, membro delle Nazioni Unite. Nel corso di quella aggressione, a proposito delle Convenzioni di Ginevra, non si può dimenticare l’uso da parte della NATO di munizioni a uranio impoverito, gli ospedali, le scuole, le infrastrutture civili colpite e distrutte.

È utile fare una riflessione su analogie e differenze tra l’intervento militare russo in Ucraina e la questione del Donbass, da un lato, e l’intervento militare della NATO in Jugoslavia e la questione del Kosovo, dall’altro. Vi è un parallelismo tra queste guerre fomentate dalla strategia bellicista NATO-USA?

Ci sono analogie e differenze, ma un troppo facile parallelismo rischia di portare fuori strada. A differenza della situazione del Kosovo degli anni novanta ad esempio, la vicenda del Donbass era già stata inserita in un contesto diplomatico internazionale, come dimostrano il processo politico del “formato Normandia” e la firma del primo protocollo di Minsk nel settembre 2014, che nei primi tre punti richiedeva il cessate il fuoco immediato, il monitoraggio del cessate il fuoco da parte dell’OSCE e una legge sullo status speciale per una significativa autonomia del Donbass.

Se da un lato non si può accettare che le violazioni del diritto e della giustizia internazionale possano fungere da precedente, dall’altro va respinto l’approccio da “doppio standard” che troppo spesso muove le cancellerie occidentali. Non a caso, sono temi che tornano nella recente proposta avanzata dalla Cina per la soluzione politica della crisi ucraina in dodici punti. Non va dimenticato che il Kosovo si è di fatto separato dalla Serbia e alla fine ha proclamato la propria, controversa, indipendenza proprio dopo la guerra della NATO del 1999 ai danni della stessa Serbia. 

la forza del movimento pacifista sta proprio nella capacità di coniugare conflitto e consenso, di sviluppare lotta e proposta

Ogni volta si sente ripetere “dove sono i pacifisti?”, quindi può essere utile richiamare le iniziative dei movimenti per la pace all’epoca delle guerre nei Balcani.

I pacifisti sono presenti: non li vede solo chi, per un motivo o per l’altro, finge di non vederli. D’altra parte, se per “pacifismo” intendiamo, in senso ampio, l’insieme delle soggettività che si battono contro la guerra, contro il militarismo e per la pace, è evidente che si tratta di un movimento vasto e composito, con una gamma di posizioni anche diverse al proprio interno, come è naturale che sia. La gran parte del movimento è fermo nella sua posizione contro la militarizzazione e contro il militarismo, contro l’invio di armi all’Ucraina, a favore di un cessate il fuoco che sia il più rapido possibile e per la riapertura, il più presto possibile, di un percorso politico e diplomatico.

Anche la critica contro le sanzioni unilaterali imposte alla Russia, sulla cui efficacia peraltro il dibattito è assai vivace, è presente tra le realtà del movimento “contro la guerra e per la pace”. Posso portare l’esempio di una “piazza” importante nella geografia dei movimenti, Napoli, dove varie iniziative hanno portato i temi della fine dell’invio di armi all’Ucraina, del ritiro delle sanzioni unilaterali – che finiscono sempre per colpire le popolazioni civili – alla Russia e ad altri Paesi, del ritiro dei soldati italiani mobilitati nelle esercitazioni della NATO ai confini della Russia e dell’Ucraina e dei contingenti italiani nelle varie missioni militari all’estero; della lotta contro le basi e le servitù militari nel nostro Paese e infine dello scioglimento della NATO. 

Insomma, il movimento per la pace, pur se con numeri e con un impatto lontani da quelli delle manifestazioni del 1999 e del 2003, è presente e attivo; ha forse sempre più bisogno di trovare occasioni di “unità d’azione”, in modo da moltiplicare l’efficacia della propria iniziativa. 

jugoslavia
Non solo “contro la guerra”, ma anche “per la pace”. Quindi può essere utile ricordare i progetti positivi delle organizzazioni per la pace, per esempio i Corpi Civili di Pace, ad esempio nei Balcani e in Kosovo. Quale il loro ruolo?

Questo, tornando alla riflessione precedente, è propriamente un punto qualificante delle forze del movimento contro la guerra e per la pace: di non essere cioè solo capace di una necessaria protesta con campagne e mobilitazioni, ma di essere anche portatore di una ben studiata proposta costruttiva. In generale, la forza del movimento sta proprio nella capacità, per usare una fortunata espressione, di coniugare conflitto e consenso, di sviluppare lotta e proposta. 

All’epoca delle guerre nei Balcani ci furono le grandi campagne e marce per la pace: la “marcia dei Cinquecento” a Sarajevo del 1992; la marcia “Mir Sada” del 1993; la Campagna Kosovo per la nonviolenza e la riconciliazione, con il progetto dell’Ambasciata di Pace a Prishtina; il progetto dei Corpi Civili di Pace in Kosovo.

Per non parlare del movimento dei lavoratori, come nel caso dello sciopero generale contro la guerra in Jugoslavia e la manifestazione dei sindacati di maggio 1999. O la manifestazione contro la guerra dell’aprile 1999 indetta da Rifondazione Comunista. Restano attivazioni decisive, perché indicano una prospettiva e segnalano un’esigenza: collocare la lotta contro la guerra e per la costruzione della pace al centro dell’agenda, non solo dei movimenti, ma anche delle forze politiche e sindacali. 

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Anna Polo: “Riflettiamo sulle disparità per parlare di migrazioni in modo più umano”

Scritto da: LAURA TUSSI

Da Cutro a Riace, dal Messico alla Grecia, dai campi improvvisati ai centri di permanenza: la storia attuale delle migrazioni è costellata di contraddizioni, inefficienze e ipocrisia. Secondo Anna Polo, attivista e giornalista, il primo passo da fare è recuperare un approccio più umano, che metta al primo posto le persone e non le strategie politiche.

I migranti provenienti dalle varie parti del mondo fuggono da guerre, disastri ambientali, povertà, terrorismo, violenze, massacri, genocidi. Cercano in modo legale e sicuro accoglienza, assistenza e solidarietà nei nostri territori, ma il cosiddetto Occidente civilizzato e progressista risponde con una politica feroce di respingimenti e con l’aumento delle guerre e delle spese militari, alimentando il rischio di una terza guerra mondiale e di un’apocalisse nucleare.

Ne parliamo con Anna Polo, giornalista dell’agenzia stampa internazionale Pressenza, che si occupa di migranti non solo attraverso la pubblicazione di approfondimenti, interviste e comunicati delle Ong del soccorso in mare, ma anche attivandosi in prima persona e organizzando insieme ad altre associazioni campagne ed eventi sulla criminalizzazione della solidarietà e su casi clamorosi come quello di Riace e quello più recente di Cutro.

anna polo
Anna Polo
Da dove si può partire a tuo parere per parlare di un fenomeno ampio e complesso come quello delle migrazioni?

Come hai già detto tu, chi tenta di arrivare in Europa – e anche negli Stati Uniti, cercando di superare la frontiera messicana – fugge da situazioni atroci, che noi occidentali nemmeno ci immaginiamo, o più semplicemente vuole migliorare la sua vita e fare nuove esperienze. E qui veniamo a una domanda cruciale: perché un giovane europeo può muoversi liberamente, cercare possibilità di studio e di lavoro in altri Paesi, e un suo coetaneo africano o asiatico no?

Avere il passaporto sbagliato pregiudica tutta la vita e costituisce una discriminazione inaccettabile. Riflettere su questa disparità può aiutarci ad affrontare il tema delle migrazioni da un punto di vista umano, mettendosi nei panni di chi non ha le nostre stesse possibilità e magari impegnandosi, come nel mio caso, per riparare questa ingiustizia. 

Che conseguenze ha la politica di “protezione delle frontiere” perseguita dall’Unione Europea?

Conseguenze tragiche: dal 2014 a oggi tra morti annegati e dispersi nel Mediterraneo centrale si arriva a oltre 25.000 persone. Solo nell’anno 2022 30.000 uomini, donne e bambini sono stati riportati – da motovedette finanziate dall’Italia in base a un infame accordo con la Libia – nell’inferno da cui avevano cercato di fuggire. Migliaia di persone vengono respinte con violenza al confine tra Polonia e Bielorussia e lo stesso succede con la rotta balcanica che arriva a Trieste e a chi cerca di attraversare il confine tra Italia e Francia. Respingimenti illegali avvengono anche in Grecia e tutto questo in aperta violazione del diritto e delle convenzioni internazionali. 

Chi riesce ad arrivare in Europa viene confinato in campi simili a prigioni, come nell’isola greca di Samos, dove deve attendere per mesi e anni che la sua richiesta di asilo venga esaminata ed è costretto ad arrangiarsi in accampamenti come la “giungla” di Calais, continuamente sgomberati dalla polizia, o pur non avendo commesso alcun reato finisce in luoghi orribili come i Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR) italiani, dove ogni diritto umano viene impunemente violato.

fiori sulla spiaggia di Cutro Rete 26 febbraio
L’attualità è una conferma questo scenario drammatico?

La recente strage di Cutro è un esempio straziante di questa politica: il Governo italiano ha lasciato annegare gente che poteva essere salvata e ora cerca di eludere le proprie responsabilità dichiarando guerra con toni roboanti ai trafficanti del mare e agli scafisti. Viene però ignorato un punto fondamentale: gli scafisti sono spesso giovani migranti costretti a guidare i barchini, l’ultimo anello di una rete molto più ampia, i cui vertici restano nell’ombra.

Questi vertici, i veri trafficanti di esseri umani, sono certamente dei criminali, ma non potrebbero chiedere somme esorbitanti a persone disperate, costringendole a viaggi pericolosi e spesso letali, se ci fossero canali legali e sicuri di ingresso in Europa. Dunque i veri responsabili di queste tragedie sono le autorità europee e quelle nazionali.

E invece chi supplisce ai vuoti lasciati dalle istituzioni viene criminalizzato…

Esatto. Da anni le Ong del soccorso in mare vengono perseguitate con campagne mediatiche basate su calunnie e fake news, processi e provvedimenti come sanzioni e fermi amministrativi. Il vero scopo è svuotare il Mediterraneo di testimoni scomodi e la conseguenza è l’aumento delle morti in mare. Anche difensori di diritti umani e avvocati vengono presi di mira, calunniati e sottoposti a processi basati su accuse assurde, con lo scopo evidente di scoraggiare le loro attività.

Avere il passaporto sbagliato costituisce una discriminazione inaccettabile. Riflettere su questa disparità aiuta ad affrontare il tema delle migrazioni da un punto di vista umano

Qualcosa però si sta facendo per reagire a questo orrore.

Sì, fortunatamente esiste una società civile generosa e solidale – lo abbiamo visto nella manifestazione di sabato 11 marzo a Cutro – che organizza eventi di denuncia e sensibilizzazione per sostenere chi fa vera accoglienza, come Mimmo Lucano a Riace e chi, come le Ong del soccorso in mare, salva vite umane nel Mediterraneo. Un esempio è la campagna “La bandiera ONU per le navi umanitarie”, che come Pressenza stiamo lanciando insieme al Festival del Cinema dei Diritti Umani di NapoliRESQ People Saving PeopleUnimondoASGIPax Christi e Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo.

La campagna si articola in una petizione su change.org e due richieste alle autorità competenti dell’ONU: dotare le navi delle Ong della bandiera dell’ONU in modo da tutelare l’operato di chi dà concreta attuazione al dovere di soccorso in mare previsto dalle norme internazionali e cancellare la cosiddetta zona Sar libica, perché la Libia non garantisce alcun porto sicuro, né il rispetto dei diritti umani. Vorrei concludere con una citazione del poeta tedesco Friedrich Hölderlin, che a mio parere esprime in forma ispirata e sintetica tutto quello di cui abbiamo parlato finora: “Lì dove c’è il pericolo cresce anche ciò che salva”.

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Abbasso la guerra: una mostra itinerante che da dieci anni diffonde la cultura di pace

di Laura Tussi (sito)

Dal 2013 la mostra “Abbasso la guerra. Persone e movimenti per la pace dall’800 ad oggi” viaggia in giro per l’Italia mostrando e diffondendo la cultura della pace e della nonviolenza. Un’iniziativa preziosa che si rivolge soprattutto ai più giovani per costruire un pensiero e un’azione alternativi al preoccupante militarismo che sta dilagando in questa epoca storica.

di LAURA TUSSI

È cominciato tutto a Trento nell’aprile 2013, per poi proseguire nel corso degli anni con esposizioni in scuole, biblioteche, teatri, musei, festival, piccoli e grandi centri e manifestazioni varie, spesso arricchite con presentazioni di libri, dibattiti e incontri, conferenze, teatro, film. Prodotto di lunghe ricerche, la mostra Abbasso la guerra. Persone e movimenti per la pace dall’800 ad oggi illustra con testi, immagini e documenti il multiforme impegno spontaneo e organizzato di persone, movimenti, associazioni contro la guerra, la cultura della guerra e la subcultura guerresca e militarista.

Una documentazione in gran parte inedita fa vivere, tra emozione e ragione, le voci e le istanze dei movimenti pacifisti italiani e internazionali e dell’opposizione popolare alla guerra. Il curatore di Abbasso la guerra. Persone e movimenti per la pace dall’800 ad oggi è il professor Francesco Pugliese, che è anche autore della ricerca e dell’omonimo libro-catalogo. Scene di moltitudini, eroi solitari e profeti inascoltati, tra utopia e realismo: fuori la guerra dalla storia. L’unica speranza per l’umanità.

Il progetto mira a sostenere la memoria storica dell’opposizione e degli oppositori agli armamenti e alla guerra – “pazzia bestialissima”, scrisse Leonardo –, a sensibilizzare sui temi della pace e dell’educazione alla pace e a propugnare culture, coscienze e pratiche pacifiche e nonviolente a tutti i livelli per un rinnovato impegno di massa per il disarmo.

Ma si attiva anche per difendere il ripudio della guerra scolpito nell’articolo 11 della Costituzione italiana e sulla Carta delle Nazioni Unite e a ricordare le finalità di pace del processo di costruzione europea nel centenario della “inutile strage” [la prima Guerra Mondiale, ndr]. Lo fa proprio in un’epoca in cui folate di nazionalismo e smarrimenti delle finalità originarie percorrono preoccupanti il vecchio continente e il sogno dell’ONU di “salvare le future generazioni dal flagello della guerra” attraversa uno dei suoi momenti più critici.

La mostra è stata ideata per il centenario della Prima Guerra Mondiale, il 70° anniversario della Liberazione e delle tragedie di Hiroshima e Nagasaki e il 60° anniversario del manifesto Einstein-Russell: “Ricordate la vostra umanità e dimenticate tutto il resto. Questo dunque è il problema che vi presentiamo, netto, terribile e inevitabile: dobbiamo porre fine alla razza umana oppure l’umanità dovrà rinunciare alla guerra?”, recita il documento pubblicato dai due studiosi a Londra il 9 luglio 1955.

“Una mostra importante perché restituisce dignità al movimento pacifista e alle sfide che questo ha posto e affrontato negli ultimi 150 anni – scrive Francesco Penzo –, perché racconta una storia in cui in tanti e tante cittadini si riconoscono, perché pone sul tavolo molte questioni ancora aperte legate al disarmo, alla nonviolenza, alla prevenzione dei conflitti”.

Poiché le guerre nascono nella mente degli uomini, è nella mente degli uomini che devono essere costruite le difese della pace

«La guerra è follia», ha gridato Papa Francesco a Redipuglia. Follia che dilaga nel mondo e produce stragi e orrore, miseria e profughi e cancella i diritti umani. I poteri forti investono nella guerra il 13,4% del Pil mondiale (Iep). La guerra brucia l’ambiente e accresce le diseguaglianze. È una follia alimentata dall’industria e dal commercio di armi, sempre più floridi – si è registrata una crescita dell’8,6% nel 2016. Una nuova pazzesca corsa al riarmo è partita, l’incubo atomico angoscia l’umanità, si investono somme ingenti per costruire e mantenere arsenali nucleari che già potrebbero distruggere la Terra molte volte. Tutto ciò mentre 800 milioni di esseri umani soffrono la fame e oltre un miliardo di persone vivono con appena un dollaro al giorno.

Oggi più che mai è il momento di rinforzare il rifiuto della guerra, come è avvenuto dopo la seconda guerra mondiale. C’è bisogno di nuove ondate di mobilitazioni popolari contro il mostro bellico, di rinnovata e coerente lotta per la pace, dell’impegno di ognuno perché ognuno può fare qualcosa. La mostra Abbasso la guerra ha ricevuto l’alto patrocinio del Parlamento europeo e quello della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, ha l’adesione del Museo Storico e del Forum Pace del Trentino e di vari altri enti, associazioni, Regioni, Comuni, scuole.

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L’esposizione si compone di 24 pannelli di 70×100 centimetri e la sua struttura e i contenuti divulgativi che offre sono rivolti in particolare alle scuole. L’ultimo pannello della mostra riporta le parole dell’Unesco: “Poiché le guerre nascono nella mente degli uomini, è nella mente degli uomini che devono essere costruite le difese della pace”. Questa frase è stata incisa sul marmo davanti a una scuola di Pienza, in Toscana.

“Tanto bella che dovrebbe essere permanente”, ha scritto una visitatrice a Bologna. Durante le esposizioni di abbasso la guerra viene distribuito il libro-catalogo omonimo, “bellissimo, un vero tesoro per ognuno che si interessa alla storia del pacifismo”, lo ha descritto Werner Wintersteiner, direttore del Centro per la Ricerca sulla Pace e l’Educazione alla Pace dell’Università di Klagenfurt. I proventi della mostra sono destinati a Emergency e al Gruppo Missionario Merano per la realizzazione di un pozzo per acqua potabile in Africa.

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Spesa bellica: la preoccupante escalation e le reazioni del mondo pacifista

di Laura Tussi (sito)

La spesa bellica sta aumentando praticamente ovunque nel mondo e l’Italia non fa eccezione, con una percentuale pari all’1,54% del PIL, superiore alla media europea e in costante aumento. Un caso particolare è quello dell’acquisto di cacciabombardieri F35, che ha avuto però l’effetto positivo di stimolare la nascita di una campagna pacifista e antimilitarista che da anni porta avanti istanze fondamentali.

Le spese per gli armamenti e per la difesa in generale ammontano a molti miliardi ogni anno e cioè circa 26 miliardi di euro nel 2022 solo in Italia. Cifre colossali fornite da Sipri – l’Istituto Internazionale di Ricerca sulla Pace di Stoccolma – e da Milex – l’Osservatorio sulle Spese Militari Italiane – relative al 2022, che sono però in esponenziale incremento. Secondo i dati dell’autorevole istituto e dell’importante osservatorio, la spesa militare globale nel mondo continua ad aumentare nonostante la crisi.

ALCUNI DATI SULLA SPESA BELLICA GLOBALE

Il grafico delle spese militari nel mondo è in costante ascesa: secondo Sipri, sono stati raggiunti i 2113 miliardi di dollari nel 2021, con un +0,7% in termini reali rispetto all’anno precedente. I primi dieci Paesi per spesa militare coprono il 75% del totale degli investimenti bellici, con i soli Stati Uniti che contribuiscono per il 43% e più indietro, al secondo posto la Cina, mentre al terzo l’India.

Stati Uniti, Russia, Inghilterra, Francia, Cina, India, Pakistan e Israele posseggono insieme più di 25000 armi nucleari e di queste più di 5000 sono pronte all’uso e al lancio: abbastanza per distruggere più volte il nostro pianeta. Fra le potenze che stanno aumentando più rapidamente il budget destinato al comparto bellico c’è la Russia, che nel 2021 lo ha incrementato del 2,9%, portandolo al 4,1% del prodotto interno lordo complessivo.

L’ITALIA E GLI F35

Per quanto riguarda il nostro paese, un caso interessante da analizzare è quello dell’acquisto degli F35. L’F35 è un cacciabombardiere d’attacco al suolo e come tale contrasta con un modello di difesa basato sulla difesa stessa e non sull’offesa, quale dovrebbe essere quello italiano, come sancisce anche la Costituzione repubblicana all’articolo 11. Questo tipo di cacciabombardiere è atto al trasporto delle famigerate e mortifere bombe termonucleari NATO B61-12.

Inoltre è esorbitante la cifra che l’Italia spende per l’acquisto di questi mostri da guerra: 15 miliardi di euro per 90 di questi apparecchi e il numero è stato ridotto nel 2012 grazie alle proteste e alla mobilitazione nate nel paese rispetto ai 131 cacciabombardieri F35 iniziali. Ma pur sempre una follia. Una spesa enorme e esorbitante, soprattutto in tempi di crisi e quando si taglia la spesa pubblica per sanità, servizi sociali, scuole, per i più deboli, per i malati. 

Il sostegno politico è fondamentale ma non basta, perché risulta necessaria la partecipazione cosciente dei cittadini

È stato calcolato che con la spesa per gli F35 si potrebbero costruire 4500 nuovi asili nido, acquistare 10 milioni di pannelli solari per dare energia pulita a tutto il paese, costruire 50 ospedali, mettere in sicurezza anche antisismica 12mila scuole, e quindi creare 100mila posti di lavoro a fronte di circa ottocento che si dovrebbero creare con il progetto F35. 

LE PROTESTE DEL MONDO PACIFISTA

È dal 2005 che i pacifisti denunciano l’assurda follia di queste spese. Nel 2007 a Novara è nato un coordinamento di associazioni e organismi impegnati a contrastare l’assemblaggio dei cacciabombardieri nell’aeroporto militare di Cameri, vicino alla città. Si tratta di un coordinamento fondato sull’antimilitarismo e sull’autonomia dei soggetti istituzionali e varie sono state le iniziative di opposizione attivate. Come un corteo a Novara con oltre mille partecipanti e una due giorni di dibattito contro il militarismo e contro l’industria degli armamenti.

Nel tempo sono stati organizzati altre grosse iniziative che hanno coinvolto il mondo nonviolento e la società civile, come una marcia da Novara all’aeroporto di Cameri, un presidio a Torino, l’invio di una lettera aperta al prefetto di Novara. Contro il progetto F35 si è schierata anche la diocesi di Novara. Recentemente alcuni organismi come la Tavola della PaceUnimondoSbilanciamoci e altri ancora hanno promosso una campagna nazionale parallelamente a una giornata che si celebra ogni 25 febbraio con iniziative in molte città italiane e la raccolta di firme contro il progetto F35.

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Umberto Veronesi

Contro il progetto F35 si è schierato addirittura l’oncologo Umberto Veronesi, che sulla Repubblica dell’agosto 2010 ha scritto: “Come iniziatore del movimento Scienza per la pace e soprattutto come uomo che ha vissuto la guerra, mi sono sentito in dovere di presentare in Senato una mozione – avanzata dalla Rete italiana per il disarmo – per fermare il progetto, a cui partecipa il nostro paese, per la realizzazione di 2700 cacciabombardiere Joint Strike Fighter F35 a un costo complessivo stimato di 250 miliardi di dollari”. La mozione è stata sottoscritta da 27 senatori e da 16 deputati. Il sostegno politico è fondamentale ma non basta, perché risulta necessaria la partecipazione cosciente dei cittadini che hanno il diritto e il dovere di sapere.

Il bilancio della difesa per la “guerra impossibile” è di 28,7 miliardi di euro. Inoltre, l’Italia destina alla spesa bellica l’1,54% – contro una media europea dell’1,3% – del prodotto interno lordo e prevede di raggiungere entro il 2028 una quota del 2%, mentre investe una percentuale inferiore, ad esempio, nella ricerca scientifica – 1,4% del PIL, contro una media europea del 2,1%. In un simile quadro risultano dunque fondamentali non solo l’azione dei movimenti pacifisti, ma soprattutto la presa di coscienza da parte dell’opinione pubblica, della quale facciamo parte tutti noi.

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Tempi di Fraternità – Nonviolenza in azione. Iniziative e protagonisti

di Laura Tussi (sito)

Grazie al libro da poco pubblicato, dal titolo “Nonviolenza in azione”, ci è possibile ripercorrere la storia antica e moderna andando a conoscere da vicino i protagonisti e le protagoniste della nonviolenza. Diversi continenti e storie con un grande comun denominatore: la speranza concreta di poter vivere in un mondo senza violenza e abusi.

di LAURA TUSSI

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L’ultimo libro di Gaia – Rivista dell’Ecoistituto Alex Langer e del suo Direttore Michele Boato dal titolo Nonviolenza in azione traccia accuratamente e in modalità molto pertinenti i ritratti di oltre un centinaio di persone che con le loro idee e soprattutto con le azioni concrete in cui si incarna la nonviolenza, dimostrano che anche le più difficili situazioni possono essere affrontate e risolte applicando metodi nonviolenti, con creatività, coraggio e coerenza. Un libro che si può ben ricollegare al saggio Resistenza e nonviolenza creativa (Mimesis Edizioni) come prosecuzione analitica diretta e ulteriore approfondimento.

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La prima parte del libro di Michele Boato prevede la descrizione dell’emergere di azioni nonviolente dall’antichità ai nostri giorni, dove la trattazione comincia dalla storia di Hatshepsut, regina d’Egitto, che attiva trattati commerciali e non guerre nonostante i primi scioperi degli schiavi egizi, fino ad arrivare, con un salto storiografico, alla plebe romana che non collabora con il potere e agisce tramite la non collaborazione e compie uno scacco al predominio dei Patrizi.

E i fratelli Gracchi con la riforma agraria e in seguito Gesù di Nazareth con la verità disarmata che vince la violenza. I primi cristiani che sono obiettori al servizio militare. E ancora sono analizzate due figure emblematiche della nonviolenza attiva come Francesco e Chiara d’Assisi e poi da distanze storiche e spazio-temporali Bartolomeo de Las Casas e i gesuiti antirazzisti in Paraguay.

E ancora l’epopea dei quaccheri e la nonviolenza nei primi anni di lotta per l’indipendenza americana e gli scioperi operai dell’ottocento e quelli antifascisti e antinazisti e gli anni ‘70 in Italia e nel mondo. Di seguito, nella seconda parte, un’intensa trattazione contro le guerre mondiali e le dittature nazifasciste: da Remigio Cuminetti con i testimoni di Geova quali primi obiettori, da Leone Tolstoj con la teoria della non resistenza a Rosa Luxemburg con il motto rimaniamo umani e Demoghela, il reggimento che non voleva combattere.

Le figure maschili e femminili della storia della nonviolenza sono state troppo spesso cancellate dalla narrazione ufficiale

Di seguito, come proseguimento storiografico, Giacomo Matteotti un faro per la resistenza al fascismo e come approfondimento storico la resistenza nonviolenta in Norvegia fino all’occupazione nazista e alla resistenza nonviolenta in Danimarca. Poi si giunge alla contemporaneità con Tina Anselmi una vita per la giustizia e la libertà e Tina Merlin Partigiana, giornalista e al fianco della gente. Giorgio Perlasca è il giusto tra le nazioni.

Si analizza la figura di Simone Weil filosofa libertaria e operaia e partigiana, per poi trattare di Hanna Arendt contro ogni totalitarismo. La terza parte vede un approfondimento contro la guerra nucleare e tutte le guerre da Bertrand Russell e Einstein con l’appello famoso e celebre contro l’ecatombe nucleare. E in seguito Aldo Capitini dall’antifascismo alla nonviolenza con la prima marcia per la pace Perugia Assisi e poi ancora Pietro Pinna che apre le strade all’obiezione di coscienza.

Vengono menzionati inoltre i Nonviolenti in Italia: il MIR, Regis, Salio, i Marasso, il movimento nonviolento, Valpiana, Sini, Marescotti. La trattazione poi si concentra su Carlo Cassola isolato dal mondo della Cultura e dall’establishment dell’epoca a causa della sua Lega per il disarmo unilaterale e Giorgio La Pira non solo ‘sindaco santo’. In seguito Lorenzo Milani e Ernesto Balducci per cui l’obbedienza non è più una virtù e la lunghissima lotta per la legge sull’obiezione di coscienza e ancora i beati i costruttori di pace con Albino Bizotto, Lisa Clark, Alex Zanotelli.

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Alex Langer, una vita per la convivenza dal sud Tirolo all’ex Jugoslavia. Vengono menzionati i portuali di Genova e La Spezia che si rifiutano di imbarcare armi di sterminio e il colonnello sovietico Stanislav Petrov che salva il mondo dall’apocalisse nucleare negli anni ’80, in piena guerra fredda. La quarta parte prevede la trattazione della nonviolenza nei paesi dell’Est, con il 1989, anno dell’abbattimento del muro di Berlino, crepa determinante nell’impero sovietico. E Gorbaciov, con la fine dell’Unione Sovietica, proiettato verso prospettive antitotalitarie e per il disarmo nucleare mondiale e universale.

La quinta parte vede la nonviolenza contro il colonialismo e il razzismo, da Gandhi per giungere al periodo contemporaneo e di stringente attualità dell’Italia antirazzista che vede, tra le altre e gli altri, le personalità più attive: Gino Strada e Carola Rakete.
In Italia Gino Strada ha posizioni critiche verso tutti i governi e la Nato con gli Stati Uniti per il loro sostegno alle guerre e addirittura per la partecipazione diretta in vari conflitti recenti – Afghanistan, Iraq, Serbia – e per l’aumento delle spese militari e le politiche sull’immigrazione con respingimenti al limite del crimine.

In particolare critica la partecipazione dell’Italia all’intervento Nato in Afghanistan valutata da Strada e da Emergency, che vi opera, come una barbarie contro la popolazione afghana in aperta violazione dell’articolo 11 della Costituzione italiana. Intervento spinto da interessi economici. La posizione di Gino Strada è un esempio di pacifismo radicale.

Con la sesta parte viene trattata dall’autore del libro la nonviolenza per i diritti civili, la democrazia e contro la mafia: da Peppino Impastato a Danilo Dolci il Gandhi italiano ad Angelo Vassallo a Rigoberta Menchù la pasionaria degli indios del Guatemala. Questo saggio tratta di conflitti militari, politici, economici e sociali (nel prossimo volume, nel 2023, la difesa dell’ambiente), avvenimenti di grandissimo valore ma quasi conosciuti, assenti o minimizzati da quasi tutti i libri di storia.

Si parte da millenni fa per arrivare ai nostri giorni, con figure maschili e molte femminili, troppo spesso in ombra, cancellate dalla storia ufficiale, che ricorda quasi solo sovrani, condottieri, filosofi, politici e artisti maschi.

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Rassegna stampa – Recensioni Laura Tussi del libro Nonviolenza in azione

1.Recensione su PRESSENZA https://www.pressenza.com/it/2022/12/nonviolenza-in-azione-iniziative-e-protagonisti/

2.sul blog MADRUGADA – MACONDO. https://madrugada.blogs.com/il-mio-blog/2022/12/nonviolenza-in-azione-iniziative-e-protagonisti.html

3.Sul nuovissimo sito Kulturjam. https://www.kulturjam.it/editoria-narrazioni/la-nonviolenza-in-azione-di-michele-boato/

4.su HUBZINE ITALIA https://hubzineitalia.com/2022/12/27/nonviolenza-in-azione-iniziative-e-protagonisti/

5. su SOCIALE.NETWORK https://sociale.network/@laura/109586957988206832

6.sul portale PER UN’ALTRA CITTA’ https://www.perunaltracitta.org/homepage/2022/12/22/nonviolenza-in-azione-iniziative-e-protagonisti-di-michele-boato/

7.su NUOVA RESISTENZA: https://www.nuovaresistenza.org/2022/12/nonviolenza-in-azione-iniziative-e-protagonisti-kronos-pro-natura/?fbclid=IwAR39L2xSjXnRG-3JdRaFXIj5n3pAJV1zGmTDdTh2KDyWK_-cy8QI7HwPOgc

8.su AgoraVox un sito molto visto. https://mobile.agoravox.it/Nonviolenza-in-azione-Iniziative-e.html

9.su TEMPI DI FRATERNITA’ https://www.tempidifraternita.it/public/pace/PHPLaura269.htm

10.su ARCOIRISTV https://www.arcoiris.tv/lettere/author/Laura%20Tussi/?fbclid=IwAR3nU6vuPd-aca21S9Z91cjX04aRaG8G8WznbYwopGe-U4EMEynYDzIWaB4

11.sul sito ITALIA CHE CAMBIA https://www.italiachecambia.org/2022/12/nonviolenza-iniziative-libro/

12.su Libero libro che presto inserisce il link per l’acquisto. https://www.liberolibro.it/michele-boato-nonviolenza-in-azione/

13.su UNIMONDO FACEBOOK https://www.facebook.com/page/283827853767/search?q=nonviolenza%20in%20azione

14.rivista online Il Sole di Parigi https://www.ilsolediparigi.it/2022/12/16/nonviolenza-in-azione-iniziative-e-protagonisti/

15.Il Sesto Sole https://mail.google.com/mail/u/0/?tab=rm&ogbl#inbox/WhctKKXpQbFlHrNncHpbjWWtxncQWkRPSmpxwpQPZqBCJSPWmtBBSJFSmkXXPShBsXKNfJg?projector=1&messagePartId=0.1

16.rivista Eco https://rivistaeco.it/la-nonviolenza-ha-una-storia-lunga/

17.Peacelink https://sociale.network/@peacelink

18. Rete ambientalista di Lino Balza https://www.rete-ambientalista.it/2023/01/07/lultimo-libro-di-gaia-rivista-dellecoistituto-alex-langer/

19. Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo https://www.atlanteguerre.it/nonviolenza-in-azione-iniziative-e-protagonisti/

20. Tempi di Fraternità – versione cartacea, n. marzo 2023

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La guerra in ex Jugoslavia: dagli errori dell’ONU alle difficoltà del mondo del pacifismo

di Laura Tussi (sito)

Dall’alveo di un fiume di sangue che per una decade ha bagnato il cuore dell’Europa e che ancora oggi non si è del tutto prosciugato, affiorano tutte le contraddizioni sollevate dalla guerra in ex Jugoslavia. Dalla politica militare della Nato ai razzismi e ai sovranismi, dai gravi errori della nascente Unione Europea e dell’ONU alla crisi dei movimenti pacifisti, proviamo a ripercorrere quegli eventi tragici.

Scritto da: LAURA TUSSI

Anni di terrore, morte, rovine, indicibili crudeltà nel cuore dell’Europa. Anni di inferno, stragi, stupri, pulizia etnica, assedi, distruzioni. Un campionario di atrocità sconvolgente ancora adesso. Centinaia di migliaia di morti. Milioni di profughi. Un numero impressionante di feriti e mutilati. Scheletrite le case e le chiese. Martirizzati il territorio e l’ambiente. Maledetta, sporca guerra. Stupido trionfo dell’irrazionalità: il decennio di distruzione sanguinosa dell’ex Jugoslavia che va dal 1990 al 1999 e oltre.

Sono anni esplosivi. La guerra tra Croazia e quel che resta della federazione jugoslava dilagano sempre più feroci. Anche la Bosnia dichiara l’indipendenza, confermata dal referendum del marzo 1993. Ma la componente serba della popolazione non riconosce validità al referendum e subito la parola passa alla violenza e alle armi. La ferocia della violenza e della guerra raggiunge manifestazioni inimmaginabili. Le milizie serbo-bosniache assediano Sarajevo e sarà una lunghissima occupazione: anni terribili per la popolazione civile.

L’IMPOTENZA DELL’ONU

L’ONU interviene con varie risoluzioni e invia i caschi blu. I cessate il fuoco non sono rispettati e i piani di pace falliscono. Le tregue si rompono. Nel 1993 un accordo pone termine allo scontro in Bosnia tra croati e musulmani e la Nato bombarda i serbi. Nel maggio 1995 la Croazia riconquista la Slovenia e i serbi bombardano Zagabria. Inizia il massacro di Srebrenica, città musulmana conquistata dai serbi con i caschi blu impotenti e inadeguati.

La Croazia torna all’attacco dei serbi che in massa abbandonano la regione. La Nato torna a bombardare i serbi. Inizia il cessate il fuoco che regge fino alla pace di Dayton negli Stati Uniti e alla firma a Parigi. All’inizio del 1998 sale pericolosamente la tensione in Kosovo. La violenza esplode con gli scontri di Drenica. Cresce l’influenza dell’UCK e gli scontri con l’esercito serbo si susseguono. Falliscono le mediazioni degli inviati USA e fallisce il vertice del febbraio 1999.

I BOMBARDAMENTI NATO

La Nato inizia i molto discussi bombardamenti contro la Serbia. Anni di tregue non rispettate e di piani di pace mai attuati, di trattative infinite e inconcludenti e di giochi diplomatici, accompagnati dall’uso spregiudicato dei media. È un stupida guerra, l’ennesimo raccapricciante esempio della stupidità della guerra. Ennesima rappresentazione della sua inutilità per risolvere i problemi. Perché nessun problema fu in grado di risolvere.

Guerre tra Stati? Guerre etniche? Guerre di indipendenza? Guerre umanitarie? Guerre di bande? Guerre religiose? Tante interpretazioni e tante letture, ma una sola realtà: fu un orribile macello. Un inferno. E tanti tuttora gli enigmi. Una aggrovigliatissima matassa, ma intrecciata con un solo filo, quello della violenza. https://10b33366882ffdff0f22982943dd790e.safeframe.googlesyndication.com/safeframe/1-0-40/html/container.html

LE ATROCI SORTI DI FINE NOVECENTO

Il novecento si chiudeva così in un bagno di sangue nell’Europa nata sulle ceneri della seconda guerra mondiale, scoppiata – ha detto qualcuno – per impedire guerre future. Le granate colpivano anche le speranze di un’Europa senza massacri, faro e fucina di pace. Cause complesse e un concorso di fattori hanno determinato la spirale che è strutturata nel sangue della ex Jugoslavia.

Ma le responsabilità del nazionalismo sono apparse e appaiono evidenti e primarie. Un nazionalismo estremo. Un nazionalismo separatista e intriso di militarismo. Estremizzazione rozza della dottrina fondata sull’attaccamento alla propria nazione e a tutto ciò che gli appartiene in modo acritico, divenuto quindi idea e guida, valori e metro di giudizio, misura di comportamenti, di fiducia e sfiducia.

GLI ERRORI DELL’EUROPA E DELL’ONU E LA DURA PROVA DEL PACIFISMO

Il dramma jugoslavo mise a dura prova l’Europa della Cee e la nascente Unione Europea. Non riusciva l’Europa ad avere una politica comune e ferma e agiva in ordine sparso, incapace di unità, e fu vittima di rigurgiti delle politiche delle zone di influenza. L’ONU visse uno dei periodi più critici della sua non facile vita, mostrando limiti e inadeguatezze. Ma non solo per sua responsabilità. La sua emarginazione assunse forme molto evidenti, soprattutto per la politica della superpotenza americana che praticava un nuovo interventismo unilaterale e spingeva la Nato oltre i propri confini, trasformando l’alleanza difensiva in offensiva. Un nuovo ruolo, negli anni successivi, variamente teorizzato, giustificato e praticato.

Cause complesse e un concorso di fattori hanno determinato la spirale che è strutturata nel sangue della ex Jugoslavia

Il diritto internazionale subì colpi violenti e con conseguenze inimmaginabili negli anni a venire. Dura anche la prova per il variegato mondo del pacifismo, che non riuscì a creare mobilitazioni di massa ampie come in altre occasioni. Ma si spese molto, cercava di capire, cercava di rompere il muro dell’indifferenza e di assuefazione alla carneficina in atto nel cuore dell’Europa. Cercava di sollecitare e proporre idee e azioni concrete. Soprattutto le associazioni, gli organismi attivi storicamente nel pacifismo e tanti altri enti nati appositamente si impegnarono in un intenso intervento umanitario per aiutare concretamente le popolazioni civili.

Bibliografia di approfondimento

  • Bobbio Norberto, Il problema della guerra e le vie della pace, Il Mulino, Bologna 2009
  • Mastrolilli Paolo, Lo specchio del mondo. Le ragioni della crisi dell’ONU, Laterza, Roma 2005
  • Mini Fabio, Perché siamo così ipocriti sulla guerra? Un generale della Nato racconta, Chiarelettere, Milano 2012
  • Pugliese Francesco, Abbasso la guerra. Persone e movimenti per la pace dall’800 a oggi, Grafiche futura, Mattarello – Trento

Fonti analitiche

  • Gagliano Giuseppe, Studi politico-strategici. La conflittualità non convenzionale nel contesto delle ideologie e dei movimenti antagonisti del novecento, Vol. II, edizioni New Press – Como, I Edizione 2007
  • Pugliese Francesco, Carovane per Sarajevo. Promemoria sulle guerre contro i civili, la dissoluzione della ex Jugoslavia, i pacifisti, l’ONU (1990-1999). Prefazione: Lidia Menapace. Introduzione: Alessandro Marescotti, Alfonso Navarra, Laura Tussi

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Il dialogo per la pace tra educazione e politica

di Laura Tussi (sito)

Il dialogo per la pace tra educazione e politica -.-

Presentazione dei saggi di LAURA TUSSI -.-

Libri Mimesis Edizioni -.-

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Con

Giorgio CREMASCHI,

Fabrizio CRACOLICI,

Ennio CABIDDU -.-

Lunedì 6 marzo 2023 ore 21

Diretta FACEBOOK MSGSV Foppette https://fb.me/e/2I6Y0E7cz

In Italia abbiamo una settantina di bombe atomiche a Ghedi vicino a Brescia e ad Aviano in provincia di Pordenone e sono adesso rimpiazzate dalle nuove e più terribili e sofisticate e mortifere bombe nucleari: le B 61-12.

E dobbiamo reagire non con la violenza, ma con la “nonviolenza creativa” cioè una nonviolenza che trova gli strumenti per dire no.

Per dire basta.

Significa disobbedienza civile, manifestazioni, e trovare tutte le strade che abbiamo per forzare tutti i poteri forti oggi a smetterla con questo pericolo nucleare. Ecco il lavoro che tocca a noi fare.

In collegamento con Mondo Senza Guerre e Senza Violenza – Argonauti per la Pace

In STREAMING su Facebook @MSGSV Foppette

https://fb.me/e/2I6Y0E7czQuesto articolo è stato pubblicato qui

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La memoria storica, chiave per un’utopia realizzabile fondata su pace, convivenza e interculturalità

di Laura Tussi (sito)

Moni Ovadia e Laura Tussi per il 25 Aprile

Dal ricercatore Fabrizio Cracolici all’attore e scrittore Moni Ovadia, passando per Alex Zanotelli, Vittorio Agnoletto e tanti altri. Sono numerosi i protagonisti e le protagoniste di un percorso di divulgazione e diffusione di una cultura della pace che va avanti da anni con l’intento di gettare le basi per un mondo migliore, un’utopia realizzabile. La chiave di volta per riuscirci? La memoria.

Era l’aprile del 2009 con Fabrizio Cracolici e in collaborazione con la biblioteca e la giunta del Comune di Senago, un paese dell’hinterland milanese, abbiamo presentato il mio primo libro dal titolo Memorie e Olocausto con Moni Ovadia, che nell’occasione ha devoluto tutta la sua spettanza agli operai dell’azienda Metalli Preziosi, una fabbrica locale che ha chiuso i battenti per fallimento. In quell’occasione Ovadia ha pronunciato parole molto forti e dure, ma al contempo incoraggianti per tutti gli operai licenziati in tronco presenti e anche per la sottoscritta, allora giovane studentessa.

Con quell’evento ha avuto inizio il nostro impegno pubblico in collaborazione con Fabrizio Cracolici. Anche Moni Ovadia ci ha spronato a declinare in pubblico i contenuti e gli alti ideali dei nostri scritti e dei nostri saggi e a organizzare sempre presentazioni pubbliche come poi così è stato fino ad ora.

DIVULGARE VALORI

Inizialmente con il partigiano e deportato Emilio Bacio Capuzzo – che ha vissuto in prima persona la resistenza,la deportazione e l’antifascismo e che ci ha lasciati all’età di 91 anni nel 2017– abbiamo portato la nostra testimonianza diretta e indiretta in molte sezioni dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia e ovunque vensse richiesto il nostro supporto politico, sociale e culturale.

Con Fabrizio dal 2009 abbiamo scritto molti libri per la Mimesis Edizioni e in tutto questo tempo abbiamo organizzato e siamo stati protagonisti di oltre 500 iniziative. Nel nostro percorso di nonviolenza attiva abbiamo incontrato molte persone amiche e anche personalità con cui continuiamo a collaborare, da Antonio Pizzinato a Andrea Gallo a Alex Zanotelli, da Vittorio Agnoletto a Giorgio Cremaschi a Maurizio Acerbo a Paolo Ferrero e molti altri ancora. Non ci stanchiamo mai di portare tra la gente un messaggio di speranza per un mondo migliore anche se la congiuntura attuale è davvero pessima e addirittura tragica e siamo a solo 90 secondi dalla mezzanotte nucleare.

Ma noi continuiamo imperterriti nel nostro impegno, nella nostra azione nonviolenta e disarmista. E continuiamo a annunciare l’importanza del diritto internazionale per il disarmo nucleare universale insieme alla campagna internazionale Ican per l’abolizione degli ordigni e delle armi di distruzione di massa nucleari e per il disarmo nucleare universale, che è stata insignita del premio Nobel per la pace nel 2017. A questa rete internazionale sono affiliate una decina di associazioni per la pace sul territorio italiano e almeno 500 realtà impegnate per la nonviolenza e per il disarmo in tutto il mondo.https://www.youtube.com/embed/_bmoexX7xSA

L’IMPORTANZA DELLA MEMORIA

Con Moni Ovadia, durante la presentazione del 2009, pronunciai queste parole: «Attualmente risulta necessaria un’innovativa grammatica mentale per costruire la convivenza planetaria in dimensione interculturale. Sono sempre stata motivata dalla ricerca, dalla divulgazione culturale per l’importanza del valore educativo, per la trasmissione di contenuti significativi alle giovani generazioni, seguendo i miei maestri, gli intellettuali, come il mio caro amico Moni Ovadia, sempre attivo civilmente e moralmente, politicamente, in strenue battaglie sociali di verità, giustizia e libertà».

Noi riteniamo infatti che lo studio e la crescita culturale abbiano una validità morale ed educativa quando posti al servizio degli altri, per i principi sociali, etici e civili, per i diritti universali imprescindibili della persona, sanciti dalla carta costituzionale democratica. Nel sistema formativo inteso come ideale comunità educante, l’impegno culturale della testimonianza, del ricordo, della narrazione, del racconto e del recupero e della trasmissione del valore di memoria storica, individuale, collettiva e mai condivisa, costituiscono il filo rosso per non dimenticare.

Lo studio e la cultura devono dunque motivare le giovani generazioni alla solidarietà, alla realizzazione di una società che abbia come valori fondanti la pace e la convivenza

Memoria degli eventi che hanno formato e segnato la coscienza di chi li ha vissuti e, dopo, di chi li ha conosciuti, con il dovere di ricordare. Memoria e memorie come modalità interculturale e pedagogica in ambito sociale e comunitario, quale supporto valoriale alla riappropriazione del sentimento etico e civile di un’appartenenza identitaria universale, composta di molteplici alterità, ibridazioni e commistioni umane nella pluriappartenenza etnica al territorio, ai territori nella loro rivalorizzazione ambientale ed ecologica, anche a livello educativo, didattico, sociale e culturale e lavorativo.

Memoria e memorie della città, nelle sue forme, nei suoi monumenti, nelle sue case. Contro l’alienante espropriazione del soggetto-persona nella perdita di punti di riferimento e di ideali classici, soppiantati dall’imperante massificazione consumistica e dal mito capitalistico dell’ efficientismo sfrenato e del primato dell’economico, imposti dal sistema.

Memoria e memorie di noi donne e uomini, delle nostre idee che si sviluppano nel tempo dell’esperienza, come risorsa interiore, soggettiva, esistenziale di intima festa emozionale, di incontri, dialoghi, rapporti, progetti, da ripartecipare e sperimentare, nella dimensione comunitaria, negli ambiti di intervento sociale, educativo ed associazionistico di partecipazione militante e attivismo culturale nei vari settori occupazionali e lavorativi a livello territoriale.

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ORA TOCCA ALLE NUOVE GENERAZIONI

Lo studio e la cultura devono dunque motivare le giovani generazioni alla solidarietà, alla realizzazione di una società che abbia come valori fondanti la pace e la convivenza civile tra popoli, genti e minoranze, nel rispetto dei diritti universali e sociali di cittadinanza multietnica, cosmopolita e internazionale.

“La bella utopia” è un mondo dove non esistano patrie e nazioni, frontiere e burocrazie, limiti e confini, ma comunità educanti aperte all’accoglienza, al dialogo, al cambiamento rivoluzionario, al progresso costruttivo, senza stereotipi e pregiudizi, nel rispetto delle culture altre, nella coesistenza pacifica, che agevola il confronto tra diversità interculturali e differenze di genere ed intergenerazionali.

Coniugare la memoria storica consiste nella necessità della costruzione di una coscienza civile che ponga come obiettivo prioritario la conoscenza e la riflessione nelle comunità, nelle città, nel mondo. Per un’utopia realizzabile, a partire da ogni singola persona, nel contesto quotidiano e nella partecipazione collettiva, pluralista e democratica.

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Dall’università alla fabbrica negli anni della contestazione: per la pace

di Laura Tussi (sito)

Dall’università alla fabbrica negli anni della contestazione: per la pace.

Di Laura Tussi

Presso l’Università di Bologna esiste attualmente un corso intitolato Teorie politiche della pace e della guerra che prende le mosse dal corso istituito dal celebre professore, storico ordinario di psicologia sociale, Augusto Palmonari con il Citrup – Centro interdipartimentale di ricerca per la pace dell’università di Bologna.

Dai tumultuosi anni ottanta la pace in università.

Un progetto dell’università di Bologna per introdurre il disarmo come insegnamento nella fine degli anni ‘80 come ricaviamo da varie fonti del tempo e dal settimanale Rinascita con un articolo dal titolo ‘Pacifismo a scuola’ che si sviluppa in un futuro ormai contemporaneo nella nostra attualità con vari progetti didattici.

Le fonti storiche: un prezioso scrigno per la pace attuale.

Su Rinascita si legge che il centro interdipartimentale dell’università di Bologna, denominata ‘Università per la pace’ è ormai una realtà. È stato proposto da tredici dipartimenti dell’ateneo bolognese su iniziativa di quello di scienze dell’educazione.

L’iniziativa è una novità assoluta più che benvenuta nel panorama bolognese che ripercorre anche esperienze già ben salde e strutturate nel mondo anglosassone dove da molti anni le università svolgono una gran quantità di lavoro scientifico sui temi della pace, del disarmo, della coesistenza tra i popoli, contro il nucleare e altro ancora, con la stessa autorevolezza e la stessa ufficialità su cui lavorano su varie tematiche e argomentazioni accademiche.

L’Università di Bologna sempre in prima linea per la didattica della pace.

In quanto Università dovranno essere ovviamente in primo piano gli sforzi didattici e negli annuari compariranno presumibilmente corsi dal titolo ‘Tecnologia delle armi nucleari’ o ‘ideologia della guerra’, insegnati a pieno titolo da specialisti di varia levatura e agli studenti verranno riconosciuti i loro sforzi di approfondimento con la implacabilità ben nota del voto sul libretto. Il proposito di coinvolgere l’università, diceva Augusto Palmonari, direttore del Dipartimento di scienze dell’educazione e coordinatore del Centro in quanto tale, sulla tematica della pace, conferisce allo stesso dipartimento caratteristiche del tutto particolari.

Ognuno dei dipartimenti ha proposto ambiti di ricerca che vanno dalla musicologia all’agricoltura, dalla pedagogia alla chimica e sono tutti temi molto generici che attendono, per una maggiore definizione, quando il Centro sarà realtà, come si evince dalle fonti.

Le Università proiettate dalla memoria al futuro.

Il lavoro decollerà assai rapidamente, dicevano a Bologna, perché i fondi per le ricerche non saranno un grosso problema: enti pubblici e privati saranno lieti di mettere a disposizione borse di studio. E stiamo parlando di una testimonianza di fine anni ‘80. Insomma le lezioni sulla pace e il disarmo non saranno più lodevoli iniziative dei soliti professori pacifisti militanti e degli studenti disinteressati alla carriera accademica: ma la pace entra finalmente dal portone principale dell’università.

A differenza di quanto succede all’estero ad esempio negli Stati Uniti sono rarissime in Italia le ricerche di fisica sui temi inerenti alla pace e al disarmo.

Invece non sono pochi gli argomenti su cui nel dipartimento della università di Bologna esistono le competenze necessarie per ricerche di livello adeguato.

I temi della Pace: dal disarmo nucleare alle guerre nel mondo.

Ricordiamo a titolo puramente esemplificativo temi quali l’inquinamento dovuto alle esplosioni nucleari e sperimentali e la verifica di un bando sulle esplosioni nucleari con strumenti sismici e l’uso militare della fusione nucleare controllata e molto altro ancora. Difficilmente però ricerche di questo genere potranno svilupparsi se non avranno il dovuto riconoscimento del mondo accademico con relazione al congresso della società italiana di fisica, con pubblicazioni nelle sue riviste, valutazione nei concorsi universitari e così via. Nel documento di fine anni ‘80 ci si augura che la costruzione a Bologna di un centro interdipartimentale per la pace, eventualmente seguito ad altre iniziative similari, in altre università, possa contribuire a permettere che ricerche analoghe a quelle svolte dai colleghi americani o di altri paesi europei possano trovare pieno diritto di cittadinanza anche all’interno del mondo italiano della ricerca.

A Bologna qualcosa si è mosso, ma non è perché quel clima era migliore oppure la giunta era di sinistra e così via, dicevano a via Zamboni. Ci si è mossi entro gli schemi ufficiali del regolamento universitario e potrebbero farlo ovunque e in qualunque tempo. Un incoraggiamento dunque agli accademici d’Italia se pensano alla pace come la conquista di una utopia.

Dall’Università alla fabbrica sempre al centro i temi della Pace e del disarmo.https://0edee16b97470b620994fe49b0be5b68.safeframe.googlesyndication.com/safeframe/1-0-40/html/container.html

E nello stesso periodo anche in fabbrica oltre che in università si torna a parlare di pace. Dall’archivio de L’Unita’. L’Unità di quell’epoca. Per la Manetti e Roberts è la prima volta e lo stesso sarebbe stato per tantissime altre aziende. Oppure al massimo la memoria sarebbe dovuta andare a ritroso molti anni, forse fino agli iniziali tumultuosi anni ‘70 per trovare qualcosa del genere.

La prima volta insomma che gli operai di una fabbrica discutono in assemblea in totale pluralismo di pensiero su un tema non strettamente congiunto a problemi aziendali: la pace.

E nella sala mensa della Manetti e Roberts, industria del settore farmaceutico e cosmetico, di Calenzano – Firenze, erano in tanti forse più di trecento i dipendenti ad ascoltare l’arcivescovo Silvano Piovanelli, il presidente della regione Toscana Gianfranco Bartolini, Roberto Brasca presidente della provincia, rappresentanti sindacali come Marcella Bausi della camera del lavoro di Firenze. Anche in rappresentanza di due esponenti della commissione per la pace del Comune fiorentino. Insieme con altre voci e le più disparate posizioni ideologiche e le più diverse, ma tutti uniti dietro la medesima aspirazione. La pace.

La partecipazione è fondamentale.

È il consiglio di fabbrica che insieme al sindacato esterno ha organizzato un incontro. E ci tiene a sottolinearlo. Perché questa assemblea? – chiede un giovane operaio. Perché anche noi come aziende e come lavoratori ci sentiamo in dovere e in grado di fare un discorso sulla pace e di dare il nostro contributo. È stato un rappresentante del consiglio di fabbrica ad aprire l’assemblea con una relazione che ha toccato tutti i punti chiave della situazione mondiale se non dell’universo.

Dalla fame nel mondo alla corsa agli armamenti al terrore della guerra nucleare alla logica del profitto che guida le azioni di governi e infine un appello: tocca ai lavoratori e ai cittadini unirsi con le forze più coscienti e illuminate per far sentire la voce di tanti uomini di buona volontà contro il processo di riarmo e contro l’ingiustizia nel mondo. Contro la guerra e il nucleare. Ovvio, data la sede, che molti interventi si incentrano sul problema dell’economia e della produzione. Del resto il consiglio di fabbrica lo aveva già anticipato nel volantino di invito: la Pace passa tra l’altro attraverso il servizio al bene comune e ognuno nel suo posto di responsabilità può farlo e attraverso un’iniziativa che favorisca lo sviluppo dei popoli. È qui che noi occidentali siamo sfidati. Discorsi a parte, è il fatto in sé che va sottolineato: la riscoperta del luogo di lavoro come luogo idoneo per la riflessione. Per costruire la pace. Da notare infine che l’assemblea si è svolta utilizzando le ore di assemblea retribuita e che la direzione aziendale non era presente.

Nota principale:

  • Augusto Palmonari, Processi simbolici e dinamiche sociali, Società editrice il Mulino, Bologna, 1989.

Bibliografia di approfondimento

  • Bobbio Norberto, Il problema della guerra e le vie della pace, Il Mulino, Bologna 2009
  • Mastrolilli Paolo, Lo specchio del mondo. Le ragioni della crisi dell’ONU, Laterza, Roma 2005
  • Mini Fabio, Perché siamo così ipocriti sulla guerra? Un generale della Nato racconta, Chiarelettere, Milano 2012
  • Pugliese Francesco, Abbasso la guerra. Persone e movimenti per la pace dall’800 a oggi, Grafiche futura, Mattarello – Trento

Fonti analitiche

  • Gagliano Giuseppe, Studi politico-strategici. La conflittualità non convenzionale nel contesto delle ideologie e dei movimenti antagonisti del novecento, Vol. II, edizioni New Press – Como, I Edizione 2007

PRESSENZA, International Press Agency, https://www.pressenza.com/it/2022/05/sono-morto-come-un-vietcong-leucemie-di-guerra/

AGORAVOX, https://www.agoravox.it/Sono-morto-come-un-vietcong.html

AGORAVOX, https://www.agoravox.it/Un-dibattito-pacifista-Marescotti.htmlQuesto articolo è stato pubblicato qui

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Comunicare la nonviolenza con nonviolenza.

Manuale per uffici stampa di base

Libro di Olivier Turquet, Pressenza- International Press Agency

Recensione di Laura Tussi

Edizioni Multimage

Olivier Turquet, l’autore di questo pamphlet didascalico, dal titolo “Comunicare la nonviolenza con nonviolenza. Manuale per uffici stampa di base”, ha cominciato a occuparsi di uffici stampa per la prima volta nel 1988 e, per la precisione, a Firenze dove si celebrava l’Internazionale Umanista.

Turquet aveva il compito di curare i media locali, infatti era l’unico appassionato del tema, anche se non aveva molta esperienza.

Un’ esperienza sostanziale e soprattutto vitale.

Così Olivier Turquet inizia a occuparsi di media partendo da zero, senza nessun maestro. Ma ha ricevuto un’ottima preparazione nel campo dal partito umanista cileno. Secondo l’autore, come lui stesso vuole spiegare nel libello, creare un Ufficio Stampa è un’attività molto semplice.

Paradossalmente un Ufficio Stampa, dal punto di vista dell’autore, è soprattutto un ufficio relazioni in quanto la realtà più importante è costituita dalle interazioni umane e è incentrata e costruita su di esse.

La nevrosi giornalistica.

È divertente soprattutto promuovere un’iniziativa e una notizia in cui si crede profondamente e questo è un elemento intangibile ed estremamente importante e anche essenziale. L’ambiente giornalistico è spesso un contesto competitivo, asettico, frenetico insomma nevrotico. E comunicare la nonviolenza con nonviolenza significa vivere l’ambito giornalistico in modalità diverse e soprattutto creative e umane.

Gli ossimori del vero comunicatore.

Ad esempio è profondamente necessario essere efficienti e amabili, rapidi e gentili, professionali e umani: tutte doti e modalità di approccio che costituiscono tanti ossimori intrecciati, come in un mosaico di pace e in un intricato puzzle nonviolento.

Un manuale per organizzare Uffici Stampa di base.

Il manuale cerca di spiegare in modalità descrittive e comprensibili, anche a persone non esperte nel settore, come si può organizzare un Ufficio Stampa in modo che quello che viene prodotto, o meglio creato, ossia costruito in modalità creative, sia poi anche riportato e diffuso dai media. È necessario poter comunicare il più lontano possibile il prodotto giornalistico: questa è una condizione essenziale. Il prodotto di un Ufficio Stampa e di un giornalista e di un efficiente comunicatore può anche essere meraviglioso ed encomiabile, ma se non è diffuso e conosciuto in vari ambiti, in diverse località, in molteplici luoghi, remoti, distanti, lontani, questo ha poca efficacia.

I vari settori del libello.

Quindi il manuale scritto da Turquet dal titolo Conoscere la nonviolenza con nonviolenza, presenta e prevede una interessante introduzione seguita dalle indicazioni relative a come organizzare e a cosa serve un Ufficio Stampa. In seguito l’argomentazione del testo spazia sulla descrizione del giornalista tipo e si dilunga rispetto ai contatti e valuta le relazioni con i giornalisti e con coloro che sono adibiti alla diffusione delle notizie e delle varie iniziative.

Successivamente i paragrafi sono scanditi da un interludio, ossia da esempi didattici ludici e didascalici per alleggerire la spiegazione e per rendere più fruibile la trattazione sul tema.

Gli interrogativi ultimi del comunicare con nonviolenza la nonviolenza.

In seguito si indaga sul come e sul perché nasce una notizia nella costruzione e estensione dello scritto giornalistico, e sulle modalità in cui è necessario e preferibile scrivere un comunicato stampa. Inoltre si pone e si cerca di rispondere a un sostanziale interrogativo: ma perché mai ci dovrebbero pubblicare? E ancora si spazia su esempi e trucchi per approntare una campagna stampa fino a concludere con un epilogo fondamentale ed essenziale e profondamente esistenziale relativo alle ultime e vere motivazioni dell’azione giornalistica nonviolenta e del comunicare la nonviolenza con nonviolenza.

I perché del comunicatore di base.

Quindi l’interrogativo profondo è: ma perché facciamo tutto questo? La conclusione prevede modelli di comunicati che annunciano contenuti e contesti di senso e significato e aprono a nuove prospettive e azioni di attivismo nonviolento anche con il tramite creativo della scrittura giornalistica che prende forma tra le relazioni e interazioni umane, e soprattutto umane e nonviolente, che prendono vita nei nostri uffici stampa di base.

Intervista a Olivier Turquet direttore di Pressenza Italia, agenzia di stampa internazionale, autore del libro Comunicare la Nonviolenza con Nonviolenza.

di Laura Tussi 

1-Attualmente si assiste a una deriva di ampi settori della società civile verso un cattivismo dilagante, un qualunquismo antiegualitario che contrastano nettamente il portato valoriale della costituzione repubblicana.

Frange della società inneggiano ai miti della razza, della patria, dell’eroe verso un grottesco mondo guerrafondaio, bellicista impregnato di xenofobia, razzismo, fascismo. La nonviolenza può costituire un anticorpo, un antidoto sociale rispetto a questa condizione umana? 

La nonviolenza è da sempre la risposta alla violenza. Bisogna capire che la radice ultima dei fenomeni che vediamo sta nella violenza. Che le razze non esistano l’ha detto inequivocabilmente la scienza da anni, eppure vediamo crescere ogni forma di discriminazione. Esiste un’illusione che, implicitamente, è anch’essa violenta: per risolvere i problemi basta mettere un cartello “siate buoni”. Assolutamente insufficiente. Per risolvere i problemi bisogna riconoscerli, comprenderli ed accettarli e le varie tecniche di risoluzione dei conflitti, di autoliberazione sono basate sulla nonviolenza che è un metodo di azione, ma anche un atteggiamento di fronte alla vita. Un altro tema è la comunicazione: molto spesso le migliaia di attività nonviolente che esistono si autocensurano e non comunicano con efficacia quel che fanno. “Comunicare la Nonviolenza con Nonviolenza” è uno strumento pratico per migliorare questa comunicazione, pensato da Pressenza per tutte le realtà di base che vogliono dialogare meglio con i media.

2-I problemi maggiori della nostra società sono legati alla sua natura aggressiva.

In che modo la formula relazione e comunicazione di cui tu, Olivier Turquet, tratti nel tuo ultimo libro potrebbe risolvere queste problematiche? 

Dobbiamo chiarire questo tema dell’aggressività: l’aggressività, dice Pat Patfoort, deriva dalla forza vitale che caratterizza l’istinto di sopravvivenza che ogni specie ha, incluso l’Essere Umano. Il tema è quando l’aggressività diventa violenza all’interno di un sistema che produce continuamente catene di violenza, escalation di violenza e violenza contro se stessi. Questo è il vero problema. La comunicazione nonviolenta è sempre una possibile soluzione: il mio libro in questo è molto tecnico, ma certamente pubblicando quei consigli possiamo far conoscere meglio e con efficacia le numerose iniziative che creano nuovi ambiti di scambio, propongono nuove soluzioni.

3-Le statistiche nazionali comunque, nonostante tutto, rivelano che la maggioranza della popolazione si pone contro l’invio di armi in Ucraina. Questo dato di fatto può costituire un barlume di speranza collettivo contro un baratro oscurantista e catastrofico in cui imperversa l’umanità e rispetto a un nuovo futuro possibile di pace e nonviolenza?

Come ha detto varie volte Noam Chomsky c’è una grande differenza tra l’opinione pubblica e l’opinione che si pubblica; il lavoro che facciamo in Pressenza e che fanno anche altri media nonviolenti come il vostro – Italia che cambia –  è quello di rivelare quello che non si pubblica o che si pubblica a margine. E’ il vecchio gioco della bambina che svela che il Re è Nudo, quando tutti lo vedono.

In questo momento aggiungerei che il livello di propaganda nei media sta aumentando, mentre peggiorano le condizioni di lavoro dei giornalisti: tutti fattori che non fanno ben sperare nell’immediato.

Ma dobbiamo comprendere che il fenomeno a cui assistiamo è una crisi globale di quei valori che danno fondamento alla violenza; una crisi irreversibile, per certi versi dolorosa, per altri inevitabile. Il compito dei nonviolenti in questo momento è annunciare il mondo che verrà dopo, essere gli “angeli” del nuovo mondo nel senso letterale di Angelos, annunciatore: un mondo di comprensione reciproca, di cura degli altri e del pianeta, un mondo dove sarà bandito il business as usual e tornerà in auge la vera solidarietà e dove le persone, per necessità, comprenderanno ed applicheranno veramente la saggia ed antica regola d’oro: “tratta gli altri come vorresti essere trattato”.