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Libera Cittadinanza – Mosaico di Pace: due “maledetti pacifisti” intervistano Nico Piro

DI LAURA TUSSI e FABRIZIO CRACOLICI 

Libera Cittadinanza: https://www.liberacittadinanza.it/articoli/pace-guerra/mosaico-di-pace-due-maledetti-pacifisti-intervistano-nico-piro

 Quando finirà la guerra in Ucraina? Cosa pensano gli italiani del conflitto? Qual è l’approccio migliore, quello militare o quello diplomatico? Muovendosi trasversalmente fra vari temi e attingendo dalla sua lunga esperienza di inviato di guerra, Nico Piro riflette sulla situazione attuale in Ucraina e sulle possibili vie d’uscita da un conflitto la cui fine sembra sempre più lontana.

“Maledetti pacifisti” è il titolo dell’ultimo libro del giornalista e reporter di guerra Nico Piro. Un titolo provocatorio che vuole sottolineare come un’informazione equa, obiettiva e libera sulla guerra sia uno strumento di pace fondamentale per contrastare una deriva bellicista che oggi si sta espandendo non solo sul piano politico, ma anche su quello culturale.

Il suo Maledetti pacifisti, vincitore del premio Ilaria Alpi, è un importante libro di denuncia, dal titolo provocatorio. Ma è davvero ancora possibile fare giornalismo al servizio del lettore e non del pensiero unico bellicista? Nico Piro è un inviato di guerra con una lunga esperienza e proprio con lui abbiamo parlato di conflitti, di pace e di comunicazione in merito a questi due temi centrali, soprattutto nell’epoca attuale.

1- Nico Piro, giornalista Rai e inviato di guerra, tu che sei stato insignito anche del premio Ilaria Alpi, e hai scritto l’importante libro di denuncia, dal titolo provocatorio, “Maledetti pacifisti”, quanto ritieni ancora possibile fare giornalismo al servizio del lettore e delle persone e non al servizio del pensiero unico bellicista? Per l’alto ideale della Pace.

La Pace: vi è sempre una possibilità. Perché dipende da noi e oggi dipende da ognuno di noi. Diceva Teresa Sarti Strada che ogni persona deve fare il suo pezzettino e però poi questi pezzettini vanno insieme e formano un mosaico che può cambiare il mondo.

Credo sinceramente che ciascuno di noi è chiamato a fare la differenza e occorre avere la determinazione e la forza di fare la differenza. Poi ovviamente non è facile, ma non è stato mai niente facile. Credo che dobbiamo per esempio con grande forza fare informazione seria, equa, vera, che deve riprendere la battaglia di Gino Strada per l’abolizione della guerra e i tempi sono più che maturi e qualcuno dirà “Ma è impossibile abolire la guerra”.

Ma per la verità, se non ricordo male, sembrava impossibile anche abolire l’apartheid fino agli anni ottanta e poi ci siamo riusciti. Sembrava pure impossibile abolire il segregazionismo razziale in America negli anni sessanta. Poi una donna a un certo punto si è seduta sul posto sbagliato in autobus e ha cambiato tutto. Quindi dobbiamo crederci. Ovviamente crederci significa anche essere pronti a pagare dei prezzi, ma credo che tutto sommato ce la possiamo fare.

2-Che pensi del silenzio assoluto intorno alla conferenza di Vienna sul TPAN, il trattato Onu di proibizione delle armi nucleari che è valso alla rete internazionale Ican il Premio Nobel per la pace nel 2017 per il disarmo nucleare universale? Una vera svolta per il mondo pacifista. Un Premio Nobel per la pace collettivo di cui i testimoni siamo tutti noi nonviolenti e pacifisti affiliati alla rete Ican. E’ una rivoluzione e una speranza per l’umanità intera. E che pensi del fatto che questo trattato ONU, il TPAN, non venga ratificato dai paesi Nato, compreso il nostro? L’egida Nato incombe su molti paesi come il nostro e impone in tutto il mondo guerre, distruzioni, massacri, terrorismo e genocidi.

Purtroppo siamo in una fase in cui i grandi progressi degli anni novanta sul controllo delle armi e delle armi nucleari sono in fase di forte risacca. Stiamo tornando indietro. Quindi credo che invece di ragionare sullo specifico episodio, sia il caso di pensare a cosa sta accadendo a livello complessivo. Purtroppo quelli che un tempo erano un disvalore, ora sono tornati ad essere un valore e cioè le armi e gli armamenti.

Viviamo una corsa globale verso il commercio e il trasporto di armi. Pensiamo al caso del Parlamento italiano. In Italia non siamo riusciti a metterci d’accordo come forza politica. Anzi non sono riusciti a mettersi d’accordo su, per esempio, come fermare la strage quotidiana di morti sul lavoro. Eppure è un’emergenza di cui tutti conosciamo l’evidenza. Tutti i giorni vi è più di un morto sui giornali. Un morto che è uscito di casa non per andare a fare la guerra, ma per andare a lavorare. Eppure in poche ore il Parlamento italiano è riuscito a mettersi d’accordo sull’innalzamento delle spese militari al 2 per cento del PIL, senza per giunta porsi il problema di quanti ospedali, quanti ambulatori, quante scuole, quanti asili chiuderemo per alzare le spese in Italia al 2 per cento.

Quindi credo che il tema oggi sia specificamente quello della abolizione della corsa al riarmo e questa corsa agli armamenti va fermata perché le armi assolutamente fanno un immane danno. Perché di fatto alimentano il ciclo della guerra, ma non solo: sottraggono soldi per utilizzi civili e questo è davvero qualcosa di molto, molto preoccupante.

3-Il pensiero unico bellicista è il risultato dell’enorme potere della industria degli armamenti per cui hanno ragione coloro che affermano che le guerre esistono perché le armi una volta prodotte vanno vendute con adeguata strategia di marketing?

No. Credo che ci sia un problema generale. L’industria delle armi fa il suo lavoro. Semplice. Il problema vero è invece il fatto che ormai si è imposta nello spazio mediatico una cultura della guerra che è la guerra normalizzata. E credo che il vero tema sia questo. Cioè la pace non ha sponsor, la guerra sì. Anche perché la guerra produce profitti monetari e non monetari per una serie di centri di potere. Esempio la politica. Boris Johnson è uno che ha usato il conflitto armato in Ucraina per riscattarsi, riuscendoci per qualche mese poi alla fine ha capitolato. Ha dovuto capitolare per riscattarsi dai disastri combinati dal suo governo in pandemia per il covid.

E quindi il problema vero è che la pace sponsor non ne ha. La pace non ha voce. La pace non ha chi investe sulla pace e questo è, secondo me, colpa dei governi per cui quando comincia una guerra, quando si prepara una guerra, si levano solo e più forte delle altre le voci di chi sostiene il conflitto bellico. Diciamo che nel caso dell’invasione russa dell’Ucraina e il seguente scontro guerresco, si è creata una situazione senza precedenti. Vale a dire è la prima volta che abbiamo memoria di un conflitto e a maggior ragione perché il pensiero unico bellicista non vuole solo avere ragione. Il pensiero unico bellicista lancia uno stigma su tutti quelli che la pensano diversamente. Il pensiero unico bellicista corrode la democrazia. Quindi il tema che ci dobbiamo porre è se oggi non possiamo parlare di pace senza essere trattati da nemici della Patria al soldo del nemico. Domani di cosa non potremo parlare?

4-Ritieni che dopo l’occasione mancata in Italia siano maturi i tempi per un Partito della Pace che si presenti in tutti gli Stati membri alle prossime elezioni europee? E’ necessario che la pace possa essere rappresentata in politica.

Ma io non credo onestamente alla politica, solo politica, intesa come partitica. Sono un dilettante. Quindi non mi applico. Credo che avere un partito della Pace sia limitante. Perché poi alla fine che cos’è la pace? la pace è progresso. Un emblema della pace: Aldo Capitini. Nei giorni scorsi Sono stato alla biblioteca di San Matteo degli Armeni a Perugia dove ho presentato il mio libro “Maledetti pacifisti”. In quella biblioteca sono conservati tutti i suoi documenti, i carteggi e le lettere e mi ha colpito vedere e capire in realtà questa figura. Quell’asceta della pace: Aldo Capitini. E’ una figura che ha fatto una scelta per la Pace. In realtà lui metteva tutto insieme: la pace è progresso. Perché la pace è creativa a vari livelli per tutti.

L’Italia, non dimentichiamolo mai, perché non lo dicono, sta vivendo il più lungo periodo di pace della sua storia che coincide col massimo periodo di benessere del nostro paese. La pace creativa dà dividendi per tutti. La guerra profitti per pochi. Il problema è che la pace li crea a lungo termine. Evidentemente della pace invece ci dobbiamo prendere cura. Perché per questo tipo di occupazione se letteralmente la pace è limitata – perché noi abbiamo bisogno anche di pace sociale – è necessario che questa categoria di pace si diffonda in tutti i settori. Non vi è solo la pace, ma anche la pace dei morti del lavoro, vi è la giustizia, cioè il progresso. Ci sono i diritti. Credo che vada tutto ottenuto insieme. Quindi credo che sia limitante condurre una attiva campagna sulla pace che non tenga conto del progresso. Esattamente come la Resistenza italiana che è stato un fenomeno molto complesso che poi in realtà non voleva difendere solo la nazione, ma voleva difendere il cambiamento. Voleva un paese migliore e poi anche la difesa dell’ integrità territoriale, ma non era solo questo. Era un fenomeno complesso. (Cfr. Resistenza e Nonviolenza creativa, Mimesis Edizioni 2022)

5 -Puoi azzardare una previsione di come finirà tra Russia e Ucraina e quanto durerà la simpatia e l’accoglienza in Europa in favore dei profughi ucraini? Anche se la guerra è sempre fondata sulla violenza.

Spero che la Polonia e i vari paesi imparino da questa vicenda: la gente che fugge dalle guerre va accolta. Non solo se l’altro da noi ha la nostra stessa religione e il nostro stesso colore di pelle. Va accolta sempre. Quindi, me lo auguro. Me lo auguro profondamente. Mi auguro la solidarietà verso i profughi ucraini esattamente come non cessi verso i profughi delle altre guerre. Il problema è che per non cessare deve cominciare. E Crotone ci insegna che non è cominciato o meglio la solidarietà è episodica. Poi un altro tema. Il cosa accade quando proviamo a fare delle previsioni sulla guerra? E’ sempre molto difficile perché la guerra alla fine è un gioco di adattamento alla violenza.

Le guerre sono cose complesse. Ma si reggono su un principio molto semplice: l’adattamento. Io colpisco te. Tu colpisci me. Io mi adatto al tuo colpo affinché non sia un colpo letale e tu ti adatti al mio affinché non sia un colpo letale. Per cui man mano che questo equilibrio di adattamento resta in piedi le guerre durano tra alti e bassi, ma durano. Le guerre lampo esistono solamente nelle speranze dei generali e dei dittatori, ma in realtà le guerre, basta considerare l’Afghanistan, che è l’archetipo dei conflitti contemporanei, cominciano, ma non finiscono. Esistono persone al mondo che hanno il potere di scatenare conflitti micidiali, ma non vi è nessuno su questo pianeta capace di fermarli. Perché non dipende da noi.

Perché quando è scoperto il vaso di Pandora della guerra, i demoni che ne escono fuori hanno una loro autonomia. Quindi non me la sento di fare previsioni. Dico però una cosa. Di stare attenti perché quando si dice “l’unica strada è la guerra” di fatto si prende una pallina e la si butta nella roulette. Ma nella roulette ci sono due colori. Il rosso e il nero. Lo zero è statisticamente trascurabile. Il rosso e il nero: e non è detto che la pallina si fermi dal lato che noi preferiamo. Quindi per questo scegliere la guerra cercando di immaginare una punizione per il cattivo è un modo per affrontare le cose. Tra l’altro il caso afghano ci insegna. La Prima Guerra Mondiale ci insegna. Ma questo conflitto non ha una soluzione militare. Ha solo una soluzione diplomatica. E’ chiaro nel momento in cui prendiamo atto di questo. Prima si arriva a una soluzione diplomatica, prima le persone smettono di morire. Il che mi sembra un tema di cui nessuno si sta facendo carico. Si continua a parlare di questo Risiko, della guerra, senza ricordarci che in mezzo esiste gente che muore.

6-Alla luce dei risultati elettorali, ritieni ancora che la maggioranza degli italiani siano per la pace o vogliono essere solo lasciati in pace?

Mi sembra abbastanza relativo. Credo che gli italiani stiano sentendo dal primo momento il peso della guerra perché i sondaggi sono concordi. Quando sono arrivati gli aumenti del gas, la fine del turismo Russo, la fine delle importazioni, danni per l’economia, inflazione, per cui anche un po’, secondo me, è banale dire che gli italiani non vogliono la guerra perché vogliono farsi i fatti loro. Mi sembra che sia in atto anche un processo di criminalizzazione dei poveri. Cioè i poveri vengono accusati di essere contro la guerra perché non vogliono pagare le bollette. Però una famiglia di basso reddito deve pagare le spese familiari e il reddito è già indirizzato verso l’ineliminabile, ossia l’energia, quindi luce e gas e la spesa. Quindi quello che c’è da mangiare. Poi l’affitto. Ma a che cosa deve rinunciare la gente? queste persone a cosa devono rinunciare? al cinema? all’auto? e probabilmente non la usano più. Alle vacanze? mai fatte. Quindi diciamo questo: a me ricorda un po’ la battuta che gira ancora in Russia su Stalin quando gli dicevano “Compagno segretario il popolo è contrario” e lui rispondeva “Cambiate il popolo”. Cioè se c’è un dato di fatto che in Italia la gente è contro la guerra, ma perché dobbiamo dire tutti i giorni che la gente è stupida?

7-Hai mai conosciuto obiettori di coscienza russi?

No. Anche perché in realtà è un fenomeno che è nato dopo. Soprattutto dopo la costrizione al servizio militare straordinaria di settembre. Gli obiettori di coscienza, i cosiddetti renitenti alle armi, alla leva ci sono anche in Ucraina. Cioè di recente vi è stata un’operazione dei servizi segreti ucraini contro i vertici della Compagnia Portuale di Odessa perché accusati di fabbricare finti documenti di imbarco per consentire ai giovani di non partecipare alla guerra.

Non è giusto verso l’Ucraina raccontarla come la stiamo raccontando cioè come un paese in armi. Ucraina significa terra di confine, quindi Terra di Mezzo e quindi è un paese dove è stata scritta la canzone Sole mio: non è stata composta a Napoli. E’ stata scritta a Odessa. E’ un paese di una complessità notevole. Con un versante filo russo più vicino alla Russia dove sono arrivati negli anni ’30 migliaia e migliaia di russi portati da Stalin per le miniere di carbone. Poi una parte che si sente più polacca. Un paese complesso come l’Italia. E poi noi, l’Italia è un paese complesso per eccellenza. Ma è un paese complesso e quindi come tale va trattato. Non credo sia giusto verso l’Ucraina. Una narrazione funzionale al pensiero bellicista, ma non è giusto definirla come un paese che non si vuole arrendere, dove il popolo vuole combattere fino alla fine, ma credo che il popolo voglia pace e pane e avere magari anche corrente elettrica e gas eccetera.

8 – Cosa puoi dire a due “Maledetti pacifisti” che tutti i giorni si scontrano con altri Maledetti pacifisti per riuscire a trovare una unione di intenti per creare delle azioni serie e concrete al fine di apportare un cambiamento? Quindi l’intenzione del tuo lavoro è una provocazione.

Il fatto di affermare: “Ma questi maledetti pacifisti”. Noi pacifisti veniamo sempre messi un po’ alla berlina. “Il solito pacifista…” Quando porti delle nuove istanze dai sempre fastidio. Però già è importante riuscire noi stessi a metterci insieme e a portare azioni un po’ più concrete e un po’ più con voce. Un po’ più pacifisti. Siamo frastagliati. Siamo divisi. Non vi è più omogeneità perché si fanno avanti i poteri forti spacciati da progressisti: la sinistra con l’elmetto e le destre.

La destra è un universo. Insomma un universo ampiamente frammentato. Pensiamo a tutti i gruppi che stanno più a destra. Le sigle. Pensiamo alle divisioni che oggi ci sono al governo. Eppure riescono sempre a trovare l’unità tra loro. Per noi pacifisti, il tema è superare le differenze e stare insieme per il grande obiettivo. Il grande obiettivo non è solo la pace in Europa e il disarmo. Il grande obiettivo è salvare la democrazia italiana. Perché il pensiero unico bellicista corrode la democrazia. Oggi è questo il problema e se non lo capiamo ci mettiamo in una posizione di enorme difficoltà. Per il futuro. Perché se il popolo della pace con tutte le sue diversità oggi non riesce a reclamare lo spazio non lo reclamerà a lungo.

Quindi credo che noi dobbiamo assolutamente fare lo sforzo – ognuno di noi – di provare a radunare questo mondo variegato del pacifismo. Insomma dall’estate, cioè da quando sono tornato stabilmente in Italia sto girando e sto andando praticamente ovunque. Più di 40 date e in realtà per parlare di pace e di questi argomenti. È un modo per stare a contatto con la vera Italia. La cosa brutta e triste è quando alla fine poi, come mi dovrebbe in realtà lusingare, ma non è così, le persone alla fine mi dicono che si sono sentiti meno sole perché vuol dire che allora le cose stanno veramente messe male. Perché se qualcuno tiene una conversazione e dove non è qualcuno, ma sono tanti e si ripetono e ti vengono a dire grazie. Mi dicono così. “Questa sera ci siamo sentiti meno soli” e vuol dire che siamo in una situazione gravissima. In questo paese stiamo marciando negli anni ’20 degli anni bui del fascismo e questo ci deve far paura. Per questo dobbiamo porci e opporci con forza, perché se non ci opponiamo con forza a questo, tutto il resto diventa assolutamente relativo. Perché poi torniamo alle gabbie salariali. Ma poi dopo le gabbie salariali in concreto cosa troviamo? La giornata di 8 ore lavorative? I contratti nazionali di lavoro? La leva obbligatoria? Dove stiamo andando? Questo è il tema che dovrebbe preoccupare tutti. Piuttosto che esibirsi a chi è più bellicista.

(Cfr. Laura Tussi, con scritti di Fabrizio Cracolici, Giorgio Cremaschi e Paolo Ferrero, Resistenza e Nonviolenza creativa, Mimesis Edizioni 2022)

In collaborazione con Fabrizio Cracolici, attivista di Pace, scrittore e membro direttivo ANPI Monza e Brianza e in collaborazione con il sito Italia Che Cambia

L’articolo è stato pubblicato qui.

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Sovranità Popolare Rivista – Alex Zanotelli. Contro la guerra e il riarmo: boicottare le banche armate

9 MILIARDI E MEZZO DI EURO IL VALORE DELLE OPERAZIONI SEGNALATE DALLE BANCHE ITALIANE RELATIVE AL COMMERCIO DI ARMI

Sovranità Popolare Rivista: https://www.sovranitapopolare.org/2023/08/01/boicotta-le-banche-armate/

fiera delle armi

Intervista di Laura Tussi a Alex Zanotelli

Le esportazioni militari aumentano il proprio quantitativo in maniera esponenziale. La spesa bellica e i sistemi d’arma sono esportati nei paesi che oltraggiano i diritti del genere umano.

Le banche finanziano questo sistema guerrafondaio e la trasparenza del commercio e dell’export degli armamenti è ai minimi storici. Quando ha preso avvio la campagna di pressione sulle banche armate e in cosa consiste?

Sono arrivato a una sola conclusione ormai.

Non ho mai visto un governo italiano così prigioniero del complesso militare industriale di questo Paese. Spaventoso. Ma davvero dentro lo stesso governo questo prostrarsi alla Leonardo è impressionante. Veramente. Mai visto. Questo di solito era riferito agli Stati Uniti. In Italia siamo arrivati alla stessa identica situazione.

E questo è gravissimo. Proprio l’altro giorno si è tenuto un incontro fatto a Roma dalla Aiad che è l’associazione del comparto Militare italiano. Tra l’altro era presente Crosetto. Ha detto che lui vuole cambiare e modificare la legge 185 perché sta bloccando troppo la vendita di armi.

Inoltre è molto preoccupato per le banche etiche perché diventa difficile adesso trovare soldi dalle banche che si sentono accusate di non essere etiche. Per cui lui ha deciso di fondare una grande nuova banca che investa soltanto nel militare. Quindi siamo davvero messi malissimo.

Penso che diventi fondamentale in questo momento proprio l’invito a tutti a evitare e soprattutto boicottare le banche armate. E veramente siamo arrivati a un punto di parossismo totale.

Con la guerra in Ucraina verranno prodotte molte armi. La guerra in Ucraina andrà avanti perché è importante produrre armamenti e poi smaltirli subito. E si procede così. Sempre.

Soprattutto quello che mi preoccupa di più non è tanto la società civile, che purtroppo non è molto cosciente, ma mi preoccupa il problema delle comunità cristiane. Il livello dovrebbe essere molto chiaro: non possono lasciare i loro soldi in mano alle banche che investono nella produzione di armi. Quel povero Gesù di Nazareth era il profeta della nonviolenza. Il grande teologo Enrico Chiavacci, al Concilio Vaticano Secondo, ha detto una cosa molto chiara. Un cristiano è obbligato a sapere dove tieni i propri soldi e in quali banche. E come quella banca usa quei soldi. E’ un dovere questo fondamentale per ognuno di noi. Quello che mi sconcerta di più è questo silenzio da parte delle comunità cristiane. E anche da parte delle parrocchie, delle diocesi, dei vescovi. Non riesco a capirlo. Ormai noi cristiani siamo talmente conformati al sistema economico, finanziario, militarizzato e ne facciamo parte. Accettiamo come una cosa normale che i nostri soldi vengano investiti in tutta questa infernale produzione. Penso che sia importante un appello alle comunità. A tutti i cittadini perché davvero devono incominciare veramente a fare una scelta sostanziale.

Non vogliamo la guerra. Siamo per la pace.

Ma se poi i soldi li depositiamo in una banca che investe in armi e ordigni militari, il fatto non è coerente. Davvero è necessario aiutare i cittadini a capirlo questo. E non è facile. Perché chiaramente sono pochi coloro che portano avanti questo discorso, ma è fondamentale. Altrimenti andremo avanti a spendere davvero per continuare a costruire armi a non finire. L’anno scorso abbiamo speso in Italia e abbiamo investito per 32 miliardi di euro in armi. Ma è pazzia collettiva. Sono tutti soldi che poi vengono tolti alla scuola, alla sanità pubblica e avanti così. La campagna di boicottaggio delle banche armate dovrebbe davvero molto motivare la gente a capire che i propri soldi non possono essere usati per costruire armamenti che ci stanno conducendo inesorabilmente a questo disastro planetario. Siamo sul crinale del baratro dell’esplosione nucleare.

E quindi dell’inverno nucleare.

E dall’altra parte, ricordiamoci, pesano altrettanto sull’ecosistema queste guerre che provocano un altissimo tasso di inquinamento e qui siamo davanti ad una estate molto calda.

Vendere armi nelle zone calde, nelle aree di conflitto armato è vietato dalla legge 185/1990 come anche dalla nostra Costituzione.

L’export di armamenti è veicolato verso i paesi impegnati nella guerra contro lo Yemen, verso i paesi come l’Egitto di al Sisi e la Turchia di Erdogan.

Puoi argomentare queste considerazioni?

Il problema drammatico. Il Ministro della Difesa Crosetto è molto preoccupato della 185 perché blocca troppo la vendita d’armi e lui vorrebbe al contrario accelerarla. E’ una legge nata su una lunga battaglia di cui ho fatto parte all’inizio con la rivista Nigrizia. Poi mi hanno “defenestrato” e sono andato in Africa. Ma quel movimento, che includeva tantissime organizzazioni, ha portato poi alla legge 185 che è l’unica legge, l’unica questa legge 185, è unica anche in Europa, nessun’ altra nazione in Europa ha una legge del genere. E’ un piccolo strumento, per prevenire un sacco di disastri, che abbiamo tra le mani, per cui è fondamentale allora incominciare a difendere questa legge davvero ostinatamente, ma per difenderla soprattutto è necessario anche pagare di persona.

I caricatori del porto di Genova i Calp, ma anche di altri porti, si sono rifiutati per esempio di caricare le armi sulle navi destinate all’ Arabia Saudita per la guerra contro lo Yemen. I portuali stanno pagando di persona. Sono incriminati. Rischiano di essere processati. E’ necessario correre il rischio di essere processati. Di avere il coraggio davvero di arrivare a questo. Diventa ormai fondamentale quello che è la disobbedienza civile.

Proprio giorni fa ho partecipato a un incontro sul caporalato in Campania e il vescovo emerito di Caserta Monsignor Nogaro ha detto proprio queste parole che è arrivato il tempo di gridare che è necessaria oggi la disobbedienza civile. Siamo arrivati a questo punto. Per cui dobbiamo davvero disobbedire.

Questo però vuol dire pagando nella propria vita e non è facile. So che questo non è facile. Ma siamo davvero messi alle strette oggi. Il cittadino che capisce quanto è folle un po’ tutto questo sistema drammatico deve davvero avere il coraggio. Vale questo per le armi.

L’idea di base della campagna di pressione sulle banche armate è valida perché tende a bloccare questo sistema di commercio di armamenti. In quali modalità?

Le modalità di questa campagna di boicottaggio delle banche armate è molto semplice. E’ necessario comprendere il problema. Si deve reagire. E’ necessario semplicemente ritirare i propri soldi dalla banca che investe in armi e vedere di trovare una banca etica, ossia un’altra banca che non investe in armi. E’ fondamentale questa azione. Tutto questo non è facile perché è chiaro che gli interessi anche spesso sono tanti perché certe banche, come le tre banche principali in Italia Unicredit, Intesa Sanpaolo e Deutsche Bank danno alti dividendi che sono molto più vantaggiosi che in altre banche dove non investono in armi e quindi ognuno anche qui ci perde a livello personale. Alla fine però a questo punto dobbiamo vedere di cominciare a capire che non si può continuare così e quindi bisogna davvero muoversi in questo senso.

Per fare questo per arrivare a che sia efficace la campagna, penso che ci siano due fattori fondamentali. Finora abbiamo lanciato questa campagna con Pax Christi e le tre riviste Nigrizia, Missione Oggi, Mosaico di pace, ma non basta. Stiamo premendo per esempio a livello di chiesa. La chiesa italiana faccia un passo in avanti a questo livello. Non è possibile questo continuo investimento in armi e spero davvero che si riesca a arrivare a questo boicottaggio delle banche armate.

Ma poi ci vorrebbe anche per la società civile la capacità da parte almeno di alcuni giornalisti di rilanciare con forza tutta questa azione, perché molta gente non sa nulla di queste cose. Sono nella totale ignoranza, per cui questo è fondamentale. Questa campagna davvero si deve rilanciare con grande forza. Solo così mettiamo in crisi il sistema. L’altra cosa che chiaramente è ancora più dura sarebbe una disobbedienza civile di tanti che lavorano in fabbriche d’armi che si rifiutino di continuare a fare il proprio lavoro. Purtroppo il problema è che questo sistema in cui viviamo è un sistema che non ha nessun valore e ideale. Ho scritto recentemente in occasione del funerale di Berlusconi che l’amoralità, cioè non moralità di Berlusconi è diventata l’etica del popolo italiano.

Purtroppo questo è il problema.

Il problema fondamentale è che non ci sono più valori e non più ideali e questo richiede soprattutto da parte della rete della Chiesa che, nelle esperienze religiose, occorre tornare davvero a formare una coscienza di valori perché i cittadini mi sembra che abbiano perso la percezione di quello che sta avvenendo e bisogna arrivare alla coscienza di principi che è fondamentale.

Sfiora di molto i 9 miliardi e mezzo di euro il valore delle operazioni segnalate dalle banche italiane relative al commercio di armi.

Le riviste missionarie Nigrizia, Mosaico di pace e Missione oggi come denunciano il fatto che gli istituti di credito si sono messi al servizio delle aziende belliche?

In generale le tre riviste sono molto chiare sulla denuncia di tutto questo. E’ incredibile. Nove miliardi di utili. Praticamente di una gravità estrema. Utili fatti sulle armi. Fatti sulla pelle e sul massacro di tanta gente. Alla fine è fondamentale dire che le tre riviste continuano in questa loro denuncia però non è sufficiente. Sono tre voci e tra le riviste missionarie che non hanno gran peso alla fine nella società italiana. Ci vorrebbe davvero che qualche televisione seria o qualche grosso giornale iniziasse una campagna fondamentale per questo livello di denuncia. Ma chiaramente il problema è che sono tutti parte del sistema e basta vedere un giornale e chi lo paga, da dove ricevono fondi economici e quindi diventa veramente difficile. Penso che anche questa è una vera e propria missione. Sono un missionario e a volte sembra sempre di parlare al deserto. Ma è importante continuare a declamare la nostra posizione. Invitare tutti davvero a incominciare a riflettere su come usano e come i propri soldi vengono usati. Vale per le banche armate; vale anche per chi investe in fossili: le aziende e anche le banche. E’ la stessa cosa; perché sono le due realtà che ci stanno portando alla possibilità che la presenza umana non ci potrà più essere in futuro per l’esplosione nucleare o per l’estate incandescente. Per cui diventa un problema anche l’investimento sui fossili. E’ difficilissimo fare passare queste scelte. E’ una lotta costante, ma dobbiamo continuare senza stancarci.

Anche il PNRR sarà sempre più proiettato all’investimento e produzione di armi?

Aumenta la produzione di armi e si tolgono i fondi dalle scuole, dalla sanità, dalla cultura, dall’istruzione.

Il PNRR cioè il piano nazionale di ripresa e resilienza si utilizza per le armi e chiaramente toglie anche la spina alla sanità, ma anche a Bruxelles adesso non so cosa abbiano deciso effettivamente. Perché sembra che la proposta di uno dei programmi è che il PNRR venga utilizzato per le armi e non so come il Parlamento Europeo abbia votato con discussioni che stanno andando avanti, ma è chiaramente qualcosa di estremamente grave questo. Il PNRR dovrebbe servire alla società, alla società civile e soprattutto servire a portare avanti la scuola. Sto vedendo a Napoli il disastro scolastico che abbiamo, ma altrettanto, non soltanto a livello di scuola. Ma la sanità. E’ pauroso il crollo della sanità. Così i fondi vanno a finire in armi e non ci sono più per tutto il resto. Questa è una cosa assolutamente grave.

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MEI – Meeting artisti e etichette indipendenti. FABRIZIO CRACOLICI: “SPIEGO AI GIOVANI LA STORIA PER COSTRUIRE UN FUTURO MIGLIORE”

INTERVISTA di LAURA TUSSI

di LAURA TUSSI

Nipote di un ferroviere che ha pagato a caro prezzo la coerenza con i suoi ideali, Fabrizio Cracolici è attivista, ricercatore storico e video maker. Uno degli obiettivi del suo lavoro è costruire un ponte fra passato e futuro, fra i giovani che molti anni fa hanno combattuto per la libertà e quelli di oggi, che si trovano ad affrontare nemici per certi versi ancor più insidiosi. Gli strumenti per batterli? Informazione e consapevolezza.

Realizzare questa intervista è stato un po’ complicato per certi versi. Il motivo? «Queste domande mi sono state rivolte da Laura Tussi, la mia compagna di vita e anche di lotta. Da diversi anni e con piena consapevolezza dell’importanza di fare il mio pezzo di strada, mi occupo di memoria storica e cerco di praticare una forma di attivismo comunicativo e sociale», spiega Fabrizio Cracolici, ricercatore e attivista per la pace, i cambiamenti climatici e i diritti umani. «Spiegare oggi ai giovani la storia – specifica –, nelle sue discrasie e profonde ingiustizie, può rappresentare un’opportunità per trasmettere anticorpi contro le infinite ingiustizie e violenze purtroppo sempre più presenti nella società odierna».

Da dove e quando nasce la passione per questi temi?

Diverse esperienze di vita mi hanno portato a occuparmi di questi temi. In primis la storia tormentata della mia famiglia. Quando ero piccolo amavo ascoltare le storie incredibili vissute durante il tristissimo periodo nazifascista. Nonno Ignazio era un ferroviere che per non aver messo la firma al fascio è stato confinato per 14 anni a Prestranek, in ex Jugoslavia. Mi diceva: “Con una tessera avrei potuto stare tranquillo e invece ho praticato una scelta pienamente consapevole che ho pagato pesantemente. Perché l’ho fatto? Perché come Cristiano trovavo l’agire fascista agli antipodi del Vangelo”.

Nel mio percorso di crescita e di consapevolezza ho avuto la fortuna di incontrare persone speciali che hanno risvegliato in me la capacità dì indignarmi. Ricordo il mio incontro con il comandante partigiano Giovanni Pesce. La fortuna di condividere molte esperienze con il caro amico Don Andrea Gallo e oggi una fitta collaborazione e stima con il caro amico Alex Zanotelli. In questo preciso momento con gioia immensa vedo negli occhi di Laura la grande forza che lei, con le sue grandi capacità umane, è stata in grado di trasmettermi.

Da dove nasce la tua passione per i video sociali, che sono parte integrante della tua attività di divulgazione?

Penso che realizzare video sociali possa essere un buon mezzo per comunicare attivamente messaggi e pratiche. Le giovani generazioni comunicano così. E noi abbiamo il dovere di stare quanto più possibile vicini a loro, con i loro mezzi e le loro capacità ricettive e percettive. Trasmettere qualcosa alle future generazioni è e deve essere una priorità assoluta.

Cosa ti senti di dire a chi vuole avvicinarsi all’attività di video maker sociale?

Una cosa sola mi sento di dire e cioè che è necessario essere estremamente concreti oltre che creativi e comunicativi. Occorre spalancare gli occhi e la mente al mondo che ci circonda percependo le aspettative nascoste di chi sa che esistono enormi problemi, ma non ne è pienamente consapevole. I mezzi di comunicazione del potere purtroppo sono estremamente sofisticati e funzionali; sono in grado di manipolare e plagiare a proprio piacimento la mente di tante, troppe persone e proprio per questo nasce in me la volontà di “bucare lo schermo” mettendo a disposizione contenuti, facendo controindicazione e controinformazione.

Salviamolo Salviamoci. Video Spot. Un progetto che nasce per affrontare i gravi problemi dei cambiamenti climatici.

https://www.facebook.com/laura.tussi/videos/1401301907325777

Per molti anni sei stato presidente della sezione di Nova Milanese dell’ANPI – Associazione Nazionale Partigiani d’Italia. Perché proprio nell’Anpi?

Rispondo rimandando a questa lettera aperta che ho scritto lo scorso anno, rivolta proprio all’ANPI. Essere un dirigente dell’Anpi è per me un grande onore. Far vivere la grande esperienza Partigiana dei nostri padri rappresenta la mia volontà di non dimenticare facendo tesoro di chi prima di me ha lottato per un mondo libero dall’orrore delle guerre arrivando anche al sacrificio della propria vita. Lottare per amore di giustizia e di pace e non per odio, rappresenta un messaggio fortissimo per le future generazioni.

L’esperienza partigiana ha impresso all’umanità la volontà di non abbandonarsi alla rassegnazione e alla disperazione e ha raccontato e tramandato vicende fortemente ingiuste che purtroppo sono presenti, anche se in modi diversi, in questo periodo storico complicato. Sì, perché assistiamo alla volontà di potentati militari e industriali che al prezzo di molte vite umane rivendicano il controllo di beni e di ricchezze. Le guerre oggi, come in passato, sono imposte per arricchire pochi a discapito della stragrande parte dell’umanità. Questo mi hanno insegnato i partigiani e questo è il motivo del mio impegno oggi nell’ANPI.

Memoria e futuro: queste due parole cosa rappresentano per te?

Memoria e futuro sono due parole diverse, ma a parere mio praticamente uguali. Ora vi spiego il perché. Parto dalla parola “futuro”, che per antonomasia rappresenta le future generazioni, i giovani. Se aspiriamo alla salvezza dell’umanità dobbiamo assolutamente rivolgerci a loro. Oggi le nuove generazioni, a detta dei media controllati dal potere, sono assenti. Questo è assolutamente falso perché i giovani ci sono, sono presenti e attivi e sono anche estremamente consapevoli dei problemi che ricadono sull’intera umanità. Esiste però un problema! Il potere li teme e di conseguenza li nasconde e offusca ogni loro azione.

I ragazzi di ieri che abbracciano i giovani di oggi. Questo è il pieno significato e valore della memoria storica

Per capire questa mia affermazione l’unica operazione che posso fare è chiamare in causa la seconda parola della domanda e cioè “memoria”. In cosa consiste la memoria? La memoria sono i giovani. Si proprio i giovani. Chi ha resistito lottando contro gli orrori del mondo durante la resistenza antifascista? I giovani. Chi ha lottato per la rivendicazione di diritti basilari nel 1968? I giovani.
Chi ha partecipato ai social forum mondiali sui diritti umani? I giovani. Senza i giovani di altre generazioni, senza le loro lotte, oggi tutti noi ci troveremo sicuramente in una condizione estremamente pesante e insostenibile.

I ragazzi di ieri che abbracciano i giovani di oggi. Questo è il pieno significato e valore della memoria storica. Fare tesoro del passato per costruire il futuro. Ecco perché sono a me molto care le parole memoria e futuro, che sono diventate il titolo di un nostro saggio con contributi scritti di Moni Ovadia, Vittorio Agnoletto, Alex Zanotelli e altri importanti attivisti. Da queste due parole noi ci impegniamo perché, come dicono oggi i nuovi attivisti, il tempo sta per scadere e noi dobbiamo fare tutto il possibile per invertire la rotta, per salvarci ancora oggi tutti insieme.

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Mosaico di Pace: due “maledetti pacifisti” intervistano Nico Piro

di Laura Tussi (sito)

Quando finirà la guerra in Ucraina? Cosa pensano gli italiani del conflitto? Qual è l’approccio migliore, quello militare o quello diplomatico? Muovendosi trasversalmente fra vari temi e attingendo dalla sua lunga esperienza di inviato di guerra, Nico Piro riflette sulla situazione attuale in Ucraina e sulle possibili vie d’uscita da un conflitto la cui fine sembra sempre più lontana.

di LAURA TUSSI e FABRIZIO CRACOLICI

“Maledetti pacifisti” è il titolo dell’ultimo libro del giornalista e reporter di guerra Nico Piro. Un titolo provocatorio che vuole sottolineare come un’informazione equa, obiettiva e libera sulla guerra sia uno strumento di pace fondamentale per contrastare una deriva bellicista che oggi si sta espandendo non solo sul piano politico, ma anche su quello culturale.

Il suo Maledetti pacifisti, vincitore del premio Ilaria Alpi, è un importante libro di denuncia, dal titolo provocatorio. Ma è davvero ancora possibile fare giornalismo al servizio del lettore e non del pensiero unico bellicista? Nico Piro è un inviato di guerra con una lunga esperienza e proprio con lui abbiamo parlato di conflitti, di pace e di comunicazione in merito a questi due temi centrali, soprattutto nell’epoca attuale.

1- Nico Piro, giornalista Rai e inviato di guerra, tu che sei stato insignito anche del premio Ilaria Alpi, e hai scritto l’importante libro di denuncia, dal titolo provocatorio, “Maledetti pacifisti”, quanto ritieni ancora possibile fare giornalismo al servizio del lettore e delle persone e non al servizio del pensiero unico bellicista? Per l’alto ideale della Pace.

La Pace: vi è sempre una possibilità. Perché dipende da noi e oggi dipende da ognuno di noi. Diceva Teresa Sarti Strada che ogni persona deve fare il suo pezzettino e però poi questi pezzettini vanno insieme e formano un mosaico che può cambiare il mondo.

Credo sinceramente che ciascuno di noi è chiamato a fare la differenza e occorre avere la determinazione e la forza di fare la differenza. Poi ovviamente non è facile, ma non è stato mai niente facile. Credo che dobbiamo per esempio con grande forza fare informazione seria, equa, vera, che deve riprendere la battaglia di Gino Strada per l’abolizione della guerra e i tempi sono più che maturi e qualcuno dirà “Ma è impossibile abolire la guerra”.

Ma per la verità, se non ricordo male, sembrava impossibile anche abolire l’apartheid fino agli anni ottanta e poi ci siamo riusciti. Sembrava pure impossibile abolire il segregazionismo razziale in America negli anni sessanta. Poi una donna a un certo punto si è seduta sul posto sbagliato in autobus e ha cambiato tutto. Quindi dobbiamo crederci. Ovviamente crederci significa anche essere pronti a pagare dei prezzi, ma credo che tutto sommato ce la possiamo fare.

2-Che pensi del silenzio assoluto intorno alla conferenza di Vienna sul TPAN, il trattato Onu di proibizione delle armi nucleari che è valso alla rete internazionale Ican il Premio Nobel per la pace nel 2017 per il disarmo nucleare universale? Una vera svolta per il mondo pacifista. Un Premio Nobel per la pace collettivo di cui i testimoni siamo tutti noi nonviolenti e pacifisti affiliati alla rete Ican. E’ una rivoluzione e una speranza per l’umanità intera. E che pensi del fatto che questo trattato ONU, il TPAN, non venga ratificato dai paesi Nato, compreso il nostro? L’egida Nato incombe su molti paesi come il nostro e impone in tutto il mondo guerre, distruzioni, massacri, terrorismo e genocidi.

Purtroppo siamo in una fase in cui i grandi progressi degli anni novanta sul controllo delle armi e delle armi nucleari sono in fase di forte risacca. Stiamo tornando indietro. Quindi credo che invece di ragionare sullo specifico episodio, sia il caso di pensare a cosa sta accadendo a livello complessivo. Purtroppo quelli che un tempo erano un disvalore, ora sono tornati ad essere un valore e cioè le armi e gli armamenti.

Viviamo una corsa globale verso il commercio e il trasporto di armi. Pensiamo al caso del Parlamento italiano. In Italia non siamo riusciti a metterci d’accordo come forza politica. Anzi non sono riusciti a mettersi d’accordo su, per esempio, come fermare la strage quotidiana di morti sul lavoro. Eppure è un’emergenza di cui tutti conosciamo l’evidenza. Tutti i giorni vi è più di un morto sui giornali. Un morto che è uscito di casa non per andare a fare la guerra, ma per andare a lavorare. Eppure in poche ore il Parlamento italiano è riuscito a mettersi d’accordo sull’innalzamento delle spese militari al 2 per cento del PIL, senza per giunta porsi il problema di quanti ospedali, quanti ambulatori, quante scuole, quanti asili chiuderemo per alzare le spese in Italia al 2 per cento.

Quindi credo che il tema oggi sia specificamente quello della abolizione della corsa al riarmo e questa corsa agli armamenti va fermata perché le armi assolutamente fanno un immane danno. Perché di fatto alimentano il ciclo della guerra, ma non solo: sottraggono soldi per utilizzi civili e questo è davvero qualcosa di molto, molto preoccupante.

3-Il pensiero unico bellicista è il risultato dell’enorme potere della industria degli armamenti per cui hanno ragione coloro che affermano che le guerre esistono perché le armi una volta prodotte vanno vendute con adeguata strategia di marketing?

No. Credo che ci sia un problema generale. L’industria delle armi fa il suo lavoro. Semplice. Il problema vero è invece il fatto che ormai si è imposta nello spazio mediatico una cultura della guerra che è la guerra normalizzata. E credo che il vero tema sia questo. Cioè la pace non ha sponsor, la guerra sì. Anche perché la guerra produce profitti monetari e non monetari per una serie di centri di potere. Esempio la politica. Boris Johnson è uno che ha usato il conflitto armato in Ucraina per riscattarsi, riuscendoci per qualche mese poi alla fine ha capitolato. Ha dovuto capitolare per riscattarsi dai disastri combinati dal suo governo in pandemia per il covid.

E quindi il problema vero è che la pace sponsor non ne ha. La pace non ha voce. La pace non ha chi investe sulla pace e questo è, secondo me, colpa dei governi per cui quando comincia una guerra, quando si prepara una guerra, si levano solo e più forte delle altre le voci di chi sostiene il conflitto bellico. Diciamo che nel caso dell’invasione russa dell’Ucraina e il seguente scontro guerresco, si è creata una situazione senza precedenti. Vale a dire è la prima volta che abbiamo memoria di un conflitto e a maggior ragione perché il pensiero unico bellicista non vuole solo avere ragione. Il pensiero unico bellicista lancia uno stigma su tutti quelli che la pensano diversamente. Il pensiero unico bellicista corrode la democrazia. Quindi il tema che ci dobbiamo porre è se oggi non possiamo parlare di pace senza essere trattati da nemici della Patria al soldo del nemico. Domani di cosa non potremo parlare?

4-Ritieni che dopo l’occasione mancata in Italia siano maturi i tempi per un Partito della Pace che si presenti in tutte gli Stati membri alle prossime elezioni europee? E’ necessario che la pace possa essere rappresentata in politica.

Ma io non credo onestamente alla politica, solo politica, intesa come partitica. Sono un dilettante. Quindi non mi applico. Credo che avere un partito della Pace sia limitante. Perché poi alla fine che cos’è la pace? la pace è progresso. Un emblema della pace: Aldo Capitini. Nei giorni scorsi Sono stato alla biblioteca di San Matteo degli Armeni a Perugia dove ho presentato il mio libro “Maledetti pacifisti”. In quella biblioteca sono conservati tutti i suoi documenti, i carteggi e le lettere e mi ha colpito vedere e capire in realtà questa figura. Quell’asceta della pace: Aldo Capitini. E’ una figura che ha fatto una scelta per la Pace. In realtà lui metteva tutto insieme: la pace è progresso. Perché la pace è creativa a vari livelli per tutti.

L’Italia, non dimentichiamolo mai, perché non lo dicono, sta vivendo il più lungo periodo di pace della sua storia che coincide col massimo periodo di benessere del nostro paese. La pace creativa dà dividendi per tutti. La guerra profitti per pochi. Il problema è che la pace li crea a lungo termine. Evidentemente della pace invece ci dobbiamo prendere cura. Perché per questo tipo di occupazione se letteralmente la pace è limitata – perché noi abbiamo bisogno anche di pace sociale – è necessario che questa categoria di pace si diffonda in tutti i settori. Non vi è solo la pace, ma anche la pace dei morti del lavoro, vi è la giustizia, cioè il progresso. Ci sono i diritti. Credo che vada tutto ottenuto insieme. Quindi credo che sia limitante condurre una attiva campagna sulla pace che non tenga conto del progresso. Esattamente come la Resistenza italiana che è stato un fenomeno molto complesso che poi in realtà non voleva difendere solo la nazione, ma voleva difendere il cambiamento. Voleva un paese migliore e poi anche la difesa dell’ integrità territoriale, ma non era solo questo. Era un fenomeno complesso. (Cfr. Resistenza e Nonviolenza creativa, Mimesis Edizioni 2022)

5 -Puoi azzardare una previsione di come finirà tra Russia e Ucraina e quanto durerà la simpatia e l’accoglienza in Europa in favore dei profughi ucraini? Anche se la guerra è sempre fondata sulla violenza.

Spero che la Polonia e i vari paesi imparino da questa vicenda: la gente che fugge dalle guerre va accolta. Non solo se l’altro da noi ha la nostra stessa religione e il nostro stesso colore di pelle. Va accolta sempre. Quindi, me lo auguro. Me lo auguro profondamente. Mi auguro la solidarietà verso i profughi ucraini esattamente come non cessi verso i profughi delle altre guerre. Il problema è che per non cessare deve cominciare. E Crotone ci insegna che non è cominciato o meglio la solidarietà è episodica. Poi un altro tema. Il cosa accade quando proviamo a fare delle previsioni sulla guerra? E’ sempre molto difficile perché la guerra alla fine è un gioco di adattamento alla violenza.

Le guerre sono cose complesse. Ma si reggono su un principio molto semplice: l’adattamento. Io colpisco te. Tu colpisci me. Io mi adatto al tuo colpo affinché non sia un colpo letale e tu ti adatti al mio affinché non sia un colpo letale. Per cui man mano che questo equilibrio di adattamento resta in piedi le guerre durano tra alti e bassi, ma durano. Le guerre lampo esistono solamente nelle speranze dei generali e dei dittatori, ma in realtà le guerre, basta considerare l’Afghanistan, che è l’archetipo dei conflitti contemporanei, cominciano, ma non finiscono. Esistono persone al mondo che hanno il potere di scatenare conflitti micidiali, ma non vi è nessuno su questo pianeta capace di fermarli. Perché non dipende da noi.

Perché quando è scoperto il vaso di Pandora della guerra, i demoni che ne escono fuori hanno una loro autonomia. Quindi non me la sento di fare previsioni. Dico però una cosa. Di stare attenti perché quando si dice “l’unica strada è la guerra” di fatto si prende una pallina e la si butta nella roulette. Ma nella roulette ci sono due colori. Il rosso e il nero. Lo zero è statisticamente trascurabile. Il rosso e il nero: e non è detto che la pallina si fermi dal lato che noi preferiamo. Quindi per questo scegliere la guerra cercando di immaginare una punizione per il cattivo è un modo per affrontare le cose. Tra l’altro il caso afghano ci insegna. La Prima Guerra Mondiale ci insegna. Ma questo conflitto non ha una soluzione militare. Ha solo una soluzione diplomatica. E’ chiaro nel momento in cui prendiamo atto di questo. Prima si arriva a una soluzione diplomatica, prima le persone smettono di morire. Il che mi sembra un tema di cui nessuno si sta facendo carico. Si continua a parlare di questo Risiko, della guerra, senza ricordarci che in mezzo esiste gente che muore.

6-Alla luce dei risultati elettorali, ritieni ancora che la maggioranza degli italiani siano per la pace o vogliono essere solo lasciati in pace?

Mi sembra abbastanza relativo. Credo che gli italiani stiano sentendo dal primo momento il peso della guerra perché i sondaggi sono concordi. Quando sono arrivati gli aumenti del gas, la fine del turismo Russo, la fine delle importazioni, danni per l’economia, inflazione, per cui anche un po’, secondo me, è banale dire che gli italiani non vogliono la guerra perché vogliono farsi i fatti loro. Mi sembra che sia in atto anche un processo di criminalizzazione dei poveri. Cioè i poveri vengono accusati di essere contro la guerra perché non vogliono pagare le bollette. Però una famiglia di basso reddito deve pagare le spese familiari e il reddito è già indirizzato verso l’ineliminabile, ossia l’energia, quindi luce e gas e la spesa. Quindi quello che c’è da mangiare. Poi l’affitto. Ma a che cosa deve rinunciare la gente? queste persone a cosa devono rinunciare? al cinema? all’auto? e probabilmente non la usano più. Alle vacanze? mai fatte. Quindi diciamo questo: a me ricorda un po’ la battuta che gira ancora in Russia su Stalin quando gli dicevano “Compagno segretario il popolo è contrario” e lui rispondeva “Cambiate il popolo”. Cioè se c’è un dato di fatto che in Italia la gente è contro la guerra, ma perché dobbiamo dire tutti i giorni che la gente è stupida?

7-Hai mai conosciuto obiettori di coscienza russi?

No. Anche perché in realtà è un fenomeno che è nato dopo. Soprattutto dopo la costrizione al servizio militare straordinaria di settembre. Gli obiettori di coscienza, i cosiddetti renitenti alle armi, alla leva ci sono anche in Ucraina. Cioè di recente vi è stata un’operazione dei servizi segreti ucraini contro i vertici della Compagnia Portuale di Odessa perché accusati di fabbricare finti documenti di imbarco per consentire ai giovani di non partecipare alla guerra.

Non è giusto verso l’Ucraina raccontarla come la stiamo raccontando cioè come un paese in armi. Ucraina significa terra di confine, quindi Terra di Mezzo e quindi è un paese dove è stata scritta la canzone Sole mio: non è stata composta a Napoli. E’ stata scritta a Odessa. E’ un paese di una complessità notevole. Con un versante filo russo più vicino alla Russia dove sono arrivati negli anni ’30 migliaia e migliaia di russi portati da Stalin per le miniere di carbone. Poi una parte che si sente più polacca. Un paese complesso come l’Italia. E poi noi, l’Italia è un paese complesso per eccellenza. Ma è un paese complesso e quindi come tale va trattato. Non credo sia giusto verso l’Ucraina. Una narrazione funzionale al pensiero bellicista, ma non è giusto definirla come un paese che non si vuole arrendere, dove il popolo vuole combattere fino alla fine, ma credo che il popolo voglia pace e pane e avere magari anche corrente elettrica e gas eccetera.

8 – Cosa puoi dire a due “Maledetti pacifisti” che tutti i giorni si scontrano con altri Maledetti pacifisti per riuscire a trovare una unione di intenti per creare delle azioni serie e concrete al fine di apportare un cambiamento? Quindi l’intenzione del tuo lavoro è una provocazione.

Il fatto di affermare: “Ma questi maledetti pacifisti”. Noi pacifisti veniamo sempre messi un po’ alla berlina. “Il solito pacifista…” Quando porti delle nuove istanze dai sempre fastidio. Però già è importante riuscire noi stessi a metterci insieme e a portare azioni un po’ più concrete e un po’ più con voce. Un po’ più pacifisti. Siamo frastagliati. Siamo divisi. Non vi è più omogeneità perché si fanno avanti i poteri forti spacciati da progressisti: la sinistra con l’elmetto e le destre.

La destra è un universo. Insomma un universo ampiamente frammentato. Pensiamo a tutti i gruppi che stanno più a destra. Le sigle. Pensiamo alle divisioni che oggi ci sono al governo. Eppure riescono sempre a trovare l’unità tra loro. Per noi pacifisti, il tema è superare le differenze e stare insieme per il grande obiettivo. Il grande obiettivo non è solo la pace in Europa e il disarmo. Il grande obiettivo è salvare la democrazia italiana. Perché il pensiero unico bellicista corrode la democrazia. Oggi è questo il problema e se non lo capiamo ci mettiamo in una posizione di enorme difficoltà. Per il futuro. Perché se il popolo della pace con tutte le sue diversità oggi non riesce a reclamare lo spazio non lo reclamerà a lungo.

Quindi credo che noi dobbiamo assolutamente fare lo sforzo – ognuno di noi – di provare a radunare questo mondo variegato del pacifismo. Insomma dall’estate, cioè da quando sono tornato stabilmente in Italia sto girando e sto andando praticamente ovunque. Più di 40 date e in realtà per parlare di pace e di questi argomenti. È un modo per stare a contatto con la vera Italia. La cosa brutta e triste è quando alla fine poi, come mi dovrebbe in realtà lusingare, ma non è così, le persone alla fine mi dicono che si sono sentiti meno sole perché vuol dire che allora le cose stanno veramente messe male. Perché se qualcuno tiene una conversazione e dove non è qualcuno, ma sono tanti e si ripetono e ti vengono a dire grazie. Mi dicono così. “Questa sera ci siamo sentiti meno soli” e vuol dire che siamo in una situazione gravissima. In questo paese stiamo marciando negli anni ’20 degli anni bui del fascismo e questo ci deve far paura. Per questo dobbiamo porci e opporci con forza, perché se non ci opponiamo con forza a questo, tutto il resto diventa assolutamente relativo. Perché poi torniamo alle gabbie salariali. Ma poi dopo le gabbie salariali in concreto cosa troviamo? La giornata di 8 ore lavorative? I contratti nazionali di lavoro? La leva obbligatoria? Dove stiamo andando? Questo è il tema che dovrebbe preoccupare tutti. Piuttosto che esibirsi a chi è più bellicista.

(Cfr. Laura Tussi, con scritti di Fabrizio Cracolici, Giorgio Cremaschi e Paolo Ferrero, Resistenza e Nonviolenza creativa, Mimesis Edizioni 2022)

In collaborazione con Fabrizio Cracolici, attivista di Pace, scrittore e membro direttivo ANPI Monza e Brianza e in collaborazione con il sito Italia Che Cambia, l’articolo è stato pubblicato qui.

 Questo articolo è stato pubblicato qui

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Libera Cittadinanza – Armageddon nucleare? non lo vogliamo. La pace siamo noi

DI LAURA TUSSI 

 

La deterrenza nucleare, che è una gara di potere, è sempre usata dalle superpotenze in termini ricattatori e assurdi e crudeli per tutta l’umanità soprattutto nell’attuale guerra in Ucraina

Dal nucleare civile al nucleare militare: il ‘gioco’ è fatto.

È un momento grave per la storia dell’umanità: viviamo all’ombra di circa 25.000 ordigni di distruzione di massa nucleari che possono annientare il pianeta per molte volte.

Questa situazione è resa oggi ancora più delicata dalla corsa verso il nucleare civile, che è ritenuto da molti una buona alternativa all’uso del carbone e dei fossili, principali responsabili dell’effetto serra e dei cambiamenti climatici.

Ma siamo sicuri che il nucleare civile sia un’alternativa valida per i costi e per la sicurezza? I costi sono altissimi e si calcola che negli Stati Uniti il nucleare civile in questi quattro decenni sia costato parecchi miliardi di dollari.

E la possibilità degli incidenti è alta.

Ad esempio l’incidente in Giappone a Fukushima. Ma pensiamo anche al disastro di Chernobyl.

Attualmente sappiamo che il 90 per cento delle 800mila persone addette al risanamento di Chernobyl hanno contratto tumori.

Ma il problema più rilevante è che l’industria nucleare non sa cosa fare dei rifiuti nucleari e che possono durare fino a 20.000 anni.

Il nucleare civile non è una soluzione per i cambiamenti climatici, ma una cinica scommessa dell’industria nucleare di salvare se stessa.

Il nostro deve essere un NO chiaro anche al nucleare civile.

Vari conflitti imposti dai poteri forti a rischio di guerra nucleare.

Dopo la fine del secondo conflitto mondiale, con la paura universale di violenza da parte di tutta l’umanità, con il suo spaventoso carico di morte e distruzioni, al contrario la politica rassicurante attualmente sostiene che non ci possiamo lamentare in quanto il mondo ha vissuto oltre settant’anni di pace, proprio grazie al cosiddetto ‘equilibrio nucleare’.

Nulla di più falso!

La deterrenza nucleare, che è una gara di potere, è sempre usata dalle superpotenze in termini ricattatori e assurdi e crudeli per tutta l’umanità soprattutto nell’attuale guerra in Ucraina.

 Ma si dimentica di dire che dal 1945 ai giorni attuali, i conflitti armati veri e propri sono stati più di un migliaio e che nel mondo permangono numerosi, endemici focolai di conflitto violento e armato che hanno fatto decine di milioni di morti e fanno tuttora la fortuna dei produttori di armi e del complesso militare e industriale e fossile e energetico. Con in testa la Nato e gli Stati Uniti l’industria delle armi si alimenta a dismisura innescata come una miccia dal sistema, apparato, complesso militare e industriale e fossile.

L’irrisolta conflittualità armata Mediorientale, che può sfociare nell’irreversibile epilogo nucleare

Uno dei punti nevralgici, che può innescare un conflitto nucleare esplosivo come una miccia all’ennesima e infinitesimale potenza, è rappresentato dal Medio Oriente, una regione per molti aspetti strategica, in primis per il fattore energetico, nella quale negli ultimi decenni la crisi si è ancora più aggravata con le due guerre contro l’Iraq e quella in Afghanistan, il focolaio nevralgico dell’Iran e l’irrisolto problema israelo-palestinese e analizzando il quadro bellico da varianti logistiche e valutando la situazione in un quadro differente, geopoliticamente parlando, possiamo includere anche la attuale e gravissima guerra in Ucraina.

L’irrisolto problema tra Israele e Palestina rappresenta senza dubbio l’elemento più emblematico e drammatico di questa situazione geopolitica dai connotati tragici, che sembrano praticamente irrisolvibili e indistricabili strategicamente.

Lo stesso dramma della Siria va inserito in questo contesto con il rischio già attuale di un’estensione della guerra civile nell’intera regione. Pare che il nodo vero, il terreno sul quale misurare la possibilità reale di una prospettiva di pace, convivenza e cooperazione in quella terra di conflitto, resta senza dubbio alcuno quello dei rapporti tra Israele e Palestina e non è certo a caso che sin dall’ultimo decennio del secolo scorso e anche nei primi anni del nuovo millennio, proprio in quell’area mediorientale, si è manifestato un forte e prioritario impegno umanitario e attivismo del mondo pacifista.

La società civile per “ricomporre l’infranto”

Ecco la ragione per la quale sembra opportuno, e forse necessario, ricostruire, sia pure sommariamente, il senso e la portata di un impegno umanitario e nonviolento e un attivismo di pace molto vivi e sentiti, che hanno visto esprimersi la generosità e la disponibilità di centinaia di donne e di uomini, di decine di istituzioni locali, di numerose associazioni che, generazione dopo generazione, hanno seminato nella terra, culla delle religioni monoteiste la cultura della pace e della convivenza, dove la società civile e le opere di volontariato laico si spendono per “ricomporre l’infranto”.

Sarebbe troppo lungo ricordare le innumerevoli iniziative lungo le quali si è dispiegato questo fondamentale impegno umanistico ancor prima che umanitario, dal “Times for Peace” che ha circondato con una catena umana di italiani, europei, israeliani e palestinesi le mura di Gerusalemme, fino ai progetti di concreta solidarietà con la comunità della cittadina di Rafha nel sud della striscia di Gaza e con la cittadina di Beit Yala alle porte di Betlemme, solo per ricordare i più significativi, oltre all’impegno di più di cinquanta comuni italiani sul terreno della cooperazione, nel tentativo di mettere assieme, far parlare, far interagire, far cooperare i rappresentanti di questi due popoli: Israele e Palestina.

di Laura Tussi

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Alex Zanotelli: contro la guerra e il riarmo, boicottare le banche armate

Scritto da: LAURA TUSSI

Alex Zanotelli interviene con decisione sul tema delle banche armate per sostenere la campagna di sensibilizzazione sugli investimenti non etici degli istituti finanziari e per difendere la legge 185 dagli attacchi del ministro Crosetto e della lobby delle armi. La sua esortazione contiene due inviti fondamentali, uno alla consapevolezza e all’informazione e un altro alla disobbedienza civile.

Pochi giorni fa si è tenuto un incontro organizzato dall’AIAD – la Federazione Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa – alla presenza del ministro Crosetto, che si è detto favorevole a modificare la legge 185 perché sta bloccando troppo la vendita di armi. Le reazioni a questo attacco non si sono fatte attendere e uno dei primi a intervenire è stato Alex Zanotelli: «Non ho mai visto un Governo italiano così prigioniero del complesso militare industriale di questo Paese e questo è gravissimo», ci ha detto. 

Un altro aspetto preoccupante che emerge dalle dichiarazioni di Crosetto riguarda il rapporto fra guerra e finanza.

Il ministro si è detto molto preoccupato per le banche etiche perché – a detta sua – diventa sempre più difficile trovare soldi dalle banche che si sentono accusate di non essere etiche. Per questo ha dichiarato di voler fondare una nuova banca che investa soltanto nel militare. Per questo penso che diventi fondamentale in questo momento proprio l’invito a tutti a evitare e soprattutto boicottare le banche armate. Con la guerra in Ucraina verranno prodotte molte armi ed essa andrà avanti perché è importante produrre armamenti e poi smaltirli subito. È il solito modo di procedere.

zanotelli
Alex Zanotelli
Cosa ti preoccupa di più di questa situazione?

Quello che mi preoccupa di più non è tanto la reazione della società civile, che purtroppo non è molto cosciente, quanto quella delle comunità cristiane. Il livello dovrebbe essere molto chiaro: non possono lasciare i loro soldi in mano alle banche che investono nella produzione di armi. Quel povero Gesù di Nazareth era il profeta della nonviolenza. Il grande teologo Enrico Chiavacci al Concilio Vaticano Secondo ha detto una cosa molto chiara: un cristiano è obbligato a sapere dove tiene i propri soldi, in quali banche e come quella banca usa quei soldi. 

Quello che mi sconcerta di più è quindi il silenzio da parte delle comunità cristiane, delle parrocchie, delle diocesi, dei vescovi. Non riesco a capirlo. Ormai noi cristiani siamo talmente conformati al sistema economico-finanziario militarizzato che accettiamo come una cosa normale che i nostri soldi vengano investiti in tutta questa infernale produzione. Penso che sia importante un appello alle comunità e a tutti i cittadini perché davvero adesso devono compiere una scelta sostanziale. Non vogliamo la guerra, siamo per la pace, ma se poi i soldi li depositiamo in una banca che investe in armi e ordigni militari la coerenza viene meno. È necessario aiutare la gente a capire questo, ma non è facile. 

Come valuti oggi il mercato degli armamenti in Italia?

L’anno scorso abbiamo investito per 32 miliardi di euro in armi. È pazzia collettiva. Sono tutti soldi che vengono tolti alla scuola, alla sanità pubblica e ad altri settori vitali. La campagna di boicottaggio delle banche armate dovrebbe motivare la gente, far capire che i suoi soldi non possono essere usati per costruire armamenti che ci stanno conducendo inesorabilmente a un disastro planetario. E dall’altra parte ricordiamoci quanto pesano sull’ecosistema queste guerre, che provocano un altissimo tasso di inquinamento e qui siamo davanti all’estate incandescente. 

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Il ministro Crosetto
Vendere armi nelle zone calde, nelle aree di conflitto armato è vietato dalla legge 185/1990, come anche dalla nostra Costituzione. L’export di armamenti è veicolato verso i paesi impegnati nella guerra contro lo Yemen, verso i paesi come l’Egitto di al Sisi e la Turchia di Erdogan. Puoi argomentare queste considerazioni?

Il problema è drammatico. Il Ministro della Difesa Crosetto è molto preoccupato della 185 perché ostacola la vendita d’armi, che lui al contrario vorrebbe accelerare. È una legge nata in seguito a una lunga battaglia di cui ho fatto parte con la rivista Nigrizia. Poi mi hanno “defenestrato” e sono andato in Africa, ma quel movimento, che includeva tantissime organizzazioni, ha portato alla legge 185, che è unica in Europa. È un piccolo strumento per prevenire un sacco di disastri ed è fondamentale difenderlo ostinatamente, anche a costo di pagare di persona. 

I caricatori del porto di Genova, i Calp –ma anche quelli di altri porti –, si sono rifiutati di caricare le armi sulle navi destinate all’ Arabia Saudita per la guerra contro lo Yemen. I portuali stanno pagando di persona, sono incriminati e rischiano di essere processati. Ma oggi diventa fondamentale la disobbedienza civile. Giorni fa ho partecipato a un incontro sul caporalato in Campania e il vescovo emerito di Caserta, Monsignor Nogaro, ha detto proprio queste parole: «È arrivato il tempo di gridare che è necessaria la disobbedienza civile. Siamo arrivati a questo punto. Dobbiamo davvero disobbedire». 

Questo però vuol dire pagare nella propria vita e so che questo non è facile. Eppure il cittadino che capisce quanto è folle questo sistema drammatico deve avere il coraggio. Questo per le armi ma non solo: ho sempre appoggiato tutte le manifestazioni di Ultima Generazione, fanno bene a fare quello che fanno perché oggi stiamo andando verso il disastro ecologico.

armi nucleari 1
L’idea di base della campagna di pressione sulle banche armate è valida perché tende a bloccare questo sistema di commercio di armamenti. Con quali modalità?

Le modalità di questa campagna di boicottaggio delle banche armate è molto semplice. È necessario comprendere il problema e reagire. Basta semplicemente ritirare i propri soldi dalla banca che investe in armi e vedere di trovare una banca etica, ossia un’altra banca che non investa in armi. È fondamentale questa azione. Tutto questo non è facile perché è chiaro che gli interessi sono tanti perché certe banche – come le tre banche principali in Italia: Unicredit, Intesa Sanpaolo e Deutsche Bank – danno alti dividendi, che sono molto più vantaggiosi, e quindi ognuno anche qui ci perde a livello personale. Ma dobbiamo cominciare a capire che non si può continuare così.

Penso che il successo dipenda da due fattori fondamentali. Finora abbiamo lanciato questa campagna con Pax Christi e le tre riviste NigriziaMissione Oggi e Mosaico di pace, ma non basta. Stiamo premendo affinché la chiesa italiana faccia un passo in avanti. Ma allo stesso tempo ci vorrebbe anche da parte della società civile la capacità di rilanciare con forza tutta questa azione, perché molta gente non sa nulla di queste cose. 

Il secondo fattore è la disobbedienza civile dei tanti che lavorano in fabbriche d’armi: che si rifiutino di continuare a fare il proprio lavoro. Ho scritto recentemente – in occasione del funerale di Berlusconi – che l’amoralità, cioè la non-moralità, è diventata l’etica del popolo italiano. Questo è il problema: non ci sono più valori né ideali e questo richiede un intervento soprattutto da parte della rete della Chiesa, che deve ricominciare a formare una coscienza di valori. 

La campagna di boicottaggio delle banche armate dovrebbe motivare la gente, far capire che i suoi soldi non possono essere usati per costruire armamenti


Il valore delle operazioni segnalate dalle banche italiane relative al commercio di armi sfora i 9 miliardi e mezzo di euro. Le riviste missionarie Nigrizia, Mosaico di pace e Missione oggi come denunciano il fatto che gli istituti di credito si sono messi al servizio delle aziende belliche?

In generale le tre riviste sono molto chiare sulla denuncia di tutto questo ed è fondamentale che continuino in questa loro denuncia, che però da sola non è sufficiente. Sono tre voci che non hanno gran peso nella società italiana. Bisognerebbe che qualche televisione o qualche grosso giornale iniziasse una campagna sul tema, ma chiaramente il problema è che sono tutti parte del sistema: basta vedere un giornale e chi lo paga, da dove riceve fondi. Penso che anche questa sia una vera e propria missione. Sono un missionario e a volte sembra sempre di parlare al deserto, ma è importante continuare a declamare la nostra posizione. 

Non smetterà mai di invitare tutti a riflettere su come i nostri soldi vengono usati. Vale per le banche armate, ma vale anche per chi investe in fossili. Sono due facce della stessa medaglia, perché sono le due realtà che ci stanno portando alla possibilità che la presenza umana sul pianeta venga meno. 

Anche il PNRR sarà sempre più proiettato all’investimento e produzione di armi?

Il PNRR dovrebbe servire alla società civile, soprattutto servire a portare avanti la scuola e la sanità, ma se i fondi vanno a finire in armi e non rimangono che le briciole per tutto il resto. Questa è una cosa gravissima.

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Armageddon nucleare? non lo vogliamo. La pace siamo noi

di Laura Tussi

Dal nucleare civile al nucleare militare: il ‘gioco’ è fatto.

È un momento grave per la storia dell’umanità: viviamo all’ombra di circa 25.000 ordigni di distruzione di massa nucleari che possono annientare il pianeta per molte volte.

Questa situazione è resa oggi ancora più delicata dalla corsa verso il nucleare civile, che è ritenuto da molti una buona alternativa all’uso del carbone e dei fossili, principali responsabili dell’effetto serra e dei cambiamenti climatici.

Ma siamo sicuri che il nucleare civile sia un’alternativa valida per i costi e per la sicurezza? I costi sono altissimi e si calcola che negli Stati Uniti il nucleare civile in questi quattro decenni sia costato parecchi miliardi di dollari.

E la possibilità degli incidenti è alta.

Ad esempio l’incidente in Giappone a Fukushima. Ma pensiamo anche al disastro di Chernobyl.

Attualmente sappiamo che il 90 per cento delle 800mila persone addette al risanamento di Chernobyl hanno contratto tumori.

Ma il problema più rilevante è che l’industria nucleare non sa cosa fare dei rifiuti nucleari e che possono durare fino a 20.000 anni.

Il nucleare civile non è una soluzione per i cambiamenti climatici, ma una cinica scommessa dell’industria nucleare di salvare se stessa.

Il nostro deve essere un NO chiaro anche al nucleare civile.

Vari conflitti imposti dai poteri forti a rischio di guerra nucleare.

Dopo la fine del secondo conflitto mondiale, con la paura universale di violenza da parte di tutta l’umanità, con il suo spaventoso carico di morte e distruzioni, al contrario la politica rassicurante attualmente sostiene che non ci possiamo lamentare in quanto il mondo ha vissuto oltre settant’anni di pace, proprio grazie al cosiddetto ‘equilibrio nucleare’.

Nulla di più falso!

La deterrenza nucleare, che è una gara di potere, è sempre usata dalle superpotenze in termini ricattatori e assurdi e crudeli per tutta l’umanità soprattutto nell’attuale guerra in Ucraina.

 Ma si dimentica di dire che dal 1945 ai giorni attuali, i conflitti armati veri e propri sono stati più di un migliaio e che nel mondo permangono numerosi, endemici focolai di conflitto violento e armato che hanno fatto decine di milioni di morti e fanno tuttora la fortuna dei produttori di armi e del complesso militare e industriale e fossile e energetico. Con in testa la Nato e gli Stati Uniti l’industria delle armi si alimenta a dismisura innescata come una miccia dal sistema, apparato, complesso militare e industriale e fossile.

L’irrisolta conflittualità armata Mediorientale, che può sfociare nell’irreversibile epilogo nucleare

Uno dei punti nevralgici, che può innescare un conflitto nucleare esplosivo come una miccia all’ennesima e infinitesimale potenza, è rappresentato dal Medio Oriente, una regione per molti aspetti strategica, in primis per il fattore energetico, nella quale negli ultimi decenni la crisi si è ancora più aggravata con le due guerre contro l’Iraq e quella in Afghanistan, il focolaio nevralgico dell’Iran e l’irrisolto problema israelo-palestinese e analizzando il quadro bellico da varianti logistiche e valutando la situazione in un quadro differente, geopoliticamente parlando, possiamo includere anche la attuale e gravissima guerra in Ucraina.

L’irrisolto problema tra Israele e Palestina rappresenta senza dubbio l’elemento più emblematico e drammatico di questa situazione geopolitica dai connotati tragici, che sembrano praticamente irrisolvibili e indistricabili strategicamente.

Lo stesso dramma della Siria va inserito in questo contesto con il rischio già attuale di un’estensione della guerra civile nell’intera regione. Pare che il nodo vero, il terreno sul quale misurare la possibilità reale di una prospettiva di pace, convivenza e cooperazione in quella terra di conflitto, resta senza dubbio alcuno quello dei rapporti tra Israele e Palestina e non è certo a caso che sin dall’ultimo decennio del secolo scorso e anche nei primi anni del nuovo millennio, proprio in quell’area mediorientale, si è manifestato un forte e prioritario impegno umanitario e attivismo del mondo pacifista.

La società civile per “ricomporre l’infranto”

Ecco la ragione per la quale sembra opportuno, e forse necessario, ricostruire, sia pure sommariamente, il senso e la portata di un impegno umanitario e nonviolento e un attivismo di pace molto vivi e sentiti, che hanno visto esprimersi la generosità e la disponibilità di centinaia di donne e di uomini, di decine di istituzioni locali, di numerose associazioni che, generazione dopo generazione, hanno seminato nella terra, culla delle religioni monoteiste la cultura della pace e della convivenza, dove la società civile e le opere di volontariato laico si spendono per “ricomporre l’infranto”.

Sarebbe troppo lungo ricordare le innumerevoli iniziative lungo le quali si è dispiegato questo fondamentale impegno umanistico ancor prima che umanitario, dal “Times for Peace” che ha circondato con una catena umana di italiani, europei, israeliani e palestinesi le mura di Gerusalemme, fino ai progetti di concreta solidarietà con la comunità della cittadina di Rafha nel sud della striscia di Gaza e con la cittadina di Beit Yala alle porte di Betlemme, solo per ricordare i più significativi, oltre all’impegno di più di cinquanta comuni italiani sul terreno della cooperazione, nel tentativo di mettere assieme, far parlare, far interagire, far cooperare i rappresentanti di questi due popoli: Israele e Palestina.

di Laura Tussi

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Transform – L’intelligenza al servizio della guerra? e se fosse impiegata per il bene e la pace?

di Laura Tussi (sito)

“Se quanto si spende per le guerre, si spendesse per rimuoverne le cause, si avrebbe un accrescimento immenso di benessere, di pace, di civiltà: un accrescimento di vita”

Primo Mazzolari

sul sito TRANSFORM

Nella nostra vita di giovani attivisti, compagni di coloro che hanno combattuto per le grandi lotte del passato, ci confrontiamo con il problema della guerra e del militarismo e abbiamo ereditato la memoria dei compagni che con passione e con serietà nei movimenti sono riusciti a ottenere il riconoscimento dell’obiezione di coscienza e il servizio civile in Italia.

Qualche vittoria l’hanno ottenuta loro i nostri compagni che a livello globale hanno visto infatti il ritiro delle truppe americane dal Vietnam, e a livello italiano la chiusura dei programmi per il cosiddetto nucleare civile in realtà legato al nucleare militare. Da uno spaccato storico della guerra in Vietnam sulla scia di tutte le guerre imposte dalla Nato e dagli Stati Uniti, fino ai giorni attuali, ecco l’inizio del nostro impegno antimilitarista. Perché fare Memoria storica è una cosa moderna. La forza delle memorie. È un incoraggiamento per i movimenti pacifisti nel continuare il loro operato anche quando questo sembra sbattere contro il muro di gomma del potere. Dei potentati economici, militari e politici.

La minaccia maggiore per la pace mondiale verrà negli anni successivi non dai comportamenti irrazionali di stati e individui, ma dalle legittime richieste dei diseredati del mondo.

La maggioranza di queste persone povere senza diritti vive un’esistenza marginale nei climi equatoriali.

Il surriscaldamento del pianeta, originato non da loro, bensì da pochi ricchi, colpirà soprattutto le loro fragili ecologie.

La loro situazione sarà disperata e manifestamente ingiusta. Perciò non ci si può attendere che si accontentino sempre comunque di aspettare la beneficenza dei ricchi. Se permetteremo dunque alla potenza devastante delle armi moderne di diffondersi in questo esplosivo paesaggio umano, innescheremo una conflagrazione in grado di travolgere tanto i ricchi quanto i poveri dell’ecosistema planetario.

La sola speranza per il futuro è riposta nella collaborazione internazionale, nella cooperazione tra Stati, legittimate dalla democrazia. È tempo di voltare le spalle alla ricerca unilaterale di sicurezza, in cui noi cerchiamo di rifugiarci dietro ai muri. Dobbiamo invece insistere nella ricerca dell’unità d’azione per contrastare sia il surriscaldamento del pianeta che per contrastare un mondo armato. Questi obiettivi gemelli costituiranno due condizioni fondamentali per la stabilità, mentre ci muoveremo verso il più ampio grado di giustizia sociale che, esso solo, può dare una speranza di pace. Anche alcuni degli strumenti legali necessari sono già a portata di mano come il trattato sui missili anti-balistici, la convenzione sui cambiamenti climatici, i trattati strategici sulla riduzione di armi, il trattato sul bando di test nucleari, il trattato di proibizione delle armi nucleari TPAN/TPNW. In quanto cittadini preoccupati, chiediamo a tutti i governi di impegnarsi per questi obiettivi, che costituiscono dei passi in avanti affinché il diritto internazionale prenda il posto della guerra. Per sopravvivere nel mondo che abbiamo trasformato dobbiamo imparare a pensare in modo nuovo. Mai come oggi, il futuro di ciascuno dipende dal contributo di tutti.

La corsa alle armi è insostenibile, oltre che a essere un investimento in distruzione, un investimento in morte: le armi uccidono soprattutto i civili. Per questo dovrebbe meravigliare molto il silenzio e il rifiuto dei nostri politici sulla pace. Mentre continuano le sollecitazioni estreme e parossistiche per l’invio di armi in Ucraina. Oggi nessuna guerra è giusta: né in Iraq, né in Afghanistan, né in Libia, né in Siria. Né in Ucraina. Le folli somme spese in armi sono pane tolto ai diseredati del pianeta. Ma come cittadini in questo momento di estrema crisi, perché non crediamo tutti uniti, che non possiamo accettare una guerra in Afganistan che, anche se attualmente accantonata, ci è costata 2 milioni di euro al giorno? perché non ci facciamo vivi con i nostri parlamentari perché votino contro queste missioni, cosiddette umanitarie? E soprattutto per dire basta all’invio di armi in Ucraina?

La guerra in Libia è costata 700 milioni di euro e continuano gli investimenti per trattenere nei lager libici i migranti che fuggono da guerre, terrorismo, disastri ambientali, manovre economiche e così via. E quanti morti l’attuale guerra in Ucraina?

Come cittadini vogliamo sapere che tipo di pressione fanno le industrie militari sul parlamento per ottenere commesse di armi e di sistemi d’arma. Noi vogliamo sapere quanto lucrano su queste guerre aziende come Leonardo e non ultima RWM in Sardegna che produce bombe per l’Arabia Saudita al fine di bombardare lo Yemen. La RWM adesso vende a chi vuole armare l’Ucraina, come titolava in questi giorni il Giornale La Repubblica. Ma anche chiediamo di sapere quanto lucrano le banche in tutto questo e come cittadini chiediamo di sapere quanto va in tangenti ai partiti, ai governi che si sono susseguiti sulla vendita di armi all’estero. Negli anni scorsi abbiamo esportato armi per un valore di parecchi miliardi di euro. Allora scendiamo per strada, nelle piazze, per urlare il nostro no alle spese militari e che vinca la vita!

Laura Tussi

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Da Bruxelles le Donne Globali per la Pace dicono no alla politica di guerra della NATO

Scritto da: LAURA TUSSI

Il 6 e 7 luglio si è tenuto a Bruxelles l’incontro internazionale della rete Donne Globali per la Pace. In opposizione alla politica bellicista della NATO, all’interno delle aule del Parlamento Europeo le delegate si sono confrontate per produrre una Dichiarazione mondiale di pace. Ecco un resoconto e un’analisi di ciò che è scaturito dal meeting, resa possibile grazie alle informazioni diffuse e inviate con dovizia e tempestività da Cristina Ronchieri dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole.

Un ampio insieme di donne provenienti da tutto il mondo, un autentico incontro internazionale al femminile, Donne globali per la pace unite contro la NATO, già presente il primo giorno 6 luglio 2023 a Bruxelles, ha partecipato all’incontro organizzato all’interno del Parlamento Europeo per presentare la dichiarazione di pace che è stata discussa nei giorni del seminario contro il vertice NATO che si è tenuto a Vilnius in Lituania.

La delegazione ha potuto confrontarsi con due parlamentari del gruppo LEFT  Gue/NGL: Clare Daly e Ozlem Alev  Demirel. I paesi rappresentati nella riunione del 6 luglio 2023,  attraverso tante realtà pacifiste e politiche anche molto diverse tra loro, erano Belgio, Germania, Francia, Italia, Grecia, Cipro, Ungheria, Finlandia, Afghanistan, Australia, Stati Uniti, Ucraina, Marocco.

IL PRIMO GIORNO

Tutte le relatrici intervenute hanno sposato totalmente nei loro interventi i principi espressi nel documento, che si articola intorno a tre grandi rifiuti:

  • No alla NATO globale, a blocchi militari sempre più armati, alla guerra come modalità di risoluzione delle controversie internazionali
  • No alla militarizzazione della ricerca scientifica. Le giovani generazioni hanno diritto a un’educazione laica e democratica, ispirata ai valori della pacifica convivenza tra i popoli e gli Stati
  • No al coinvolgimento delle donne nei piani di guerra del patriarcato. No a qualsiasi “approccio di genere” nelle file della NATO
donne globali per la pace 1

La questione di genere ha quindi assunto un ruolo centrale al tavolo di Bruxelles. Il coinvolgimento delle donne ai vertici di un’organizzazione militare infatti non ha nulla a che fare con l’affermazione dei principi di uguaglianza, giustizia e pace che sono alla base delle lotte delle donne per la propria liberazione. Al contrario, è stato gridato un forte “sì” alla promozione del ruolo delle donne nei processi di pace, nonché al rispetto delle intenzioni autentiche della risoluzione 1325 delle Nazioni Unite sulla partecipazione delle donne ai negoziati di pace. 

L’augurio delle partecipanti è stato quello di coordinarsi nell’informazione e nell’azione, in modo da ricostruire un movimento pacifista internazionale sempre più incisivo e strutturato che sia capace di contrastare le perverse logiche e la propaganda della subcultura della guerra e della difesa dell’occidente e della NATO. Alle parlamentari sono stati consegnati alcuni dossier, tra i quali quello sulla presenza dell’Alleanza Atlantica e sulla situazione della Sardegna, preparato da Patrizia Sterpetti di Wilpf Italia, con il prezioso contributo di Mariella Setzu di Cobas Scuola, entrambe attive nell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole.

In seguito alcune delle donne presenti hanno partecipato a una manifestazione a sostegno della Palestina, per denunciare gli ultimi misfatti di Israele, organizzata davanti al Ministero degli Affari Esteri. Molte relazioni sono state di carattere generale, sulle ingerenze NATO nei vari paesi, sulle armi nucleari e sull’uranio impoverito, fino all’analisi dei rapporti politici internazionali dopo l’ingresso recente della Finlandia all’interno della coalizione. Per i paesi africani i temi centrali sono stati il ruolo di AFRICOM e il crescente interesse di molti di essi a entrare nel blocco BRICS.

Stando ai feedback ricevuti, la presentazione dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e del suo lavoro è stata molto apprezzata. Allo stimolo e richiesta di monitorare cosa sta succedendo nei sistemi formativi degli altri paesi, hanno subito risposto le rappresentanti australiana, ungherese e belga, confermando che si stanno verificando gli stessi meccanismi, evidentissimi a livello universitario. Una delle coordinatrici ha accennato l’ipotesi di creare un “sottogruppo” di Global Women che si occupi dei settori istruzione e università. 

donne globali per la pace 2
IL SECONDO GIORNO

Il venerdì 7 luglio 2023, erano presenti circa 40 persone in sala e 30 collegate in streaming. A fine pomeriggio le partecipanti hanno organizzato un flash mob molto bello e partecipato in pieno centro a Bruxelles, simulando in una performance come la NATO stia distruggendo la libertà, l’economia e la vita dei paesi “sudditi”.

In seguito si è svolta l’ultima, intensissima, giornata ufficiale del  seminario di Global Women, con le relazioni mattutine – quasi tutte online – da parte di rappresentanti dell’area del Pacifico, come Australia, Hawai, Guahan, Filippine, Corea del Sud e alcune isole a sud del Giappone, Ryukyu e Okinawa. Ne è emerso un quadro di controllo totale da parte degli USA, e in parte anche del Giappone, con immani basi militari che oltretutto distruggono territori e ambiente, cui si aggiungono i continui test nucleari nelle isole Marshall, che devastano gli ecosistemi dei popoli indigeni, nel caso migliore ignorati.  

Sono intervenute rappresentanti dall’America Latina, come Colombia, Venezuela e Brasile, poi ricercatrici e un ricercatore attivista da USA e Canada. Il punto di vista nel presentare le attività e le strategie della NATO e le analisi della situazione sono stati molto interessanti. Infine una pacifista ucraina che attualmente vive in Ungheria e una rappresentante afgana. Questo importante evento è organizzato da un movimento pacifista e femminista, molto politico, lucido e schierato senza tentennamenti, che sta cercando di ricomporsi e di ricostruire quella rete internazionale che ha sofferto e soffre in questi anni di una debolezza estrema. 

L’augurio delle partecipanti è stato quello di coordinarsi nell’informazione e nell’azione, in modo da ricostruire un movimento pacifista internazionale sempre più incisivo e strutturato

IL VERTICE NATO DI VILNIUS

Martedì e mercoledì, 11 e 12 luglio 2023 a Vilnius, in Lituania, i Paesi NATO si sono confrontati sui temi della difesa collettiva. Ma al centro del dibattito c’è stata soprattutto la guerra in Ucraina. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è stato ospite tra i leader occidentali. Joe Biden ha catalizzato le attenzioni, anche se la scelta di inviare le bombe a grappolo alle truppe di Kiev sta spaccando il fronte alleato. Per l’Italia era presente la premier italiana. Molti i temi in agenda.

La rete Global Women For Peace United Against NATO, con rappresentanti di oltre 120 organizzazioni di 35 Paesi, si oppone fermamente all’uso di bombe a grappolo e di armi contenenti uranio impoverito e condanna i paesi, in particolare gli Stati Uniti e il Regno Unito, che le stanno inviando per l’uso in Ucraina. Mettiamo in guardia il governo ucraino e la Federazione Russa dall’uso illegale e criminale di queste armi.

Clicca qui per sottoscrivere l’appello delle Donne Globali per la Pace pubblicato oggi, lunedì 17 luglio.

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Sono passati oltre vent’anni da Genova 2001…

Conversazione con Vittorio Agnoletto.

Intervista di Laura Tussi a Vittorio Agnoletto

1 -Sono passati oltre vent’anni da Genova 2001. Un momento che ha segnato la vita di molte persone e che ancora oggi, dopo tante analisi politiche, indagini, processi, è una ferita aperta nella storia italiana. Come racconteresti ad una ragazza o a un ragazzo nato nel 2001 o dopo, l’epoca di Genova?

Direi loro che abbiamo fatto di tutto per lasciare ai giovani un mondo migliore e che il movimento altermondialista dell’inizio di questo millennio ha rappresentato un atto di enorme generosità perché, come ha ricordato Susan George, è forse stato il primo movimento di persone che non lottavano per avere un vantaggio per sé stesse, ma che lottavano per le generazioni future.

Ci siamo scontrati con dei poteri estremamente forti, poteri politici, economici e finanziari che non hanno esitato ad utilizzare qualunque forma di repressione per stroncare quel movimento. Proprio quel movimento però ha prodotto risultati estremamente importanti in tante parti del mondo. Penso, per esempio, a quanto è avvenuto in America Latina dove l’incontro tra i movimenti e le forze politiche di sinistra ha aperto un decennio di grandi cambiamenti nel quale milioni e milioni di persone sono state sottratte alla fame. In Europa il movimento è stato stroncato dalla repressione, ma ha seminato molto. Per esempio, credo che il risultato ottenuto dieci anni dopo sul referendum per l’acqua bene comune sia stato anche il risultato del movimento di Porto Alegre e di Genova. Prima di quegli anni il termine “Beni Comuni” non esisteva e a Porto Alegre e a Genova nel 2001 si comincia a dire in modo molto chiaro che ci sono dei beni e che sono essenziali per la vita umana e che devono essere sottratti alle leggi e alle logiche nefaste del mercato.

2-Alcune caratteristiche di quel movimento erano innovative, dalle decisioni prese per consenso alla capacità di trovare convergenze fra diversi. Secondo te, cosa ci hanno lasciato oggi le intuizioni del movimento altermondialista?

Quel movimento ha rappresentato un’esperienza unica nella storia del nostro Paese. Non vi è mai stato un movimento così vasto in grado di muoversi in modo unitario. Abbiamo sempre preso le decisioni per consenso. È vero. Ma l’interessante è spiegare in che modo abbiamo praticato questo obiettivo.  Non dovevamo per forza essere tutti d’accordo su tutto. La questione era impostata in un altro modo. Ci siamo detti: abbiamo tutti sottoscritto un “Patto di lavoro” e un documento sulle forme di mobilitazione (5/6/2001) che delineano l’orizzonte dentro il quale ci muoviamo; sono le idee e le regole che tutti abbiamo condiviso. All’interno di quanto stabilito nei due documenti è possibile prendere anche iniziative diverse. Pensiamo a Genova, a venerdì 20 luglio, quando abbiamo circondato la zona rossa. L’obiettivo non era che ognuno dichiarasse “io sono disponibile a partecipare a tutte le iniziative proposte”, ma che nessuno dei portavoce si alzasse per dichiarare che “No, quell’iniziativa che voi proponete non si può fare, è in contrasto con il Patto di Lavoro e con quanto abbiamo sottoscritto.”

I missionari, ad esempio, potevano dire: “Io pregherò a Boccadasse e non parteciperò al corteo delle Tute Bianche. Ma ritengo che le modalità con cui sarà organizzato quel corteo siano interne a quanto previsto dai documenti che tutti abbiamo sottoscritto.” E così via. Chi aveva proposto l’iniziativa delle Tute Bianche diceva “Noi faremo il corteo con le modalità indicate, nel rispetto delle persone e delle cose e non andremo a Boccadasse a pregare perché non siamo credenti, ma riteniamo che anche quella scelta si inserisca all’interno di quanto scritto nel “Patto di Lavoro”. In questo modo la sintesi uscita dalla riunione dei portavoce, non era un accordo al ribasso, ma era un’intesa che rilanciava e teneva unito il movimento.

Il consiglio dei portavoce, costituito da diciotto persone, era anch’esso uno strumento importante di democrazia. Ogni portavoce si riferiva a un gruppo di associazioni, comitati, sindacati, di base e Fiom e via dicendo con il quale era omogeneo per settore di intervento: dalle associazioni che lavorano sull’ambiente e quelle di solidarietà coi migranti, a quelle impegnate nella tutela della salute e così via. Ogni portavoce riportava la discussione del Consiglio alle associazioni che rappresentava e il parere di costoro nella riunione dei portavoce. Una volta assunte le decisioni il portavoce del movimento, il sottoscritto, le doveva comunicare all’esterno cercando di rappresentare l’immagine e l’unità del movimento. Era un’unità reale ed è quella che ha spaventato molti poteri.

Infatti, hanno fatto di tutto per cercare di rompere quell’ unità. Ecco, credo che questo modello potrebbe fornire anche idee e suggerimenti nella situazione attuale dove vi sono diversi movimenti e campagne, spesso monotematici, che hanno difficoltà nel lavorare insieme e a costruire delle reti. Forse da quell’esperienza ci può arrivare qualche insegnamento.

3 – Dal 1992 al 2001 sei stato presidente nazionale della LILA (Lega Italiana per la Lotta contro l’AIDS). Hai avuto importanti incarichi presso il ministero della salute e nel 1994 sei stato “medico dell’anno” secondo la rivista specializzata “Stampa Medica”. La visibilità che ti ha dato l’essere stato il portavoce del Genoa Social Forum, ha in qualche modo determinato cambiamenti nella tua vita professionale? Hai subito ritorsioni a causa delle tue scelte?

Non vi è ombra di dubbio che l’esperienza del Genoa Social Forum (GSF) ha modificato completamente la mia vita, anche perché contro il GSF è stato costruito un muro durissimo, lo dobbiamo dire, dall’insieme del sistema politico, partitico, mediatico. Salvo pochissime eccezioni è subentrato un tentativo di criminalizzare fortemente il movimento. Non dimentichiamo che addirittura ci sono state proposte di considerare il GSF un’associazione sovversiva. E ovviamente anche la mia vita e la mia figura ne hanno risentito. Sono stato escluso e buttato fuori dalla Commissione Nazionale AIDS e dalla Commissione per la lotta alle tossicodipendenze, che facevano riferimento l’una del ministero della Sanità e l’altra del ministero degli Affari sociali. Sono stato espulso da un giorno all’altro. Non perché non avessi più le competenze scientifiche, ma per decisione politica dei ministri di allora. La mia vita anche lavorativa ha dovuto ricominciare completamente dall’inizio. Eppure, avevo già quarantatré anni. Detto questo, rifarei quelle scelte perché credo che nella vita sia importante essere coerenti nei comportamenti con quello che si pensa, con le proprie idee, consapevoli che, quando si fanno determinate scelte queste poi si pagano.

Anche perché che senso avrebbe avuto continuare a battermi con la Lila per far arrivare i farmaci contro l’AIDS in tutto il mondo, lottando contro i brevetti e contemporaneamente far finta di non sapere che quelle decisioni erano frutto delle politiche neoliberiste decise dall’Organizzazione Mondiale del Commercio, d’accordo con Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale che in quella fase storica operavano sotto la regia del G8? Non sarebbe stato serio non denunciare quelle responsabilità.

Poi ognuno, ovviamente, sceglie che senso dare alla propria vita.

4 – Dopo Genova 2001, lo smarrimento si è impadronito di molte persone, molti giovani soprattutto che hanno sperimentato il volto feroce dello Stato. Quel volto feroce che, anche oggi si manifesta verso le persone più deboli e indifese. Tu pensi che l’azione nonviolenta che comincia a manifestarsi, soprattutto in forma spontanea, possa diventare contagiosa ed essere motivo di speranza?

Mi auguro che l’azione nonviolenta possa diventare contagiosa. Credo alla forza delle azioni nonviolente quando sono azioni collettive e di massa; per realizzare queste è necessario un altissimo livello di consapevolezza e di coscienza politica.

Costruire azioni nonviolente di massa richiede tempo, esperienza e grande fatica, ma è evidente che il confronto deve svolgersi su questo terreno. Se andiamo su altri terreni rischiamo di contribuire alla fine della Storia umana. Alla fine del pianeta. Non credo che ci possa essere una soluzione con la forza. Non lo credo per quello che riguarda le dinamiche sociali e tantomeno lo credo per quello che riguarda il quadro politico internazionale, con riferimento anche all’attuale guerra in Ucraina.

5- Sei stato parlamentare europeo dal 2004 al 2009 e in seguito, nel 2010, candidato alla presidenza della Regione Lombardia. Poi, nel 2015 hai fondato, insieme ad Emilio Molinari e Piero Basso, l’associazione “Costituzione Beni Comuni”. Questa scelta di “uscire” dall’ambito istituzionale da cosa è stata motivata? Quali sono gli ambiti di cui si occupa l’associazione?

Costituzioni Beni Comuni si occupa dei temi contenuti nel nome stesso dell’associazione: si batte per difendere i principi della Costituzione italiana e in particolare per sottolineare come i diritti devono prevalere sulle leggi del mercato. In questo contesto troviamo la battaglia per i Beni Comuni, per l’acqua, per l’accesso ai farmaci, impegno che condivido anche in Medicina Democratica, per un lavoro stabile sottratto alla precarietà e per tante altre istanze.

Ma il punto centrale è sempre il conflitto, che attualmente attraversa tutto il mondo, tra la logica del profitto e l’affermazione dei diritti umani. Non vi è nessuna possibilità di mediazione, anche perché i diritti sono un unico insieme indivisibile e questo oggi è estremamente attuale. Non si possono dividere i diritti civili dai diritti sociali o ci sono entrambi o non ci sono i diritti. I diritti civili riguardano più gli aspetti dell’individualità, mentre i diritti sociali riguardano quella parte di ciascuno di noi che è collettività e che è socialità e ambedue questi diritti hanno dietro secoli di lotta. Non bisogna dividerli. Li dobbiamo tenere insieme. Questo è uno dei principi fondanti di Costituzione Beni Comuni.

Credo che in questo momento il ruolo che possono svolgere le associazioni e la società civile e i movimenti possa essere estremamente importante. Nel mondo politico vedo degli orizzonti molto molto limitati e anche troppo autocentrati. Siamo in un momento complicato. Gli schemi del passato servono poco. Necessitiamo di elaborare nuovi orizzonti e nuovi immaginari sul mondo che vogliamo e credo che questo lavoro fondamentale possa realizzarsi principalmente nella società civile. Detto questo non è che il bene sta da una parte e il male dall’altra.

La politica istituzionale è e resta assolutamente necessaria, così come nella società civile abbiamo purtroppo esempi di associazioni che mettono al primo posto l’esaltazione della loro identità anziché gli obiettivi per i quali dicono di battersi. Quindi non esiste una linea di demarcazione così netta, ma credo che oggi la priorità sia quella, dentro il mondo della società civile, di elaborare e di sperimentare nei territori pratiche di democrazia e di liberazione, perché una teoria senza pratiche non va lontano.

6 – Secondo la tua esperienza e guardando alla realtà odierna, su quali temi le realtà attente alla solidarietà e alla costruzione di umanità dovrebbero oggi maggiormente impegnarsi?

I temi li conosciamo tutti. Ne continuate a parlare e svolgete un lavoro incredibile voi stessi, Laura e Fabrizio, di elaborazione e di divulgazione.

Oggi siamo consapevoli che per la prima volta nella storia umana in discussione vi è il futuro dell’umanità e il futuro del pianeta e non è detto che le due cose coincidano per forza. Perché potrebbe, un domani, esserci anche un pianeta senza umanità per come siamo messi. Quindi l’obiettivo principale è dare un futuro al Pianeta e agli esseri viventi e per fare questo è necessario cambiare il modello di sviluppo e anche rallentare e modificare i ritmi delle nostre vite.

È altresì necessario costruire sperimentazioni di convivenza globale e quindi estromettere la guerra dalla Storia e tutto questo non si può fare senza una lotta per la giustizia sociale, ma queste sono cose che conoscete bene. Oggi è prioritario costruire ponti tra i vari movimenti. Esistono i movimenti per la pace, quelli per i diritti dei migranti, movimenti ambientalisti e quelli per il diritto alla salute e all’abitare, solo per citarne alcuni. Dobbiamo avere la stessa consapevolezza che abbiamo avuto vent’anni fa costruendo il Genoa Social Forum: nessuno di noi può vincere la propria singola battaglia. Da soli noi non vinceremo mai. Parlo anche di me, del nostro impegno contro i brevetti sui farmaci e sui vaccini, campagna che non potrà raggiungere il suo obiettivo se non riusciremo almeno a ridimensionare fortemente il potere dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) che è uno dei pilastri del neoliberismo. L’OMC è anche l’organizzazione che distrugge l’agricoltura di prossimità, protegge l’agrobusiness, favorisce la conquista dei terreni in Africa da parte delle multinazionali con il conseguente abbandono delle terre da parte dei contadini e i processi migratori forzati che ne conseguono. Allora se, dalla parte del neoliberismo tutto si tiene, è fondamentale che a maggior ragione questo avvenga anche dalla nostra parte.

Dobbiamo far sì che i nostri movimenti, certo rimanendo centrati sulla propria specificità, imparino a lavorare insieme a trovare le connessioni. Così come abbiamo imparato che ogni lotta ha una dimensione locale e una globale, così oggi dobbiamo essere consapevoli che una campagna settoriale non ha nessuna possibilità di cambiare la nostra situazione e di costruire un futuro diverso. Forse è assolutamente inflazionata questa parola: “Ponti”; però credo che sia attuale, non solo per ripudiare le guerre; dobbiamo costruire ponti e ponti, reti e strumenti di connessione e comunicazione ed è anche venuto il momento di dire che queste devono essere imprese collettive.

Davanti non dobbiamo mettere l’ “io”.

Nel momento in cui l’umanità rischia di non avere futuro davanti ci deve essere il ‘noi’ e per ‘noi’ dobbiamo intendere l’insieme dell’umanità. Non è un principio religioso o puramente etico, è certamente anche un principio etico, ma oggi coincide con l’obiettivo della sopravvivenza ed è quello che ci distingue dall’avversario. Perché il neoliberismo ci sta massacrando tutti, sta concentrando il potere in un numero sempre minore di persone, ma poi, tra gli stessi rappresentanti del neoliberismo si innescano guerre e confronti letali per la conquista di fette sempre maggiori di mercati e di profitti. Così come, per fare un esempio su un altro terreno, il nazionalismo, produce conflitti e guerre tra i sostenitori dei vari nazionalismi che oggi sembrano uniti come un solo uomo nel dare la caccia ai migranti. È sufficiente guardare quello che in queste settimane sta accadendo tra il nostro governo, la Polonia e l’Ungheria. Ecco noi dobbiamo avere proprio una prassi diversa. Superare ogni forma di individualismo e lasciare lo spazio al “noi” e noi è l’umanità: l’umanità intera.

7- Su quali basi e con quali soggetti potrebbe riemergere oggi, a livello nazionale e internazionale, un movimento con tanta intensità?

Sapessi rispondere non saremmo qui a discutere, ma staremmo conducendo delle battaglie vittoriose.

Non ho una risposta su tutto questo. Penso solo che oggi non ci sia più spazio per movimenti a dimensione puramente nazionale. Lo scontro è globale, i movimenti devono essere globali, le strategie devono essere globali; questo è anche uno dei motivi della crisi della politica, perché la politica partitica, se va bene, si dà un orizzonte nazionale e in tempi limitatissimi, ad esempio quelli di una legislatura legati alle fortune di uno o di un altro leader. Quindi dobbiamo costruire movimenti universali e alleanze con i popoli di tutti i continenti, avendo la capacità precisa di individuare l’avversario. Un esempio. Lo continuo a ripetere: è inaccettabili che la vita di sette miliardi e 800 milioni di persone sia nelle mani di quattro o cinque consigli di amministrazione delle aziende che producono farmaci e vaccini e che ne detengono i brevetti.

Organizzare una campagna mondiale contro questa situazione significa organizzare una vertenza mondiale per un vero diritto alla vita; dopo di che questa si deve connettere con le altre campagne, come quelle per la difesa dell’ambiente perché sappiamo che non ci può essere un futuro per solo un pezzo di umanità.

Dobbiamo sottolineare e non sottovalutare due aspetti. Innanzitutto, l’importanza dell’informazione. La rete web è fondamentale perché oggi, anche nei Paesi occidentali, non solo in quelli con sistemi dittatoriali, i mezzi di comunicazione sottostanno a logiche monopolistiche e in Italia lo sperimentiamo molto più che in altri Paesi.

Anche per questo è importante il lavoro e l’impegno che voi portate avanti quotidianamente, un contributo piccolo, ma che si inserisce in un processo ampio, fondamentale e articolato di informazione alternativa.

L’altro aspetto importantissimo è l’educazione, che significa anche costruzione di memoria. Sono preoccupatissimo del fatto che le giovani generazioni studino sempre meno la Storia; che non conoscano il passato e quindi abbiano difficoltà a connettere tra di loro i singoli eventi e a dotarsi di una lettura generale. È fondamentale fare informazione, educazione e formazione e non è un caso che il nostro avversario, cioè il neoliberismo, agisca per distruggere la scuola pubblica e l’università. Al neoliberismo non servono persone pensanti, non ha bisogno di cittadini in grado di sviluppare una capacità critica. Ha bisogno solo di persone pronte ad obbedire.