Pubblicato il Lascia un commento

Ucraina – Una piattaforma condivisa per la Pace

di Laura Tussi

Mercoledì 26 gennaio 2022 si è svolto un seminario online molto partecipato che ha posto le basi per un approfondimento sulla crisi in Ucraina e le tensioni fra Russia e Nato. Ne è scaturita l’esigenza di proseguire il confronto a più voci per elaborare una piattaforma pacifista contro l’escalation militare e la guerra.

Questo seminario online nasce da esigenze di approfondimento sulle questioni della pace e della guerra con riferimento alla situazione esplosiva dell’Ucraina.

Con gli interventi autorevoli di Gallo, Marescotti, Mosca, Pagani, Baracca, Zanotelli e molti altri.

Vi è un grande interesse intorno all’Ucraina che giustifica le molte persone collegate a questo webinar oltre 180 collegamenti nel webinar di PeaceLink.

In queste slides vi sono le ragioni per cui siamo qui. In questa visione di scontro tra le milizie e gli strumenti bellici ravvicinati, i due contendenti a distanza sono alle strette. Queste sono conseguenze negative nei rapporti di fiducia tra le superpotenze che determinano una estrema angoscia a livello globale e planetario.

La società civile Ucraina, con il movimento pacifista, ha una posizione critica verso le due superpotenze. Molto critica. I pacifisti ucraini hanno messo online un appello per l’escalation verso la grande guerra in Ucraina, a Kiev, in Crimea e nel Donbass con una risposta di USA, Nato contro Russia tramite interventi aggressivi e con posizioni pericolose e deliranti. La carta delle Nazioni Unite ha lanciato un appello alle superpotenze per mettere da parte l’influenza di esse sull’Ucraina. Le due superpotenze hanno stanziato le truppe in atto in Ucraina e ai confini e i pacifisti sostengono vivamente e muovono appelli per non fornire armi alle parti contendenti. La posizione dei pacifisti ucraini è radicale. I loro obiettivi sono incentrati sull’assenza di militarizzazione, nessuna corsa agli armamenti, i conflitti vanno risolti pacificamente, ripudiare l’escalation della violenza delle due superpotenze, ridurre le spese militari, smilitarizzare il sistema con una condivisione dal basso della pace. Noi di PeaceLink lanciamo un appello perché tutte le persone interessate per la pace diano disponibilità. Il rischio della guerra ha esiti imprevedibili. Lanciamo idee per come fare riferimento a tutti i soggetti che si battono per gli stessi nostri obiettivi. Domenico Gallo, che è una persona di pace, un giurista e un magistrato, sostiene che è stata diffusa una conferenza stampa di Blinken, il segretario di Stato degli Stati Uniti di America. Gli Stati Uniti hanno dato una risposta scritta alle richieste della Russia condivisa con gli alleati Nato. Anche noi abbiamo partecipato alle risposte di Blinken. Chiedeva una neutralità attiva. Ma non avviene nessuna neutralità attiva nelle scelte di incrementare la pressione e la minaccia militare per contrastare la Russia.

Noi come Italia non possiamo essere neutrali, perché siamo una parte in conflitto. L’oggetto è la questione dell’estensione della Nato in Ucraina perché questa è la controversia. L’estensione a est è una minaccia in senso tecnico. L’estensione è un dispositivo militare ostile ai confini della Russia ed è una minaccia come la Russia con l’esercitazione militare intorno ai confini dell’Ucraina: evidente ostilità tra i due paesi. La Russia minaccia e dall’altra parte un’imponenza della presenza militare Nato a est. Trent’anni fa, durante la prima guerra del Golfo del 1991, ci fu una forte mobilitazione della società italiana con tanta gente in manifestazione nelle piazze. Il governo italiano sosteneva l’iniziativa bellica di Bush. Anche se l’Italia non avesse appoggiato questa missione militare degli Stati Uniti, avrebbero continuato nei loro intenti.

2003: la seconda guerra nel Golfo vide manifestazioni in tutto il mondo contro la guerra. L’opinione pubblica era una potenza mondiale: ma non poteva incidere direttamente nelle scelte compiute dal potere alto. Dalle potenze e superpotenze. La scelta di estendersi a est della Nato, che ingloba paesi sovietici, crea contrapposizione militare minacciosa per la Russia. Tutti i paesi europei hanno accettato l’adesione di nuovi paesi Nato con protocolli di adesione che sono emendamenti estesi a altri paesi, approvati secondo le loro procedure governative costituzionali. Ma dove erano i pacifisti? Quando venivano approvate queste leggi di estensione Nato a est. Dove erano i pacifisti?

Nel Consiglio Atlantico tutti i membri devono essere d’accordo per far entrare un paese nella Nato.

Noi in Italia, in quanto appartenenti alla Nato, partecipiamo alla dislocazione della minaccia militare. Chiediamo al governo italiano di fare gesti distensivi. La risposta scritta di Blinken e nel sollecitare altre misure è una politica assurda che prevede le porte aperte alla Nato. Vogliono far entrare la Finlandia nel conflitto per accerchiare la Russia e acuire il forte contrasto. Noi pacifisti e ecopacifisti possiamo ritirare gli assetti militari e fare gesti distensivi.

La neutralità attiva è un contributo per disinnescare la crisi e evitare l’ingresso dell’Ucraina nella Nato.

Secondo la ferma posizione di Alex Zanotelli dobbiamo capire e leggere la realtà con gli occhi dell’altro. Siamo una parte del problema perché siamo parte della Nato: l’Unione Europea è alleata con gli Stati Uniti e i nostri apparati televisivi non ci aiutano a leggere la realtà. La crisi di Cuba è interessante.

Come a Cuba oggi si verifica la stessa situazione.

La Nato invia missili in Ucraina per sparare su Mosca come durante la crisi a Cuba.

Questo è un invito a non leggere la realtà da noi stessi, ma cercare di capire l’altro. Tra i documenti Usa è chiaro che la politica statunitense vuole portare l’est europeo all’interno della Nato. All’Italia chiediamo alcune cose come la neutralità attiva. L’Italia è già coinvolta nel conflitto perché la sesta flotta americana a Napoli è partita con l’esercitazione Usa con un esercizio navale tramite i cacciabombardieri F-35 dotati e armati di missili nucleari e queste cose il governo italiano non può accettarle e permetterle.

È necessario appoggiare la resistenza in Ucraina con giochi di diplomazia. Il nostro appello è quello di scendere in piazza come pacifisti.

Secondo Elio Pagani si raccomanda la neutralità del nostro paese. Vi è una grave disparità tra i contendenti. Il Pil della Nato e quello russo. Il rapporto tra il Pil Usa e Russia: il Pil statunitense è 11 volte maggiore di quello russo.

La Russia è minacciata con un pesante squilibrio economico e militare dall’Europa e dalla Nato e non può accettare esercitazioni militari della Nato. È un conflitto tra un blocco capitalistico ossia gli Usa e la Russia capitalistica e questo è molto differente dalla prima guerra fredda. La prima guerra era basata su ideologie contrapposte, ma oggi vi sono di mezzo interessi economici e nazionalistici.

L’obiettivo Nato è sostituirsi all’ONU.

Come liberarci dal vincolo nato a rimettere l’ONU al centro? Secondo Nicola Cufaro Petroni non occorre creare un allarmismo negativo e armare e arrivare a contrapposizione senza via d’uscita. Al contrario vi sono segnali che non sono negativi.

I russi per il momento non hanno posto nessun ultimatum. Per cui in realtà la situazione non è così come i massmedia la dipingono. Per il momento vi è una trattativa e sarebbe possibile che nella trattativa rientrino il ritiro delle bombe nucleari da Ghedi e Aviano e liberarci da questo retaggio. Una trattativa che abbassa la tensione. Il fronte europeo non è monolitico per esempio per il gasdotto nord Stream; i tedeschi hanno un atteggiamento meno guerrafondaio degli Usa.

I paesi dell’Europa, in particolare la Germania, possono fare a meno degli Stati Uniti e non sono propensi a una soluzione drastica in Ucraina.

Dalle notizie del New York Times, il governo ucraino ha abbassato i toni e questo dipende dal fatto che l’Ucraina ha paura di provocare la reazione della Russia.

Il governo ucraino ha una posizione meno oltranzista degli Stati Uniti. Questi sono segnali che dobbiamo rivalutare per far capire che questa guerra non è inevitabile: ma si può davvero evitare la guerra. Questi sono motivi per cui è opportuno confrontarsi sul non allarmismo.

Angelo Baracca sostiene che nel riferimento storico dei missili a Cuba, non fu la Russia a installare missili a Cuba perché gli Usa li installarono a Gioia del Colle e in Turchia.

La nostra mobilizzazione è importante perchè deve andare oltre la guerra in Ucraina per lanciare il movimento della pace. Il movimento della pace in Italia è in crisi dopo il 2003 contro la guerra in Iraq. Per cui è frammentato e senza una voce unica. Ma vi sono messaggi diversi.

L’occasione di PeaceLink per lanciare una unità del movimento della pace. Se la guerra in Ucraina non ci sarà, non staremo fermi, ma è il momento di mobilitarsi e evitare altri pericoli come le atomiche in Italia e la mancata adesione del nostro governo al trattato di proibizione delle armi nucleari.

Dopo il 1991 quando la Nato ha cambiato fisionomia perché è diventata un’alleanza aggressiva con un allargamento decisamente aggressivo, l’Europa non attua più una politica estera vera perché tutti i paesi sono frammentati con interessi distinti. La Germania ha interessi importanti sull’Ucraina per questioni energetiche ed economiche. L’Unione Europea non ha una politica estera e questo è un fattore deleterio per la situazione attuale. Giorgio Ferraris dice che il suo contributo evidenzia come si evolve il contesto e la crisi Ucraina. La guerra ha motivazioni economiche in cui la transizione energetica gioca una importante interrelazione…

Segue su Agoravox.it

Laura Tussi

Docente, giornalista e scrittrice, si occupa di pedagogia nonviolenta e interculturale. Ha conseguito cinque lauree specialistiche in formazione degli adulti e consulenza pedagogica nell’ambito delle scienze della formazione e dell’educazione. Coordinamento Italia Campagna Internazionale ICAN – Premio Nobel per la Pace 2017 per il disarmo nucleare universale, collabora con diverse riviste telematiche tra cui PressenzaPeacelinkIldialogoUnimondoAgoraVox ed ha ricevuto il premio per l’impegno civile nel 70esimo Anniversario della Liberazione M.E.I. – Meeting Etichette Indipendenti, Associazione Arci Ponti di Memoria e Comune di Milano. Autrice dei libri: Sacro (EMI 2009), Memorie e Olocausto (Aracne 2009), Il dovere di ricordare (Aracne 2009), Il pensiero delle differenze(Aracne 2011), Educazione e pace (Mimesis 2012), Un racconto di vita partigiana – con Fabrizio Cracolici, presidente ANPI Nova Milanese (Mimesis 2012), Dare senso al tempo-Il Decalogo oggi. Un cammino di libertà (Paoline 2012), Il dialogo per la pace. Pedagogia della Resistenza contro ogni razzismo (Mimesis 2014), Giovanni Pesce. Per non dimenticare (Mimesis 2015) con i contributi di Vittorio Agnoletto, Daniele Biacchessi, Moni Ovadia, Tiziana Pesce, Ketty Carraffa, Antifascismo e Nonviolenza (Mimesis 2017), con Alfonso Navarra, Adelmo Cervi, Alessandro Marescotti.  Collabora con diverse riviste di settore, tra cui: “Scuola e didattica” – Editrice La Scuola, “Mosaico di Pace”, “GAIA” – Ecoistituto del Veneto Alex Langer, “Rivista Anarchica”. Promotrice del progetto per non dimenticare delle Città di Nova Milanese e Bolzano www.lageredeportazione.org e del progetto Arci Ponti di memoria www.pontidimemoria.it. Qui il suo canale video.

Pubblicato il Lascia un commento

Arrivederci Piergiorgio! Arrivederci Direttore!

Ci ha lasciati Piergiorgio Cattani, Direttore di UNIMONDO

Arrivederci Piergiorgio! Arrivederci Direttore!

Viviamo un misto di dolore per la tua improvvisa partenza e di gratitudine per aver camminato insieme per tanti anni godendo della tua amicizia, competenza e insaziabile amore per la vita. Siamo vicini alla tua famiglia, ai tanti che ti hanno voluto bene.

Arrivederci caro Pier, Piergiorgio.

Viviamo un misto di dolore per la tua improvvisa partenza e di gratitudine per aver camminato insieme per tanti anni godendo della tua amicizia, competenza e insaziabile amore per la vita. Siamo vicini alla tua famiglia, ai tanti che ti hanno voluto bene. Siamo sconvolti ma consolati dalla tua vicinanza, anche adesso che fisicamente non ci sei. Nel nostro impegno per un mondo più equo e solidale continueremo sulle strade tracciate insieme, anche quando le difficoltà sembreranno insormontabili.

Perché ci hai sempre fatto capire che “niente sta scritto”.

Arrivederci Piergiorgio!

Gli amici e colleghi di Fondazione Fontana e Unimondo.

I collaboratori presenti e passati della tua redazione hanno voluto lasciarti alcuni ricordi: 

“Caro Piergiorgio, caro Direttore, Ti scrivo direttamente perché sono certo che, ovunque tu sia, mi leggerai. La rete internet dell’anima per uno come te, che ha dato linfa intellettuale e morale alla vita di tante persone, non si spegne mai. Non ci siamo mai incontrati di persona e in questo momento il rammarico é forte. Colpa della pandemia che da troppo tempo impedisce movimenti e incontri, o, forse, del “maktoub” (il destino) come prevale in un sentimento diffuso nella cultura araba del Maghreb, Regione dalla quale ti scrivo.  “Maktoub” é anche la tua improvvisa partenza verso nuovi lidi, che rattrista il cuore, ma che, sono certo, nel tempo rinfrancherà lo spirito, dei tanti che come me, non ti hanno conosciuto di persona, ma potranno usufruire di un lascito enorme: i tuoi scritti, i tuoi pensieri, le tue parole. In un periodo in cui c’é chi sostiene che gli anziani non sono più produttivi, sorrido riconoscente, quando penso che, dopo un primo articolo per Unimondo, che ti inviai circa 1 anno e ½ fa, non ti soffermasti alla mia età di pensionato settantenne, ma mi spronasti a continuare il racconto dell’area nord africana nella quale vivo. Non ci fu bisogno di tante parole fra di noi: l’intuito da Direttore ti fece capire subito il mio desiderio di porre in prosa quanto la mia decennale esperienza lavorativa e umana in questa area del mondo, aveva accumulato.Cosi é stato, e mi hai accolto nella redazione di Unimondo. Da allora é nata anche un’amicizia epistolare durante la quale non mi sono mai sentito “ vecchio”, ne , tanto meno, ho mai percepito la tua “disabilità” fisica, incapsulata come era in una vivida intelligenza e in una sottile ironia.  Il sapere porsi senza sovrapporsi. Arrivederci caro Direttore. Con affetto”. Ferruccio Bellicini

“Caro Direttore,proprio oggi le parole, queste nostre compagne di vita, mi hanno abbandonata. Avrei voluto scrivere qualcosa di te, per te, ma non riesco a dare forma al senso di vuoto nel saperti partito.È come se mi avessero rubato quella penna che tu, con pazienza e dedizione, mi stavi insegnando ad usare.Scrivere è un lavoro da artigiani. E tu mi stavi insegnando questo nobile mestiere, dandomi ciò che io per prima ho spesso mancato di avere: fiducia.Perché se c’è una cosa di te che ho sentito e ammirato fin dalla prima lettera è la tua fiducia per gli altri, di più, la tua fiducia per la vita.Oggi voglio pensare che gli incontri che facciamo non sono “per caso” e perciò ringrazio il tuo, il nostro giornale che ci ha fatti incontrare. Perché incontrare te è stato incontrare un esempio di come la vita vada vissuta pienamente, nonostante tutto. Non potrò più dirti grazie di persona, ma spero che il mio grazie ti arriverà, ovunque tu sia.Fai buon viaggio Direttore, le tue parole rimarranno scritte nei miei pensieri”. Maddalena D’Aquilio

“Piergiorgio Cattani non c’è più. Chiunque abbia vissuto a Trento sa bene chi fosse: un giornalista, un intellettuale; una voce importante, che aveva saputo farsi udire nonostante le difficoltà di espressione dovute alla malattia, la distrofia muscolare di Duchenne: patologia degenerativa che colpisce circa 6000 persone in Italia (e ne coinvolge ancora di più, tra parenti e sanitari). Se n’è andato all’improvviso, tra lo stupore di chi gli voleva bene e lo ammirava per la caparbietà e la lucidità di pensiero. Uno stupore che è autentica impresa, se si considera che Piergiorgio doveva essere già morto, e da tempo. Lo aveva raccontato lui stesso nel libro “Guarigione, un disabile in codice rosso” (Il Margine, 2015), lettura che consiglio. Chi è affetto da distrofia muscolare di Duchenne, infatti, raramente arriva ai 44 anni. Eppure, lui ci aveva illuso che fosse assolutamente normale e che potesse restare con noi per tanti anni ancora, alla faccia delle previsioni. Da parte mia resta la gratitudine per un uomo che mi ha indicato una direzione: fu lui, quand’ero all’università, ad avvicinarmi al giornalismo; passione che ha le sue radici nell’affetto per mio nonno Felice, anch’egli giornalista, ma che fino a quel momento era rimasta sopita. Quello che ha trasmesso a me sono sicuro lo abbia trasmesso a tanti altri, perché Piergiorgio era così: un uomo tutt’altro che involuto e ripiegato su se stesso come quel corpo martoriato, ma anzi proteso verso la comunità. Una comunità che ha saputo servire in molti modi: Unimondo.org, il quotidiano Il Trentino, l’attivismo politico; o forse nello stesso modo: con la fatica dello studio e l’entusiasmo di condividere con gli altri ciò che si è appreso. Se fosse qui, sono sicuro che riderrebbe di questo mio ricordo. Mi scriverebbe in privato per prendermi in giro. Non accadrà: gli uomini passano. A chi rimane tocca tenere viva la memoria e farsi carico delle battaglie”. Omar Bellicini

“Un abbraccio al grande Piergiorgio. Una preghiera”. Paolo Merlo

“Non so dirti quanto tu sia stato importante per me, un amico, un punto di riferimento e un esempio in tutti questi anni di lavoro assieme in quella piccola grande casa che è Unimondo. Una delle prime persone ad aver avuto fiducia in me e per questo non ti ringrazierò mai abbastanza. Mi mancherai Piergiorgio, è stata davvero una fortuna conoscerti”. Anna Toro

“Ogni tanto venivo a casa tua e parlavamo per un’ora. Ricordo l’accoglienza allegra dei tuoi genitori e le chiacchiere a tutto campo. Io ti chiedevo soprattutto dei tuoi studi in filosofia e dei libri che avevi scritto. Eri soprattutto tu, però, che mi facevi domande: ti informavi sul mio punto di vista in materia di religione, mi chiedevi cosa ne pensassi della politica italiana, della politica internazionale, della mia generazione, dei miei studi. Avevi solo dieci anni più di me, ma eri come quei personaggi illuminati che compaiono nei libri, quelli che ti aiutano a guardarti intorno e capire come funziona la società. Mi piace pensare di essere stato speciale, ma la verità è che facevi così con tutti. Nonostante tutte le difficoltà, usavi la tua libertà per dare fiducia a giovani insicuri, costruire relazioni umane e avviare progetti entusiasmanti.Ti dobbiamo moltissimo”. Lorenzo Piccoli

“Ciao Piergiorgio, vorrei dire, dirti e raccontare di te così tanto che non so da dove iniziare.Molti di noi vivono di parole… le mie, grazie a te, sono diventate più sicure e autentiche. Eri, sei, un maestro che sa essere rude, un uomo dal carattere spigoloso e mai domo, sei, su tutto, un amico sincero e dolcissimo, un amico vero. Sursum corda Pier! E ti prego, continua a seguirci, ne abbiamo bisogno. Grazie di tutto”. Fabio Pizzi

“A te, Piergiorgio, ci siamo visti, scritti poco ma sono stati incontri in presenza e/ o telematici di una grande profondità e scambio di idee e progetti insieme. Grazie perché sei stato per me un riferimento nella pedagogia della Curiosità come mi ha insegnato Paulo Freire. Grazie per il camminare insieme nel nostro modo di fare giornalismo indipendente, partecipativo e pieno di cittadinanza planetaria!I ragazzi dell’Agenzia di Stampa Giovanile ti ringraziano insieme a me per la tenerezza e gli insegnamenti!un abbraccio planetario”. Paulo Lima

“Non si é mai preparati a ricevere queste notizie. Ce ne sono tante di frivole e ridondanti che si ripetono sui giornali, tanti avvenimenti uno uguale all’altro. Questa é una di quelle che paralizza, che traccia una linea indelebile tra il passato e il presente. Quando mi é stato detto che Piergiorgio ci aveva lasciato non ci volevo credere. Come é possibile. Cosí giovane, colto, audace e sempre positivo con chiunque. Come tanti altri, credo, ci ho messo del tempo a capire che era successo veramente. Piergiorgio non ha mai voluto autocommiserarsi, e noi ci siamo sempre un pó “dimenticati” della sua malattia. Non c’era nulla di artificioso in tutto ció, era la cosa piú naturale del mondo. Una persona accogliente e calorosa, un affermato giornalista, attivo su mille fronti, nel sociale e nella politica, che bisogno c’è di soffermarsi sugli altri aspetti?Personalmente sono sempre stato colpito dalla tua enorme umanitá, dallo spirito profondo e acuto, mai banale, con cui accompagnavi i nostri scambi di email, e nei, ahimé rari, incontri di persona, in cui ce la siamo raccontata. Che ricordi. Trovavi sempre il modo di abbracciare simpatia e professionalitá, dote straordinaria per un direttore. Fin dal primo incontro – mi avevi avvertito solo pochi minuti prima della tua malattia degenerativa, e giá questo in qualche modo destabilizza – mi avevano sorpreso la caparbietá, l’animo nel pormi tante domande, la voglia di viaggiare insieme a me, ma anche la lucida e paziente capacitá di anticipare risposte che io ancora cercavo chissá dove. E poi un inaspettato pragmatismo, un’incredibile meticolositá nel lavoro: appena presentati mi hai chiesto di scrivere del Guatemala, dell’America Latina, di economia e finanza, di politica, di corruzione, addirittura di narcotraffico. Io non sapevo di poter scrivere, ma tu mi hai iniettato quella fiducia iniziale, mi hai sostenuto, hai scardinato antiche serrature e hai canalizzato il mio desiderio di espressione ed esplorazione. Hai reso possibile tutto ció. E te ne sono cosí grato. Mi hai accolto in UM e hai fatto germogliare tanti splendidi momenti e riflessioni. “Perché non scrivi un pó di bitcoin e blockchain”, la tua curiositá era pressoché illimitata, altro eterno insegnamento che ci hai trasmesso. Mi sento ingenuo per aver creduto che ció potesse durare per tanto tempo ancora. Che ci si potesse vedere piú avanti, approfondire, elevare la nostra amicizia, ricevere ancora tante dritte da te, in tutta calma, adesso che ero tornato stabile in Trentino. Mi sento ingenuo di aver procrastinato un’apertura verso tutto ció.Sono tanto triste, ma in realtá sono sicuro che saprai insegnarmi/insegnarci ancora tanto. Mi affascinano, come sempre, le tue parole: “nonostante le nostre fragilitá, possiamo scegliere di essere una risorsa per noi stessi e per gli altri; siamo tutti di passaggio e dobbiamo imparare ad usare l’ironia e l’autoironia, non come forma di consolazione, ma come percorso di consapevolezza, per provare a vivere seriamente, senza mai prendersi troppo sul serio.” Piú le leggo e piú mi viene voglia di leggerle agli altri. E piú mi rendo conto che mancherá il suo infaticabile contributo a questo mondo, il suo esempio. E noi staremo uniti per riempire questo vuoto.Ciao Piergiorgio. Grazie”. Marco Grisenti

“Oggi ci ha lasciato il grande amico Piergiorgio Cattani, Direttore di Unimondo. Aveva solo 44 anni. Una grave perdita per il Trentino e per tutti noi… Ti ricorderemo sempre per il tuo acume intellettivo, per la tua spiccata intelligenza e per la tua generosa bontà d’animo.Felice di collaborare con Unimondo e affranta per la perdita di una grande persona e un amico di arguta e rara intelligenza e spiccata bontà d’animo come Pier, Piergiorgio di cui non mi dimenticherò mai e noi tutti faremo tesoro della sua presenza che ci guiderà per sempre. A presto”. Laura Tussi

“Dovrei essere una “professionista” dell’uso della lingua, capaci di piegarla ai pensieri in testa e magari a dar loro forma. Eppure in queste circostanze è difficile per me scrivere qualche riga di interesse, sarà la tastiera arrugginita da un anno ormai di assenza dalla redazione di UM, o lo sgomento di aver pensato che Pier ci sarebbe stato ancora per tanto nella mia vita. Un’arroganza quella di pensare di rimandare incontri, scambi di pensieri e battute con quell’amico che era il trentino più ironico che ho mai conosciuto a un “domani” che poi è sfuggito, come oggi abbiamo visto. Grazie di quanto fatto, detto, scritto, …”. Miriam Rossi

“TESTAMENTO

 Quando se ne andrà il respiro piantate alberivoglio lasciare ossigeno:dai semi d’amore gettatinella terra buona tutt’intera un giorno la mia vita risorgerà.

Dalla raccolta “Azzurro e Polvere”,  di Piergiorgio Cattani

Ti auguro tanta luce Pier!” Francesca Bottari

“Mi aggiungo solo ora alle vostre parole, ma non ne ho tante da condividere. Un po’ per il groppo in gola che incastra la tastiera, un po’ perché avete già scritto tanto voi e mi sembra di rivedere Pier in ognuno dei vostri ricordi. Perché lui era proprio così, e anche se ciascun* di noi ha un pezzettino personale da aggiungere, alla fine ne esce sempre Pier, con quel suo sguardo sornione e perspicace sul mondo, quel suo modo di dare sempre un contributo prezioso, anche quando poteva risultare scomodo. Lui, che a molti di noi ha dato la possibilità di incamminarci su quella strada che aveva intravisto, prima che noi stessi ce ne accorgessimo. Ci mancherà eccome. E forse il nostro compito sarà proprio quello di continuare insieme a difendere questo suo progetto di costruire, piccole o grandi che fossero, comunità consapevoli, ironiche, mai sazie di curiosare e crescere nonostante tutto, e nonostante questo “tutto”, oggi, ci sembri ancora più pesante e insopportabile. Un abbraccio stretto”. Anna Molinari

Caro PGC,ho avuto anch’io la fortuna di collaborare con te scambiandoci peraltro il posto in Unimondo. Collaborare per modo di dire… perché non eravamo quasi mai d’accordo! Nello spazio del “quasi” ci sta il mondo! Come suonava il telefono rispondevo: “ogni cosa purché non sia politica”! E tu: “figurati; quando mai”! E il quando mai si trasformava in quasi sempre! Mi mancheranno anche i caffè a casa tua! Ce l’hai combinata proprio grossa, stavolta! Non so se ti perdoneremo! Non so se ti dimenticheremo!”. Fabio Pipinato

“Ci sei?” mi domandava ogni giorno, più volte al giorno. “Ci sei ancora?” mi domandava quando l’orario era buono ormai più per la cena che per il lavoro. Era a quell’ora che spesso mi diceva “Ho un’idea”. Qui io prendevo sempre un po’ paura, e lo sapeva, per questo mi rassicurava “Non ti preoccupare, tu non devi fare niente. Quasi niente”. Piergiorgio Cattani lavorava sempre, lavorava tanto, lavorava bene, lavorava più di me, perché conoscere e scrivere era la sua “terapia” e poi “Io sono fortunato – mi diceva – posso lavorare, mica devo andare a fare la spesa come te”. Per questo, a me che la spesa la dovevo fare, Pier “agitava” letteralmente la vita. Le sue idee diventavano incombenze, le sue riflessioni progetti, le sue intuizioni varianti variabili, buone per un’altra idea. Quando c’era il tempo e anche quando non c’era, il suo lavoro, dentro e fuori dalla redazione di Unimondo, diventava l’occasione per un confronto, un contraddittorio, una critica, una proposta, lo spunto per un suo editoriale, l’occasione per rivedere la bozza di un suo libro, per consigliarmene uno, per farsene consigliare un altro, “ma non romanzi però, saggi”. Spesso quando la sua vera passione, la politica e l’esperienza come presidente di Futura Trentino, gli lasciava ancora del tempo libero, la chiacchierata prendeva una piega teologica, poi filosofica, poi morale, e tra una citazione latina “vediamo se lo hai studiato bene al liceo…”, un ideogramma cinese e una frase in arabo, si concludeva con il link ad una canzone: Battiato, De André, Guccini, Gaber, De Gregori, Fossati, Brunori Sas, Einaudi, la musica classica… La sua curiosità e la sua vastissima cultura sono stati per me “pane quotidiano”. “Prendete e mangiate; questo è il mio corpo”, così ho fatto, in tutti questi anni e non posso che rendergli grazie. Gli rendo grazie anche per tutti i “Come stai?”, “Come va?”, “Tutto a posto?” e “Mangi?” che mi ha dedicato, non quelli di circostanza, voleva testare il mio benessere, come stava il mio morale e quello della sua redazione, non gli bastava un “bene”, voleva capirlo “in una scala da 1 a 10?”. E dopo il morale il fisico. Non c’è un solo stupidissimo acciacco patito del quale non mi abbia chiesto resoconto, cura, cartella clinica ed eventuale “Guarigione”, per me il suo libro più bello. Lui, che al mio “Come stai tu?” rispondeva “Sai che sono complicato”, mi ha insegnato, tra le altre, non solo e non tanto la tenacia e la voglia di vivere, ma a lamentarmi senza provare vergogna, a raccontare la montagna senza imbarazzo (“mandami una foto!” così, come fosse un ordine. E lo era!), perché la disabilità troppo spesso sta negli occhi di chi guarda. Nella vita poi “Niente sta scritto” e nonostante le nostre fragilità tutti possiamo scegliere di essere una risorsa per noi e per gli altri. Mentre io teorizzavo lui era già prassi. E non c’era tempo da perdere, bisognava farlo subito, farlo in fretta. “Pier, porta pazienza, non ti sto dietro”, sei un “modello di collaboratore” ma “sei lento – diceva prendendomi in giro – eppure vai a correre quasi tutte le sere”. Pier andava di fretta, sapeva come tutti noi di essere di passaggio, ma lo sapeva da prima, lo sapeva meglio. Anche per questo usava l’ironia e l’autoironia, non come forma di consolazione, ma come un percorso di consapevolezza, vivendo seriamente, ma senza mai prendersi troppo sul serio. Quattro anni fa mi scriveva “devo vivere almeno fino alla mancata rielezione di Trump”. Sabato sera era sollevato “non devo aspettare per forza un altro mandato”. Domenica se n’è andato e oggi è lunedì ed è il primo giorno di lavoro senza il “mio direttore” (anche se a volte si portava avanti già la domenica sera con un messaggio: “Scusa, so che è domenica… Ci sei?”). Mi mancherai e mi spaventa capire quanto, sul lavoro e fuori. Allora oggi mentre ti immagino volare “Su Vitebsk” e un po’ su di noi come in quel poster di Chagall che hai appeso in camera tua, prendo per un attimo il tuo posto e questa volta ti chiedo e mi chiedo: “Ci sei?”. Per fortuna in tutto quello che mi hai lasciato, che è molto più di quello che ho potuto darti, ci sei e per questo ti sono infinitamente grato! Adesso ti rimando l’ultima foto che mi hai chiesto, con quella tua solita urgenza “mi serve una foto autunnale”, e poi ci ascoltiamo una canzone. L’autore lo scegli tu, ma la canzone e gli interpreti questa volta li scelgo io, “E ti vengo a cercare. Anche solo per vederti o parlare. Perché ho bisogno della tua presenza. Per capire meglio la mia essenza…”. Inshallah PGC Piergiorgio Cattani, io non smetterò di cercarti, tu non smettere mai di farti trovare. Alessandro Graziadei

“Condivido con voi il mio dispiacere. Mi dispiace non essere riuscita a conoscere Piergiorgio di persona; mi avrebbe fatto molto piacere. Lo ringrazio dentro di me per avermi letta e per avermi dato la possibilità di dar voce ai miei pensieri. Di fatto, credo che mi abbia cambiato la vita…  arrivederci Piergiorgio”. Lucia Michelini

“Abbiamo parlato varie volte al telefono e attraverso brevi messaggi, ma l’ho incontrato solo una volta, a Trento per un piccolo convegno e anche quella volta il tempo per poter parlarci di persona (e non di lavoro) è stato breve. Per questo voglio ringraziarvi per le vostre testimonianze che – me ne rendo conto adesso – mi stanno facendo conoscere una persona con cui, pur essendo in contatto, di fatto non conoscevo. E che mancherà a tanti. Anche a me. Perchè – come ha scritto Ale – anche a me ogni tanto arrivava un suo messaggio per chiedermi “Ci sei? Come stai? Ti va di scrivere un articolo” e – lo confesso – l’ho sempre sentito come un messaggio di stimolo e apprezzamento. Ecco, forse non ho conosciuto Piergiorgio, ma una cosa posso dirla: credo che apprezzasse tutti noi, il nostro lavoro, il nostro impegno. Ma soprattutto ci apprezzava come persone. E questo penso sia il regalo più bello che ha fatto a noi e a tanti. Non ha chiesto “pietà”, ha dato dignità. Quella dignità che rivendicava per sè e per tutti, soprattutto per i più deboli e dimenticati.  Grazie Piergiorgio! Un forte abbraccio”. Giorgio Beretta

“Quella con Piergiorgio è stata un’amicizia di lavoro iniziata un decennio fa quando sono entrata in Fondazione Fontana e si è poi solidificata, anche se “virtualmente” considerate le distanze fisiche (Trento-Padova dove lavoro e Conegliano dove risiedo), da quando è diventato il Direttore di Unimondo. Me lo ricordo quel momento di passaggio. Pier ha saputo leggere ed intercettare il mio desiderio di continuare a “stare” in Africa anche se ero rientrata e le occasioni di fare ricerca sul campo sarebbero diminuite. E così è stato! Mi ha trascinato dentro riflessioni partendo sempre da domande scomode che mi aprivano gli occhi, ogni volta. Con lui non potevo permettermi di “rallentare”. Mi incalzava continuamente…dovevo rimanere aggiornata anche nei momenti più pieni. Incalzata, sollecitata, talvolta rimproverata per non riuscire a rispettare i tempi… “Piergiorgio, non ti sto dietro!”. Questo gli dicevo…  e poi giocava ad interrogarmi “Ma tu lo sapevi che…?”. E quante volte mi ha trovato impreparata!!Quattro anni fa abbiamo fatto Quarant’anni insieme. Sì, siamo della stessa classe. Io di marzo, lui di maggio 1976. Quella volta abbiamo “festeggiato” insieme, a casa sua, davanti ad una super torta. Me la ricordo ancora. In quell’occasione mi ha regalato un libro stupendo, “Resistenti. Storie di uomini e donne che hanno lottato per la giustizia” di Todorov. “Tra quei Resistenti ci sei anche tu, Piergiorgio Cattani. Uomo straordinario, studioso d’eccezione, pensatore, giornalista, direttore. Non ci credo ancora, ma domani mattina non sarà un lunedì come gli altri. Resisteremo, ce la faremo. Sarai sempre il nostro Direttore!” Questo breve messaggio l’ho scritto ieri. Questa mattina non è stato un lunedì come gli altri. Non è arrivata la domanda via Whatsapp “Ci sei?”… Ma vorrei dirti che”Ci sono e che scriverò i pezzi che non ho ancora scritto!”. Sara Bin

“… è strano vivere in un mondo senza Pier. Provo un po’ di (sano) smarrimento: abbiamo condiviso progetti, sogni, idee, momenti di confronto – perché lui così faceva – non solo con me, ma con tutti e tutte. Era un punto di riferimento come pochi nella vita; e c’è da essere grati per il tempo che abbiamo avuto a disposizione con lui.  Adesso sì, tocca a noi raccogliere il testimone e andare avanti. Domani però, o magari dopodomani: il tempo di smaltire il dolore. Forse non così in fretta come avrebbe fatto lui, ma si sa, di Pier ce n’era uno. Novella Benedetti

Grazie per tutti questi ricordi affettuosi. Anche se a volte non ne condividevo pienamente le posizioni, ammiravo molto la lucidità e l’intelligenza brillante di Pier. L’ultima volta l’ho visto tre anni fa, in occasione del suo compleanno, con una torta e tante persone a condividere un momento di festa nel giardino di casa sua, alla vigilia della mia partenza per una nuova avventura in Portogallo. Ed era curioso e sempre mi chiedeva “dove sei adesso”? Perché dov’ero, da quando l’ho conosciuto, non era mai scontato, nemmeno per me.  Ma é soprattutto attraverso i racconti del mio caro amico Ale che ho conosciuto tanti aspetti del suo carattere, come la sua insofferenza verso chi lo trattava con pietismo per la sua condizione fisica (memorabile l’episodio delle suore), la sua meravigliosa pungente ironia e l’immensa vastità delle sue conoscenze. E quindi é anche Ale che ringrazio, per avermi regalato pezzettini di Pier, che per me e per tutt* noi resteranno sempre vivi. abbracci. Michela Giovannini

Articoli correlati

  • Sulle orme di Vittorio: intervista a Egidia Beretta Arrigoni

    PALESTINA
    Nel 2012, un anno dopo la morte di Vittorio, nasce la Fondazione Vittorio Arrigoni “Vik Utopia”

    Sulle orme di Vittorio: intervista a Egidia Beretta Arrigoni

    La Fondazione Vittorio Arrigoni “Vik Utopia” Onlus: “Al di là delle latitudini e delle longitudini, apparteniamo tutti alla stessa famiglia, che è la famiglia umana”
    4 novembre 2020 – Laura Tussi
  • Le potenzialità educative

    PACE
    Educazione come primo abito mentale democratico

    Le potenzialità educative

    “L’educazione liberatrice da sola non produce il cambiamento sociale. Ma non potrà esserci cambiamento sociale senza un’educazione liberatrice” (Paulo Freire)
    31 ottobre 2020 – Laura Tussi
  • Educazione e relazioni di potere

    PACE
    Nell’azione educativa si esercitano relazioni di potere

    Educazione e relazioni di potere

    Le relazioni di potere compongono una trama plurale, diffusa, trasversale a tutte le relazioni umane e sono direttamente collegate alle possibilità di costruirci in soggetti sociali e storici in trasformazione
    28 ottobre 2020 – Laura Tussi
  • Educazione: tra etica e politica 

    PACE
    Educazione alla cittadinanza: costruzione e creazione di donne e uomini alla ricerca di senso

    Educazione: tra etica e politica 

    L’etica dà sostegno a quell’impulso di trasformazione proprio della permanente ricerca del senso della vita
    24 ottobre 2020 – Laura Tussi
Pubblicato il Lascia un commento

PeaceLink e Unimondo – Intervista a Vittorio Agnoletto

Sono passati quasi vent’anni da Genova 2001

PeaceLink e Unimondo – Intervista a Vittorio Agnoletto

Nella ricorrenza del 18esimo anniversario di Genova 2001, un’intervista a Vittorio Agnoletto medico, docente universitario, portavoce del Genoa Social Forum nel 2001

Sono passati quasi vent’anni da Genova 2001

Unimondo – Intervista a Vittorio Agnoletto

Intervista a Vittorio Agnoletto a cura di Danilo Minisini e Laura Tussi

Nella ricorrenza del 18esimo anniversario di Genova 2001, un’intervista a Vittorio Agnoletto medico, docente universitario, portavoce del Genoa Social Forum nel 2001

 I perchè di Genova 2001 

Nella ricorrenza del 18esimo anniversario di Genova 2001, un’intervista a Vittorio Agnoletto medico, docente universitario, portavoce del Genoa Social Forum nel 2001.

1 -Sono passati quasi vent’anni da Genova 2001. Un momento che ha segnato la vita di molte persone e che ancora oggi, dopo tante analisi politiche, indagini, processi, è una ferita aperta nella storia italiana. Quali sono stati, secondo lei, gli aspetti più significativi di quell’evento? 

Purtroppo quando si parla di Genova 2001, l’attenzione è concentrata solo su quanto accaduto venerdì 20 luglio e sabato 21 luglio, sull’attacco dei carabinieri al corteo delle tutte bianche, l’uccisione di Carlo Giuliani, la tremenda repressione, le violenze perpetrate da parte delle forze dell’ordine, poi l’assalto alla scuola Diaz e le violenze e le torture di Bolzaneto. Ci si dimentica sempre che il Forum di Genova – perché di questo si trattava di un Forum vero e proprio – è iniziato lunedì 16 luglio con una serie di incontri pubblici ai quali hanno partecipato decine di migliaia di persone per la stragrande maggioranza giovani, che venivano non solo dall’Italia, ma da tutta Europa e con delegazioni anche da altri continenti. Questa è stata un’autentica “università a cielo aperto” che riprendeva le modalità e gli stessi contenuti che avevano animato, solo sei mesi prima, a gennaio 2001, il primo Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre. Invito, chi è interessato, ad approfondire quelle vicende e a leggere le registrazioni delle assemblee del Forum di Genova, perché ascoltandole si capisce l’attualità dei temi che il movimento sollevava.

Si comprende quanto noi avevamo ragione. Nell’assemblea di apertura, uno dei principali relatori era Walden Bello che era il direttore di Focus on the  Global South, uno dei dirigenti del movimento antiliberista più conosciuto in tutto il continente asiatico e non solo. Walden intervenendo nel Forum di apertura, disse: “Attenzione se continua questo modello di sviluppo, nel giro di pochi anni, noi assisteremo a tali cambiamenti a livello del pianeta che produrranno un forte rischio per la vita di milioni e milioni di persone”. Walden Bello parla nel 2001 prima dello tsunami che travolge una parte del continente indiano e prima che i cambiamenti climatici e il tema dello scioglimento dei ghiacciai e dell’aumento delle temperature diventassero argomenti di discussione quotidiana. Nella stessa assemblea di apertura Susan George, allora presidente di Attac Francia, una delle principali organizzazioni europee, aveva detto: “Attenzione! se prosegue la finanziarizzazione dell’economia, nel giro di pochi anni l’Europa andrà incontro a una crisi economica e sociale senza precedenti”. È esattamente quello che è avvenuto. Tutti i temi oggi di grande attualità che erano già presenti allora.

Per fare un altro esempio, a Genova 2001 abbiamo pesantemente criticato le politiche del Fondo Monetario Internazionale, le politiche di aggiustamento strutturale che avevano messo in ginocchio la grande maggioranza dei paesi dell’Africa Subsahariana. Funzionava così: il Fondo Monetario Internazionale garantiva prestiti ai paesi africani, imponendo loro il taglio delle politiche di sanità pubblica e istruzione pubblica. Questo è stato uno dei temi attraverso cui abbiamo ricevuto la solidarietà di padre Alex Zanotelli e la partecipazione al Forum da parte di tanti missionari. Mai avremmo potuto immaginare che pochi anni dopo, la troika avrebbe applicato esattamente queste politiche anche in Europa, a cominciare dalla Grecia.

Un altro tema che abbiamo sviluppato era la questione della distribuzione delle ricchezze. Allora noi dicevamo: non è possibile che il 20% della popolazione mondiale possieda l’80% delle ricchezze. Oggi, secondo i dati pubblicati da una banca svizzera, la Credit Suisse, risulta che nel 2017 l’8,6% della popolazione possedeva oltre l’85% della ricchezza mondiale. Ciò vuol dire che un numero sempre più ristretto di persone possiede capitali sempre maggiori e che aumenta ulteriormente il numero delle persone più povere. Oggi il 70% della popolazione mondiale possiede il 2,7% della ricchezza del pianeta.

Un altro tema era la campagna contro la vendita delle armi. Anche questo è un tema attualissimo, è sufficiente ricordare che poche settimane fa varie associazioni genovesi hanno bloccato una nave saudita che cercava di trasportare armi e voleva attraccare nel porto di Genova.

Penso che, se si vuole capire quanto avvenuto in questi ultimi 10 anni, per avere chiavi interpretative è utile tornare a quanto noi avevamo detto a Genova. Avevamo capito dove stava andando il mondo, ma chi governava ha fatto finta di non capirlo e la storia è andata come si sa.

2 – Dal 1992 al 2001 lei è stato presidente nazionale della LILA (Lega Italiana per la Lotta contro l’AIDS). Ha avuto importanti incarichi presso il ministero della salute e nel 1994 è stato “medico dell’anno” secondo la rivista specializzata “Stampa Medica”. La visibilità che le ha dato l’essere stato il portavoce del Genoa Social Forum, ha in qualche modo determinato cambiamenti nella sua vita professionale? Ha subito ritorsioni a causa delle sue scelte?

Indubbiamente essere stato il portavoce del Genoa Social Forum ha modificato completamente la mia vita e per la verità, non solo essere stato il portavoce, ma l’aver voluto dopo il G8 continuare, senza far sconti a nessuno, ad impegnarmi nella battaglia per ottenere verità giustizia su quanto avvenuto in quei giorni. Da più parti, da molti ambiti politici anche differenti, non solo dalla destra, ma anche da settori della sinistra, subito dopo il G8 e anche negli anni seguenti, mi venne caldamente consigliato di chiudere quel capitolo, non parlarne più e non insistere a chiedere verità e giustizia. Sono andato avanti, fino ad arrivare nel 2011 alla pubblicazione de “L’Eclissi della democrazia. Le verità nascoste sul G8 2001 di Genova”. Questo è il libro scritto insieme a Lorenzo Guadagnucci, una delle vittime della Diaz e con il contributo del Pubblico Ministero nel processo Diaz, Enrico Zucca. Nell’”Eclissi della democrazia” abbiamo raccontato tutto quello che accadde in quei giorni e che conoscevamo sia per il ruolo che avevamo svolto, sia per la possibilità di accedere ad una gran mole di documenti e atti processuali. Abbiamo indicato per nome e cognome i responsabili dei vari e differenti episodi che si erano svolti in quelle giornate e questo ha contribuito a creare una situazione nei nostri confronti di forte isolamento. Isolamento che però era già iniziato i giorni seguenti al G8.

Nei 15 giorni dopo la conclusione del G8, sono stato estromesso dalla Commissione Nazionale AIDS del Ministero della Sanità; sono stato estromesso dalla Commissione per la Lotta alla Droga della Presidenza del Consiglio; ho perso non solo la docenza, ma anche la direzione di corsi di formazione sull’HIV dell’Istituto Superiore della Sanità che dirigevo da anni. Ero responsabile scientifico di vari progetti finanziati dall’Istituto Superiore di Sanità e da fondi pubblici nazionali e di altri progetti di ricerca finanziati dalla Commissione Europea: erano progetti e bandi che avevo vinto con la mia associazione in collaborazione con diverse associazioni ed enti di ricerca; nel giro di pochi mesi ho perso tutto.

Vi sono contemporaneamente state anche forti ricadute sulla LILA, l’associazione di cui ero presidente: ci sono stati tagliati molti fondi e parecchi enti pubblici non hanno più voluto collaborare con la LILA. Quello che mi sorprese allora fu che non si trattava solo delle amministrazioni governate dalla destra, ma anche delle amministrazioni governate dal centrosinistra. Ricordo che nell’autunno 2001 avevo organizzato con la LILA, insieme alla regione Toscana, un grande convegno internazionale sui temi dell’AIDS. Dovevano partecipare personalità provenienti da tutto il mondo per parlare dei temi inerenti la lotta all’HIV. La regione Toscana ci ha fatto sapere che se io fossi stato presente non si sarebbe fatto il convegno. Io allora ero il presidente della LILA e avevo organizzato tutto. Per salvare l’attività della LILA fui costretto a dimettermi un po’ di mesi prima della scadenza del mio mandato, per permettere la sopravvivenza dell’associazione.

In quei mesi molte delle collaborazioni lavorative che avevo sono state bruscamente interrotte. Sono stato praticamente estromesso da tutto.  È il prezzo che in questo Paese si paga se si vuole condurre una battaglia di verità e giustizia scontrandosi con il potere, il potere vero.  A fianco di quello che è avvenuto in ambito lavorativo, ho subito diverse forme di minacce. La situazione era molto complicata perché le intimidazioni, in questo caso, non mi arrivavano certo dalla mafia.  Le minacce si sono riproposte in modo altrettanto pesante nel 2010 quando ho cominciato a scrivere il libro che è uscito nel 2011 in occasione del decennale; le ho raccolte e raccontate proprio in un’appendice di quel volume.

È indubbio che quanto avvenuto ha contribuito radicalmente a cambiare la mia vita. È stata una forma di ostracismo che purtroppo non ha avuto solo il volto delle istituzioni dominate del centro destra. D’altra parte, nel libro che abbiamo pubblicato, abbiamo attribuito a ciascuno le sue responsabilità ed è innegabile che negli eventi di Genova abbiano avuto grandi responsabilità anche personaggi che devono la loro carriera al centrosinistra e che a tale schieramento politico facevano riferimento. Non abbiamo scritto un libro a tesi precostituite, ma un libro dove a ciascuno abbiamo attribuito le responsabilità che gli competevano, ovviamente quelle che eravamo stati in grado di individuare, senza fare alcuna eccezione.

3 – Dopo Genova 2001, lo smarrimento si è impadronito di molte persone, molti giovani soprattutto che hanno sperimentato il volto feroce dello Stato.  Quel volto feroce che, anche oggi si manifesta verso le persone più deboli e indifese. Lei pensa che l’azione nonviolenta che comincia a manifestarsi, soprattutto in forma spontanea, possa diventare contagiosa ed essere motivo di speranza?

Si è parlato molto delle forme di repressione di piazza utilizzate per stroncare il movimento del 2001. Si è parlato forse poco, perché tanti sono i responsabili, dell’operazione repressiva mediatica che è stata attuata e che ha teso a delegittimare quel movimento che, non dimentichiamolo, è stato enorme. Solo per fare qualche esempio, in un paio di mesi avevamo raccolto 150.000 firme per ottenere l’attuazione della Tobin Tax, cioè la tassazione sulle transazioni finanziarie speculative. Quindi un movimento molto forte che stava crescendo in Italia e in tutta Europa; oltre a reprimerlo è stato anche delegittimato. Il tentativo è stato quello di descrivere il Genoa Social Forum come una organizzazione sovversiva.

Quando questi attacchi si susseguono per settimane e per mesi un certo risultato lo ottengono. Su un punto fondamentale. La forza del Genoa Social Forum era stata la sua capacità di raccogliere attorno a una piattaforma unica 1015 associazioni italiane e 171 associazioni internazionali di quasi 50 Paesi sparsi in tutto il mondo, e far sì che, oltre a una piattaforma condivisa, queste associazioni fossero capaci di darsi anche un punto di riferimento unico, cioè un consiglio che le rappresentava tutte. Io ero il portavoce, ma c’era un consiglio di diciotto persone scelte di comune accordo da tutte le realtà che avevano aderito al GSF. E quella è stata la nostra forza, il GSF veramente andava dai missionari, agli scout ai centri sociali; eravamo in grado di trasmettere gli stessi contenuti parlando diversi linguaggi che rompevano gli steccati, rompevano le barriere. Prima del G8 la rivista Famiglia Cristiana, che allora era il settimanale letto da centinaia di migliaia di persone, aveva riportato in varie occasioni i temi che ci stavano a cuore; inoltre andava a verificare quale fosse l’opinione degli italiani verso le nostre battaglie ad esempio la lotta per la pace, e si scopriva come la maggioranza dei cittadini italiani fossero con noi.

Uno dei primi risultati che la repressione mediatica, unita a quella di piazza, ha prodotto è stata la rottura dell’unità del movimento. Molte associazioni del mondo cattolico e parecchie di quelle impegnate nel mondo del welfare e dell’assistenza a un certo punto si chiedevano: “Noi che passiamo la nostra giornata ad assistere i malati, a costruire case-alloggio, ad attivare progetti di assistenza domiciliare, gruppi di auto aiuto ecc. ecc. se continuiamo a essere descritti come sovversivi non riusciamo più a fare le nostre attività, perdiamo tutti i nostri contatti, perdiamo i nostri rapporti e consensi”. E allora molte associazioni hanno pensato di tornare a agire unicamente nel proprio specifico.

Prima del G8, centinaia di associazioni avevano ognuna una propria maglia e poi si è deciso di indossare anche la maglia del Genoa Social Forum, cioè qualcosa che ci teneva insieme e uniti. Di fronte alla repressione, ognuno si è tolto quella maglia ed è tornato a occuparsi della sua particolare mission. E questo ha portato alla perdita di forza e di capacità di incidere del movimento.

Ma non dimentichiamoci che il movimento non perde la sua forza immediatamente dopo il G8. L’energia propulsiva del movimento dura fino al 15 febbraio 2003, giornata nella quale si assiste, in tutto il mondo, alle grandi manifestazioni contro la guerra. La giornata di lotta viene lanciata dal movimento italiano durante il Forum Sociale Europeo nel novembre 2002. Sono milioni e milioni le persone che manifestano in tutto il mondo. Al punto che il New York Times esce col famoso titolo “È nata la seconda superpotenza” che sarebbe il movimento pacifista contrapposto alla superpotenza degli Stati Uniti. Un fatto simile   non era mai accaduto nella storia dell’umanità. Ma noi non siamo stati in grado di fermare la guerra e l’attacco americano all’Iraq.

Prima della giornata di mobilitazione mondiale, abbiamo organizzato anche una delegazione a Baghdad con rappresentanti del movimento che provenivano da diverse parti del mondo proponendoci come una sorta di scudi umani per impedire che si scatenasse la guerra.

Ma il conflitto si sviluppa lo stesso; gli Stati Uniti iniziano i bombardamenti sull’Iraq. A quel punto, con un movimento diviso e frantumato, non riusciamo a riconvertire il nostro obiettivo finalizzato a bloccare la guerra, in una serie di obiettivi più piccoli, ma inerenti lo stesso tema; non siamo ad esempio stati capaci di avviare un’ampia campagna in grado di boicottare le molte industrie coinvolte, a vario titolo, nell’attività bellica. In Europa meridionale non vi è una tradizione di lotta nella quale i cittadini si vivono come consumatori, non vi è la consapevolezza di quanto, collettivamente, possiamo pesare sul mercato. Quindi lo scoppio della guerra nel 2003 viene vissuto come una sconfitta di fronte alla quale ci sentiamo impotenti. Era il periodo in cui, in Italia, non c’era paese che non avesse esposte ai balconi le bandiere per la pace. In particolare il coinvolgimento del mondo cattolico era enorme. Non abbiamo avuto la capacità di trovare altri obiettivi unificanti, anche perché continuavamo a dover rispondere nei tribunali agli attacchi repressivi e questo ci sottraeva attenzione e energia. I governi di quegli anni e il sistema politico, hanno fatto di tutto per trasferire il confronto con il movimento solo sul terreno repressivo, ignorando completamente i nostri contenuti e rifiutando qualunque contradditorio sul merito delle nostre proposte.

Su un aspetto dobbiamo fare autocritica, riconoscere un nostro errore: non siamo stati capaci di trasformare la nostra corretta analisi delle conseguenze della globalizzazione liberista in esempi concreti in grado di impattare la realtà quotidiana dei ceti popolari; molti che ascoltavano con interesse le nostre proposte sullo scenario “globale” si sono trovati soli qualche anno dopo di fronte alla crisi. Le nostre analisi non si concretizzavano in proposte semplici e comprensibili da tutti per affrontare la mancanza di lavoro, l’aumento del costo della vita ecc. Incolpare i migranti delle proprie difficoltà è risultato molto più semplice e consolatorio in assenza di messaggi differenti, antitetici, ma altrettanto semplici e facilmente comprensibili. Nonostante questo credo che i nostri contenuti non siano andati persi e come spesso accade nella storia dei movimenti, si sono sviluppati attraverso delle modalità carsiche, non visibili e quando qualcosa è carsico, non lo vedi in superficie, perché scorre non in un grande fiume, ma in tanti piccoli rivoli. Quella sensibilità si è diffusa.

Da qualche mese assistiamo alle manifestazioni di giovani sui cambiamenti climatici. Ho partecipato a queste manifestazioni e ho parlato con i ragazzi e mi sono fatto l’idea che, pur nella loro non conoscenza di quanto avvenuto a Genova 2001, molti di quei contenuti sono alla base del loro movimento. Quando i giovani dicono che abbiamo un solo pianeta, quando dicono che se non fermiamo questo modello di sviluppo non vi è futuro per nessuno, non è molto distante da quanto noi dicevamo a Genova e sintetizzavamo nello slogan: un altro mondo è possibile. Oggi le ragazze e i ragazzi in piazza ci dicono che non solo un altro mondo è possibile ma anche necessario; non ne abbiamo un altro di riserva.

Noi criticavamo questo modello di sviluppo per le tragiche conseguenze che ne sarebbero derivate; purtroppo è accaduto quello che avevamo previsto.  Questi ragazzi si muovono in una società che è il prodotto di quello che noi denunciavamo e che è anche la conseguenza della nostra sconfitta ad opera dei poteri che sostengono il modello neoliberista. Certamente i nostri contenuti vengono declinati da questa nuova generazione in un modo differente.

Tra il 2001, Genova, Porto Alegre e le manifestazioni di Friday for Future vi sono stati anche nel “nostro campo” alcuni importanti eventi che hanno certamente costruito lo scenario e lo sfondo allo sviluppo di un movimento verso il quale Greta ha funzionato da innesco. Mi limito a citarne due: il referendum in difesa dell’acqua pubblica che ha contribuito a diffondere il senso dei Beni Comuni, l’importanza degli elementi fondanti dell’esistenza umana: acqua e terra; la predicazione di papa Francesco che, mentre sulle tematiche di genere  appare non discostarsi dalla classica rigida dottrina della Chiesa, risulta particolarmente innovativa in campo sociale, in particolare con la Laudato sì che ha contribuito non poco a favorire lo sviluppo di un’ecologia sociale qui e ora, non a caso don Luigi Ciotti si riferisce all’enciclica chiamandola Laudato sì, Laudato qui.

Saranno i giovani, in autonomia a trovare le strade attraverso le quali sviluppare il movimento sui cambiamenti climatici, noi dobbiamo rispettare le loro scelte e al massimo limitarci a mettere a loro disposizione qualche riflessione proveniente dalla nostra esperienza.

Penso, ad esempio, che tale movimento dovrà crescere ancora nella consapevolezza che una parte consistente del conflitto è tra il basso e l’alto, tra poveri e ricchi; i cambiamenti climatici sono certamente frutto di comportamenti individuali, di come ognuno di noi vive dentro la società dei consumi, ma anche di scelte strategiche globali da parte di chi detiene il potere, sono anch’essi espressione di un’enorme conflitto sociale che attraversa tutto il pianeta ed anche in questo caso i primi a pagarne il prezzo saranno i più deboli.  Questo ci rimanda ancora una volta al termine glocal: legare il globale e il locale. D’altra parte vi è sempre un passaggio di staffetta tra i movimenti. Il movimento del 2001 a sua volta risentiva delle tematiche dei movimenti dei decenni precedenti. Proprio sulla base dell’esperienza passata, mi permetto di fornire loro un suggerimento: state attenti; non durerà a lungo l’appoggio della grande maggioranza dei media mainstream.Appena voi giovani passerete da una denuncia generale dei cambiamenti climatici a individuare specifiche responsabilità, appena deciderete di fare dei presidi contro la società che sta a Milano e che costruisce dighe in Etiopia e in Turchia, provocando la modifica del tragitto dei fiumi e obbligando centinaia di migliaia di persone ad abbandonare la loro terra e ad emigrare in condizioni di povertà, appena andrete a denunciare le politiche dell’Enel e dell’Eni, allora diventerete meno simpatici alla grande stampa.

E allora cominceranno a criticarvi e tenteranno di dividervi e di provocarvi. Questo è sempre stato l’atteggiamento del potere.

Prima blandire, tentando di incorporare una parte delle richieste e di far deviare il percorso del movimento. Per esempio vi diranno che dovete prendervela con i paesi del sud del mondo, come la Cina e l’India. Invece, le politiche ambientali devono essere cambiate ovunque, certamente anche in Cina e in India, ma è fuor di dubbio che il potere, quello vero, per ora si trova ancora in gran parte nell’emisfero nord-occidentale del pianeta. Se il movimento per il clima avrà la capacità di individuare obiettivi concreti, dovrà fare i conti con i tentativi da parte del potere di dividerlo, di reprimerlo e dovrà capire che il suo più grande patrimonio è la capacità di restare unito. Unito e globale.

4 – In questi anni molti di noi, che facciamo parte di associazioni e movimenti, guardiamo con preoccupazione e spesso con sconcerto a ciò che capita nell’ambito della sinistra italiana. Sembra che anziché impegnarsi per la costruzione di obiettivi comuni e occuparsi della sempre più difficile situazione delle persone fragili, ci sia la sottolineatura della propria identità, delle proprie scelte, di un narcisismo che sembra essere sempre presente, di una litigiosità continua. È un’analisi troppo pessimistica?

Potrei non aggiungere nulla e semplicemente sottoscrivere il contenuto della domanda. Sono totalmente d’accordo. In questi anni abbiamo assistito a una resistenza importante di centinaia, di migliaia di associazioni, collettivi, piccoli gruppi che sul loro territorio e sui loro temi specifici, hanno opposto una resistenza quotidiana agli attacchi del neoliberismo. È evidente che prima di tutto si parla della questione dei migranti. Il simbolo è Riace, ma oltre a Riace sussistono centinaia di esperienze altrettanto interessanti di solidarietà e difesa dei diritti umani di coloro che arrivano da un altro Paese. Pensiamo a tutte le associazioni che in questi anni hanno lavorato sui temi ambientali, dalla vicenda Pfas in Veneto all’ILVA a Taranto fino alle tragedie, alle frane e alle alluvioni che hanno coinvolto il centro e sud Italia; pensiamo alle tante mobilitazioni, alle denunce e alle segnalazioni da parte di gruppi, collettivi e comitati.

Pensiamo alla quantità enorme di associazioni che lavorano nell’assistenza sociale e sanitaria, o ai collettivi che lottano per migliorare condizioni di lavoro inaccettabili ad esempio tra i riders o nel campo della logistica. Questa è la sinistra sociale, è a costoro che dobbiamo la resistenza ai vari governi più o meno di destra, ma tutti con politiche di destra, che si sono succeduti.

Questa sinistra sociale è stata finora e lo è ancora oggi, assolutamente orfana di una rappresentanza politica e credo che le ragioni principali siano quelle contenute nella domanda. Penso che la sconfitta più grande, oltre a quella politica, sia stata la sconfitta culturale. Un filo – non rosso – unisce Craxi, Berlusconi e Renzi. È un filo, prima che politico, culturale, di distruzione di tutti quei valori che simbolicamente e fattivamente sono contenuti nella Costituzione. Hanno lavorato per distruggere il valore dell’agire collettivo; nel tentativo di cancellare l’idea che dalla crisi e dalle situazioni di difficoltà si esce uniti, insieme e non pestando i piedi al proprio vicino più povero.

Un filone culturale che si è alimentato con la nascita delle televisioni private e da come sono nate, cioè con la subcultura del disimpegno, del “mi faccio i fatti mie”, del “posso emergere unicamente sulle spalle di chi mi sta intorno”. Questa subcultura ha dilagato dappertutto e credo abbia purtroppo raggiunto anche settori della sinistra e quando si perde la speranza, si finisce anche per non credere più che l’azione collettiva possa cambiare il mondo; allora ognuno guarda solo a sé stesso e a mio parere questo è avvenuto alle formazioni della sinistra e anche a diversi dirigenti della sinistra: una logica individuale, individualista e superidentitaria. La forza di una sinistra diffusa esiste in Italia e non è vero che è tutto azzerato. Non vi è stata l’umiltà di costruire dal basso un soggetto politico unificante di sinistra. Questo è avvenuto anche non tenendo fede ai nostri stessi valori. Come possiamo, quando ci confrontiamo e ci scontriamo con la destra, parlare di tolleranza, di valorizzazione delle diversità e avere al contrario una storia fortemente divisiva della sinistra politica? Quello che predichiamo dobbiamo essere i primi a realizzarlo.

La speranza non è mai morta, anche perché è un dovere storico ricostruire un soggetto a sinistra. Deve essere un soggetto plurale, unito da obiettivi concreti e fondato sulla partecipazione collettiva, sul protagonismo di gruppi locali. Senza questo non si riuscirà a costruire nulla. Le condizioni sociali oggettive per poter costruire la sinistra ci sono. Il neoliberismo ha fallito e le soluzioni della destra sovranista hanno un tempo limitato perché fondate su delle promesse che non verranno mantenute. L’operazione della destra sovranista, tipica di tutti i regimi populisti di destra, è semplice: ottenere i voti dei ceti popolari per politiche che vanno contro i loro stessi interessi.

Che senso ha che i più deboli, i più poveri, votino un partito che propone la Flat Tax e che in pratica propone di non far pagare le tasse ai ricchi?

Fin dalla nascita della Repubblica, come previsto dalla Costituzione, era stabilita una precisa progressività delle tasse in relazione ai redditi.

Per un po’ la destra può annebbiare la vista dei ceti popolari, facendo loro credere che il nemico sia il migrante; ma quando non ci sono soldi per pagare l’affitto, per arrivare a fine mese e contemporaneamente le tasse sono state abbassate ai più ricchi, qualche dubbio, qualche conflitto si aprirà nel fronte populista di destra. E allora l’opportunità per la costruzione di un soggetto di sinistra sarà ancora più evidente. Ma oggi siamo in presenza di un forte deficit soggettivo della sinistra politica e nulla fa pensare che sia facilmente superabile senza un ricambio generazionale e una forte innovazione culturale.

5 – Lei è stato parlamentare europeo dal 2004 al 2009 e in seguito, nel 2010, candidato alla presidenza della Regione Lombardia. Poi, nel 2015 ha fondato, insieme ad Emilio Molinari e Piero Basso, l’associazione “Costituzione Beni Comuni”. Questa scelta di “uscire” dall’ambito istituzionale da cosa è stata motivata? Quali sono gli ambiti di cui si occupa l’associazione?

Questa scelta è stata motivata dalla convinzione che l’incidenza sul piano istituzionale oggi è molto più limitata che nel passato perché, come ormai si sa, molte delle decisioni non vengono prese all’interno delle istituzioni elettive, ma sono assunte in ambiti internazionali che sfuggono a qualunque controllo democratico come ad esempio: la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, l’ Organizzazione Mondiale del Commercio, varie istituzioni dell’ Unione Europea fra le quali la BCE e i grandi fondi finanziari, solo per fare alcuni esempi.

È evidente che il ruolo istituzionale oggi è molto meno efficace rispetto al passato, anche se rimane un ruolo importante da dove, almeno parzialmente, si può ancora incidere

Inoltre penso che ora la cosa fondamentale sia ripartire dal basso, per costruire consapevolezza, coscienza collettiva e che una sinistra non può essere ricostruita a prescindere dalla centralità dei ceti popolari. Noi non possiamo pensare di costruire una sinistra ‘per’ qualcuno, noi dobbiamo costruire una sinistra ‘con’ qualcuno. Non può essere una sinistra che mette insieme un po’ di intellettuali convinti di essere chiamati loro a fare il bene dei ceti popolari, di quelli che hanno un lavoro precario, di quelli che sono disoccupati, di quelli che hanno un lavoro a chiamata, di quelli che non possono sopravvivere con una pensione da fame.

Prima di tutto perché si possa costruire una sinistra deve esserci il protagonismo di questi soggetti fondato su autonomi processi di autoorganizzazione. Questa opera si compie, iniziando dal sociale. Faccio parte ancora di coloro che pensano che il politico sia un prolungamento del sociale e non il contrario.

Una rappresentanza politica a sinistra se non ha gambe sociali non riesce ad avere nessuna incidenza. Per questo ho scelto in questi anni di dare la priorità alla lotta sociale e alla battaglia culturale.

6 – Secondo la sua esperienza e guardando alla realtà odierna, su quali temi le realtà attente alla solidarietà e alla costruzione di umanità dovrebbero oggi maggiormente impegnarsi?

La mia risposta è molto banale in questo caso. Penso che si debba ripartire dalle condizioni materiali. Raramente ci sono state diversità così enormi nei redditi all’interno dello stesso Paese tra i più ricchi e i più poveri. In tutto il mondo occidentale noi stiamo andando verso la cancellazione delle conquiste che sono avvenute nella seconda metà del XX secolo. Penso all’istruzione di massa, al servizio sanitario nazionale, al Welfare, alle pensioni e quindi bisogna cominciare di nuovo da salute, casa, lavoro. I bisogni materiali. Altrimenti si può parlare molto, ma con la pancia vuota non si va da nessuna parte. Però tutto questo non può essere fatto con le modalità passate.

E sottolineo due aspetti. Penso che sia importante che nella società continuino a esserci dei corpi intermedi. Non condivido l’idea che l’unico rapporto con le istituzioni si fondi su un rapporto diretto tra il singolo cittadino e lo Stato, magari giocato sul computer. Va benissimo l’attività dei social, ma la nostra Costituzione è ancora attuale anche in questo e prevede forme sociali di organizzazione collettiva che sono i corpi intermedi della società. Corpi sociali intermedi sono per esempio i sindacati, i patronati, l’Arci, le grandi organizzazioni che si battono per la salute, i quali fanno sì che il singolo cittadino non resti isolato con il suo problema davanti allo Stato. Una delle difficoltà a sinistra è l’incapacità di ricostruire strutture collettive, che siano capaci di rappresentare la società attuale.

Facciamo un esempio. Ci sono ancora i sindacati, ma si occupano del personale dipendente sostanzialmente con contratti a tempo indeterminato e poco altro. E non riescono, non sono stati capaci di interagire con quella massa enorme di persone che sono fuori da quel mercato del lavoro, con contratti a tempo determinato, contratti a chiamata, contratti a ore, che passano da un stage all’altro, che passano da un corso di formazione all’altro, lavoro nero eccetera… Però la maggioranza delle nuove generazioni ha questo tipo di lavoro, non un contratto a tempo indeterminato. E allora costruire delle realtà collettive, delle strutture intermedie che rappresentano queste persone significa cambiare paradigma. Non possiamo pensare che il modello sindacale ottocento-novecentesco possa coprire la molteplicità di lavori ed i diversi tipi di contratti che esistono oggi o addirittura l’assenza di contratti.

Penso alla necessità di camere del lavoro territoriali, sociali, radicate sul territorio. È necessario un salto culturale. Per esempio, è necessario ricollocare la stessa categoria dei diritti, che devono essere sempre più pensati come diritti universali propri della condizione umana e non più collegati unicamente alla condizione lavorativa. Nel novecento è stata una grande conquista per le donne lavoratrici il diritto alla gravidanza, ma oggi questo diritto deve essere sancito giuridicamente non solo per le donne che hanno un lavoro a tempo indeterminato, ma anche perle tante che si trovano in altre condizioni lavorative e deve essere ampliato e tutelato anche da provvedimenti quali ad es. quelli relativi alla paternità obbligatoria che incentivino   anche   pratiche di equità di genere.

Qualunque donna, che vive nella nostra società, deve avere la possibilità, se lo desidera, di poter procreare senza rischiare economicamente la propria vita e il proprio percorso professionale.

Un altro aspetto da sottolineare è che oggi qualunque riflessione sulla trasformazione delle nostre condizioni di vita non può prescindere dal pensare globalmente; oggi una decisione assunta in un fondo finanziario a Londra, piuttosto che a New York, può cambiare la vita di un contadino che lavora nelle campagne attorno a Napoli. Dobbiamo avere una visione globale, anche per impedire che ci spingano a lottare gli uni contro gli altri.

Un giorno, quando ero al Parlamento Europeo, giunse la notizia del rischio di chiusura di alcune acciaierie italiane; stesi un comunicato stampa e chiesi ai miei colleghi delle altre forze di sinistra presenti in Parlamento di firmarlo e sostenerlo. Mi risposero con un forte imbarazzo; la chiusura delle fabbriche italiane garantiva la sopravvivenza delle acciaierie situate nei loro Paesi.

È la logica del capitale che contrappone gli uni agli altri. Ecco perché è necessario un pensiero globale. Ma i sindacati non sono stati in grado di fare questo salto; nei fatti i sindacati europei esistono come sigla. Come capacità reale di costruire vertenze europee sono a un livello molto basso.

Sono convinto che sia possibile cambiare con l’impegno collettivo, la realtà attuale. Non è illusorio. Ma necessitiamo di paradigmi interpretativi molto diversi rispetto a quelli del passato.

Danilo Minisini e Laura Tussi da Peacelink.it

Rassegna Stampa:

 

Radio popolare:

https://www.peacelink.it/pace/a/46718.html

 

Unimondo:

https://www.unimondo.org/Notizie/I-perche-di-Genova-2001-186902

 

PeaceLink:

https://www.peacelink.it/pace/a/46653.html

 

Pressenza:

https://www.pressenza.com/it/2019/07/i-perche-di-genova-2001/

 

Sito di Vittorio Agnoletto:

https://www.vittorioagnoletto.it/2019/07/15/i-perche-di-genova-2001/

 

AgoraVOX:
https://www.agoravox.it/I-perche-di-Genova-2001-Intervista.html

 

La Bottega del Barbieri:

http://www.labottegadelbarbieri.org/i-perche-di-genova-2001/

 

Articoli correlati

  • Tempi di Fraternità - Riace. Musica per l'Umanità

    CULTURA
    Tempi di Fraternità presenta la Recensione

    Tempi di Fraternità – Riace. Musica per l’Umanità

    La vicenda Riace, è quella di un Sindaco che per avere creato progetti concreti di interazione e di lavoro con i migranti e per aver salvato persone, vite umane, è stato messo in croce dalla giustizia come un delinquente
    5 gennaio 2020 – Danilo Minisini, Tempi di Fraternità
  • Le Città di Nova Milanese e Bolzano per la Memoria storica delle Deportazioni

    PACE
    Le Amministrazioni rendono pubbliche 4 nuove videotestimonianze

    Le Città di Nova Milanese e Bolzano per la Memoria storica delle Deportazioni

    Oltre 220 videotestimonianze di ex deportati civili per motivazioni politiche compongono l’importante Archivio Storico
    26 gennaio 2019 – Laura Tussi
  • Archivio della Rivista Tempi di Fraternità

    PACE
    Da oggi è possibile leggere i numeri e i supplementi di Tempi di Fraternità dal 1994 al 2017

    Archivio della Rivista Tempi di Fraternità

    Tempi di Fraternità è un luogo di accoglienza, punto di riferimento, realtà molteplice di incontri e confronti, dialoghi, rapporti e progetti tra persone che credono nella laicità e nella parità tra donne e uomini
    2 gennaio 2019 – Laura Tussi
  • Inps, invalidi: l'interrogazione parlamentare

    PACE
    Una lotta di civiltà

    Inps, invalidi: l’interrogazione parlamentare

    Attraverso la trasmissione «37e2» di Radio Popolare e un articolo su «ilfattoquotidiano.it», Vittorio Agnoletto, medico e professore universitario, ha posto l’attenzione sulla determinazione presidenziale n. 24 del 13 marzo 2018 dell’Inps
    30 ottobre 2018 – Laura Tussi