Pubblicato il Lascia un commento

Sovranità Popolare Rivista – Laboratori e iniziative di attivismo nonviolento nella Rovereto degli anni novanta, sulla scia del pensiero di Alex Langer.

IL CENTRO DI EDUCAZIONE ALLA PACE DI ROVERETO E LA SPERIMENTAZIONE DI FORME CREATIVE DI COINVOLGIMENTO

Sovranità Popolare Redazione ArticoliCultura e Filosofia 0

Trincee della grande guerra. A memoria per ricordare la guerra è inutile

Di Laura Tussi

Sin dagli anni ottanta il Centro di Educazione alla Pace di Rovereto ha portato avanti una fondamentale attività per la diffusione di una cultura di pace e nonviolenza attraverso iniziative innovative che hanno fatto scuola in tutta Italia. Il tutto nel segno di una figura storica del mondo dell’attivismo trentino, italiano e internazionale di cui è appena ricorso il 28esimo anniversario della scomparsa: Alex Langer.

Comiso, Baghdad, Sarajevo… Erano gli anni ottanta, e poi novanta: a livello nazionale e globale si assisteva quasi inermi, ma con una grande volontà di azione e cambiamento, a condizioni di violenza e ferocia conclamate che continuavano la storia di sempre con un’accelerazione dopo gli eventi del 1989. Proprio nei giorni in cui ricorre il 28esimo anniversario della morte di uno dei maggiori protagonisti della scena pacifista: Alex Langer.

Ma sembrava che un’alternativa fosse possibile: la capacità di mobilitazione, sollecitata da organismi collettivi e da reti spontanee e in espansione strutturata. Era la prova di una opinione pubblica indisponibile ad accettare gli orrori delle nuove guerre e la logica dell’iniquità e dell’ingiustizia sociale in diversi settori. Il concetto di comunismo cominciava a essere reinterpretato dopo il 1989 e riattualizzato in questi ambiti sociali di interazione e dialogo.

Senza illusioni di un successo immediato, vista la disparità delle forze, ma con la consapevolezza che la nuova società aveva possibilità di sbocciare: quella della partecipazione in chiave pacifista e comunista e quella che ad un certo punto si sarebbe riassunta nello slogan “fuori la guerra dalla storia”.

Con orgoglio si è parlato e si è sentito il riconoscimento dall’esterno di un laboratorio Trentino per la nonviolenza e di educazione alla pace, e di formazione alle dottrine politiche, come il comunismo e diversi mondi di riferimento politici e religiosi – laico, cattolico, valdese, islamico eccetera – che vi hanno partecipato.

Di questo laboratorio, Rovereto e il Trentino, sono stati un centro felice e chi, per volontà o per caso, ha potuto circolare tra questo incrocio di progetti, ne ha misurato l’impegno e le potenzialità non sempre pienamente realizzate. Nel piccolo ambito di Rovereto, gli attivisti si sono sentiti grandi, aperti, collegati con il mondo e le sue miserie, ma anche le sue forze nobili, impegnati sui temi che entro lo sguardo critico sui giochi planetari, erano e sono le direttrici per il pensiero e l’azione di una nuova civiltà, di un’azione terrena basata sul comunismo degli ideali.

La pace, i diritti, l’ambiente, la crescita di panorami nuovi di cittadinanza, la crisi dei comunismi. Su questo gli attivisti si sono impegnati operando su una molteplicità di livelli: dalla manifestazione all’approfondimento tematico, dai progetti con le scuole e i primi incontri e percorsi civicamente interculturali.

Il comitato delle associazioni per la pace e i diritti umani era molto attivo e ha una lunghissima storia nel pensiero delle ideologie del ventesimo secolo che si apriva con tutto il suo bagaglio di contraddizioni, ma anche di atrocità, da Auschwitz a Hiroshima per aprirsi al ventunesimo secolo e alle sue complessità nella coscienza planetaria e nelle comunità di destino.

L’opposizione ai missili Cruise e la carica ideale terzomondista, con un ideale di comunismo e condivisione mondiali, sono state alle radici di un soggetto rimasto attivo fino ai tempi attuali. Sono ancora presenti le realtà fondatrici, se ne sono aggregate altre nate in seguito, si sono promossi gruppi di lavoro e nuove esperienze di associazionismo strutturato e di incontro informale. Si è affermato più che una ricambio, una crescita generazionale e intergenerazionale, nell’avanzata del pensiero che acquista attualità con il disarmo nucleare universale.

La dialettica interna anche sulla politica e l’ideale comunista, a volte anche non poco sofferta, è stata garantita dai diversi mondi di riferimento politici che vi hanno partecipato.

Il centro di educazione permanente alla pace, gestito dal comitato, dal 1992 è il luogo fisico per la progettualità, la formazione, la testimonianza, la documentazione. Intorno a queste istanze è stata pensata e perseguita la rete per l’educazione alla pace a livello nazionale. Qui si sono incontrati una moltitudine di protagonisti dal basso: Testimoni dalla ex Jugoslavia, nonne e madri di Plaza de Majo, parenti di deportati civili e razziali per motivazioni politiche e deportati politici stessi tutti sopravvissuti ai lager e campi di sterminio nazifascisti, monaci tibetani, come anche attivisti di tanti paesi africani e così via.

Qui si sono avvicinate ottiche diverse e culture tra le più disparate e si sono svolti percorsi importanti sul potenziamento delle iniziative e soprattutto sull’emancipazione della donna: si è cercato di analizzare insomma quel processo dal quartiere all’ONU, al palazzo di vetro a cui qualcuno degli attivisti è arrivato davvero.

Si sono sperimentate forme creative di coinvolgimento. E si sono avviate le prime proposte di formazione rivolta agli insegnanti per far entrare nella scuola metodi e contenuti coerenti con un diverso futuro, senza prescindere dal passato e dal passato prossimo. Sono partiti i primissimi, volontaristici corsi di italiano per stranieri, che erano contemporaneamente occasioni di conoscenza reciproca. Si sono sviluppate diverse iniziative sui beni comuni, a partire dalla campagna sull’acqua e sul nucleare civile e militare e le proposte per uno sviluppo sostenibile.

A Rovereto fa centro il comitato migranti, una larga rete per l’accoglienza in relazione, tramite incontri e corsi con i giovani profughi ospitati nel territorio. Negli anni novanta del secolo scorso, Rovereto ha visto svilupparsi progetti di ricerca e informazione a respiro internazionale con i quali il comitato ha cercato di interagire, come l’Università dell’istruzione dei popoli per la pace e l’osservatorio sui Balcani e Caucaso. L’ attività dell’Università dell’istruzione dei popoli per la pace ha portato in città i più impegnati studiosi su pace, nonviolenza, diplomazia popolare e azione politica, globalizzazione. E con questi per le sessioni annuali dei corsi, sono arrivati giovani da tutto il mondo, portatori di vissuti ed esperienze comunitarie e professionali davvero esemplari.

Ragionare con rigore scientifico sui meccanismi del conflitto e della possibilità di dialogo politico, della violenza strutturale e quindi di principi di economia mondiale. Far incontrare in un percorso comune studenti israeliani e palestinesi; portare nelle scuole l’attivista nigeriana, lo studente nepalese, il giornalista colombiano.

Questo e altro ancora si è cercato di portare nel tessuto cittadino fino all’esperienza internazionale.

I corsi locali hanno poi investito ambiti molteplici, come l’educazione interculturale, l’amministrazione pubblica, l’economia, la solidarietà internazionale, la cooperazione politica.

E anche su questo si è sempre tentato di portare riflessione ed esperienza a destinatari di più ampio respiro oltre l’azione d’aula.

Ma per tutta questa storia rimandiamo a spazi e strumenti appositi.

È difficile misurare nelle sue ricadute l’attivismo di tante vite, di una comunità variegata e di così ampio respiro e vasta entità di pensiero. Sono sempre stati consapevoli della difficoltà di far percepire alla città la presenza continuativa, il lavoro veramente quotidiano, aldilà delle manifestazioni di maggiore visibilità.

Allargare la partecipazione, agganciare nuovi interlocutori, far circolare idee e proposte in ambienti più vasti. Si sono mantenuti come obiettivi paralleli ad un’iniziativa come il fare memoria di storie di questi decenni, come le deportazioni politiche nei lager nazifascisti, che è una necessità molto impellente. Tanto più lo è oggi, quando è difficile contare sulle grandi risposte pubbliche che hanno accompagnato gli anni novanta. Con la coscienza di quanto si è costruito e la ricognizione su quello che vive, rinforziamo il nostro sguardo verso il futuro. Per superare l’attuale tragica congiuntura di estrema deriva bellicista in Russia e Ucraina e Europa oltre il conflitto, oltre l’estremo limite della potenziale terza guerra mondiale con il suo tragico epilogo nell’Armageddon, ovvero l’apocalisse nucleare.

Siti di riferimento:

Salviamolo Salviamoci ! Contro il nucleare.

https://www.facebook.com/laura.tussi/videos/1953776988319817

Riflessioni sulla contemporaneità:

  • Pugliese F., Abbasso la guerra. Persone e movimenti per la pace dall’800 a oggi, Grafiche futura, Mattarello – Trento
  • Pugliese F., I giorni dell’arcobaleno. Diario- cronologia del movimento per la pace, prefazione di Alex Zanotelli, Futura, Trento
  • Pugliese F., Per Eirene. Percorsi bibliografici su pace e guerra, diritti umani, economia sociale, Forum Trentino per la pace e i diritti umani, Trento
  • Pugliese F., Carovane per Sarajevo. Promemoria sulle guerre contro i civili, la dissoluzione della ex Jugoslavia, i pacifisti, l’ONU (1990-1999), Prefazione di Lidia Menapace, Introduzione di Alessandro Marescotti, Alfonso Navarra, Laura Tussi
  • Manifesti raccontano…Le molte vie per chiudere con la guerra,a cura di Vittorio Pallotti e Francesco Pugliese, Recensione di Laura Tussi, Prefazione di Peter Van Den Dungen, coordinatore generale della Rete Internazionale dei Musei per la Pace e Joyce Apsel, Università di New York
  • Strada G., Ma l’abolizione della guerra non è un’utopia di sinistra, in La Repubblica, 2006.
Pubblicato il Lascia un commento

Fausto Dalla Valentina: i social possono essere uno strumento di pace

Scritto da: LAURA TUSSI

Fausto Dalla Valentina si definisce un “piccolo sociologo”, che è anche il nome che ha dato ai suoi canali social. Attraverso essi, senza inseguire la logica del click baiting, propone contenuti che cercano di suscitare consapevolezza e che vanno dalle domande esistenziali più profonde all’informazione sui temi chiave del pacifismo, del disarmo e della nonviolenza.

Fausto Dalla Valentina si potrebbe definire un innovativo influencer sui generis. Il suo spazio divulgativo si chiama Piccolo Sociologo. Ma Fausto svolge il suo ruolo in modo molto positivo, creativo e costruttivo. Con il suo impegno lancia messaggi di pace, nonviolenza e – perché no? – amore. Lui si definisce un “vlogger”, poiché pubblica video in cui trasmette contenuti di pensieri e concetti molto profondi con un linguaggio estremamente essenziale, ma molto pertinente, semplice e comprensibile da tutti. Fra i temi caldi del momento trattati sui canali social di Fausto Dalla Valentina – per cui è stato invitato più volte in televisione per gestire conversazioni con un contraddittorio ovviamente – c’è la guerra in Ucraina.

Fausto ti riconosci nella presentazione che ho fatto di te?

Sì e ti ringrazio per le belle parole. Quello dell’influencer può essere un ruolo molto positivo, ma io non sento di rientrare in questa categoria. È vero che comunico sui social e utilizzo gli hashtag, ma solitamente un influencer tende a direzionare il suo agire soprattutto verso ciò che i suoi followers prediligono. Io invece mi baso su ciò che mi appassiona, anche se è contro i miei interessi nell’ottica “like”. Poco dopo il 24 febbraio 2022 ho lanciato l’iniziativa con l’hashtag #ParliamoDiPace che ancora circola tanto e ormai conta centinaia di post, svariati video, articoli nel mio blog ed interviste varie, compresa quella con te e Fabrizio Cracolici.

fausto dalla valentina
Qual è il riscontro di questo tuo modo di comunicare presso il pubblico?

Come per la pandemia, la guerra in Ucraina è stato uno spartiacque. Per questa mia presa di posizione molti hanno smesso di seguirmi e addirittura svariati conoscenti mi hanno tolto l’amicizia su Facebook. Per non parlare delle centinaia di insulti su YouTube, quasi tutti incentrati sull’accusa infondata di “se parli di pace sei un putiniano”.

Riguardo le apparizioni televisive, nella puntata di Diritto e Rovescio del 5 maggio 2022, pensavo mi avessero invitato tra varie voci pacifiste, non immaginavo di essere invece l’unico quella sera in studio a parlare di pace e più che un contraddittorio si è trattato di un “tutti contro uno”. In ogni caso per me vale sempre la pena dare voce alla pace. Vlogger è più quello che faccio, non quello che sono. Mi definirei più un ricercatore esistenziale.

Gli argomenti che tratti maggiormente partono dalla ricerca esistenziale?

La domanda esistenziale “chi siamo” è centrale per me, perché ci pone in discussione. Apparentemente astratta e filosofica, può sembrare che non porti da nessuna parte, ma continuare a porsela ci fa scoprire ad esempio chi non siamo, chi crediamo di essere, i nostri condizionamenti e pregiudizi e, se anche non trovassimo una risposta definitiva, ci riporta al presente in modo pratico, per divenire chi vogliamo essere.

Se poi andiamo ancora più in profondità, chiedersi chi siamo significa osservarsi, generare un testimone che scruta la coscienza. Se ci manteniamo costanti nell’auto-osservazione cominciamo a identificarci sempre più con l’osservatore piuttosto che con l’osservato. E qui si fa interessante, per non dire sconvolgente, rispetto all’idea diffusa di un io come entità unica e indivisibile.

https://youtube.com/watch?v=EjCjz-r_Wag%3Ffeature%3Doembed
Parli anche di identità personale e collettiva, dei nostri valori etici e condizionamenti, dello sviluppo di un pensiero critico: questo coinvolge anche l’approccio con la natura etica ed ecologica e l’ambito politico che affronti con atteggiamento satirico.

Esatto, più che sulla sociologia la mia impostazione pare basata sulla tuttologia. L’identità ci viene soprattutto trasmessa dalla cultura che troviamo nelle condizioni di nascita, ci identifichiamo come individui in gruppi di appartenenza spesso contrapposti e questa è una delle basi di cui si nutre la guerra. Abbiamo spesso un’identità limitata, che difficilmente va oltre al proprio ruolo lavorativo/sociale, figuriamoci oltre la propria nazione. Un’identità molto limitata perché – come narra Pirandello nel fu Mattia Pascal – se smetto di interpretare un determinato ruolo identitario, chi sono io a quel punto?

Ci crediamo uomini moderni e civilizzati, ma molti scontri armati avvengono ancora per contese di territori, così come accadeva ai tempi dei primitivi. Se provassimo ad andare oltre i nostri piccoli confini esterni, soprattutto ideologici, il nostro patriottismo non sarebbe più solo delimitato dalle lingue o da stili di vita differenti ma potremmo sentirci tutti parte di una patria planetaria.
Come fu per il muro di Berlino, oggi a partire dalla NATO, dobbiamo abbattere il muro ideologico che divide il mondo in fazioni contrapposte.

Il sociologo Galtung ad esempio aveva individuato tre forme di violenza: diretta, strutturale e culturale o simbolica. Su queste basi, come puoi descrivere il tuo concetto di violenza?

Le varie forme di violenza intrappolano la pace in una gabbia buia. È la bramosa economia di guerra che trae profitto dalla morte e specula sulla sofferenza. Poi c’è la totale incapacità politica dei governi e delle istituzioni internazionali di agire con strumenti diplomatici di mediazione. Ma non è finita, la lista sarebbe ancora lunghissima. Suonerà strano ma la pace è prigioniera anche di chi, pur essendo contro la guerra, rimane silenzioso e inerte, pensando che sia competenza e facoltà esclusiva dei governanti porre fine ai conflitti. Siamo stati persuasi che la guerra alcune volte può essere considerata giusta: l’inganno per giustificare l’uso della violenza.

Dobbiamo abbattere il muro ideologico che divide il mondo in fazioni contrapposte

Non distinguiamo più tra azioni sagge o stolte ma viviamo nell’automatismo polarizzato “noi siamo buoni, i cattivi vadano all’inferno”. Così, per uccidere “loro” siamo disposti a fare uccidere pure i “nostri”. Come diceva Gandhi, «la violenza è un suicidio». Ma esiste una via d’uscita: il dialogo è la chiave per liberare la pace. Ci sono nuovi modelli eroici che nulla hanno a che fare con i sacrifici sanguinosi; al contrario, mostrano il coraggio di rinunciare alla rivalsa del proprio ego, mettendo al primo posto il bene comune, disinnescano l’escalation della violenza, perseverando nella costruzione di ponti d’incontro.

Rifacendomi al Mahatma, per sconfiggere il senso di impotenza e di rassegnazione che attanaglia buona parte della popolazione serve una prolungata marcia condivisa di disobbedienza civile nonviolenta, ma per ottenere risultati deve essere utilizzata in modo ricorrente come strumento democratico di massa. Siamo in un momento cruciale per l’umanità: se al nostro progresso tecnologico non corrisponde un equivalente sviluppo evolutivo, sarà come dare a un bambino di 4 anni una Ferrari al posto di una macchina giocattolo. Dobbiamo crescere la nostra statura etico morale e ripudiare quella antropocentrica, tornando con la massima urgenza a essere parte armonica della natura del mondo dal quale ci siamo alienati.

Pubblicato il Lascia un commento

Il Centro di Educazione alla Pace di Rovereto e la sperimentazione di forme creative di coinvolgimento

Scritto da: LAURA TUSSI

Sin dagli anni ottanta il Centro di Educazione alla Pace di Rovereto ha portato avanti una fondamentale attività per la diffusione di una cultura di pace e nonviolenza attraverso iniziative innovative che hanno fatto scuola in tutta Italia. Il tutto nel segno di una figura storica del mondo dell’attivismo trentino, italiano e internazionale di cui è appena ricorso il 28esimo anniversario della scomparsa: Alex Langer.

TrentoTrentino Alto Adige – Comiso, Baghdad, Sarajevo… Erano gli anni ottanta, e poi novanta e a livello nazionale e globale si assisteva quasi inermi, ma con una grande volontà di azione e cambiamento, a condizioni di violenza e ferocia conclamate che continuavano nel solco della storia di sempre, ma con un’accelerazione dopo gli eventi del 1989. Eppure sembrava che un’alternativa fosse possibile: la capacità di mobilitazione, sollecitata da organismi collettivi e da reti spontanee e in espansione strutturata. Era la prova di una opinione pubblica indisponibile ad accettare gli orrori delle nuove guerre e la logica dell’iniquità.

Senza illusioni di un successo immediato, vista la disparità delle forze, ma con la consapevolezza che la nuova società aveva possibilità di sbocciare: quella della partecipazione in chiave pacifista e quella che a un certo punto si sarebbe riassunta nello slogan “fuori la guerra dalla storia”. Fra le tante, è interessante ripercorrere un’esperienza in particolare –il laboratorio Trentino per la nonviolenza e di educazione alla pace e in particolare il Centro di Educazione alla Pace di Rovereto –, proprio nei giorni in cui ricorre il 28esimo anniversario della morte di uno dei maggiori protagonisti della scena pacifista trentina.

centro pace rovereto1

Questo laboratorio infatti e il Trentino tutto sono profondamente legati alla propizia e quanto mai carismatica personalità di Alex Langer. Il Centro di Educazione alla Pace di Rovereto è stato un luogo felice e chi, per volontà o per caso, ha potuto circolare tra questo incrocio di progetti, ne ha misurato l’impegno e le potenzialità non sempre pienamente realizzate. Nel piccolo ambito della città trentina, gli attivisti si sono sentiti grandi, aperti, collegati con il mondo e le sue miserie, ma anche le sue forze nobili, impegnati sui temi che entro lo sguardo critico sui giochi planetari, erano e sono le direttrici per il pensiero e l’azione di una nuova civiltà.

La pace, i diritti, l’ambiente, la crescita di panorami nuovi di cittadinanza. Su questo gli attivisti che hanno strutturato i lavori del Centro di Educazione alla Pace si sono impegnati operando su una molteplicità di livelli: dalla manifestazione all’approfondimento tematico, dai progetti con le scuole e i primi incontri e percorsi civicamente interculturali. Il comitato delle associazioni per la pace e i diritti umani era molto attivo e forte, già allora, di una lunghissima storia.

L’opposizione ai missili Cruise e la carica ideale terzomondista sono state alle radici di un soggetto rimasto attivo fino ai tempi attuali. Sono ancora presenti le realtà fondatrici, se ne sono aggregate altre nate in seguito, sono stati promossi gruppi di lavoro e nuove esperienze di associazionismo strutturato e di incontro informale. Si è affermato più che una ricambio, una crescita generazionale. La dialettica interna, a volte anche non poco sofferta, è stata garantita dai diversi mondi di riferimento politici e religiosi – laico, cattolico, valdese, islamico e altri – che vi hanno partecipato.

centro pace rovereto2

Il centro di educazione permanente alla pace, gestito dal comitato, dal 1992 è il luogo fisico per la progettualità, la formazione, la testimonianza, la documentazione. Intorno a queste istanze è stata pensata e perseguita la rete per l’educazione alla pace a livello nazionale. Qui si sono incontrati una moltitudine di protagonisti dal basso: testimoni dalla ex Jugoslavia, nonne di Plaza de Majo, monaci tibetani, attivisti di tanti paesi africani e così via.

Qui si sono avvicinate ottiche spirituali diverse e culture religiose e si sono svolti percorsi importanti sul potenziamento delle iniziative e soprattutto sull’emancipazione della donna: si è cercato di analizzare insomma quel processo dal quartiere all’ONU, al palazzo di vetro a cui qualcuno degli attivisti è arrivato davvero.

Il Centro di Educazione alla Pace è stato un luogo di sperimentazione di forme creative di coinvolgimento, una per tutte “danzare la pace”. E si sono avviate le prime proposte di formazione rivolta agli insegnanti per far entrare nella scuola metodi e contenuti coerenti con un diverso futuro. Sono partiti i primissimi, volontaristici corsi di italiano per stranieri, che erano contemporaneamente occasioni di conoscenza reciproca. Si sono sviluppate diverse iniziative sui beni comuni, a partire dalla campagna sull’acqua e le proposte per uno sviluppo sostenibile.

Uno degli obiettivi del Centro di Educazione alla Pace è il “fare memoria” di storie di questi decenni, che è una necessità comunque

A Rovereto fa centro il comitato migranti, una larga rete per l’accoglienza in relazione, tramite incontri e corsi con i giovani profughi ospitati nel territorio. Negli anni novanta del secolo scorso, la città trentina ha visto svilupparsi progetti di ricerca e informazione a respiro internazionale con i quali il comitato ha cercato di interagire, come l’Università dell’istruzione dei popoli per la pace e l’osservatorio sui Balcani e Caucaso. Il decennio di attività dell’Università dell’istruzione dei popoli per la pace ha portato in città i più impegnati studiosi su pace, nonviolenza, diplomazia popolare, globalizzazione. E con questi per le sessioni annuali dei corsi, sono arrivati giovani da tutto il mondo, portatori di vissuti ed esperienze comunitarie e professionali davvero esemplari.

Ragionare con rigore scientifico sui meccanismi del conflitto e della possibilità di conciliazione, della violenza strutturale e quindi di principi di economia mondiale; far incontrare in un percorso comune studenti israeliani e palestinesi; portare nelle scuole l’attivista nigeriana, lo studente nepalese, il giornalista colombiano. Questo e altro ancora si è cercato di portare nel tessuto cittadino fino all’esperienza internazionale. I corsi locali hanno poi investito ambiti molteplici, come l’educazione interculturale, l’amministrazione pubblica, l’economia, la solidarietà internazionale.

centro pace rovereto3

E anche su questo si è sempre tentato di portare riflessione ed esperienza a destinatari di più ampio respiro oltre l’azione d’aula.
Ma per tutta questa storia rimandiamo a spazi e strumenti appositi. È difficile misurare nelle sue ricadute l’attivismo di tante vite, di una comunità variegata. Sono sempre stati consapevoli della difficoltà di far percepire alla città la presenza continuativa, il lavoro veramente quotidiano, aldilà delle manifestazioni di maggiore visibilità.

Allargare la partecipazione, agganciare nuovi interlocutori, far circolare idee e proposte in ambienti più vasti sono stati mantenuti come obiettivi paralleli a un’iniziativa come il “fare memoria” di storie di questi decenni, che è una necessità comunque. Tanto più lo è oggi, quando è difficile contare sulle grandi risposte pubbliche che hanno accompagnato gli anni novanta. Con la coscienza di quanto si è costruito e la ricognizione su quello che vive, rinforziamo il nostro sguardo verso il futuro. Per superare l’attuale tragica congiuntura di estrema deriva bellicista in Russia e Ucraina oltre il conflitto, oltre l’estremo limite della potenziale terza guerra mondiale con il suo tragico epilogo nell’apocalisse nucleare.

Pubblicato il Lascia un commento

Libera Cittadinanza – Donne Globali per la Pace, unite contro la NATO e le politiche belliche

DI LAURA TUSSI – italiachecambia.org – 30/06/2023

Il movimento delle Donne Globali per la Pace unisce centinaia di attiviste della nonviolenza e del disarmo di tutto il mondo. Cercando di incarnare i valori della sorellanza, della solidarietà e della sostenibilità ambientale, il movimento si oppone alle politiche di molti paesi e organismi sovranazionali che, soprattutto in questo momento storico, hanno preso una decisa e preoccupante deriva bellicista.

Introduzione e riflessione:

Il potere è l’ombra oscura opposta all’amore universale e al femminile.

Il femminile è creatività universale contro la violenza.

Per dire NO all’invio di armi in guerra.

Nella cittadinanza planetaria, le donne costituiscono la parte più fragile, ma attiva, dei tanti sud del mondo, dove vi è un pensiero al femminile con la coscienza della terrestrità umana e della solidarietà universale contro ogni guerra e conflitto armato.

https://www.peacelink.it/pace/a/47753.html

Commento:

A Bruxelles a Luglio, in contrapposizione e netto contrasto con il summit e vertice Nato di Vilnius in Lituania, si terrà una importante conferenza di donne impegnate per la pace e che provengono da tutto il mondo e hanno soprattutto come comune denominatore l’amore per madre terra, per il pianeta e l’assetto ecosistemico planetario e universale.

Nella loro Dichiarazione comune dal titolo: “Donne Globali per la Pace, Unite contro la NATO” le donne del movimento per la pace affermano:”Abbiamo a cuore i principi universali di uguaglianza giustizia e pace affermati dalla Carta delle Nazioni Unite e dalla Dichiarazione universale dei diritti umani”. Questo movimento femminile per la pace a livello planetario lotta per l’affermazione dei diritti delle donne e dei popoli, delle genti e delle minoranze contro ogni forma di violenza, in tutta la sua morfogenesi e i suoi livelli e sviluppi e in quanto genere femminile si professano contro ogni tipo di sfruttamento e modalità di discriminazione.

Le donne di pace da molti anni si impegnano contro ogni brutale manifestazione di violenza che trova la sua massima espressione nell’attività militare e nel suo tragico e inevitabile epilogo: la guerra nucleare.

Le donne per la pace contrastano nettamente il capitalismo che è padre del patriarcato, della mercificazione del corpo delle donne e soprattutto del militarismo e di tutte le attività belliche e dimostrazioni guerresche che hanno come stampo il maschilismo patriarcale e il machismo.

“Lottiamo per affermare una nuova sicurezza non militarizzata, che garantisca la vita e la salute delle generazioni presenti e future su questo pianeta, oltre che del pianeta stesso”.

L’aspirazione alla pace di carattere femminile è oggi minacciata da una escalation della corsa al riarmo, dell’incremento delle spese militari in tutto il mondo che provocano miserie e gravi pericoli per l’umanità intera come il rischio della terza guerra mondiale e dell’apocalisse nucleare, “dalla riproposizione di alleanze militari contrapposte e dalla militarizzazione crescente delle relazioni internazionali”. Tutto questo rischia di portare l’umanità alla catastrofe e soprattutto all’estinzione totale della storia e del passato, presente e futuro del genere umano nella sua totalità e nelle sue istanze valoriali. “Responsabili del crescente pericolo di scontro globale sono state in gran parte le decisioni assunte dalla NATO fin dal 1991, il cui ultimo approdo è il cosiddetto “Nuovo Concetto Strategico” concordato all’ultimo vertice dei capi di stato e di governo dei paesi NATO a Madrid nel 2022”.

Al vertice di Madrid, la Nato approva il più importante rafforzamento delle proprie capacità dalla fine della guerra fredda e porterà le forze militari a oltre 300 mila unità. Così afferma il segretario generale Nato Jens Stoltenberg nella conferenza stampa di presentazione del vertice di Madrid.

Così la Nato vuole sostituirsi a funzioni e compiti che sono di esclusiva responsabilità delle Nazioni Unite. “Questa NATO globale, che agisce nell’interesse dei paesi ricchi dell’Occidente, ha esteso le sue attività fino al Pacifico e pretende di imporre un “modello di civiltà” ben oltre l’area euroatlantica del Trattato originario”.

Al vertice di Vilnius in Lituania, la Nato ribadirà agli stati membri di imporre la condizione di incrementare le spese belliche e in generale gli investimenti militari oltre il 2 per cento del Prodotto Interno Lordo e devolverle alla guerra e all’assetto guerrafondaio, mentre le popolazioni devono affrontare crisi economiche e aumenti del costo della vita davvero insopportabili e non sostenibili da una qualità dell’ esistenza che si vorrebbe felice e edificante.

Tutto questo spettro di situazioni insostenibili, perché disumane e fuori dalla sopportazione umana, si accompagna a processi politici contrassegnati da crescente autoritarismo e dal riemergere di ideologie neofasciste, nazionaliste, xenofobe e sessiste, incoraggiate dal preoccupante diffondersi del militarismo nella cultura e della colpevolizzazione di ogni forma di pacifismo e azione nonviolenta per contrastare lo status quo.

Nel prossimo vertice dei capi di stato e di governo della NATO che si svolgerà a Vilnius, in Lituania a luglio, il Nuovo Concetto Strategico sarà ulteriormente elaborato, accrescendo il pericolo globale, a livello planetario. Verrà anche istituito un fondo speciale di investimento, finanziato con fondi pubblici, per start-up e rinnovamento tecnologico, con il quale si intende “incoraggiare esplicitamente la commistione dell’educazione scientifica e della formazione dei giovani con la ricerca militare”.

Le donne di pace e soprattutto a favore della pace, rifiutano la NATO e una visione del mondo di stampo militarista, patriarcale e maschilista, che inasprisce i conflitti internazionali, ed è inconciliabile con il principio della tutela e salvaguardia dell’intero ecosistema planetario e di madre terra a livello globale. In un afflato femminile che vuole da sempre la fine della discordia del genere maschile e al contrario afferma il riproporsi del femminile come creatività per la pace, il disarmo, la nonviolenza.

Come donne di pace, le donne contro la NATO, nella tragica congiuntura attuale danno una possibilità alla pace e credono a un barlume di speranza contro l’oscurantismo del male assoluto. Le donne credono a “un nuovo ordine mondiale multicentrico e multipolare basato su decisioni condivise, sulla giustizia sociale e ambientale, sulla condivisione di risorse e tecnologie, sulla transizione all’azzeramento degli arsenali militari”. Questo è quanto il movimento delle donne per la pace ha sostenuto al Vertice di Madrid l’anno scorso. Vogliono promuovere il ruolo delle donne nei processi di pace. Tramite il rispetto delle intenzioni autentiche della risoluzione 1325 delle Nazioni Unite sulla partecipazione delle donne ai negoziati di pace.

“Abbiamo in programma di parlare di tutto questo a Bruxelles. Organizzeremo una discussione aperta il 7 e 8 luglio 2023 e inviteremo le donne di tutto il mondo a unirsi a noi, siano esse dei paesi membri della NATO o meno. Sono benvenute/i tutte e tutti coloro che condividono con noi questi obiettivi: parlare a favore della pace, della vita e della liberazione delle donne”.

Su Italia Che Cambia

Pubblicato il Lascia un commento

Contropiano – A Bruxelles donne contro la Nato e la deriva bellicista

di Laura Tussi

A Bruxelles a Luglio, in contrapposizione e netto contrasto con il summit e vertice Nato di Vilnius in Lituania, si terrà una importante conferenza di donne impegnate per la pace e che provengono da tutto il mondo e hanno soprattutto come comune denominatore l’amore per madre terra, per il pianeta e l’assetto ecosistemico planetario e universale.

Nella loro Dichiarazione comune dal titolo: “Donne Globali per la Pace, Unite contro la NATO” le donne del movimento per la pace affermano:”Abbiamo a cuore i principi universali di uguaglianza giustizia e pace affermati dalla Carta delle Nazioni Unite e dalla Dichiarazione universale dei diritti umani“.

Questo movimento femminile per la pace a livello planetario lotta per l’affermazione dei diritti delle donne e dei popoli, delle genti e delle minoranze contro ogni forma di violenza, in tutta la sua morfogenesi e i suoi livelli e sviluppi e in quanto genere femminile si professano contro ogni tipo di sfruttamento e modalità di discriminazione.

Le donne di pace da molti anni si impegnano contro ogni brutale manifestazione di violenza che trova la sua massima espressione nell’attività militare e nel suo tragico e inevitabile epilogo: la guerra nucleare.

Le donne per la pace contrastano nettamente il capitalismo che è padre del patriarcato, della mercificazione del corpo delle donne e soprattutto del militarismo e di tutte le attività belliche e dimostrazioni guerresche che hanno come stampo il maschilismo patriarcale e il machismo.

“Lottiamo per affermare una nuova sicurezza non militarizzata, che garantisca la vita e la salute delle generazioni presenti e future su questo pianeta, oltre che del pianeta stesso”.

L’aspirazione alla pace di carattere femminile è oggi minacciata da una escalation della corsa al riarmo, dell’incremento delle spese militari in tutto il mondo che provocano miserie e gravi pericoli per l’umanità intera come il rischio della terza guerra mondiale e dell’apocalisse nucleare, “dalla riproposizione di alleanze militari contrapposte e dalla militarizzazione crescente delle relazioni internazionali”.

Tutto questo rischia di portare l’umanità alla catastrofe e soprattutto all’estinzione totale della storia e del passato, presente e futuro del genere umano nella sua totalità e nelle sue istanze valoriali.

“Responsabili del crescente pericolo di scontro globale sono state in gran parte le decisioni assunte dalla NATO fin dal 1991, il cui ultimo approdo è il cosiddetto ‘Nuovo Concetto Strategico’ concordato all’ultimo vertice dei capi di stato e di governo dei paesi NATO a Madrid nel 2022“.

Al vertice di Madrid, la Nato approva il più importante rafforzamento delle proprie capacità dalla fine della guerra fredda e porterà le forze militari a oltre 300 mila unità. Così afferma il segretario generale Nato Jens Stoltenberg nella conferenza stampa di presentazione del vertice di Madrid.

Così la Nato vuole sostituirsi a funzioni e compiti che sono di esclusiva responsabilità delle Nazioni Unite. “Questa NATO globale, che agisce nell’interesse dei paesi ricchi dell’Occidente, ha esteso le sue attività fino al Pacifico e pretende di imporre un “modello di civiltà” ben oltre l’area euroatlantica del Trattato originario”.

Al vertice di Vilnius in Lituania, la Nato ribadirà agli stati membri di imporre la condizione di incrementare le spese belliche e in generale gli investimenti militari oltre il 2 per cento del Prodotto Interno Lordo e devolverle alla guerra e all’assetto guerrafondaio, mentre le popolazioni devono affrontare crisi economiche e aumenti del costo della vita davvero insopportabili e non sostenibili da una qualità dell’ esistenza che si vorrebbe felice e edificante.

Tutto questo spettro di situazioni insostenibili, perché disumane e fuori dalla sopportazione umana, si accompagna a processi politici contrassegnati da crescente autoritarismo e dal riemergere di ideologie neofasciste, nazionaliste, xenofobe e sessiste, incoraggiate dal preoccupante diffondersi del militarismo nella cultura e della colpevolizzazione di ogni forma di pacifismo e azione nonviolenta per contrastare lo status quo.

Nel prossimo vertice dei capi di stato e di governo della NATO che si svolgerà a Vilnius, in Lituania a luglio, il Nuovo Concetto Strategico sarà ulteriormente elaborato, accrescendo il pericolo globale, a livello planetario.

Verrà anche istituito un fondo speciale di investimento, finanziato con fondi pubblici, per start-up e rinnovamento tecnologico, con il quale si intende “incoraggiare esplicitamente la commistione dell’educazione scientifica e della formazione dei giovani con la ricerca militare“.

Le donne di pace e soprattutto a favore della pace, rifiutano la NATO e una visione del mondo di stampo militarista, patriarcale e maschilista, che inasprisce i conflitti internazionali, ed è inconciliabile con il principio della tutela e salvaguardia dell’intero ecosistema planetario e di madre terra a livello globale.

In un afflato femminile che vuole da sempre la fine della discordia del genere maschile e al contrario afferma il riproporsi del femminile come creatività per la pace, il disarmo, la nonviolenza.

Come donne di pace, le donne contro la NATO, nella tragica congiuntura attuale danno una possibilità alla pace e credono a un barlume di speranza contro l’oscurantismo del male assoluto.

Le donne credono a “un nuovo ordine mondiale multicentrico e multipolare basato su decisioni condivise, sulla giustizia sociale e ambientale, sulla condivisione di risorse e tecnologie, sulla transizione all’azzeramento degli arsenali militari“.

Questo è quanto il movimento delle donne per la pace ha sostenuto al Vertice di Madrid l’anno scorso. Vogliono promuovere il ruolo delle donne nei processi di pace. Tramite il rispetto delle intenzioni autentiche della risoluzione 1325 delle Nazioni Unite sulla partecipazione delle donne ai negoziati di pace.

Abbiamo in programma di parlare di tutto questo a Bruxelles. Organizzeremo una discussione aperta il 7 e 8 luglio 2023 e inviteremo le donne di tutto il mondo a unirsi a noi, siano esse dei paesi membri della NATO o meno. Sono benvenute/i tutte e tutti coloro che condividono con noi questi obiettivi: parlare a favore della pace, della vita e della liberazione delle donne“.

Il movimento delle Donne Globali per la Pace unisce centinaia di attiviste della nonviolenza e del disarmo di tutto il mondo. Cercando di incarnare i valori della sorellanza, della solidarietà e della sostenibilità ambientale, il movimento si oppone alle politiche di molti paesi e organismi sovranazionali che, soprattutto in questo momento storico, hanno preso una decisa e preoccupante deriva bellicista.

Questo articolo è uscito anche su Italiachecambia.org

Pubblicato il Lascia un commento

Italia che cambia – Donne Globali per la Pace, unite contro la NATO e le politiche belliche

di Laura Tussi (sito)

Il movimento delle Donne Globali per la Pace unisce centinaia di attiviste della nonviolenza e del disarmo di tutto il mondo. Cercando di incarnare i valori della sorellanza, della solidarietà e della sostenibilità ambientale, il movimento si oppone alle politiche di molti paesi e organismi sovranazionali che, soprattutto in questo momento storico, hanno preso una decisa e preoccupante deriva bellicista.

A Bruxelles a luglio, in contrapposizione e in netto contrasto con il summit e vertice Nato di Vilnius, in Lituania, si terrà una importante conferenza del gruppo Donne Globali per la Pace, attiviste impegnate per la pace che provengono da tutto il mondo e hanno come comune denominatore l’amore per la madre terra, per il pianeta e la fiducia in un assetto ecosistemico planetario e universale.

Nella loro dichiarazione comune dal titolo “Donne Globali per la Pace, Unite contro la NATO” affermano: “Abbiamo a cuore i principi universali di uguaglianza giustizia e pace affermati dalla Carta delle Nazioni Unite e dalla Dichiarazione universale dei diritti umani”. Questo movimento femminile per la pace a livello planetario lotta per l’affermazione dei diritti delle donne e dei popoli, delle genti e delle minoranze contro ogni forma di violenza, in tutta la sua morfogenesi e i suoi livelli e sviluppi e, in quanto di genere femminile, si professa contro ogni tipo di sfruttamento e modalità di discriminazione.

Foto di ev su Unsplash

Le donne di pace da molti anni si impegnano contro ogni brutale manifestazione di violenza che trova la sua massima espressione nell’attività militare e nel suo tragico possibile epilogo: la guerra nucleare. Questa attiviste contrastano nettamente il capitalismo che è padre del patriarcato, della mercificazione del corpo delle donne e soprattutto del militarismo e di tutte le attività belliche e dimostrazioni guerresche che hanno come stampo il maschilismo patriarcale e il machismo. “Lottiamo per affermare una nuova sicurezza non militarizzata – dichiarano –, che garantisca la vita e la salute delle generazioni presenti e future su questo pianeta, oltre che del pianeta stesso”.

L’aspirazione alla pace di carattere femminile è oggi minacciata da una escalation della corsa al riarmo, dell’incremento delle spese militari in tutto il mondo che provocano miserie e gravi pericoli per l’umanità intera come il rischio della terza guerra mondiale e dell’apocalisse nucleare innescate “dalla riproposizione di alleanze militari contrapposte e dalla militarizzazione crescente delle relazioni internazionali”.

Le donne di pace e soprattutto a favore della pace, rifiutano la NATO e una visione del mondo di stampo militarista, patriarcale e maschilista

“Responsabili del crescente pericolo di scontro globale sono state in gran parte le decisioni assunte dalla NATO fin dal 1991, il cui ultimo approdo è il cosiddetto Nuovo Concetto Strategico concordato all’ultimo vertice dei capi di stato e di governo dei paesi NATO a Madrid nel 2022”, denunciano le Donne Globali per la Pace. Al vertice di Madrid, la NATO ha infatti approvato il più importante rafforzamento delle proprie capacità dalla fine della guerra fredda, che porterà le forze militari a oltre 300mila unità. Così afferma il segretario generale dell’alleanza atlantica Jens Stoltenberg nella conferenza stampa di presentazione del vertice di Madrid.

“Questa NATO globale, che agisce nell’interesse dei paesi ricchi dell’Occidente, ha esteso le sue attività fino al Pacifico e pretende di imporre un modello di civiltà ben oltre l’area euroatlantica del Trattato originario”, aggiunge il movimento. Al vertice di Vilnius in Lituania, verrà ribadito agli stati membri di imporre la condizione di incrementare le spese belliche e in generale gli investimenti militari oltre il 2% del Prodotto Interno Lordo, mentre le popolazioni devono affrontare crisi economiche e aumenti del costo della vita. A Vilnius è prevista anche l’istituzione di un fondo speciale di investimento per “incoraggiare esplicitamente la commistione dell’educazione scientifica e della formazione dei giovani con la ricerca militare”.

guerra ucraina nato

Le donne di pace e soprattutto a favore della pace, rifiutano la NATO e una visione del mondo di stampo militarista, patriarcale e maschilista, che inasprisce i conflitti internazionali ed è inconciliabile con il principio della tutela e salvaguardia dell’intero ecosistema planetario e di madre terra a livello globale. Lo fanno in un afflato femminile che vuole da sempre la fine della discordia del genere maschile e al contrario afferma il riproporsi del femminile come creatività per la pace, il disarmo, la nonviolenza.

Le Donne Globali per la Pace credono a “un nuovo ordine mondiale multicentrico e multipolare basato su decisioni condivise, sulla giustizia sociale e ambientale, sulla condivisione di risorse e tecnologie, sulla transizione all’azzeramento degli arsenali militari”. Questo è quanto il movimento ha sostenuto al Vertice di Madrid l’anno scorso. Vogliono promuovere il ruolo delle donne nei processi di pace tramite il rispetto delle intenzioni autentiche della risoluzione 1325 delle Nazioni Unite sulla partecipazione delle donne ai negoziati di pace.

«Abbiamo in programma di parlare di tutto questo a Bruxelles», concludono. «Organizzeremo una discussione aperta il 7 e 8 luglio 2023 e inviteremo le donne di tutto il mondo a unirsi a noi, siano esse dei paesi membri della NATO o meno. Sono benvenute e benvenuti tutte e tutti coloro che condividono con noi questi obiettivi: parlare a favore della pace, della vita e della liberazione delle donne».

Questo articolo è stato pubblicato qui

Pubblicato il Lascia un commento

Radio Città Aperta con il libro Resistenza e Nonviolenza creativa

di Laura Tussi (sito)

Articolo e podcast a cura di Massimiliano Montenz.

Mentre Papa Francesco continua a parlare di Pace anche dopo l’incontro poco risolutivo con il presidente Zelensky, mentre il mondo intero sembra essersi già abituato a questa folle guerra in territorio ucraino, ma che ci coinvolge tutti, noi abbiamo parlato con Laura Tussi e Fabrizio Cracolìci del libro Resistenza e Non Violenza Creativa.

Già di per se il titolo fa riflettere e incuriosisce. Quando si sfogliano le prime pagine poi e si legge la prefazione di padre Alex Zanotelli, si percepisce che c’è poco da scherzare.

Il mondo è vicino al baratro della guerra nucleare scrive padre Alex. Siamo diventati homo demens. Ritorniamo a ragionare.

Basterebbero queste parole – grido forte d’appello al mondo per una disobbedienza civile – per indurci a fermare tutto. Ma ciò non accade, le diplomazie mondiali sembrano sorde.

Ecco allora che Laura ci racconta come fare per partecipare a questa grande mobilitazione. Del resto ben due capitoli del suo libro parlano di scuola, di educazione. Ed un capitolo intero è dedicato a Maria Montessori troppo fintamente amata soprattutto in Italia dove poco si parla della sua Educazione alla Pace che la costrinse all’esilio durante il fascismo.

Per una corretta visione dell’attuale situazione nel nostro pianeta, dall’Ambiente e la sua protezione fino alle campagne per il disarmo non solo nucleare, leggere il libro di Laura Tussi e Fabrizio Cracolìci può aiutare ad ampliare le nostre visioni

ascolta il podcast di RADIO-ATTIVO con Laura Tussi 

Ogni venerdì dalle 18 alle 20

▶ Ascolta su 

www.radiocittaperta.itQuesto articolo è stato pubblicato qui

Pubblicato il Lascia un commento

Rifondazione Comunista. Costruire una coscienza planetaria, condividere l’impegno di ICAN, Premio Nobel per la pace

Pubblicato sul Sito del Partito della Rifondazione Comunista

Laura Tussi

Il Premio Nobel per la Pace a ICAN

Assicurarsi un mondo giusto e sicuro, fondato sulla forza del diritto e non sul diritto della forza. ICAN è stata insignita del Premio Nobel per la pace 2017 per il suo contributo alla causa della proibizione delle armi nucleari

Un antecedente. La terrificante conferenza Nato a Vilnius in Lituania e la risposta propositiva del mondo pacifista

Grazie al premio Nobel per la pace attribuito alla rete internazionale ICAN per il disarmo nucleare universale e per l’abolizione degli ordigni di distruzione di massa nucleari, con il trattato Onu TPAN, tutti noi pacifisti siamo coinvolti ancora di più e a maggior ragione nella lotta Antinucleare. In Lituania, a Vilnius il 12 luglio 2023 si terrà una conferenza tra le nazioni Nato per decidere che gli Stati membri devolvano il 2% del Pil agli armamenti.

In risposta a questa nefandezza che solo la Nato poteva partorire, questa conferenza in Lituania, in risposta a tutto ciò, il 10 e l’11 giugno a Vienna, l’ufficio internazionale della pace e innumerevoli associazioni a livello mondiale, tra cui rete pace e disarmo, si riuniranno per lanciare appelli agli Stati membri contro la Nato in Lituania. E prima di Vilnius, le donne pacifiste, tra cui le donne Wilpf, di tutta Europa e addirittura di tutto il mondo, manifesteranno davanti alla sede Nato a Bruxelles l’8 e il 9 luglio. Siamo davvero sul crinale del baratro nucleare come, tra gli altri, afferma Alex Zanotelli.

Infatti il presidente ucraino non fa altro che parlare di pace giusta contro la Russia.

E così dicendo Putin messo con le spalle al muro sicuramente agirà di conseguenza e soprattutto si sentirà legittimato a intraprendere la gestione dell’uso delle armi nucleari. E questo comporterebbe l’Armageddon nucleare che inizierebbe con il lancio dei missili a media gittata che annienterebbero inizialmente circa un milione di persone, per dare inizio poi a un inverno nucleare con immediatamente un miliardo di morti e il diffondersi delle radiazioni in tutto il globo terraqueo e l’abbassamento repentino delle temperature fino a arrivare all’annientamento di tutte le forme di vita.

Ma noi tutti, l’umanità intera ha una possibilità di pace

Costruire una coscienza ecologica planetaria, condividere l’impegno di ICAN, il Premio Nobel per la pace che guarda al futuro dell’umanità.

Educare alla “terrestrità” e condividere l’impegno di ICAN – International campaign to abolish nuclear weapons, una rete mondiale per rafforzare l’impegno antinucleare, oggi sottovalutato e tralasciato.

La proibizione giuridica delle armi nucleari, votata da una Conferenza ONU, il 7 luglio 2017, è una importante conquista, da considerare quasi “storica”, dal punto di vista del movimento pacifista mondiale. Ma è solo una tappa verso la eliminazione di tali mostruosi ordigni, che richiede un ulteriore e non facile cammino, da orientare con una strategia intelligente e complessa.

Una ricaduta immediata del risultato già ottenuto è la possibilità di nuovi progressi per tutta l’architettura del diritto internazionale (incluso il diritto alla libera circolazione delle persone sulla Terra che è casa di tutti): un percorso che possiamo far coincidere con la nonviolenza efficace.

L’assegnazione all’International Campaign to Abolish Nuclear Weapons (ICAN) del Nobel per la Pace è stato un riconoscimento a coloro che, in tutto il mondo, si sono impegnati da lungo tempo, e in particolare dalla nascita dell’Iniziativa Umanitaria (Oslo 2013), per l’eliminazione delle armi nucleari, e chiama tutti noi a unificare i nostri sforzi, al di là delle legittime e anche importanti differenze tra le organizzazioni della società civile, che rimangono una ricchezza, non un limite.

Condividere l’impegno dell’ICAN

Una proposta concreta a tutti i disarmisti e gli antinuclearisti di condividere le speranze che la campagna ICAN ha aperto alla possibilità di liberare l’umanità dal rischio dell’olocausto nucleare: non è cosa da poco che si certifichi da parte del Comitato per il Nobel l’importanza del Trattato di proibizione delle armi nucleari (TPAN).

Beatrice Fihn, direttrice esecutiva di ICAN, che è andata a ritirare il premio a Oslo il 10 dicembre 2017, ha dichiarato: «Every single partner organisation owns this prize and we all need to use it to maximize the impact of our organisations work on the ban treaty» (“Ogni singola organizzazione partner possiede questo premio e tutti dobbiamo usarlo per massimizzare l’impatto del lavoro delle nostre organizzazioni sul trattato di divieto”). Un autentico Premio Nobel per la pace umanitario e umanistico: plurimo e collettivo. Una vera svolta per il mondo pacifista e per i destini dell’umanità intera.

Bombe atomiche USA in Italia

Nel nostro Paese abbiamo l’urgenza di sollecitare un cambiamento di rotta da parte del governo: l’Italia dovrebbe ratificare al più presto il TPAN, ossia il trattato Onu firmato da ICAN il 7 luglio 2017 alla sede delle Nazioni Unite, e che è valso alla rete internazionale ICAN il Premio Nobel per la Pace, in coerenza con l’art. 11 della nostra Costituzione, anche per dare impulso all’alternativa di un’economia di pace.

Per essere coerenti e credibili con quanto sopra richiesto, dovremmo anche liberarci con decisione autonoma, unilaterale, delle bombe atomiche USA ospitate nelle basi o fatte transitare (in “momenti eccezionali”?) nei porti “nuclearizzati”, in incostituzionale – e ormai del tutto anacronistica – ottemperanza della “condivisione nucleare NATO” da parte dell’Italia.

Tutti i gruppi possono aderire a ICAN (in Italia contiamo nove soggetti membri) – e invitiamo caldamente a farlo – compilando il seguente

form: http://www.icanw.org/become-partner.

Abbiamo aperto – su iniziativa dei Disarmisti Esigenti, un canale YouTube, in cui raccogliamo i brevi video-appelli di personalità dell’attivismo nonviolento che invitano i movimenti di base a fare parte costruttiva, creativa e attiva della rete internazionale ICAN.

Un canale YouTube

Hessel e Jacquard, Esigete, Edizioni Ediesse.

I Disarmisti Esigenti, progetto promosso dalla Lega per il disarmo unilaterale fondata da Carlo Cassola (www.disarmistiesigenti.org), sono un coordinamento di associazioni basate sui grandi moniti e appelli all’umanità del partigiano francese Stéphane Hessel con il suo libro postumo con Albert Jacquard, pubblicato in Italia da Ediesse, Esigete! Un disarmo nucleare totale. Una associazione con cui collaborano strettamente alle lotte per la denuclearizzazione è WILPF Italia.

Per collegarsi ai video bisogna andare sul canale YouTube “Siamo tutti premi Nobel per la pace con ICAN”.

Il trattato ONU è stato varato a New York nel Palazzo di Vetro da 122 nazioni dietro la spinta determinante della società civile internazionale organizzata in ICAN. A questa stesura erano presenti di persona Alfonso Navarra, storico ecopacifista, attivista nonviolento grande compagno di lotte insieme a Peppino Impastato, assassinato dal sistema mafioso, e importante protagonista delle battaglie per il disarmo nucleare da Comiso ai porti con rischio nucleare, Giovanna Pagani, dirigente di WILPF Italia, e lo scienziato italo-francese Luigi Mosca, stretto collaboratore di Stéphane Hessel.

Il Trattato è entrato in vigore il 22 gennaio 2021 dopo la 50esima ratifica da parte dello Stato dell’Honduras.

Due libri

Alfonso Navarra e Laura Tussi, “Antifascismo e nonviolenza”.

Con Alfonso Navarra e Fabrizio Cracolici abbiamo scritto il libro “Antifascismo e nonviolenza”: esso traccia, tra l’altro, il percorso che ha condotto l’ONU e la società civile internazionale al trattato del 7 luglio 2017. Lo slogan positivo della cultura di pace che sta alla base di questi trattati si riassume nel motto “Prima l’umanità, prima le persone”. Questo adagio, nella nostra interpretazione, applicata specialmente all’Italia, ma con un’ottica globale, contrappone la nuova cultura della pace del XXI secolo al rischio di una subcultura parafascista e sovranista e autoritaria e suprematista.

È quanto ancora esprimiamo con maggior approfondimento e rigore in “Memoria e Futuro”, il libro appena pubblicato da Mimesis con cui i Disarmisti esigenti propongono la “Rete di educazione alla terrestrità”: la coscienza planetaria ecologica riconosciuta dal diritto internazionale, come afferma una fondamentale carta dell’UNESCO. Questo saggio vede i contributi scritti di Vittorio Agnoletto, Moni Ovadia, Alex Zanotelli.

Tagliare e convertire le spese militari

“Memoria e futuro”, edizioni Mimesis.

La prima sezione di questo libro contiene commenti all’entrata in vigore del Trattato di proibizione delle armi nucleari (in sigla: TPAN), manifestati dagli interventi di Moni Ovadia, Mario Agostinelli, Vittorio Agnoletto, Alex Zanotelli: in particolare lancia appelli per tagliare e convertire le spese militari e per costituire i “comitati Petrov”, in memoria dell’uomo che ha salvato il mondo da un olocausto nucleare.

Ecco cosa significa per noi il Premio Nobel a ICAN e il nostro appello, da membri italiani, a condividerlo come impegno antinucleare: spronare e rafforzare il nostro lavoro di nonviolenti perché l’abolizione giuridica delle armi nucleari abbia peso geopolitico e si traduca, prima che sia troppo tardi, in decisioni conseguenti da parte dei governi, incluse le potenze nucleari!

Pubblicato il Lascia un commento

Rifondazione Comunista. La storia di Pietro Pinna, il primo obiettore di coscienza italiano

di Laura Tussi (sito)

sul sito del Partito della Rifondazione Comunista:

http://www.rifondazione.it/primapagina/?p=53798

Uno dei temi più sottaciuti del conflitto ucraino è quello che riguarda l’obiezione di coscienza al servizio militare che, da una parte e dall’altra, viene soffocata dalla volontà di guerra dei potenti. In quest’ottica è dunque attuale e importante ripercorrere la storia di Pietro Pinna, il primo obiettore italiano e storico attivista per la pace, il disarmo e la nonviolenza.

Attualmente, come lo è stato sempre, molte persone motivate da veri intenti pacifisti si sono opposte all’obbligo militare. Sia in Ucraina che in Russia stiamo assistendo a un fenomeno antimilitarista di diserzione dalla guerra. Cittadini che si rifiutano di imbracciare le armi pagando però a caro prezzo le conseguenze di questa scelta. “Libertà per gli obiettori!”, scrive in proposito il Movimento Nonviolento. “L’obiettore di coscienza ucraino Vitaly Alekseyenko dovrà essere liberato dal carcere. La Corte Suprema di Kiev ha annullato il verdetto di colpevolezza per il prigioniero di coscienza, ha ordinato di scarcerarlo e ha ordinato un nuovo processo al tribunale di primo grado”.

In vista di una riedizione del libro di Aldo Capitini Le tecniche della nonviolenza, alcuni anni fa gli amici della rivista Azione Nonviolenta hanno chiesto a Pietro Pinna – scomparso nel 2016 – di scrivere un’introduzione al testo, che lui stesso considerava un “fondamentale” per chi volesse incamminarsi sulla strada della nonviolenza attiva.

Pietro Pinna

Così ha scritto dunque Pietro Pinna, attivista e considerato il primo obiettore di coscienza al servizio militare in Italia per motivi politici: “Troviamo così nei fatti, al livello del potere dominante, governi e parlamenti d’ogni Stato che pur proclamantisi pacifisti – avversi cioè per definizione alla guerra –, mantengono tuttavia zelantemente in piedi e sempre più agguerrito lo strumento portante della violenza bellica che è l’esercito. Un pacifismo puramente relativo dunque, ossia predisposto a recedervi in nome del necessario ricorso alla guerra giustificata come extrema ratio”.

Da varie fonti si evincono molte informazioni in merito alla condanna e ai vari processi subiti da Pietro Pinna. Il suo caso si presentò all’opinione pubblica mentre era imminente la discussione in Parlamento del progetto di legge sull’obiettorato di coscienza presentato da Calosso e da Giordani. È nota la risposta di De Gasperi all’appello per Pinna dopo il secondo processo e anche l’interrogazione di Calosso sulla procedura e sulla difesa avuta da Pinna dinanzi al tribunale militare di Napoli, che condannò a otto mesi il giovane per rifiuto di obbedienza continuato.

Non fu condannato per diserzione, perché sin dall’inizio in tutta quella vicenda – che ha avuto larga eco sulla stampa italiana ed estera – il giovane si era sempre presentato alla scuola di ufficiali di Lecce e a tutte le altre sedi a mano a mano assegnategli. Questo perché egli disertò per cogliere l’occasione di portare avanti la sua protesta di fronte a uno Stato che, a differenza di quasi tutti gli altri, non voleva riconoscere il diritto all’esenzione per gli individui che effettivamente hanno un’assoluta impossibilità etica e morale – quindi anche fisica – di fare la guerra.

Sant’Elmo, dove il condannato scontava la sua pena, era una cupa fortezza sul colle San Martino della città di Napoli. In una delle sue storiche celle finì anche Pietro Pinna. Per Natale il comandante del carcere fece una visita di auguri a lui come anche agli altri detenuti e lo trovò fra i suoi libri, molti dei quali testi importanti per la nonviolenza e per la costruzione di una cultura di pacifismo e disarmo.

Mentre egli scontava la sua condanna, la porta della cella si aprì e il detenuto fu chiamato al cospetto della direzione del carcere. Fu informato di essere fra i condannati che beneficiavano del condono e fu liberato. Poiché però il periodo trascorso in carcere non valeva anche per l’obbligo di leva, Pinna venne inviato per la terza volta a un corpo militare, perché facesse il suo dovere di soldato. Ma fra lo stupore dei presenti, il giovane scrisse che rinunciava al condono. Se lo Stato, riconoscendo il diritto dell’obiettore di coscienza, avesse annullato – cioè dichiarato ingiusto – il carcere inflittogli, egli avrebbe accettato, ma così non fu.

Governi e parlamenti d’ogni Stato, pur proclamantisi pacifisti, mantengono tuttavia zelantemente in piedi e sempre più agguerrito lo strumento portante della violenza bellica che è l’esercito

La procura militare a cui il caso insolito fu segnalato precisò che il condono non si può rifiutare e Pinna dovette uscire da Sant’Elmo e raggiungere il reggimento cui era stato assegnato. Tentò addirittura di farsi arrestare di nuovo, sottraendosi ancora alla coscrizione e ritornando a Napoli, dove però si sentì dire che che non basta aver commesso un reato per poter andare in carcere: senza una denuncia e un arresto regolari doveva considerarsi ancora a piede libero.

La carriera di “disertore” – per lo Stato italiano – e di attivista per l’obiezione di coscienza di Pietro Pinna proseguì per anni. Divenne colonna portante del Movimento Nonviolento e collaboratore stretto di Aldo Capitini. La sua protesta lo condusse nuovamente e per diverse volte in carcere, anche se non più per renitenza alla leva: fu infatti riformato per una infermità mentale.

Post Scriptum: Articolo realizzato anche grazie alle fonti di archivio fornite dalla biblioteca civica Giovanni Canna di Casale Monferrato

Questo articolo è anche sul sito ITALIA CHE CAMBIA

Pubblicato il Lascia un commento

Quali sono i ruoli di pace e giustizia nell’Agenda ONU 2030?

di Laura Tussi

Il 2030 è ormai alle porte: nell’amministrazione di un organismo sovranazionale sette anni sono poco più di un battito di ciglia. Questa data infatti richiama all’attuazione dei 17 obiettivi che dovrebbero essere raggiungibili e applicabili secondo l’Agenda ONU 2030 per l’ambiente, gli ecosistemi e la pace nella sua genesi multipla. In questa sede mi voglio concentrare su cambiamenti climatici e cooperazione per la pace, ambiti che purtroppo in seno all’Unione Europea sono fortemente rallentati.

Sviluppare, ripensare e elaborare pratiche volte a sostenere nostra Madre Terra risulta attualmente sempre più necessario e quanto mai auspicabile in una congiuntura come quella attuale. Uno strumento molto valido e un mezzo contemporaneo e attuale è stato dato. L’Agenda ONU 2030 si sviluppa in 17 obiettivi fondamentali e costituisce un punto di partenza per fare attivare e mobilitare ogni singola persona e a livello globale per una società più giusta, equa e fondamentalmente priva di guerre e di ingiustizie, di violenza in tutte le sue declinazioni e morfogenesi.

I primi quindici obiettivi di sviluppo contemplati da Agenda ONU 2030 sono tematici come gli oceani, la terra, l’acqua, le malattie, il lavoro, l’energia. Gli ultimi due obiettivi – soprattutto quello sulla pace – ci parlano anche di giustizia e istituzioni solide. Anche alla luce dell’attuale guerra tra Russia e Ucraina. E dell’arsenale nucleare di cui dispongono le superpotenze e altri membri Nato. E non è un caso, poiché tutti gli obiettivi tesi alla tutela dell’ecosistema non possono essere realizzati se non sussistono tre concetti chiave – pace, giustizia e istituzioni – tra di loro strettamente collegati, per una società e una cittadinanza planetaria fondate sulla cooperazione solidale a tutti i livelli.

I vari sotto-obiettivi trattano di come ridurre le forme di violenza o eliminare le forme di abuso, sfruttamento e tortura contro i bambini, tra cui – come sostiene Galtung – la violenza diretta, strutturale, culturale o simbolica. Si parla di accesso alla giustizia e alla pace per tutti. E quello che per noi è scontato, non lo è in molte altre parti del mondo.

Per fare questo occorrono istituzioni efficaci e solide, che possano guidare i governi in un equilibrio di armonia e pace. Si parla di coinvolgere i paesi in via di sviluppo e di rinforzare la cooperazione internazionale per applicare politiche di pace a tutti i livelli, di promuovere e far rispettare le leggi e la politica. Questo è il quadro in cui tutti gli obiettivi dell’Agenda ONU 2030 si devono muovere, pena non riuscire a realizzarsi interagendo reciprocamente e vicendevolmente per contrastare ogni forma di violenza e di conflitto armato.

L’obiettivo pace tende a promuovere società pacifiche e nonviolente per risolvere le povertà, l’origine delle migrazioni e delle guerre laddove i futuri scenari di conflitto saranno per il dominio dell’acqua e le migrazioni forzate vedranno civili inermi e innocenti fuggire da guerre, terrorismo, disastri ambientali, manovre economiche. Il significato di pace, senza scadere nella retorica, lo declina saggiamente Norberto Bobbio, il quale sosteneva che la parola pace è sempre in una posizione ancillare rispetto al concetto di guerra. Quando parliamo di pace ci soffermiamo sempre molto sul suo contrario. Ma l’etimologia di pace deriva dal verbo latino pacere – accordarsi –, da cui pactum – accordo, patto.

In questo obiettivo di Agenda ONU sussistono quindi indizi che ci consentono di pensare che si può parlare di pace senza ricorrere alla guerra. Il termine guerra non appare mai nella declaratoria dell’obiettivo Pace e nemmeno nei dieci sotto-obiettivi. I due aggettivi che definiscono la società in pace non rinviano necessariamente alla guerra; piuttosto identificano le società e le istituzioni inclusive, che richiamano a società aperte e cooperanti. E l’altro aggettivo è pacifico, che non significa solo “senza guerra”, sempre richiamando Norberto Bobbio.

Qual è dunque il messaggio? Per chiarirlo occorre partire dal concetto di conflitto, che fin dall’antichità è stato considerato un elemento ineliminabile nei rapporti umani. Il conflitto non sarebbe in contrapposizione alla pace. Il vero problema risiede nella risoluzione del conflitto che può essere violenta o pacifica. E l’espressione più alta e peggiore della risoluzione violenta del conflitto è la guerra.

Insomma la chiave per la costruzione di una società pacifica risiede nell’individuazione del mezzo con cui risolvere i conflitti. E allora riflettere sulla pace partendo dalla pace significa convincersi che si devono praticare soluzioni nonviolente dei conflitti. E qui c’è il riferimento alla giustizia, non una giustizia armata – anche la guerra è stata definita spesso una sorta di giustizia – bensì una giustizia trasparente, garantita a tutti, come recita proprio l’obiettivo di Agenda ONU 2030: “Inclusiva, cioè che utilizzi mezzi e procedimenti nonviolenti e tra questi il diritto è compreso”.

Non a caso Bobbio parlava di pacifismo giuridico. Ma potrei anche richiamare gli arbitrati, le conciliazioni, le mediazioni e le risoluzioni a livello internazionale: tutti strumenti pacifici e nonviolenti per risolvere i conflitti. Ma occorre essere consapevoli che nella soluzione dei conflitti quasi mai il torto e la ragione sono tutti da una stessa parte o dall’altra. Dobbiamo sapere che esistono più soluzioni e che tra queste alcune tengono presenti e cercano di combinare le ragioni di entrambe le parti. E sono proprio queste che vanno praticate, per non lasciare sul terreno un vinto o un vincitore.

Ritengo dunque fondamentale il contributo dell’ONU alla costituzione del diritto globale alla pace e alla giustizia in una società che dal dopoguerra ha visto susseguirsi troppi eventi bellici e sanguinosi. Le Nazioni Unite, anche se ostacolate da interessi economici, sono comunque riuscite con molti limiti a realizzare grandi momenti di giustizia e di pace come il trattato ONU per il disarmo nucleare universale varato a New York nel 2017, che ha portato per la prima volta l’umanità a munirsi di un mezzo giuridico che dichiari criminale il possesso di ordigni nucleari anche al fine della sola deterrenza. Sviluppare questi punti e obiettivi, soprattutto la Pace, può essere l’inizio di un grande riscatto e sussulto di dignità per l’umanità intera.

L’articolo originale può essere letto qui