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2018: Auguri all’Umanità per evitare il disastro climatico e nucleare

Propositi di „rivoluzione disarmista ed ecologica“ (Carlo Cassola) nel 2018 che ci viene incontro

Noi DE agiamo nell’ambito della “rivoluzione disarmista” (Carlo Cassola): la denuclearizzazione non è un pranzo di gala ad uso dei balletti diplomatici. Sono necessari profondi cambiamenti, che hanno il loro motore nella rivolta geopolitica degli Stati (attualmente in fase embrionale) sostenuta dalla mobilitazione di base (anche qui siamo molto al di sotto del necessario). L’ordigno (non arma) nucleare, inserito nel suo apparato globale, cambia la natura del potere e della guerra. Non è equivalente alle “armi di distruzione di massa” che pure sono state usate: le chimiche in particolare in modo diffuso durante la prima guerra mondiale. Il potere nucleare crea un differenziale di potenza che fa fare un salto di qualità allo Stato che possiede gli ordigni “atomici”. Si ha una differenza di status e di rango nell’agone internazionale che le armi chimiche (ma anche quelle biologiche) non procurano. La guerra nucleare inoltre non è guerra ma uno sconvolgimento distruttivo di altra natura, da paragonare, nell’uso limitato, alle catastrofi naturali, nell’uso bellico ai cataclismi planetari. L’uso dell’arma chimica non cambia la natura della guerra, il suo modo fondamentale di combatterla, i suoi scopi, il suo senso. (Questo vale a maggior ragione per altre categorie di armi proibite: le mine antiuomo, le cluster bombs). Questi concetti però non sembrano chiari per chi afferma: togliere le armi nucleari non è poi così turbativo dell’ordine vigente, non richiede grossi cambiamenti. La stessa NATO si potrebbe, a loro avviso, denuclearizzare e rimanere nella sostanza tale e quale. Il presupposto dei pacifisti ispirati al marketing americano è: „queste armi sono dinosauri di un’epoca tecnologica trascorsa, se volete preparare ed eventualmente fare la guerra avete modi più moderni ed efficaci (anche se noi e voi ovviamente preferiamo la pace)“. Il 19 maggio nell’incontro internazionale di Milano ci sforzeremo di chiarire ed approfondire perché questo punto di vista è erroneo e fuorviante. E paradossalmente in ciò siamo confortati dal pensiero militare più avveduto e scaltrito: cito in proposito il generale Fabio Mini di “Che guerra sarà”, Il Mulino, 2017, che ho appena letto con estremo interesse. Uno dei punti che Mini spiega e sottolinea è che per le due massime potenze nucleari la tensione è rivolta verso la guerra preventiva, alla ricerca del primo colpo nucleare vincente: se ne facciano una ragione tutti coloro che parlano in modo sempliciotto di disarmo nucleare liscio e facile. L’obsolescenza del nucleare potrebbe scattare se, come si accennava, altre forme di armi e di guerra potessero provocare lo stesso differenziale di potenza: la capacità teorica di chi ne è dotato di annientare totalmente, e senza ripercussioni, chi non ne è dotato. Mini si chiede se la cyberguerra può raggiungere la stessa capacità e funzione: ma al momento la risposta è negativa. Essa – cyberguerra – è attualmente integrata nel sistema della potenza che ha al suo cuore il nucleare, e ne aumenta il rischio. Per Mini una futura guerra nucleare è più che probabile, se si sta alle logiche ed alle tendenze in atto, che di fatto la preparano e la avvicinano. L’altro punto che ci differenzia è la centralità del rischio nucleare, che in noi prevale sui ragionamenti geopolitici e giuridici. Vale a dire che per noi, in ragione del pericolo mortale – incombente e concretissimo – che occorre scansare, la denuclearizzazione, ed in particolare il disarmo nucleare, è la priorità delle priorità. Nessun ragionamento geopolitico (il disarmo favorirà negli equilibri di potenza questo o quello?) o giuridico (per rimuovere le „atomiche“ si deve chiedere il permesso, a livello internazionale e/o nazionale, alla legge X o alla procedura Y?) può essere messo prima. Quando parliamo con gli Stati NATO a noi non interessa sapere se la denuclearizzazione la indebolirà – la NATO – oppure se essa – denuclearizzazione – è compatibile con lo statuto dell’Alleanza e le sue strategie. Noi prospettiamo ai governi NATO, come a chiunque, il punto di vista dell’Umanità che vuole sopravvivere liberandosi da un rischio mortale. Spetta poi ai governi gestire il processo di eliminazione del rischio, se lo ritengono, conservando (o tentando di conservare) vecchi quadri giuridici e di alleanze politico-militari. Non è compito nostro avere preoccupazioni o dare consigli in merito. Ad ognuno il suo ruolo ed il suo mestiere. Quello che anima i DE è la consapevolezza ma anche il sentimento della minaccia esistenziale che è un imperativo categorico neutralizzare. E‘ il sentimento – non scontato – di chi pone l’amore ed il rispetto della vita (= la convivenza armonica tra società umana e Natura) come valori centrali. Ma anche la consapevolezza che la minaccia esistenziale globale ha tre inneschi innestati: 1) il nucleare, sia civile che militare; 2) lo squilibrio ecologico, con al centro il riscaldamento globale da combustibili fossili; 3) la diseguaglianza sociale crescente che la tecnologia della potenza sta trascinando persino sul livello biologico: lo stesso Mini ci ricorda che il Supersoldato sta trainando il Superuomo! Riguardo alla strategia politica internazionale abbiamo posto il problema della centralità del Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari rispetto al Trattato di Non Proliferazione delle stesse. Il ritmo lento delle ratifiche (solo 3 ufficiali dopo 5 mesi mentre l’accordo di Parigi sul clima dopo 4 era già entrato in vigore! Ed è, questo di Parigi, un accordo che ha aperto una vera faglia geopolitica!) ci deve spingere a riflessioni e probabilmente a riconsiderazioni. Cassola è sempre lì ad ammonirci sul rischio di Patti alla Briand-Kellog (nel 1928 la guerra venne dichiarata fuori legge!): quindi occhio alla Nuclear Free Zone globale, il nostro obiettivo è il disarmo nucleare totale ed effettivo. Vediamo cosa succederà questo 2018 quando il „fronte del TPAN“ (speriamo si riveli tale e che almeno non ci siano defezioni tra i 122 Stati che il 7 luglio a New York lo anno adottato!) si confronterà con il „fronte del TNP“, intendendo con questa espressione le potenze che di esso si fanno scudo per giustificare il loro „oligopolio atomico“. Noi abbiamo comunque sempre giocato una seconda carta da proporre come complementare: affiancare il „percorso umanitario“, oggi premiato dal Nobel per la pace, con il „percorso di Parigi“: dobbiamo aiutare la maturazione della consapevolezza e dell’impegno che la difesa della vita e del Pianeta da tutte le minacce esistenziali esige una limitazione della sovranità degli Stati nel senso del bene comune. La rivoluzione disarmista, cioé l’Internazionale dell’Umanità, il federalismo mondiale che – nella cooperazione che crea sicurezza comune – abolisce frontiere ed eserciti nazionali, per noi è anche una rivoluzione ecologista: al cuore di essa ci sta la rapida transizione verso il „modello energetico rinnovabile al 100%“: e qui trova spazio e senso l’azione locale, territoriale, che deve inserirsi in un obiettivo globale con un coordinamento internazionale. Per questo, promuovendo „Il Sole di Parigi (www.ilsolediparigi.it)“, partecipiamo alle COP dell’ONU contro il riscaldamento globale e ora stiamo lavorando per portare la „Coalizione per il Clima“ a lavorare per il TPAN anche alla COP 24 che si terrà nel novembre 2018 in Polonia. Nel sito www.disarmistiesigenti.org ci presentiamo così: „I “Disarmisti esigenti” sono un progetto politico di attiviste e attivisti e personalità nonviolente, nonché di organizzazioni internazionali, nazionali e locali che lavorano per la pace e il disarmo. La nostra nascita nel 2014 avviene in risposta alla chiamata dell’appello di Stéphane Hessel ed Albert Jacquard ad “esigere un disarmo nucleare totale”. Abbiamo quindi dato vita e gambe ad un accordo operativo che si costituisce come strumento culturale e politico per contribuire al movimento mondiale antinucleare, impegnato a liberare l’umanità dalla principale minaccia esistenziale che pende sulla sua testa. Ciò significa e comporta, tra l’altro, radicare in Italia la Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari, con l’ambizione, da parte nostra, che sia condivisa a livello globale la necessità di una rapida transizione dalla proibizione giuridica (processo aperto dal Trattato del 7 luglio 2017) alla loro totale eliminazione fisica. Questo obiettivo, incoraggiato dal conferimento del premio Nobel per la pace ad ICAN (www.icanw.org), richiede una strategia ed un lavoro con un’ottica internazionale che rappresenta il nucleo della nostra ragion d’essere.” Le organizzazioni fondatrici del progetto, la LOC, la LDU, la Campagna OSM-DPN, con i loro stretti partner (WILPF Italia, PeaceLink, Energia Felice, Accademia Kronos, la francese Armes Nucléaires STOP), sono di natura nonviolenta. Questo spiega il tentativo di un metodo di lavoro aperto, inclusivo, attento al lavoro di base, che prende ispirazione dall’esperienza del vero erede di Aldo Capitini, il nostro caro Alberto L’Abate, appena scomparso, ma compresente. L’ancoraggio a questo metodo ci ha fatto lanciare, grazie alla collaborazione della senatrice Loredana De Petris, l’11 dicembre scorso, con una conferenza stampa al Senato, la campagna „Siamo tutti premi Nobel“. Per noi ICAN non è un feudo di lobbysti del pacifismo, ma la casa di tutte le attiviste e gli attivisti che si sono battuti ed intendono battersi per la denuclearizzazione, con lotte ad ogni livello, alcune risalenti a decenni fa. L’appello è a tutti i soggetti collettivi dell’associazionsimo, grandi, medi, piccoli, a diventare membri ICAN. E’ stato, da noi diffuso, in quella occasione, con i No Guerra NO NATO, e con Pax Christi, un comunicato comune (vai su: https://www.petizioni24.com/impegnodisarmistaparlamentari ) che costituirà anche la base per una richiesta di impegno coerente per i candidati nelle forze politiche che si presentano alle prossime elezioni politiche del 2018. L’impegno richiesto specifica che promuovere la firma e la ratifica, da parte del Governo italiano, del TPAN comporta, per conseguenza logica, politica ed etica, la rimozione di tutto il dispositivo del nucleare militare dal territorio italiano e la fuoriuscita dalla condivisione nucleare NATO.

Alfonso Navarra – portavoce Disarmisti Esigenti Milano 30 dicembre 2017

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3-SUN: a Catania nuovi pannelli con finanziamento europeo

Il progetto è finanziato dal programma europeo di ricerca e innovazione Horizon 2020 European Call LCE-09-2016-2017, finalizzato all’incremento della competitività delle industrie Europee nel fotovoltaico, è coordinato da 3SUN.

AMPERE ha l’obiettivo di sviluppare una linea pilota completamente automatizzata per la produzione di moduli basati su una tecnologia innovativa ad alta efficienza. Il nuovo modulo sarà di tipo bifacciale a eterogiunzione di silicio amorfo e cristallino, una soluzione che garantisce alte performance, in termini di efficienza e produttività e un basso deterioramento dei pannelli. I nuovi moduli saranno realizzati nella prima metà del 2018, per arrivare rapidamente a una produzione massima di 240 MWp nel 2019.

L’importo del finanziamento per il consorzio AMPERE ammonta a 14 milioni di euro (di cui 8,3 per 3SUN e 0,5 per Enel Green Power) destinati all’acquisizione e installazione di attrezzature automatizzate presso l’impianto di 3SUN, per la realizzazione di una linea produttiva di celle in tecnologia ad eterogiunzione.

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Rischio perdite da 22 miliardi di euro nel 2030 per le centrali a carbone europee

Carbon Tracker:  rischio perdite da 22 miliardi di euro nel 2030 per le centrali a carbone europee

Carbon Traker, uno dei più importanti “think tank” europei con sede a Londra, ha pubblicato uno studio “Lignite of the living dead” nel quale si indicano possibili perdite nei prossimi anni per le aziende europee che gestiscono centrali a carbone. Già adesso 196 delle 619 centrali a carbone è in perdita, senza calcolare i danni ambientali.

La previsione scaturita da una attenta analisi degli indici economici (BAU) delle principali aziende europee che operano nel settore della produzione di energia con centrali a carbone indica che nel 2030, nello scenario di applicazione degli accordi Parigi sul clima (B2DS) , saranno quasi tutte in rosso. Chiuderle, come indica lo studio, eviterebbe perdite per ben 22 miliardi di euro.

Interessanti alcuni dati che emergono dal rapporto per alcuni paesi: la Germania, che è il paese con il maggior numero di centrali a carbone, chiudendole eviterebbe 12 miliardi di perdite, la Polonia dove si svolgerà il prossimo anno la COP24 eviterebbe perdite per 2,2 miliardi. Per l’Italia che già prevede la dismissione delle 6 centrali a carbone esistenti i costi sono quasi a zero ma con una significativa riduzione dell’inquinamento ambientale e della emissione di CO2.

Giuseppe Farinella

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ISTITUZIONI​ ​CATTOLICHE​ ​DA​ ​TUTTO​ ​IL​ ​MONDO​ ​NEL PIÙ​ ​AMPIO​ ​ANNUNCIO​ ​CONGIUNTO​ ​DI DISINVESTIMENTO​ ​DAI​ ​COMBUSTIBILI​ ​FOSSILI

40​ ​istituzioni​ ​prendono​ ​parte​ ​all’annuncio:​ ​tra​ ​queste​ ​le​ ​istituzioni cattoliche​ ​di​ ​Assisi​ ​ed​ ​una​ ​banca​ ​cattolica

Una coalizione di istituzioni cattoliche annuncia oggi il proprio disinvestimento dai combustibili fossili. Con 40 organizzazioni, si tratta del più ampio annuncio congiunto di disinvestimento da parte di organizzazioni di ispirazione religiosa. Le istituzioni provengono dai 5 continenti e rappresentano realtà diverse:​ ​dagli​ ​istituti​ ​religiosi​ ​alle​ ​istituzioni​ ​finanziare,​ ​fino​ ​alle​ ​alte​ ​gerarchie​ ​della​ ​Chiesa.

La decisione di rimuovere il proprio sostegno finanziario ai combustibili fossili è basata sia sul valore condiviso della cura della casa comune che sulla prospettiva finanziaria di preparare le basi per un’economia​ ​a​ ​impatto​ ​zero​ ​di​ ​carbonio.

Ad Assisi, città di San Francesco e luogo sacro profondamente significativo per gli 1.2 miliardi di cattolici in tutto il mondo luogo e meta di numerosi pellegrinaggi ogni anno, tre istituzioni cattoliche ed il Comune hanno deciso di disinvestire. Il gruppo cattolico include il Sacro Convento, complesso monasteriale e luogo sacro che ospita la Tomba di San Francesco, Santo da cui Papa Francesco ha preso ispirazione tanto per il nome quanto per la Laudato Si’. Il Sacro Convento è considerato la casa spirituale dei​ ​fratelli​ ​francescani​ ​nel​ ​mondo.

Ad Assisi, insieme al Sacro Convento, presenti nell’annuncio di disinvestimento anche la Diocesi umbra di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino e l’Istituto Serafico per sordomuti e per ciechi, un ente ecclesiastico​ ​senza​ ​scopo​ ​di​ ​lucro​ ​che​ ​fornisce​ ​assistenza​ ​ai​ ​bambini​ ​disabili.

In maniera complementare, anche il Comune di Assisi ha annunciato il proprio disinvestimento dai combustibili​ ​fossili.

Oltre all’importante annuncio significativo dalla città di San Francesco, diverse realtà cattoliche in tutto il mondo hanno deciso di abbandonare l’investimento in combustibili fossili. In Sudafrica, l’Arcidiocesi cattolica di Città del Capo ha investito in fondi sociali ed etici. La Conferenza Episcopale del Belgio, braccio operativo della Chiesa Cattolica in Belgio, è la prima conferenza episcopale al mondo che si unisce all’annuncio di disinvestimento. Ai vescovi in Belgio si unisce il Vicariato di Brabant en Mechelen.

Queste realtà spirituali sono accompagnate da realtà operanti nel settore finanziario. Due istituzioni finanziarie hanno annunciato il proprio disinvestimento. La Banca per la Chiesa e la Caritas della Germania è una delle prime banche cattoliche al mondo a disinvestire dai combustibili fossili. L’ente finanziario, che ha un bilancio di 4,5 miliardi di euro, disinveste da carbone, sabbie e scisti bituminosi in quanto​ ​considerato​ ​moralmente​ ​imperativo​ ​e​ ​fiscalmente​ ​responsabile.

La banca è seguita nel disinvestimento da Oikocredit Belgium, un’istituzione finanziaria ecumenica e uno dei maggiori enti di finanziamento privato in termini di microfinanza. Ad Oikocredit si uniscono altre 12 istituzioni​ ​belghe.

Le realtà sopra citate sono tra le 40 che hanno disinvestito in totale. L’impegno comune di 40 istituzioni religiose più che quadruplica le dimensioni dell’annuncio congiunto cattolico pubblicato nel mese di maggio, quando nove organizzazioni cattoliche hanno comunicato la propria scelta di disinvestimento. Fino​ ​ad​ ​oggi,​ ​circa​ ​5​ ​trilioni​ ​di​ ​dollari​ ​sono​ ​stati​ ​tolti​ ​dai​ ​combustibili​ ​fossili.

Questo importante annuncio di disinvestimento avviene nell’ambito del “Tempo del Creato”, il mese di celebrazioni​ ​dedicato​ ​alla​ ​preghiera​ ​ed​ ​azione​ ​per​ ​il​ ​Creato,​ ​condivisa​ ​da​ ​una​ ​vasta​ ​comunità​ ​ecumenica.

Per​ ​maggiori​ ​informazioni,​ ​contattare:

Belgio:​ ​​ ​Karel​ ​Malfliet,​ ​Ecokerk,​ ​+32(0)478.65.12.93,​ ​​karel@ecokerk.be Germania:​ ​Kate​ ​Cahoon,​ ​Germany​ ​Campaigner,​ k​​ ate@350.org Sud​ ​Africa:​ ​Kevin​ ​Roussel,​ ​Direttore​ ​Esecutivo,​ ​Catholic​ ​Welfare​ ​and​ ​Development

+27606855749​ ​kevin.roussel@cwd.org.za USA:​ ​Rebecca​ ​Elliott,​ ​Movimento​ ​Cattolico​ ​Mondiale​ ​per​ ​il​ ​Clima,​ ​202.717.7228,

reba@catholicclimatemovement.global

Il Movimento Cattolico Mondiale per il Clima è una comunità di centinaia di migliaia di individui Cattolici ed una rete globale di organizzazioni che intendono rispondere alla chiamata ad agire di Papa Francesco​ ​nell’Enciclica​ ​Laudato​ ​Si’.

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FOTOVOLTAICO BATTE CARBONE IN MAROCCO

L’ energia elettrica prodotta in Marocco nella centrale fotovoltaica NOOR4 costerà meno di 0, 04 euro a kWh. Meno di quella prodotta con il carbone. Un grande risultato a dimostrazione che insieme a idroelettrico,  eolico e biomasse le rinnovabili sono il futuro del pianeta.

NOOR4 è parte del complesso di produzione di energia elettrica più grande del mondo NOOR.

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Trump alla fine decide: U.S.A. fuori dall’Accordo di Parigi – di Alfonso Navarra

Trump alla fine decide:  U.S.A.  fuori dall’Accordo di Parigi

 di Alfonso Navarra

 

Non era un esito scontato. Dopo averci tenuto sulle spine dal G7 di Taormina, il presidente degli USA Donald Trump alla fine, all’insegna dell'”America first!”,  si è deciso ed ha deciso male. Ha ufficializzato, nonostante forti pareri contrari all’interno della sua stessa Amministrazione (la figlia Ivanka, Rex Tillerson…), scavalcando il Congresso, che recederà dall’Accordo di Parigi sul clima globale. (Teniamo presente che gli Stati Uniti non hanno ancora ratificato Kyoto 1992 di cui Parigi 2015 si presenta come uno sviluppo!). Ignora i moniti  sempre più allarmanti della comunità scientifica liquidati nei tweet e nei comizi come “bufale inventate dai cinesi” e mette a rischio le speranze dell’Umanità di uscire con (relativamente) poche ammaccature dalla gavissima crisi ambientale che  un effetto serra sempre più acuto porta con sé.

(Per dettagli sulla notizia: http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/oltreradio/2017/05/31/clima-trump-ritira-gli-stati-uniti-dallaccordo-di-parigi_02e97b4c-5212-43d8-8b0f-334fcc759970.html)

La decisione, che colloca gli USA sulla stessa posizione recalcitrante di Siria e Nicaragua, va a terremotare un processo diplomatico pluriennale che alla COP 21 di Parigi aveva registrato l’unanimità sul documento finale,  ma ancora insufficiente a contenere l’aumento di temperatura entro i limiti indicati dalla comunità scientifica internazionale.  (Si stima la capacità di contenimento degli impegni volontari degli Stati a 3,5° C, mentre l’obiettivo sarebbe di 2° C, “preferibilmente” 1,5 per non fare finire sott’acqua interi Stati).

E’ molto importante tenere presente che, ai sensi dell’art. 28 dell’accordo di Parigi (il testo lo si trova, sul sito del Ministero dell’ambuiente, al seguente link in traduzione italiana: http://www.minambiente.it/sites/default/files/archivio/allegati/cop21/ACCORDO%20DI%20PARIGI%20Traduzione%20non%20ufficiale.pdf ), per il ritiro effettivo degli USA ci vorranno 4 anni di tempo, quindi – salvo ripensamenti – esso avverrà il 4 novembre 2020, nel pieno della campagna elettorale per la presidenza.

La UE e la Cina hanno subito protestato e proclamato di voler andare avanti comunque senza che il Patto sia toccato: ma resta da vedere quanto pesi la retorica che copre  la sostanziale mancanza di una volontà politica condivisa per agire collettivamente, in modo immediato e drastico.

Dal dispaccio ANSA citato possiamo leggere della nota congiunta di Merkel, Macron e Gentiloni:  “L’Accordo di Parigi rimane una pietra angolare della cooperazione tra i nostri paesi per affrontare efficacemente e tempestivamente i cambiamenti climatici e per attuare gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda del 2030. Crediamo fermamente che l’accordo di Parigi non possa essere rinegoziato, in quanto strumento vitale per il nostro pianeta, le società e le economie. Siamo convinti che l’attuazione dell’accordo di Parigi offra grandi opportunità economiche per la prosperità e la crescita nei nostri paesi e su scala globale“.

Si è già accennato a Siria e Nicaragua, ma dopo gli USA possiamo temere che altri  dei 195 paesi firmatari si tirino indietro.  Tra le realtà importanti, dobbiamo puntare i riflettori in particolare sulla tentennante Russia, che potrebbe anche essa ripensarci insieme all’India. Attualmente l’accordo di Parigi è ratificato da 147 Stati tra i quali l’Italia, che ha sfornato di recente, con il governo Gentiloni, una Strategia energetica nazionale (SEN), che – praticamente lo ignora.

Sempre dal citato dispaccio ANSA riportiamo i seguenti dati sulle emissioni di CO2, parametro con cui si valuta l’effetto serra: ” Gli Stati Uniti sono il secondo produttore mondiale di gas serra, con il 15% delle emissioni globali (dati 2015). Il primo produttore è la Cina, con il 29%. Nel 2015 le emissioni cinesi sono calate dello 0,7% e nel 2016 di un altro 0,5%. Nei dieci anni precedenti, la produzione di gas climalteranti del Dragone aumentavano in media del 5% ogni anno. Il calo è dovuto alla chiusura di centrali a carbone e all’apertura di centrali nucleari, rinnovabili e a gas. La Cina, priva di petrolio e avvelenata dal carbone, ha convenienza a puntare su eolico e fotovoltaico e sta investendo in questi settori in modo massiccio. Gli Usa nel 2015 avevano tagliato le emissioni del 2,6% e nel 2016 dell’1,7%, grazie a notevoli investimenti sulle rinnovabili, favoriti dall’amministrazione Obama. Il terzo produttore mondiale di gas serra è l’Unione europea, con il 10%. Negli ultimi vent’anni le sue emissioni sono scese costantemente, grazie al ruolo delle rinnovabili, ma nel 2015 sono salite dell’1,4%. I problemi vengono dall’India, che contribuisce per il 6,3% alle emissioni globali e nel 2015 ha aumentato la sua produzione di gas serra del 5,2%“.

Il problema, per il tycoon diventato presidente, è non comprendere che in gioco c’è molto di più dei lavoratori americani nel settore fossile e carbonifero, c’è la Madre Terra con tutti i suoi abitanti umani e non umani. L’unica strada efficace per rispondere alla sfida sarebbe quella di abbandonare immediatamente, cioé massimo entro 30 anni, i combustibili fossili, tagliare loro i sussidi pubblici, imporre una carbon tax, procedere alla conversione ecologica di produzione e consumi, come auspicato, tra gli altri, da Papa Bergoglio.

Un dato della situazione su cui riflettere è che la gran parte dell’industria americana, comprese le multinazionali energetiche, non intende seguire la logica di Trump. Lo si evince da un appello (evidentemente iascoltato) apparso per diversi giorni sui più importanti giornali americani. Ecco quanto hanno firmato non solo i giganti della Silicon Valley, ma tutti i top manager dell’economia statunitense, inclusi quelli della EXXON (da cui proviene il Segretario di Stato Rex Tillerson). “Stiamo investendo nelle tecnologie innovative che possono aiutarci a conquistare una transizione verso l’energia pulita. E proprio in virtù di questo passaggio, il Governo deve supportarci“.

(Sul Financial Times possiamo leggere – pagando – l’appello sotto il titolo di “Exxon urges Trump to keep US in Paris climate accord” : https://www.ft.com/content/acf309b0-13b3-11e7-80f4-13e067d5072c)

Da “Repubblica on line”, in un pezzo firmato da Raffaella Scudieri”, apprendiamo di defezioni importanti dallo staff di Trump per protesta. Si cita  Lloyd Blankfein, il CEO della Goldmnan Sachs, che per l’occasione ha twittato per la prima volta in vita sua: “La decisione di oggi è un ostacolo per l’ambiente e per la posizione della leadership americana“. E il suo dissenso non è poco, visto che in molti si sono sempre riferiti all’amministrazione Trump con l’appellativo “Government Sachs”, dato il  numero impressionante di personaggi sbarcati da quella banca alla Casa Bianca.

(Si vada su: http://www.repubblica.it/ambiente/2017/06/02/news/usa_l_industria_americana_fa_muro_contro_trump_e_nuove_alleanze_crescono-167033013/)

Fabrizio Tonello riflette su il Manifesto di oggi, 2 giugno 2017, nell’articolo intitolato: “Energia, la scelta del tycoon”, su quanto la decisione di Trump di recedere da Parigi possa riflettere una divisione strategica in corso nel “capitalismo USA”, che così prospetta: “La coalizione del «vecchio» (finanza, petrolio, armamenti) o quella del «nuovo» (energie rinnovabili, sharing economy)?

Il commentatore avanza la seguente ipotesi: “I due modelli possono, in realtà, convivere benissimo: negli otto anni di amministrazione Obama le banche non si sono impoverite, i petrolieri hanno continuato a fare profitti, i mercanti di cannoni hanno esportato più di quanto non facessero con Bush e Clinton. Trump sembra però voler accelerare nel ripristinare il dominio di Wall Street e del Pentagono e difendere gli immensi investimenti dell’industria petrolifera e carbonifera, che rifiutano di essere svalutati da una transizione verso le energie rinnovabili“.

Concludo questo articolo con un riferimento alla COP 23, la Conferenza ONU delle parti che si terrà a  Bonn il prossimo novembre (per la precisione, dal 6 al 17 novembre); la quale – riprendendo il filo del lavoro della COP 22 del Marocco, a sua volta proseguimento della COP 21 di Parigi (quella, appunto, dell’accordo) – è intervenuta con il suo presidente, il fijiano Frank Bainimarama, a biasimare Trump e a ricordare che oggi non si può scherzare col fuoco climatico . “Quale presidente della imminente COP23, ribadisco che farò tutto il possibile per continuare a creare una grande coalizione che accelererà lo slancio che non si è interrotto dopo l’accordo di Parigi. La coalizione comprenderà in una sinergia ancor più collaborativa  i governi, la società civile, il settore privato e milioni di uomini e donne ordinari di questo mondo. Sono anche convinto che il governo degli Stati Uniti ritornerà alla nostra lotta perché la prova scientifica del cambiamento climatico creato dall’uomo è ben fondata e compresa. Il problema è squadernato e gli impatti sono evidenti: l’umanità non può ignorare questi fatti se non a suo rischio e  pericolo“.

(La dichiarazione completa si può leggere in inglese alla URL: https://cop23.com.fj/statement-fijian-prime-minister-incoming-president-cop23/)

 

 

 

 

 

 

 

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La Strategia energetica nazionale di Calenda è inutile – di Mario Agostinelli e Roberto Meregalli

16 maggio 2017

Il 10 maggio in audizione alla Camera, il ministro Carlo Calenda, insieme al collega Galletti, ha presentato la nuova Strategia energetica nazionale (Sen). Quarantasette slide per elencare obiettivi in materia di sicurezza, decarbonizzazione ed efficienza per l’anno 2025 [qui il documento].

Competitivitàambiente e sicurezza sono i tre pilastri della nuova Sen, esattamente gli stessi di quella 2013 (ma nel 2013 ce n’era un quarto: favorire la crescita economica attraverso lo sviluppo del settore energetico). Competitività significa prezzi dell’energia in linea con quelli dei “concorrenti” europei, ambiente allineamento con i target europei, sicurezza significa diversificazione dei fornitori di gas perché più sono e meno siamo dipendenti da uno di essi.

La prima sensazione, vedendo questa presentazione è quella di trovarsi di fronte ad un documento che recepisce genericamente i cambiamenti in atto nel settore energetico unitamente agli obiettivi europei in tema di ambiente e nulla più. Il che francamente risulta molto deludente e riconferma i dubbi di coloro che si chiedono quale utilità pratica abbia questa nuova Sen.

Sul fronte dell’efficienza si sottolinea come le misure relative al settore residenziale siano troppo costose, parliamo delle detrazioni fiscali, per cui se ne prevede una revisione che probabilmente mirerà a concentrare le risorse verso interventi strutturali sugli edifici. Di positivo l’annuncio di un fondo di garanzia per eco-prestiti prendendo come modello quanto realizzato in altri paesi europei.

Sulla mobilità si evidenzia come nel nostro paese circolino 16,7 milioni di autovetture molto inquinanti (euro 0-3) e che quindi sia quanto mai urgente uno svecchiamento. Però come misure si parla concretamente solo di gas metano (si annuncia il decreto tanto atteso sul biometano!) e di biocarburanti, accennando alla conversione delle raffinerie in bioraffinerie: la materia dei biocarburanti si traduce in sostanza in banali percentuali nella miscelazione del carburante.

Per l’auto elettrica si parla di incentivi solo per dire che “dovranno essere proporzionali al differenziale di emissioni e di efficienza energetica” ma non c’è nessuna cifra obiettivo, niente di niente, nessuna strategia. Viene da pensare che se ci sarà uno sviluppo della mobilità elettrica in Italia sarà per effetto delle imprese, Enel in primis (è di fresca la nomina dell’ex ad di Enel Green Power alla nuova divisione che dovrà, fra le alte cose, occuparsi proprio di e-mobility). Mentre l’Unione petrolifera prevede che nel 2030 si venderanno solo 150mila elettriche (saranno solo lo 0,5% del parco autoveicoli), Enel stima invece che già nel 2020 nel nostro paese se ne venderanno 90mila rispetto alle 2.560 vendute nel 2016. Il governo invece alla Ponzio Pilato, non prevede proprio nulla. Sta alla porta si direbbe.

Il vero pezzo forte della nuova Sen, quantomeno quello adatto a conquistare l’attenzione dei media è però il target sul carbone, nell’ambito della generazione elettrica. Vengono ipotizzati tre scenari di uscita dal carbone con orizzonti 2025-2030.

Uno inerziale, che prevede la dismissione di 2 GW e il mantenimento di quattro impianti (Torrevaldaliga Nord, Brindisi Sud, Fiumesanto e Sulcis); uno “intermedio” che prevede anche la chiusura di Brindisi, e infine uno radicale che prevede la chiusura di tutte le centrali. Per tutti e tre gli scenari sono indicati i “costi” che il sistema dovrebbe accollarsi (ergo i cittadini) per sostituire questa generazione col gas e con nuovi investimenti nelle reti. L’ultimo scenario costerebbe però circa 3 miliardi di euro in più rispetto allo scenario base perché, secondo quanto detto dal ministro Calenda, richiederebbe investimenti tra 8,8 e 9 miliardi di euro sulla rete. Ma lo scenario “inerziale” rappresenta semplicemente quello che le imprese hanno già deciso autonomamente (anzi potremmo pure dire in contrato col ministero). Lo scenario zero carbone, se fissato al 2025 comporta il mancato ammortamento dei Torre Valdaliga Nord, l’ultima centrale costruita in Italia.

Per il gas ovviamente si prevede un gran futuro (Eni ha battuto Enel?), poiché serviranno nuove centrali per sostituire il carbone e per gestire la variabilità delle fonti non affrontata con lo sviluppo degli accumuli. Nelle slide si parla di un nuovo rigassificatore, del Tap e dello sviluppo del Gnl (gas naturale liquefatto) e della metanizzazione della Sardegna.

E per le rinnovabili? Gli obiettivi sono quelli europei, quindi 27% dei consumi complessivi lordi al 2030 che tradotti significherebbero quasi il 50% della generazione elettrica (siamo al 33% oggi); 28-30% nel riscaldamento e 17-19% nei trasporti, ma non si dettagliano le fonti.

Che giudizio dare a un primo sguardo? Difficile darne uno positivo. Per prima cosa nelle 47 slide ci sono troppe cose (gasdotti, rigassificatori, Gnl, biometano, rinnovabili, pompe di calore, reti elettriche, mobilità) e di tutte si dice qualcosa di genericamente positivo, ma mancano delle scelte nette e ambiziose. Come sempre, tutto al presente, in una monotona continuità, poco o niente di adeguato al futuro.

Sen inutile quindi, meglio concentrarsi sul Piano Clima ed energia che l’Ue ci chiede e dovremo consegnare in bozza a fine anno.

pubblicato sul sul Fatto Quotidiano (http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/05/16/la-strategia-energetica-nazionale-di-calenda-e-inutile/3589615/)

Commenti che segnaliamo sul sito web del quotidiano

ionic35 

Ma si finanzia sempre e solo un’industria ? quella automobilistica ?

Marvin 

Io devo ancora capire perchè` quando si parla di politiche energetiche si parla di e-mobility. E come parlare dei nuovi frullatori o delle nuove lavatrici e vedere quanto piu` efficenti sono. Davvero siamo ridotti a fare i conti su questi numerini?

Stefano70 

Questa SEN non è inutile… è DANNOSA.
Perché per l’ennesima volta l’Italia perde l’occasione di cavalcare il futuro, scegliendo invece di subirlo, quando si troverà in posizione di inferiorità rispetto alle nuove esigenze (crisi manifesta dei fossili), avendo speso in infrastrutture anacronistiche (TAP, NGL, riconversioni a gas) e senza infrastrutture utili (Smart Grid, servizi prosumer, dorsali potenziate, accumuli).

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Obama gioca sull’accordo di Parigi le sue ambizioni di leader globale di Alfonso Navarra

Abbiamo avuto l’ex presidente “nero” degli Stati Uniti Barack Obama a Milano, accolto con la moglie Michelle come una rock star dalla gente accorsa per vederlo, in visita al Duomo ed al Cenacolo di Leonardo, ricevuto in Comune dal Sindaco Giuseppe Sala che gli ha conferito la cittadinanza onoraria, ospite di lusso in cene mondane a pagamento (850 euro per sedere al suo tavolo) e in convegni per cui ha ricevuto compensi, pare, di 400.000 euro: ho appena visionato in TV lo sketch del figlio di Maurizio Crozza sull’argomento .

Il convegno in questione è Seeds&Chips, svoltosi alla Fiera di Milano Rho in continuità con l’EXPO del 2015.

Il focus del suo intervento nell’occasione, il 9 maggio, è stato proprio l’accordo di Parigi, in fondo una sua creatura, messa oggi a rischio dalla lobby fossile di cui è espressione (tra le altre cose) il nuovo presidente USA (fino a quando in carica? Aspettiamo gli esiti del Russiagate…) Donald Trump.

Ecco quello che, secondo l’ADN Kronos, sarebbe stato il discorso del premio Nobel per la pace:

L’accordo di Parigi è stato un momento di azione collettiva senza precedenti. Certo – ha detto – non ha risolto il problema del cambiamento climatico, non ha stabilito standard sufficientemente elevati, ma ha creato una impalcatura, una architettura e un meccanismo attraverso cui ogni anno ogni Paese poteva ridurre progressivamente le proprie emissioni di gas serra“.

Donald Trump sarà pure scettico (nella campagna elettorale l’effetto serra era una hoax=bufala inventata dai cinesi e le pagine sul cambiamento climatico sono state cancellate dal sito della Casa Bianca) e sembra ora non sappia bene che fare ma, Obama si è detto convinto che gli Usa non invertiranno senso di marcia, pur con qualche possibile rallentamento. “Il settore privato ha già deciso che il nostro futuro è quello delle energie pulite e sta investendo in quella direzione“, ha spiegato.

Gli Stati Uniti devono dare l’esempio al mondo intero ed essere leader nella lotta al cambiamento climatico – ha continuato Obama – Gli Stati Uniti e l’Europa devono dare il buon esempio nel contrasto ai cambiamenti climatici, in particolare ai Paesi emergenti che ci stanno guardando“.

Bisogna cambiare anche il modo in cui si fa agricoltura. Nel giro di pochi decenni l’agricoltura potrebbe essere causa del 60-70% delle emissioni di gas serra a livello mondiale. Dobbiamo intraprendere un percorso verso un futuro sostenibile, investendo sull’agricoltura con impegni privati e con le ultime tecnologie disponibili“, ha aggiunto.

L’ANSA ha riportato un altro punto fondamentale del suo discorso. L’impegno di Obama dopo aver lasciato la Casa Bianca sarebbe quello di “formare la prossima generazione di leader” nel mondo. L’ex presidente Usa nel suo discorso di Milano ha spiegato che di questo ha discusso anche con il segretario del PD Matteo Renzi (che ha ringraziato per aver contribuito all’esito di Parigi) per “creare una rete efficiente di attivisti globali“.

L’impegno americano preso per Parigi era quello di diminuire del 28% le emissioni di CO2 entro il 2025 ma secondo il New York Times, articolo di Brad Plumer intitolato: “Stay In or Leave the Paris Climate Deal? Lessons From Kyoto”, apparso il 9 maggio 2017 (vai su https://www.nytimes.com/2017/05/09/climate/paris-climate-agreement-kyoto-protocol.html?_r=0), può essere tranquillamente ridimensionato senza andare contro le regole dell’accordo COP21.

Questo viene sottolineato dal New York Times per ricordare a Trump che la scelta non è solo “prendere o lasciare”, si può anche seguire una via di riduzione degli impegni che può permettergli, per così dire, di salvare la faccia, non isolandosi dal mondo che ribadisce che i risultati di Parigi vanno salvaguardati (si veda la prima telefonata del neopresidente francece Macron al presidente cinese Xi Jinping).

Su questo sito del “Sole di Parigi” abbiamo ricordato che al G7 energia tenutosi in aprile a Roma la dichiarazione congiunta dei sette Paesi – USA, Canada, Giappone, Francia, Italia, Germania, Gran Bretagna – che avrebbe dovuto rafforzare la cooperazione mondiale contro il global warming, è saltata perché la delegazione americana ha mantenuto fede alla sua tesi di clima-scetticismo, mettendo in forse la sua permanenza nell’intesa sottoscritta nella capitale francese due anni fa.

Poi abbiamo saputo dalla Reuters che sarebbero favorevoli a rimanere nell’accordo proprio l’ex petroliere Rex Tillerson messo a Segretario di Stato, insieme al segretario per l’energia Rick Perry, ma appunto a determinate condizioni: ad esempio versare meno dollari nel Green Climate Fund e appianare il previsto taglio delle emissioni, andando così incontro alle richieste delle lobby fossili, soprattutto l’industria petrolifera.

In questi suoi primi 100 giorni Trump, per sì e per no, ha già impresso una svolta “nera” alle politiche verdi di Obama, prima rimettendo in pista la costruzione dell’oleodotto Keystone XL, poi schierandosi totalmente contro il Clean Power Plan sulle emissioni delle centrali a carbone.

Non tutta l’America la pensa così, per fortuna, anzi simpatizza con la green economy, e non solo a livello di opinione pubblica (come indicano i sondaggi riportati dal citato articolo del NYT): lo Stato di California, ad esempio, di recente ha annunciato l’obiettivo di ripulire completamente il mix elettrico entro il 2045, affidandosi unicamente alla produzione di energia rinnovabile.

Ma tornando a cosa farà da grande Obama dopo la fine dell’incarico presidenziale, possiamo individuare nel suo viaggio milanese la prima manifestazione di una sua ambizione a candidarsi come “leader del mondo”, promotore di una “internazionale democratica” , riconosciuto come “capo” da Matteo Renzi in una intervista rilasciata il 10 maggio al Corriere della Sera (vai su: http://www.corriere.it/politica/17_maggio_10/obama-milano-renzi-dall-italia-aiutero-creare-nuovi-leader-politici-1328338a-354d-11e7-ae5c-ac92466523f8.shtml).

A questo proposito citiamo il commentatore politico Paolo Valentino, in un articolo del Corriere della Sera, sempre del 10 maggio: “La Fondazione Obama, il costruendo Centro di Chicago, la futura biblioteca presidenziale, il terzo libro appartengono alla tradizione di ogni ex capo della Casa Bianca. Ma ciò che fa la differenza è che Obama si è dato né più né meno che un vero programma politico. È come se, liberato dai lacci e lacciuoli dell’ufficio, egli riscopra la sua vera ambizione di leader globale, quello che aveva immaginato e raccontato di voler essere nella campagna del 2008, per poi piegarsi alle limitazioni e ai doveri della carica. “Vorrei preparare la prossima generazione di leader del mondo”, dice alla platea milanese, che lo accoglie come neppure Bono o George Clooney.

(…) Barack Obama parla ancora da leader globale. Ma questa volta la sua è leadership morale, rafforzata da uno star power rimasto intatto nonostante le cicatrici degli anni del potere. E proprio per questo potrebbe essere ancora più efficace. Otto anni dopo Yes, we can, lo slogan che fece sognare una generazione, egli si candida idealmente a presidente del mondo. Forse l’uomo nato alle Hawaii e cresciuto in Indonesia, il padre dal Kenya e la madre dal Kansas, ha trovato la sua vera vocazione“.

La mia opinione personale? Il problema dei problemi è quello del disarmo nucleare, la cui via sarà aperta – si spera – dal bando degli ordigni deciso dalla Conferenza ONU che si chiuderà il prossimo luglio a New York. E’ comunque significativo della forza oggettiva del problema ecologico, che viene subito dopo come questione globale (la terza è la disuguaglianza che crea un baratro con l’élite ristretta dell’1%), anche se le risposte non sono all’altezza, che questo ruolo di presidente del mondo morale Obama lo voglia interpretare mettendosi alla testa della lotta contro i cambiamenti climatici…

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GLI USA NON VOGLIONO CITARE L’ACCORDO DI PARIGI – IL G7 ENERGIA FINISCE SENZA UN COMUNICATO UNITARIO

(A CURA DI REDAZIONE)

Il G7 energia a Roma finisce senza comunicato unitario. Per il delegato di Trump, il segretario all’Energia Rick Perry, non si potevano inserire in esso i riferimenti all’attuazione della COP21 di Parigi e alla decarbonizzazione dell’economia, che, strategicamente, comporta la fuoriuscita dalle fonti fossili.
I governi europei appaiono preoccupati e lo stesso premier Gentiloni, al termine del vertice Euromed, si è fatto sentire, una volta tanto: “L’Europa accetta l’opinione di tutti ma non accetta passi indietro rispetto agli impegni assunti a Parigi nella lotta al cambiamento climatico”.
Carlo Calenda, del MISE, da padrone di casa, ha ribadito che “rimane forte e deciso l’impegno per tutti gli altri Paesi (che non siano gli USA – ndr) e per la Commissione UE a implemntare l’accordo di Parigi”.
Anche senza dichiarazione congiunta, il vertice romano svoltosi il 9 e il 10 aprile al Palazzo del MISE, termina con diverse intese di massima sulla lunga lista di temi al centro della due giorni. “È stato raggiunto un accordo su molti argomenti importanti come gli sforzi congiunti per garantire la sicurezza energetica all’Ucraina, il ruolo futuro del gas, la cybersecurity nel settore energetico”, ha affermato Calenda che porta a casa un importante consenso: quello sul progetto del gasdotto EastMed, che dovrebbe portare in Europa il gas dei giacimenti di Israele e Cipro nel Mediterraneo orientale. Il progetto del nuovo “corridoio strategico”, lungo 2.200 chilometri e profondo 3, è stato presentato al summit del G7 Energia dopo la firma d’impegno alla realizzazione, lo scorso 4 aprile, da parte di Italia, Israele, Cipro, Grecia e Unione europea. I lavori potrebbero partire alla fine del 2017 per permettere la commercializzazione delle riserve energetiche, per 2mila miliardi di metri cubi di gas, entro il 2025.
Dal Sole 24 Ore apprendiamo che oggi (11 aprile 2017) Calenda rivedrà Perry in un incontro dedicato ai dossier bilaterali, rinviando al vertice di Taormina un eventuale nuovo passaggio sul dossier climatico.
Ricordiamo che l’obiettivo degli accordi COP 21 è quello di restare “ben al di sotto dei 2 gradi rispetto ai livelli pre-industriali, con l’impegno a portare avanti sforzi per limitare l’aumento di temperatura a 1,5 gradi”, oltre alla promessa, da parte degli Stati firmatari, “di raggiungere il picco delle emissioni di gas serra il più presto possibile”, sino ad arrivare ad “un equilibrio tra le emissioni da attività umane e le rimozioni di gas serra nella seconda metà di questo secolo”.
Ma, al di là della retorica d’occasione, non sembra che nei piani concreti dell’Italia ci ci sia l’abbandono del modello fossile a favore delle rinnovabili. La Strategia energetica nazionale (SEN) è tale solo per modo di dire ed ha la caratteristica di essere slegata dal piano climatico, o SEC.
(Una caratteristica che, a dire il vero, si riscontra anche nei contropiani dell’opposizione politica).
Il gasdotto TAP, oggi alla ribalta per la protesta dei pugliesi e per gli interventi di blocco della magistratura, è emblematico di una mentalità “fossile” che non vuole proprio essere dismessa.
Due fattori in particolare sconsigliano di considerare prioritari gli investimenti sulle infrastrutture legate all’estrazione del gas:
1. Lo sviluppo dell’efficienza energetica, l’aumento delle fonti rinnovabili in Europa e la crisi economica che ha fatto calare sia l’offerta che la domanda dei combustibili tradizionali;
2. l’Europa è abbastanza preparata ad eventuali “sorprese” da parte russa sul gas ed ha alternative per sopravvivere se Gazprom dovesse decidere di chiudere i rubinetti.
Il comunicato ufficiale del MISE lo si rinviene al seguente link: http://www.mise.gov.it/index.php/it/198-notizie-stampa/2036365-g7-energia
Sul nostro sito, www.ilsolediparigi.it, per documentazione, è possibile leggere quella che è la sintesi conclusiva del presidente, il Chair’s Summary (in inglese, pdf).
Per maggiori informazioni
Sito Presidenza italiana G7
www.g7italy.it