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Il pacifismo operaio

L’opposizione alla guerra è uno degli elementi costitutivi e fondativi del movimento operaio

Il pacifismo operaio

La guerra fu subito considerata massimo male perché portava i giovani al macello, peggiorava le condizioni di vita, cancellava diritti e libertà, occultava le istanze per l’emancipazione delle classi lavoratrici

Il pacifismo operaio

L’opposizione alla guerra è uno degli elementi costitutivi e fondativi del movimento operaio

È il movimento operaio a predicare la necessità dell’opposizione di massa alla guerra; a inventare la forma di lotta non violenta per eccellenza cioè lo sciopero, o altre modalità non violente di lotta come il boicottaggio, la valorizzazione della dialettica degli argomenti, la comunicazione: le manifestazioni, i comizi, le petizioni.

Scelta non violenta compiuta quando la violenza bruta si scatenava contro di esso.

La guerra è il massimo male per le classi lavoratrici

La guerra fu subito considerata massimo male perché portava i giovani al macello, peggiorava le condizioni di vita, cancellava diritti e libertà, occultava le istanze per l’emancipazione delle classi lavoratrici. Da ciò l’impegno e la lotta contro la guerra e i guerrafondai, contro il bellicismo e le culture guerresche e per l’anticolonialismo.

Il rifiuto della guerra da parte dei ceti popolari

Il rifiuto della guerra è storicamente molto diffuso nei ceti popolari e nella classe operaia. Di rilievo i dibattiti sulla pace e la guerra, le lacerazioni, la produzione teorica delle organizzazioni nazionali e internazionali del movimento operaio.

I primi congressi Internazionali per la pace

Il primo congresso dell’internazionale a Ginevra nel 1866 approva all’unanimità la soluzione che afferma la possibilità di eliminare gli eserciti permanenti, ostacolo allo sviluppo economico e a quello delle organizzazioni sociali.

Il congresso di Losanna del 1867 vide la guerra come un peso soprattutto per la classe lavoratrice. A Bruxelles nell’internazionale si dice che la guerra “è un male evidente per noi tutti. Ma oltre la nostra costante protesta dobbiamo impegnarci attivamente per la sua soppressione. Per questo ci sono due metodi: il primo è quello di opporsi direttamente alla guerra attraverso il rifiuto del servizio militare, oppure attraverso il rifiuto del lavoro”.

Il partito operaio a Milano

Il partito operaio Italiano a Milano su iniziativa del gruppo democratico del circolo operaio, afferma la propria aspirazione anticolonialista e proclama la fratellanza universale e l’indipendenza di tutti i popoli. Il decalogo dei contadini socialisti mantovani così diceva: le guerre fra popolo e popolo sono sempre infami perché conducono al macello degli innocenti e dei fratelli.

Sia pace fra gli uomini perché nella pace sta l’amore e il benessere

Al congresso della nuova internazionale a Parigi una mozione dichiara la pace condizione prima e indispensabile di ogni emancipazione operaia.

Nel 1907 al congresso di Stoccarda fu approvata all’unanimità la mozione in cui si affermava che: qualora la guerra scoppi, i socialisti hanno il dovere di intervenire per farla cessare prontamente e utilizzare con tutte le loro forze la crisi economica e politica creata dalla guerra per agitare gli strati popolari più profondi e precipitare la caduta del capitalismo.

Il Maggio della lotta per la pace

In questo congresso si coniuga il 1° Maggio, con la lotta per la pace, soprattutto con la lotta al riarmo e con l’antimilitarismo e negli anni che precedono la prima guerra mondiale il tema principale del 1° Maggio è la lotta ai pericoli di guerra, più urgente del precedente tema delle otto ore di lavoro.

Proprio il 1° Maggio 1914 fu l’ultimo momento di mobilitazione unitaria a livello internazionale contro la guerra. Il partito socialista Italiano nel 1914/1915 sceglie la neutralità di fronte alla guerra, la linea del ‘né aderire né sabotare’, con profondi contrasti e divisioni tra i dirigenti del partito. I socialisti rimasti contrari alla guerra si trovano vicino a Berna per una conferenza contro la guerra dei partiti socialisti: il loro manifesto contro la guerra sarà diffuso clandestinamente anche in Italia.

 

Approfondimenti sul pacifismo:

  • Pallotti V., Cinquant’anni di pace in Europa: eventi e immagini, a cura del centro di documentazione del manifesto pacifista internazionale, Bologna
  • Pallotti V., Perché? Guerra, corsa agli armamenti. Catalogo della mostra del manifesto contro… per una cultura di pace e nonviolenza, Bologna
  • Pallotti V., Camminare per la pace. Marce e cammini per la pace e la nonviolenza, Comune di Casalecchio di Reno – Casa per la pace “la filanda”, Bologna 2009

 

Approfondimenti:

  • Elorza, Documenti e discorsi del militare ingenuo, San Sebastian
  • Erasmo da Rotterdam, Contro la guerra, a cura di F.Gaeta, L’Aquila
  • Trattato sulla tolleranza, a cura di Palmiro Togliatti, Editori Riuniti Roma

 

Bibliografia ragionata:

  • VV. , Bandiere di pace, Chimienti, Taranto
  • Aron, Pace e guerra tra le nazioni, tr.it. Comunità, Milano
  • Balducci E., Vinceremo noi pacifisti. Fosse anche tra mille anni, in L’Unità, 6 Marzo 1991
  • Bartels, L’Europa dei movimenti per la pace, in Giano n. 4/1990
  • Battistelli, Sociologia e guerra. Il problema della guerra nelle origini del pensiero sociologico, Archivio Disarmo, Roma
  • Bello Don Tonino, Alfabeto della vita, Paoline, Milano 2009
  • Bobbio, Il problema della guerra e le vie della pace, Il Mulino, Bologna
  • Collotti, G. Di Febo, (a cura di), Contro la guerra. La cultura della pace in Europa (1789-1939), Dossier Storia, Giunti, Firenze
  • Rochat G., L’Antimilitarismo oggi in Italia, Claudiana, Torino
  • Taylor, English History 1914-45. Oxford University Press

 

Riflessioni sulla contemporaneità:

  • Pugliese F., Abbasso la guerra. Persone e movimenti per la pace dall’800 a oggi, Grafiche futura, Mattarello – Trento
  • Pugliese F., I giorni dell’arcobaleno. Diario- cronologia del movimento per la pace, prefazione di Alex Zanotelli, Futura, Trento
  • Pugliese F., Per Eirene. Percorsi bibliografici su pace e guerra, diritti umani, economia sociale, Forum Trentino per la pace e i diritti umani, Trento
  • Pugliese F., Carovane per Sarajevo. Promemoria sulle guerre contro i civili, la dissoluzione della ex Jugoslavia, i pacifisti, l’ONU (1990-1999), Prefazione di Lidia Menapace, Introduzione di Alessandro Marescotti, Alfonso Navarra, Laura Tussi
  • Manifesti raccontano…Le molte vie per chiudere con la guerra,a cura di Vittorio Pallotti e Francesco Pugliese, Recensione di Laura Tussi, Prefazione di Peter Van Den Dungen, coordinatore generale della Rete Internazionale dei Musei per la Pace e Joyce Apsel, Università di New York
  • Strada G., Ma l’abolizione della guerra non è un’utopia di sinistra, in La Repubblica, 2006

 

Analisi storiche:

  • Rochat G., L’antimilitarismo oggi in Italia, Claudiana, Torino
  • Rochat G., La tradizione antimilitarista del movimento operaio italiano, in La critica sociologica, 1976
  • Rochat G., Breve storia dell’esercito italiano dal 1861 al 1943, Einaudi, Torino

 

Analisi:

  • Branson, M. Haienemann, L’Inghilterra degli anni Trenta, Laterza Bari
  • Ceadel, Pacifismi in Britain, Oxford University Press

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L’indifferenza del movimento pacifista

Resoconto della relazione di Alessandro Marescotti al webinar del 22 settembre 2021

L’indifferenza del movimento pacifista

La solidarietà per Daniel Hale e la campagna Guantanamo vanno avanti. La reazione della società civile di fronte a queste violazioni dei diritti umani è flebile. Qualche ingranaggio si è rotto nei meccanismi di attivismo e solidarietà

L’associazione PeaceLink ha lanciato due campagne con il medesimo filo conduttore: i diritti umani. La prima è centrata sulla prigione americana di Guantanamo, e viene chiesta la chiusura. La seconda è per la liberazione di Daniel Hale, lo specialista di intelligence che ha rivelato l’uccisione di civili con i droni USA.

La campagna per la liberazione di Daniel Hale si basa su un gruppo di supporto simile a quello di Julian Assange. Come Assange anche Hale ha condiviso informazioni molto delicate di ambito militare e attualmente sta pagando con il carcere l’aver documentato gli omicidi di civili innocenti tramite strike di droni.

La campagna Guantanamo registra attualmente circa 850 adesioni individuali e il sostegno di oltre cinquanta associazioni. Vede inoltre la partecipazione di nomi noti dell’attivismo pacifista e nonviolento a livello nazionale: da Moni Ovadia, a Vittorio Agnoletto, ad Alex Zanotelli e molti altri.

Il filo conduttore di queste tre campagne consiste negli abusi commessi dagli Stati Uniti in violazione della Convenzione di Ginevra e della Dichiarazione Universale dell’ONU sui diritti umani.

Le campagne lanciate da PeaceLink mirano alla liberazione di persone innocenti o a garantire processi equi. Il potere politico-militare vuole oggi zittire i testimoni delle nefandezze militari contro i diritti di innocenti. La voce dei testimoni – come Assange e Hale –  ci consentono di conoscere la verità nel mondo molto poco trasparente della guerra. La loro caparbia e il loro sacrificio sono ammirevoli.

Dopo l’11 settembre 2001 la guerra del terrore al terrorismo ha reso “legale” la violazione dei diritti umani e la persecuzione contro tutti coloro che rivelano la verità, contro le menzogne e le falsità della guerra.

Occorre portare a conoscenza dell’opinione pubblica queste violazioni.

Occorre fare pressione su tutta la politica, affinché prenda posizione netta contro tutte queste gravi ingiustizie e atrocità ai danni delle persone e dei loro diritti inalienabili.

Alessandro Marescotti, presidente di PeaceLink, ha preso contatti con il gruppo Italiani per Assange e con Statunitensi per la pace e la giustizia.

La campagna Guantanamo e la campagna Assange riguardano due realtà che si richiamano a vicenda. Infatti Assange ha rivelato con WikiLeaks tutte le schede dei prigionieri di Guantanamo e ha reso note tutte le atrocità che accadono in quel carcere americano. L’obiettivo di questa campagna è il rispetto e la tutela dei diritti umani. Infatti dopo l’11 settembre 2001 è avvenuta la sospensione dei diritti umani in nome della guerra al terrorismo. A Guantanamo i prigionieri non sono salvaguardati dalla Convenzione di Ginevra sulla tutela dei prigionieri di guerra e dei civili e questi sono elementi per cui la Corte Penale Internazionale indaga nei confronti degli Stati Uniti.

Questo importante filo conduttore, i diritti umani, collega Guantanamo e Assange e altre campagne. Riguarda situazioni di denuncia dell’uso dei droni per colpire e assassinare persone innocenti.

Daniel Hale, giovane operatore dell’intelligence USA, ha rivelato l’uso indiscriminato di droni. Ha documentato le uccisioni dei civili con i droni militari. Daniel Hale è un obiettore di coscienza.

Amnesty International interviene su Zaki e Assange, ma non su Daniel Hale.

Ciò che è avvenuto in termini di violazione della vita di innocenti è impressionante ma purtroppo poco conosciuto. E’ gravissimo che paghino col carcere i testimoni che hanno rivelato crimini di guerra. Sono casi di coscienza: hanno violato segreti militari per tutelare i diritti umani di innocenti massacrati dalle armi USA.

Le immagini di un attacco "preventivo" per colpire un presunto terrorista. Lo strike ha colpito in realtà un operatore umanitario e altri 9 civili, fra cui 7 bambini.Per quanto riguarda la vicenda del drone americano che ha colpito un’auto di presunti terroristi dopo la strage di Kabul, Biden ha dichiarato: “Abbiamo dato indicazione di colpire in modo altamente preciso”. Invece, al contrario, sono stati colpiti dei civili e il video dell’accaduto è stato analizzato dal New York Times. È stato colpito un ingegnere afgano che collabora con un gruppo di aiuto umanitario americano.

La campagna Guantanamo parte per raccontare la violazione dei diritti degli esseri umani e non si può tollerare che esseri umani siano tenuti in carcere all’infinito senza capi di imputazione e senza difesa legale.

Allora è lecito domandarsi: perché il movimento pacifista non attiva azioni di mediattivismo e di denuncia? Il movimento pacifista nel suo complesso dovrebbe essere presente in continuazione e svolgere una azione nonviolenta e militante di controinformazione su queste situazioni generate dal potere militare. Tutto questo dovrebbe diventare patrimonio delle persone e dei cittadini. Non ci può essere spazio per l’indifferenza.

Purtroppo poche associazioni riportano quanto è accaduto a Daniel Hale.

Eppure è in carcere per aver compiuto un gesto di coscienza. Negli anni ‘60 del Novecento, eventi del genere diventavano patrimonio di milioni di persone e di tutta l’opinione pubblica.

L’evento dell’ingegnere afgano ucciso da un drone non è mai uscito sui vari siti pacifisti. È stata detta una bugia dagli Stati Uniti ma non è stata controbattuta da chi avrebbe dovuto farlo per la propria storia. La diffusa indifferenza del movimento pacifista è un fatto gravissimo. Scopriamo che noi pacifisti, questo tragico accadimento, non l’abbiamo in realtà condiviso, elaborato e fatto nostro.

Forse non fa più parte del nostro stile di attivismo? O dell’impegno e del nostro lavoro di denuncia?

Gino Strada ripetutamente ha denunciato i misfatti di guerra contro i diritti umani. È necessario fare rete perché l’informazione si moltiplichi e si capillarizzi. Gino Strada ha sempre denunciato il potere politico-militare degli Stati Uniti, e non solo, e anche le nefandezze in Afghanistan.

In realtà, quelli attuali sono momenti difficili per l’assenza di valori e ideali. Ci diamo per sconfitti in partenza e certe campagne non le iniziamo neppure.

La reazione della società civile è flebile e qualche ingranaggio si è rotto nei meccanismi di attivismo e solidarietà, non solo del mondo pacifista e nonviolento, ma nell’intera comunità mondiale.

Per questo PeaceLink si schiera per la verità e la trasparenza dell’informazione e per dare una risposta forte e determinata a questa tragica carenza di responsabilità sociale da parte dell’opinione pubblica e, purtroppo, anche di una parte consistente del mondo pacifista.

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Giustizia climatica

Un glossario per comprendere

Giustizia climatica

Casacomune propone la seconda edizione di una formazione per insegnanti ed educatori su cambiamenti climatici, biodiversità, conflitti ambientali. Il titolo del corso è “La scuola per il futuro”. Qui si riportano le slides di Alessandro Marescotti sulla giustizia climatica.

Riflessioni e spunti sull’intervento di Alessandro Marescotti, Presidente di PeaceLink

 

Un glossario per la Giustizia climatica

Casacomune propone la seconda edizione di una formazione per insegnanti ed educatori su cambiamenti climatici, biodiversità, conflitti ambientali.

 

Un percorso didattico che si articola nel tempo. Si propongono, in questo testo, un estratto e una elaborazione delle parti, delle sezioni e degli elementi didattici più importanti.

La scuola per il futuro, corso di educazione ambientale

Casacomune propone la seconda edizione di una formazione per insegnanti ed educatori su cambiamenti climatici, biodiversità, conflitti ambientali, cibo e salute. Si offrono spunti di riflessione su stili di vita e di azione incontrando testimoni di esperienze virtuose e di impegno collettivo.

Le minacce che riguardano la Terra, la casa comune di tutti gli esseri viventi, hanno dimostrato di essere al centro dell’interesse di moltissimi giovani che ne riconoscono la portata decisiva per il proprio futuro. I giovani vedono i segnali di uno squilibrio di origine antropica che mette in grave pericolo la sopravvivenza di molte specie vegetali e animali, e che perpetua condizioni di marginalità, povertà e insalubrità per molte persone e comunità. Anche la diffusione di molte patologie ed epidemie non sono estranee al modo in cui siamo in relazione con la Terra.

L’emergenza climatica

The JP Morgan paper said ‘catastrophic outcomes’ could not be ruled out.Giustizia climatica è il termine usato per indicare che il riscaldamento globale costituisce una questione etica e politica e non puramente di natura ambientale o climatica. Ciò avviene collegando gli effetti del cambiamento climatico ai concetti di giustizia, in particolare di giustizia ambientale e di giustizia sociale, ed esaminando questioni quali l’uguaglianza, i diritti umani, i diritti collettivi e le responsabilità storiche per il cambiamento climatico.

Le formule “giustizia ambientale”, “giustizia climatica” e “giustizia ecologica” identificano un campo semantico talmente variegato e multiforme, da essere utilizzato da giuristi e scienziati sociali per definizioni tutt’altro che univoche e convergenti.

La “emergenza climatica” non produce danni “ambientali” nel significato localizzato e restrittivo, definito per esempio dalla normativa europea. Essa rende permanenti ed evidenti danni “climatici” privativi dei “benefici” della presente e delle future generazioni.

In tale ottica, l’emergenza in atto solleva inedite questioni di “giustizia climatica” (intra- e inter-generazionale) che non possono non trovare anche nel “contenzioso climatico” un possibile sbocco di reazione.

Vivere in un ambiente sostenibile è un diritto

Desertificazione e cambiamenti climatici

Sempre peggio, se le nazioni non abbandonano la loro visione egoistica. Mettere al centro l’uomo e i suoi diritti è la visione che i governi devono adottare. Vivere in un ambiente sano, efficiente e sostenibile dovrebbe essere un diritto universale, a prescindere dalla nazionalità o dalla ricchezza. Solo così le persone non saranno discriminate di fronte agli eventi climatici estremi. E potremmo considerarci tutti uguali, cittadini del mondo con pari diritti e doveri nei confronti del pianeta.La strada verso la giustizia climatica

Le soluzioni per combattere il cambiamento climatico esistono già, da quelle proposte da Project Drawdown agli accordi internazionali indirizzati dalle Nazioni Unite. Le persone sono pronte a cambiare. Molti progetti sostenibili partono proprio dai cittadini più deboli, come le donne di TreeSisters. Ripartiamo dal basso per avere una vera giustizia ambientale e dare alle future generazioni un mondo migliore.

Realizzare la giustizia climatica e sociale

Tutelare i lavoratori e le lavoratrici, i territori e le fasce della popolazione più esposte alle conseguenze della crisi economica e climatica. Questa è la terza richiesta fondamentale ai governi di tutto il mondo a partire dall’Italia, il terzo pilastro della campagna Ritorno al Futuro, una raccolta di 7 proposte (e un Allegato Tecnico) per ripartire post-Covid realizzate insieme a un team di esperte ed esperti. L’obiettivo è quello di chiedere che si rilanci l’economia puntando sulla Transizione Ecologica, per risolvere in questo modo sia la crisi economica che quella climatica.

Giustizia climatica, cos’è e cosa rappresenta

La ‘Giustizia climatica‘ è uno degli argomenti di maggiore attualità nel dibattito internazionale sui cambiamenti climatici. Dall’attuale modello di sviluppo emerge un paradosso: le popolazioni che subiscono maggiormente le conseguenze del riscaldamento globale sono quelle che meno hanno contribuito a creare il fenomeno. Questa situazione di squilibro può essere gestita soltanto riconoscendo le responsabilità storiche delle nazioni industrializzate. Da queste è necessario un maggiore impegno nella riduzione dei gas serra, ma non solo. Fondamentale è anche il riconoscimento delle conseguenze economiche e sociali di un fenomeno che si abbatte soprattutto sui poveri, donne e bambini in particolare.

 

Cliccare qui per le slides della relazione di Alessandro Marescotti presidente di PeaceLink

Dossier sulla giustizia climatica: https://wakelet.com/wake/aBxl1ZUWwBSr7EQ1xFTYT

Note: I concetti qui riportati sono tratti dal dossier con i saggi del prof. Michele Carducci, docente di Diritto Costituzionale all’Università di Lecce.

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Tempi di Fraternità – Vittorio Agnoletto: democrazia e umanità

Tempi di Fraternità – Intervista per il lancio del Libro “Senza Respiro”

Tempi di Fraternità – Vittorio Agnoletto: democrazia e umanità

Tempi di Fraternità – Intervista a Vittorio Agnoletto sul suo ultimo Libro “Senza Respiro” con prefazione del Presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva. Intervista di Laura Tussi a Vittorio Agnoletto. Video di Fabrizio Cracolici

Vittorio Agnoletto: democrazia e umanità

Intervista:

La democrazia necessita di umanità: intervista a Vittorio Agnoletto

 

Intervista su Tempi di Fraternità a Vittorio Agnoletto sul suo ultimo Libro “Senza Respiro” con prefazione del Presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva.

Intervista di Laura Tussi a Vittorio Agnoletto.

Video di Fabrizio Cracolici.

 

https://www.youtube.com/watch?v=PHSGQxRd6V0

 

Domanda 1 – La democrazia ha bisogno di umanità, come scrive nella prefazione al libro “Senza respiro” il presidente brasiliano Lula. Lui si ricollega anche all’assassinio di George Floyd, vittima della violenza e dello strapotere poliziesco negli Stati Uniti, nella società americana squassata dalle ingiustizie, al pari di tutte le società nel mondo, ciascuna in gradi e forme diverse.

Una Umanità vessata che ovunque implora di diventare più umani, rispettosi dei diritti e della dignità della vita. Perché Lula ha accettato di scrivere una prefazione al libro dell’amico Vittorio Agnoletto?

 

Risposta 1
Grazie per questa domanda che mi permette di ragionare su alcuni aspetti del libro che in genere non vengono approfonditi. Ho conosciuto Lula al Forum Sociale Mondiale (WSF) di Porto Alegre nel 2001 e  ci siamo rivisti all’interno del Consiglio Internazionale del WSF. Ho pensato di chiedergli di scrivere la prefazione a questo mio libro “Senza respiro” per vari motivi: primo perché siamo di fronte a una pandemia cioè a qualcosa che non riguarda solo e unicamente l’Italia, l’Europa, un continente, ma riguarda tutto il mondo e in Lula vedo una persona che è capace ed è stato capace di guardare l’orizzonte globale del mondo, ma anche tenendo i piedi molto ben piantati per terra nel suo paese e cioè in Brasile.

E quindi quando parla della pandemia – e anche in diversi discorsi recenti ha parlato della pandemia – per esempio riesce a mettere in luce un aspetto in genere che non si considera e cioè che la lotta contro il Coronavirus deve legarsi all’impegno per “costruire un mondo di opportunità uguali per tutti, in cui la vita, i diritti umani e l’ambiente siano valori reali e impossibili da spezzare.” Infatti, il virus ovviamente può colpire tutti: sia la persona ricca come la persona povera; ma l’evoluzione della malattia dipende dai determinanti sociali e cioè da come una persona vive nella sua vita quotidiana. Se deve andare al lavoro o può lavorare da casa in smart-working e recarsi a lavoro con un mezzo proprio o andarci con un mezzo pubblico: in questo momento mezzi pubblici sono un ambito molto a rischio per le infezioni. Oppure se vive in una grande casa; oppure se vive in 40 metri quadri con quattro persone, solo per fare degli esempi. Le condizioni di vita incidono molto sulla possibilità o meno di evoluzione della malattia. Lula in vari suoi interventi ha descritto la situazione che esiste in Brasile, per esempio, le condizioni delle popolazioni dell’Amazzonia abbandonate completamente a sé stesse senza nessuna assistenza sanitaria. Nella prefazione al libro Lula alza lo sguardo e si domanda come sia possibile che l’ONU non abbia assunto il coordinamento degli sforzi mondiali per fronteggiare la pandemia e perché il Fondo Monetario Internazionale non ha cominciato a fare prestiti agevolati ai Paesi che ne hanno maggior necessità. E’ una domanda, credo, assolutamente legittima che ovviamente rimane senza risposta. Poi si evidenzia un altro aspetto importante nelle riflessioni di Lula quando scrive: “Il futuro post pandemia non è garantito per nessuno. E’ oggetto di conflitto. Coloro che si affrettano a annunciare il ritorno alla vecchia normalità si riferiscono con tale espressione alla piena restaurazione dell’iniquità del passato e di un presente caduco che la pandemia ha squadernato e ingigantito” e prosegue “non ci sono precedenti di un ritorno alla normalità dopo una rottura dell’intensità e dell’ampiezza di una pandemia o di una guerra” e aggiunge che chi, come noi, vuole cambiare la situazione attuale ha di fronte una grande missione.  Qui si evidenzia un ragionamento che riguarda tutti noi. La pandemia non è una parentesi della Storia, superata la quale è sufficiente tornare a come il mondo era in precedenza. E’ proprio quello specifico modello di sviluppo – fondato sullo sfruttamento della natura in ogni angolo della terra, sul disboscamento e sugli allevamenti intensivi, solo per fare degli esempi – che produce i cambiamenti climatici e che ha favorito il salto di specie di vari agenti infettivi tra i quali quello che ha prodotto questa pandemia.

Quindi non dobbiamo tornare indietro, ma andare in avanti verso un mondo diverso; i cambiamenti nel modello di sviluppo devono viaggiare parallelamente ad una differente redistribuzione della ricchezza mettendo al centro l’uguaglianza e le libertà di tutti.

Domanda 2 – Il presidente Lula sostiene che la nostra comune umanità deve agire in modo coordinato, solidale e cooperativo per non rimanere “Senza respiro”, che non è solo un sintomo del virus pandemico, ma è una metafora dei nostri tempi affannosi, alla ricerca di soluzioni globali, di salde svolte a livello planetario. Come può avvenire, secondo te, che sei stato portavoce del Social Forum globale, tutto questo grandioso processo umano, che aveva mosso i suoi primi passi con il movimento alter-global arrestato durante la brutale repressione e soppressione dei movimenti e degli attivisti ecopacifisti che manifestavano contro il G8 di Genova 2001?

Risposta 2
Il libro “Senza respiro” è una cosa vera.

Rappresenta un’immagine reale. Non è solo una metafora. Ho intitolato il libro “Senza respiro” perché purtroppo molte persone durante questa pandemia, anche qui da noi in Italia, in particolare in Lombardia, sono decedute abbandonate a sé stesse e sono state “scartate” dalla possibilità di utilizzare le terapie disponibili perché non esistevano abbastanza macchinari per tutti e i miei colleghi hanno dovuto scegliere tra chi assistere e chi abbandonare al proprio destino.

Il libro si apre con una drammatica testimonianza di un primario che è interrogato da un familiare di una persona ricoverata e infettatasi in ospedale con il Coronavirus; il familiare ha l’impressione che suo fratello sia stato messo da parte e spostato su una “corsia laterale”, trasferito in un ospedale dove non esiste un dipartimento di emergenza e che si sia rinunciato a curarlo.

Il primario risponde al familiare: “Suo fratello se sta qui è morto. Se dovesse peggiorare, non potremmo più intubarlo. La dove andrà, abbiamo allestito un reparto protetto ma voglio dirle una cosa a proposito della sua domanda sulle scelte. Io sono un credente e nei giorni scorsi sono andato dal mio confessore e ho chiesto tramite lui perdono a Dio. Ho chiesto perdono per le scelte che sarò costretto a fare. Mi creda non è il caso di suo fratello. Faremo di tutto per tenerlo da qui, sotto osservazione, ma sarà tremendo per me…” Il medico sta spiegando che deve scegliere a chi somministrare le terapie e chi invece sarà lasciato al suo destino.

Quindi “Senza respiro” è qualcosa di reale che è accaduto, che abbiamo vissuto e che stiamo sperimentando in questi mesi.

“Senza respiro” però è anche l’immagine di un pianeta di un mondo che non riesce a respirare. Cosa accade quando noi respiriamo? Inspiriamo ossigeno, introiettiamo nuove energie che permettono di rimettere in moto tutto il nostro organismo.

E’ quello che il nostro pianeta non riesce più a fare.

Il livello di sfruttamento che gli esseri umani hanno praticato sulla terra e sugli altri viventi è andato oltre ogni limite. Ma il titolo “Senza Respiro” è metafora anche di un’altra realtà: di una umanità che rischia di non avere più prospettive e la pandemia è un segnale su quale scenario futuro potrebbe aspettarci se noi scegliessimo di andare avanti con questo modello di sviluppo.

Siamo noi, l’umanità, che non respiriamo e Lula giustamente riporta il discorso collettivo anche a un esempio individuale e singolo, l’immagine di George Floyd, fissando nella mente di ciascuno un’immagine, un evento che tutti quanti ormai conosciamo. Ecco perché la lotta contro questa pandemia è indissolubilmente legata alla lotta per un mondo diverso. Ma in questa tragedia vi è anche un altro messaggio importante che arriva a noi tutti. Davanti a una pandemia nessuno può risolvere la questione da solo. Possiamo cercare di risolvere la pandemia solo mettendoci tutti insieme e durante la pandemia scopriamo, ma io direi, tocchiamo con mano, qualcosa che abbiamo sempre detto, ma purtroppo in molti ci hanno accusato di essere idealisti o ideologici. No. Tocchiamo con mano una cosa semplicissima: se io metto la mascherina difendo la mia salute, ma difendo anche la tua e la vostra salute. E se tu metti la mascherina difendi te stesso, ma difendi anche me. Esiste un destino che ci lega attraverso dei comportamenti individuali e collettivi. La storia recente dell’umanità dimostra che, di fronte a tutte le epidemie sostenute da agenti infettivi trasmissibili, conta molto anche l’assunzione di responsabilità individuale e collettiva delle persone. Quest’aspetto può fare la differenza. E’ interessante osservare come la pandemia è gestita in altri Paesi dove vi è molta più abitudine ad agire collettivamente e dove la cura della salute non è solo delegata agli esperti, ma fa parte anche dell’esperienza quotidiana delle persone attraverso una maggior attenzione alle regole della convivenza sociale, attraverso percorsi di formazione realizzati durante il corso della vita di ciascuno.

Penso a quello che ad esempio sta accadendo a Cuba, ne abbiamo avuta una testimonianza indiretta attraverso l’esperienza delle brigate di medici cubani che sono arrivate in nostro aiuto. Da questa epidemia dobbiamo trarre anche un insegnamento che per noi diventa un incoraggiamento: serve un progetto generale collettivo a livello globale; per questa ragione sono stati molto utili i collegamenti online che abbiamo realizzato con rappresentanti della società civile organizzata e dei movimenti un po’ in tutto il mondo, dal Nicaragua fino all’Iraq; la prospettiva che ci aspetta è quella di un impegno comune. Non è un caso che le esperienze maturate nella lotta all’epidemia saranno al centro del prossimo Forum Sociale Mondiale che si realizzerà nel 2021 in Messico, per una parte dei messicani in presenza e per gli altri, ovviamente via web.

Domanda 3 – La crisi planetaria è alimentata da biechi e beceri dettami di potere del capitalismo neoliberista, nelle sue varie declinazioni, dagli squilibri tra ecosistemi ambientali che ormai arrancano sotto le pressioni e i misfatti dell’”uomo forte”, dall’assenza di controllo sanitario e dalle ingerenze negative della società che ha smarrito ogni senso del limite, e dal mancato controllo popolare sulla sanità dominata da Big Pharma, le multinazionali farmaceutiche. La nostra comune umanità e il sentimento e il sentire umano della nostra specie sono chiamate a affrontare e risolvere le gravi sfide globali, l’intreccio tra minaccia nucleare-militare, ecologica-climatica e della disuguaglianza e delle oppressioni sociali. La pandemia da covid come si inserisce in questo quadro?  

 

Risposta 3
Non vi è dubbio, come ho già detto, che questa pandemia è un prodotto dell’attuale modello di sviluppo. Leggerei alcune frasi che ho riportato nel libro, frasi profetiche scritte da David Quammen nel famoso libro “Spillover” “Non c’è alcun motivo di credere che l’AIDS rimarrà l’unico disastro globale della nostra epoca, causato da uno strano microbo saltato fuori da un animale. Qualche Cassandra ben informata parla addirittura del Next Big One il prossimo grande evento come di un fatto inevitabile. Sarà causato da un virus? Si manifesterà nella foresta pluviale? O in un mercato cittadino della Cina meridionale? Farà 30 o 40 milioni di vittime?

L’ipotesi ormai è così radicata che potremmo dedicarle una sigla: NBO. La differenza tra HIV e NBO potrebbe essere per esempio la velocità di azione. NBO potrebbe essere tanto veloce a uccidere quanto l’AIDS è relativamente lento. Gran parte dei virus nuovi lavorano alla svelta”.

E’ impressionante pensare che queste righe, che risultano una vera e propria profezia, siano state scritte nel 2012; il medesimo autore scrive, in un’altra occasione, questa frase che, pur nella sua sinteticità, ci aiuta a capire la nostra realtà: “Invadiamo foreste tropicali e altri paesaggi selvaggi che ospitano così tante specie di animali e piante e all’interno di quelle creature così tanti virus sconosciuti. Tagliamo gli alberi, uccidiamo gli animali o li mettiamo in gabbia e li mandiamo ai mercati.

Distruggiamo gli ecosistemi e liberiamo i virus dai loro ospiti naturali. Quando ciò accade hanno bisogno di un nuovo ospite. Spesso siamo noi”. E insiste “Noi abbiamo prodotto l’epidemia di coronavirus. Potrebbe aver avuto inizio con un pipistrello in una grotta ma l’attività umana l’ha scatenata”. E credo che su questo argomento non ci sia assolutamente null’altro da aggiungere. Mentre mi pare che possiamo approfondire l’altra riflessione che hai sviluppato.

Noi siamo stati totalmente impreparati a fronteggiare questa pandemia anche per un’altra questione. Cioè per il modello di sanità dominante nei nostri Paesi.

E’ un modello di sanità tutto centrato sul profitto dove il nostro corpo è trasformato in merce a disposizione dei grandi capitali che hanno investito nel mondo sanitario. Non dimentichiamo che le strutture sanitarie private rispondono alle logiche comuni a tutte le aziende private: massimizzare i profitti. E come massimizzano i profitti? Quante più malattie e quanti più malati ci sono, tanto più guadagnano e quindi non è paradossale affermare che per le strutture sanitarie private la prevenzione non ha alcun interesse, ma non solo, è una antagonista perché sottrae malati e malattie al loro business. Ma la sanità privata è parte integrante ormai di tutti i sistemi sanitari dell’Occidente compreso il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) italiano per non parlare della nostra regione. In Lombardia il 40% della spesa corrente sanitaria pubblica va ad aziende private convenzionate con il SSN e ovviamente queste scelgono anche quali reparti convenzionare con il settore pubblico, quelli che producono maggiori profitti, come la cardiologia, l’alta chirurgia e quelli destinati alle cure delle patologie croniche. Il sistema è totalmente disinteressato a investire in dipartimenti di emergenza e a investire nei pronto soccorsi. Il disastro – e qui arriviamo all’ultimo segmento della tua domanda – è che chi gestisce la sanità pubblica molte volte, e in Lombardia è accaduto questo, ha introiettato dentro di sé il modello di sviluppo e i disvalori della sanità privata e gestisce la sanità pubblica come se dovesse gestire la sanità privata. Il che è un controsenso anche dal punto di vista economico. Perché nella sanità pubblica quanto più si investe nella prevenzione tanto meno ci sono malati e malattie e tanto più si risparmia in termini di finanza pubblica. Mentre invece chi gestisce la sanità pubblica ha scelto un modello privato. Il risultato è la distruzione della sanità territoriale considerata sanità di serie Z: assenza completa della sorveglianza sanitaria e dell’epidemiologia, abbandono dei medici di base, non realizzazione dei tamponi come strumento per individuare la diffusione del virus, finanziamenti minimi per l’assistenza domiciliare e attivazione di un numero esiguo delle Usca, le Unità Speciali di continuità assistenziale, rivolte specificatamente ai malati di Covid. Tutte queste non sono scelte casuali. Ecco perché noi abbiamo in Lombardia una sanità di eccellenza se parliamo delle ultime terapie, degli ultimi trial clinici ancora in via di sperimentazione e degli interventi chirurgici complessi e ad alta specializzazione, ma sicuramente non abbiamo una sanità di eccellenza se invece guardiamo le urgenze che noi abbiamo oggi e che richiedono un altro tipo di priorità.

Vi è inoltre un altro aspetto fortemente “patologico”: la direzione della nostra sanità, tutta la catena di comando, dipende unicamente da scelte dettate in base alla vicinanza al politico e al partito che in quel momento sono al potere. I direttori generali delle Asl e degli ospedali (che in Lombardia si chiamano ATS o ASST) sono tutti di nomina politica e a loro volta i direttori generali scelgono i direttori sanitari e quindi si realizza una catena di fedeltà e non di competenza; ne consegue che le indicazioni che vengono date non si basano sull’autorevolezza conquistata sul campo, ma sul potere che deriva dalla forza del legame che lega il dirigente al potere politico.

 

Domanda 4 – Perché nel libro si paragona il virus pandemico globale a una bomba nucleare prevedibile?

 

Risposta 4
Di fronte allo sfascio e all’incapacità della sanità lombarda di rispondere al virus, l’assessore al welfare e alla sanità della Lombardia Giulio Gallera ha cercato di giustificarsi dicendo che non potevano fare altro, che era arrivata una bomba nucleare e nessuno poteva e avrebbe potuto agire meglio di loro. Questa è una grande ed enorme bugia; se proprio si vuole paragonare l’epidemia ad una bomba nucleare, allora dobbiamo dire che era una bomba nucleare prevedibile, perché in tutti questi anni sono stati lanciati vari allarmi da ricercatori, scienziati e intellettuali.

Nel 2009 dopo l’epidemia da H1N1 l’Unione Europea ha chiesto ai governi nazionali e alle regioni di aggiornare i piani pandemici nel caso ci si dovesse trovare di fronte ad una nuova epidemia. Nel 2010 la regione Lombardia fa un audit, cioè affida a soggetti esterni l’analisi del proprio piano pandemico; questa analisi termina con un documento che, se lo leggiamo adesso, fa venire i brividi perché sono elencate tutte le cose da fare e sono esattamente gli interventi che sarebbero stati necessari e utili per fronteggiare il coronavirus. Ma nulla è stato realizzato. Per esempio, vi è scritto che il meccanismo di comunicazione tra le RSA e la sanità pubblica non funziona correttamente, non è chiaro di chi sono determinate responsabilità; vi sono indicazioni precise sia per le RSA sia per le strutture pubbliche sulla necessità di accantonare le mascherine e tutti i dispositivi di protezione individuale; si sottolinea la necessità di rafforzare l’azione dei medici di medicina generale eccetera.

Non è vero che la pandemia era un evento assolutamente imprevedibile. Ma non hanno tenuto in considerazione nessuna delle raccomandazioni arrivate da settori importanti del mondo scientifico e dalle istituzioni sovranazionali; alla fine la situazione è quella che viviamo.

 

Domanda 5 – “Un altro mondo è necessario, è urgente e quindi è possibile”. Rimanere senza respiro, come scritto da Lula nella prefazione, è una metafora del nostro tempo. Con lo sfruttamento feroce delle risorse di madre terra con il Giorno del Sovrasfruttamento della Terra (Earth Overshoot Day), che vede un modello di sviluppo irrispettoso degli equilibri tra tutti gli esseri umani e tra le specie viventi, l’umanità ha messo a rischio la propria sopravvivenza con le grandi problematiche che incombono su di essa: la disuguaglianza sociale, i dissesti climatici e l’attività militare che trova la sua massima espressione in una possibile e irreversibile guerra nucleare.

Risposta 5
Abbiamo affrontato questo tema. Solo una cosa vorrei aggiungere. L’Earth Overshoot Day quest’anno è arrivato quasi un mese più tardi.

E’ il giorno entro il quale, secondo gli scienziati di tutto il mondo, noi consumiamo la quantità di risorse che il pianeta è in grado di riprodurre in un anno. Tutto quello che noi consumeremo da quel momento in poi non è riproducibile dalla terra e quindi andiamo sempre verso una maggiore impoverimento del pianeta e delle sue risorse. Quest’anno quel giorno è arrivato quasi un mese più tardi dello scorso anno. Come mai? Le misure che in tanti Paesi del mondo sono state assunte con il lockdown hanno limitato il consumo di energia e lo sfruttamento del pianeta. Ma non possiamo pensare di vivere in lockdown per sempre. Non possiamo pensare di vivere chiusi in casa, per chi la casa ce l’ha. Però è un’indicazione; si può imparare a consumare di meno anche conducendo una vita quotidiana decente, senza restare chiusi in casa. E’ un messaggio importante, una riflessione che viene offerta a tutti noi.

In conclusione io direi che oggi – mentre stiamo registrando questa intervista – siamo ancora nel pieno del disastro e della tragedia e ogni sera ascoltiamo il bollettino dei morti. Per farcela, abbiamo bisogno anche di pensare al futuro con la capacità di cogliere i segnali e i messaggi che, dalla tremenda esperienza di questa pandemia, ci possono arrivare per trarre delle indicazioni sulla direzione che collettivamente dobbiamo prendere per restituire al pianeta una prospettiva di futuro.

Se avremo questa attenzione e queste capacità, tutto quello che è accaduto avrà almeno lasciato qualche messaggio di incoraggiamento e di speranza oltre a messaggi di morte. “Senza Respiro” vuole provare a dare un contributo in questa direzione.

Vorrei ringraziarvi, Laura e Fabrizio, perché in tutti questi anni state facendo un lavoro importantissimo di sollecitazione e di raccolta di testimonianze attorno ai grandi temi della nostra epoca; non sono molte le persone che, come volontari, dedicano tempo e capacità a studiare i grandi scenari che si rivelano all’umanità intera e quindi grazie a Laura e Fabrizio.

Parole chiave: vittorio agnolettoagnolettocovidcoronavirussenza respirolulasanitàintervistasolidarietàlibrolibri

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Prevenire la guerra

Lo scopo del movimento pacifista fu sempre quello di prevenire la guerra

Prevenire la guerra

Qualche anno dopo l’avvento di Hitler, la maggioranza della sinistra continua a credere che la pace possa essere mantenuta soprattutto attraverso le politiche di sicurezza collettiva e del disarmo, fino alla regolazione internazionale delle controversie

Bertolt Brecht

Lo scopo del movimento pacifista fu sempre quello di prevenire la guerra.

Per questo motivo, la discussione si concentrò sulla questione dei mezzi migliori per realizzare tale obiettivo.

Per due, forse tre anni dopo l’avvento di Hitler, la maggioranza della sinistra continua a credere che la pace possa essere mantenuta soprattutto attraverso le politiche di sicurezza collettiva e del disarmo, fino alla regolazione internazionale delle controversie attraverso la presa di posizione e la pressione politica ed economica collettiva.

La convinzione sottesa a questa posizione era che la pressione internazionale poteva fermare i conflitti prima che raggiungessero la soglia della guerra aperta.

Ma inevitabilmente tale posizione non poteva non suscitare la domanda di fondo circa la giustezza dell’azione militare.

Nonostante tutto, esisteva la guerra giusta?

A metà degli anni ‘30 del Novecento, ci furono due risposte impressionanti a questa domanda. La prima fu la fondazione nel 1934 dell’Unione per la garanzia della pace.

L’Unione, i cui membri superarono rapidamente il numero di 200.000, chiedeva alla gente di sottoscrivere una risoluzione che diceva: “noi rinunciamo alla guerra e mai più, né direttamente né indirettamente, ne sosterremo e ne approveremo un’altra”.

Questa organizzazione traeva la sua forza dalle chiese non conformiste che ritenevano la guerra una negazione del cristianesimo, e poi dagli scrittori e dagli intellettuali orientati a sinistra, dal partito laburista, dai sindacati del movimento cooperativo. Nella realtà, l’organizzazione abbracciava una serie di posizioni, alcune delle quali vedevano nella non violenza più una tattica che un valore assoluto.

La corrente principale del pacifismo: prevenire la guerra

Ma la corrente principale rimase quella che faceva capo al bisogno di prevenire la guerra con tutti i mezzi possibili. L’opinione pubblica fu ulteriormente saggiata da quello che è divenuto noto come Sondaggio della pace. Organizzato dalla Società delle nazioni e ignorato dal partito conservatore, il sondaggio interessò più di mezzo milione di attivisti, tutti  volontari, e ricevete più di 11 milioni di risposte. La maggioranza schiacciante delle risposte si dichiarò per continuare ad appoggiare la Società delle nazioni, per il disarmo controllato, per restrizioni alla produzione privata di armi e per la riduzione della produzione di aerei militari.

Ancor più significativo fu che circa sette milioni di persone votarono a favore di immediate sanzioni economiche e non militari a carico dell’eventuale aggressore.

Sei milioni ritenevano che la forza andasse usata solo come estrema risorsa, mentre due milioni espressero la convinzione che la forza non dovesse essere mai usata in assoluto. Il sondaggio della pace mostrò che la gente era sensibile soprattutto al problema di come prevenire una guerra reale, più che alle questioni astratte sull’uso della forza o sull’esistenza della guerra giusta.

Ma anche così è chiaramente percepibile una forte, sotterranea corrente pacifista, mentre il numero di quanti si astennero dal rispondere alla domanda che toccava più direttamente la messa in atto di misure militari indica che questo era il punto sul quale in quel preciso momento molta gente era estremamente incerta.

I rapidi cambiamenti della situazione internazionale

I rapidi cambiamenti della situazione internazionale spingevano tuttavia a una continua revisione di atteggiamenti, ed è dal 1935 che molti pacifisti divennero meno convinti della loro posizione.

Dopo l’uscita del Giappone e della Germania dalla Società delle nazioni, la politica della sicurezza collettiva divenne meno convincente.

In realtà il governo britannico aveva ufficialmente abbandonato ogni pretesa di seguire una politica di sicurezza collettiva e aveva annunciato la sua intenzione di contrapporre al riarmo della Germania un proprio riarmo.

I dirigenti laburisti, che sostenevano il movimento pacifista, continuarono a apportare argomenti a favore della sicurezza collettiva perseguita attraverso la Società delle nazioni, ma evitarono ripetutamente di affrontare la questione di cosa fare se tali politiche non avessero avuto successo. In effetti, questo stava diventando il problema centrale per il movimento della pace nel suo complesso. Una persistente debolezza della posizione pacifista consisteva nel fatto che essa, come istanza politica più che come affermazione di una convinzione personale, non permetteva molte alternative.

Il pacifismo lasciava poco spazio al compromesso: la presunzione che esso dovesse avere necessariamente successo induceva molti a evitare di chiedersi che cosa avrebbero fatto se ciò non fosse avvenuto.

Guernica

Il lassismo inglese nella guerra in Spagna contro la dittatura fascista di Franco

Gli avvenimenti della seconda metà degli anni ‘30 sono troppo noti perché sia necessario soffermarsi su di essi.

Con l’Abissinia, il governo britannico si imbarcò in una strada di incertezza e di oscillazione.

Allo stesso modo la Gran Bretagna mancò di sviluppare una politica coerente rispetto alla guerra spagnola, continuando a giustificare il non intervento anche quando fu chiaro che la Germania e l’Italia stavano fornendo un aiuto considerevole a Franco e alla dittatura fascista. Con la conferenza di monaco nel 1938 Chamberlain continuava a credere che Hitler poteva essere soddisfatto e che si garantiva meglio la pace facendo concessioni piuttosto che lanciando avvertimenti collettivi internazionali.

In questi anni, l’opinione pacifista inglese dovete percorrere una strada molto difficile.

Il tema dominante della sinistra divenne l’antifascismo, e un pacifismo male inteso rischiava di essere preso per un sostegno a Hitler.

A parte ciò, molti pacifisti riconoscevano che stava diventando sempre meno realistica la possibilità di fermare il fascismo senza guerra.

E la Spagna forniva un chiaro esempio, provocando nella sinistra inglese emozioni che prima e dopo di allora raramente si sono riscontrate.

Il partito laburista, riconoscendo in che direzione portava la politica del non intervento, si accinse a un rovesciamento di linea politica, con tutto ciò che questo comportava in termini di possibile coinvolgimento militare.

Altri esponenti della sinistra abbandonarono del tutto la non violenza, sostenendo che la battaglia contro Franco e la dittatura era già la guerra contro il fascismo. I modi di sentire si fecero ancora più duri.

Un’accusa ingiusta

Il movimento per la pace degli anni ‘30 è stato accusato qualche volta di aver apparentemente indebolito la posizione del governo britannico.

Ma questa accusa sembra particolarmente infondata.

I pacifisti erano sempre stati molto decisi nella denuncia dell’aggressione.

Pochi avevano difeso una politica di pace a ogni costo se ciò significava aprire la strada agli aggressori.

Il sostegno pacifista alla Società delle nazioni, alla politica di sicurezza collettiva e al disarmo, aveva mirato proprio al controllo effettivo delle minacce e alla sicurezza internazionale.

Il pacifismo rafforza la consapevolezza sul pericolo che il fascismo costituiva per l’Europa intera

L’ostilità al fascismo era basata, in particolare, sulla minaccia che il fascismo costituiva per la pace mondiale, e i pacifisti sostennero ripetutamente la necessità di una forte azione congiunta per controllare i dittatori.

Gli errori dei politici difficilmente possono essere addebitati al movimento per la pace.

La loro origine è da ricercare nelle false opinioni su Hitler e Mussolini del tutto inadeguate.

Il pacifismo era divenuto dopo il 1940 una posizione che si era dovuta abbandonare di fronte alla cruda realtà dei fatti politici, uno dei quali fu il pericolo di una imminente invasione tedesca, una considerazione che molti avevano mancato di mettere in conto.

La guerra apparve come un male minore contro il fascismo.

Che questa sia stata per diversi aspetti una sconfitta per il movimento per la pace è ovvio. Ma da altri punti di vista il movimento aveva anche avuto un grande successo. Esso aveva dato l’avvio a un’analisi nuova sulla guerra e sui probabili beneficiari della guerra e nella sua ricerca di pace aveva enormemente contribuito a rafforzare la consapevolezza popolare sul pericolo che il fascismo costituiva per l’Europa intera.

 

Approfondimenti:

 

Elorza, Documenti e discorsi del militare ingenuo, San Sebastian

Erasmo da Rotterdam, Contro la guerra, a cura di F.Gaeta, L’Aquila

Trattato sulla tolleranza, a cura di Palmiro Togliatti, Editori Riuniti Roma

 

Bibliografia ragionata

 

AA.VV. , Bandiere di pace, Chimienti, Taranto

Aron, Pace e guerra tra le nazioni, tr.it. Comunità, Milano

Bartels, L’Europa dei movimenti per la pace, in Giano n. 4/1990

Battistelli, Sociologia e guerra. Il problema della guerra nelle origini del pensiero sociologico, Archivio Disarmo, Roma

Bobbio, Il problema della guerra e le vie della pace, Il Mulino, Bologna

Collotti, G. Di Febo, (a cura di), Contro la guerra. La cultura della pace in Europa (1789-1939), Dossier Storia, Giunti, Firenze

J. P. Taylor, English History 1914-45. Oxford University Press

 

Analisi:

Branson, M. Haienemann, L’Inghilterra degli anni Trenta, Laterza Bari

Ceadel, Pacifismi in Britain, Oxford University Press

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L’evoluzione del pacifismo

I movimenti pacifisti dall’Ottocento al Novecento.

L’evoluzione del pacifismo

I movimenti pacifisti sono diventati lievito di speranza e la loro attività si è intrecciata con altri movimenti: per i diritti civili, per l’emancipazione della donna, per i diritti umani, per l’autodeterminazione dei popoli e per la difesa dell’ambiente.

I movimenti per la pace

I movimenti pacifisti: origini e sviluppi

L’Ottocento pacifista

Il pacifismo come corrente di idee e movimento finalizzato a prevenire e contrastare la guerra è nato nel corso dell’Ottocento.

La questione della pace e della guerra fino all’Ottocento è stata esclusiva prerogativa dei capi di Stato, monarchi più o meno assoluti.

È nell’Ottocento che privati cittadini si cominciano ad associare per provare a dire la loro sulla questione Pace.

Non più tema esclusivo per letterati, filosofi, autori che hanno scritto contro la guerra e i suoi errori e orrori,  invocando la pace, pure presenti in ogni tempo.

Il grande contributo dei quaccheri e della borghesia illuminata

Quelle che si possono definire le prime associazioni pacifiste sorsero promosse dai quaccheri a New York, Filadelfia, Boston, nel 1815.

Il pacifismo dei quaccheri si ispirava a George Fox che nel 1651 aveva rifiutato un incarico militare e il suo diniego passò alla storia.

Le Società per la pace

Nasce quindi negli Stati Uniti la Società della pace di New York cui seguì nel 1816 in Inghilterra la Società per la promozione della pace permanente e universale, costituita perlopiù da gruppi provenienti dalla borghesia liberale e intellettuale.

Negli Stati Uniti il movimento elaborò varie proposte tra cui un collegio arbitrale sul modello del diritto privato per risolvere le controversie internazionali cioè con l’arbitrato, una metodologia alternativa e un sistema di risoluzione delle controversie.

Nell’Europa continentale la prima associazione pacifista è considerata la Società della pace nel 1830 con alla base non solo motivazioni religiose, ma anche politiche ed economiche nella sua opposizione alla guerra.

Diversi congressi si tennero negli anni successivi: a Londra, a Bruxelles, Parigi, Francoforte.

Quello di Parigi, Il Congresso degli amici della Pace, è considerato il primo congresso internazionale del pacifismo. All’ordine del giorno l’arbitrato, il disarmo, il congresso delle nazioni, circa 600 i partecipanti, celebre il discorso di Victor Hugo “verrà un giorno…” per una unione dell’Europa, appello per l’educazione alla pace.

La pace

La nascita delle Leghe per la pace

A Parigi nasce la Lega internazionale permanente della pace da gruppi liberali e borghesi che sostenevano la pace quale interesse nazionale per favorire i commerci tra i popoli. A Ginevra invece si tiene il congresso costitutivo della Lega internazionale della pace e della libertà con orientamento più radicale e con significativa presenza femminile: i fondatori sono radicali, democratici, anarchici, liberali, socialisti.

Notevole la risonanza: diecimila i partecipanti, presidenza di Giuseppe Garibaldi, presenza di Victor Hugo e Bakunin.

Il programma prevedeva la creazione degli Stati Uniti d’Europa, l’eliminazione degli eserciti permanenti da sostituire con le milizie popolari, il diritto al lavoro e all’istruzione, l’autodeterminazione dei popoli. È il filone democratico e radicale del pacifismo di quei tempi e in seguito si farà strada il pacifismo operaio e socialista.

Il termine delle Leghe che contrastavano la guerra

Le due Leghe per la pace terminano la loro esistenza con la guerra franco-prussiana del 1870, dopo aver svolto comunque un ruolo non inutile nell’Europa del tempo: voci dissonanti e di speranza nell’Europa del colonialismo e dell’imperialismo, che parlava di pace e invece, al contrario, preparava la guerra.

Negli anni successivi ci fu una notevole ripresa del pacifismo sul vecchio continente: nacquero oltre cento associazioni con migliaia di aderenti. Un ruolo particolarmente rilevante svolse la partecipazione femminile e ancora l’arbitrato il disarmo, con l’abolizione della leva obbligatoria, i temi centrali tra l’ottocento e il novecento.

La prima e la seconda guerra mondiale: tragedia per il pacifismo

Mentre già comparivano minacciose all’orizzonte le nubi della guerra, il pacifismo si preparava a una drammatica battuta d’arresto.

La guerra per il predominio in Europa che si scatenerà da lì a pochi anni. Il pacifismo è travolto assieme al resto. Sarà una dura, tragica sconfitta.

Ma proprio dalla immane carneficina e tragedia della prima guerra mondiale, la necessità dell’impegno contro la guerra avrà nuovi impulsi e sarà più urgente che mai.

Fascismo e nazismo faranno strame di qualsiasi pacifismo e saranno tempi duri per tutti i pacifisti. Infatti in Germania nel 1933 saranno messe proprio fuorilegge le associazioni pacifiste.

L’impegno pacifista dal dopoguerra all’attualità

Dal 1945 a livello internazionale varie sono state le fasi della mobilitazione dei movimenti pacifisti di massa contro l’atomica e i rischi della guerra nucleare; contro la guerra in Vietnam; contro i nuovi missili nucleari dell’est e dell’ovest; contro la prima guerra del Golfo; contro la guerra infinita del dopo 11 settembre 2001.

Così i movimenti pacifisti diventano lievito di speranza e si intrecciano con altre realtà, associazioni e con altri movimenti: per i diritti civili, per l’emancipazione della donna, per i diritti umani e per l’autodeterminazione dei popoli, contro il nucleare civile e militare e per la difesa dell’ambiente.

 

Approfondimenti sul pacifismo:

  • Pallotti V., Cinquant’anni di pace in Europa: eventi e immagini, a cura del centro di documentazione del manifesto pacifista internazionale, Bologna
  • Pallotti V., Perché? Guerra, corsa agli armamenti. Catalogo della mostra del manifesto contro… per una cultura di pace e nonviolenza, Bologna
  • Pallotti V., Camminare per la pace. Marce e cammini per la pace e la nonviolenza, Comune di Casalecchio di Reno – Casa per la pace “la filanda”, Bologna 2009

 

Approfondimenti:

  • Elorza, Documenti e discorsi del militare ingenuo, San Sebastian
  • Erasmo da Rotterdam, Contro la guerra, a cura di F.Gaeta, L’Aquila
  • Trattato sulla tolleranza, a cura di Palmiro Togliatti, Editori Riuniti Roma

 

Bibliografia ragionata:

  • AA.VV. , Bandiere di pace, Chimienti, Taranto
  • Aron, Pace e guerra tra le nazioni, tr.it. Comunità, Milano
  • Balducci E., Vinceremo noi pacifisti. Fosse anche tra mille anni, in L’Unità, 6 Marzo 1991
  • Bartels, L’Europa dei movimenti per la pace, in Giano n. 4/1990
  • Battistelli, Sociologia e guerra. Il problema della guerra nelle origini del pensiero sociologico, Archivio Disarmo, Roma
  • Bello Don Tonino, Alfabeto della vita, Paoline, Milano 2009
  • Bobbio, Il problema della guerra e le vie della pace, Il Mulino, Bologna
  • Collotti, G. Di Febo, (a cura di), Contro la guerra. La cultura della pace in Europa (1789-1939), Dossier Storia, Giunti, Firenze
  • Rochat G., L’Antimilitarismo oggi in Italia, Claudiana, Torino
  • Taylor, English History 1914-45. Oxford University Press

 

Riflessioni sulla contemporaneità:

  • Pugliese F., Abbasso la guerra. Persone e movimenti per la pace dall’800 a oggi, Grafiche futura, Mattarello – Trento
  • Pugliese F., I giorni dell’arcobaleno. Diario- cronologia del movimento per la pace, prefazione di Alex Zanotelli, Futura, Trento
  • Pugliese F., Per Eirene. Percorsi bibliografici su pace e guerra, diritti umani, economia sociale, Forum Trentino per la pace e i diritti umani, Trento
  • Pugliese F., Carovane per Sarajevo. Promemoria sulle guerre contro i civili, la dissoluzione della ex Jugoslavia, i pacifisti, l’ONU (1990-1999), Prefazione di Lidia Menapace, Introduzione di Alessandro Marescotti, Alfonso Navarra, Laura Tussi
  • Manifesti raccontano…Le molte vie per chiudere con la guerra,a cura di Vittorio Pallotti e Francesco Pugliese, Recensione di Laura Tussi, Prefazione di Peter Van Den Dungen, coordinatore generale della Rete Internazionale dei Musei per la Pace e Joyce Apsel, Università di New York
  • Strada G., Ma l’abolizione della guerra non è un’utopia di sinistra, in La Repubblica, 2006

 

Analisi:

  • Branson, M. Haienemann, L’Inghilterra degli anni Trenta, Laterza Bari
  • Ceadel, Pacifismi in Britain, Oxford University Press

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Pace e Illuminismo

Uno spaccato illuminista sulla pace

Pace e Illuminismo

La nostra matrice laica, basata sulla valorizzazione dell’ideale assoluto della pace, sulla critica delle religioni e del potere clericale e del Vaticano è alla base della nostra origine e radice illuminista

Dalle origini dell'Illuminismo per la pace

Uno spaccato illuminista sulla pace 

Nell’Enciclopedia degli illuministi francesi alla voce guerra si legge da sempre che gli uomini, per ambizione, per avarizia, per gelosia, per perfidia sono giunti a spogliarsi, bruciarsi e sgozzarsi gli uni con gli altri. Per farlo in modo più ingegnoso, hanno inventato regole e principi che vengono chiamati arte militare e hanno associato alla pratica di queste regole l’onore, la nobiltà, la gloria.

L’Illuminismo è la prima cultura europea moderna che si può definire pacifista per l’affermazione di un pensiero laico, razionale, contrario a fanatismi e dogmi.

È dal millesettecento in avanti che la condanna della guerra non è più soltanto morale, diventa politica e assume le caratteristiche di programma politico. Un precursore è l’Abbé Charles de Saint-Pierre con il Progetto per rendere la pace perpetua in Europa poi commentato anche da Rousseau.

Fondamentale l’opera di Kant: enorme l’influenze del suo Per la pace perpetua del 1795, la pace fondata sulla democrazia e sul diritto e da raggiungere con la sostituzione dei regimi assoluti con la Repubblica capaci di costituire una federazione di liberi Stati in grado di eliminare la guerra.

Ma era stato preceduto da Erasmo Da Rotterdam.

Di Erasmo la prima critica approfondita alla guerra e il suo appello: “la guerra cambia gli uomini in bestie feroci… io non esorto e non prego: imploro. Cercate la pace”.

Non meno solenni le parole di Voltaire: “la cosa più straordinaria di queste imprese infernali è che ciascuno di quei capi di assassini fa benedire le proprie bandiere e invoca solennemente Dio prima di andare a sterminare il suo prossimo.

Quando le persone sterminate sono almeno diecimila e per colmo di grazia qualche città è andata completamente distrutta, allora si canta a quattro voci una canzone piuttosto lunga. La stessa canzone serve per il matrimonio e per le nascite”.

Robespierre pronuncia vari discorsi contro la guerra. Afferma: “respingete i principi della falsa e deplorevole politica che finora ha fatto l’infelicità dei popoli per soddisfare l’ambizione e i capricci di alcuni uomini. Rinunciate ad uno spirito di conquista e di ambizioni: rifiutate al re e ai suoi ministri il diritto di decidere da soli della guerra e della pace.

La guerra e il flagello più grande.

La guerra nelle mani del potere esecutivo non è che un mezzo per rovesciare la costituzione.

La guerra è buona solo per uomini d’armi, per gli ambiziosi, per i profittatori, è buona per il potere esecutivo di cui aumenta l’autorità, l’ascendente.

La guerra affida l’ordine nelle nostre città di frontiera ai comandanti militari e fa tacere davanti a loro le leggi che proteggono i diritti dei cittadini”.

 

Approfondimenti:

 

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Il Manifesto – Lettera a Virginio Bettini. A un anno dalla sua scomparsa

Sul quotidiano comunista Il Manifesto:

Il Manifesto – Lettera a Virginio Bettini. A un anno dalla sua scomparsa

Lettera a Virginio Bettini pubblicata sul quotidiano comunista Il Manifesto in data 22 Settembre 2021. Virginio Bettini sempre contro il nucleare civile e militare: una vita di studio e attivismo
Virginio Bettini sempre contro il nucleare civile e militare: una vita di studio e attivismo
In Memoria di Virginio Bettini

Lettera a Virginio Bettini. A un anno dalla sua scomparsa

È occorso parecchio tempo per preparare il tuo libro postumo perché come tu ci hai chiesto, necessitava dei contributi di due tuoi cari compagni. Il primo contributo di Maurizio Acerbo e il secondo di Paolo Ferrero

Virginio Bettini sempre contro il nucleare civile e militare: una vita di studio e attivismo

Lettera a Virginio Bettini. A un anno dalla sua scomparsa

In Memoria di Virginio Bettini

A un anno dalla sua scomparsa

 

Caro Virginio,

eccoci qui un anno dopo la tua scomparsa, un anno trascorso all’insegna dell’impegno ecologico e di lotte di resistenza proprio come tu ci hai sempre spronato a fare, anche con i libri che abbiamo scritto assieme.

Un anno impegnativo che senza la tua presenza si è dimostrato difficile e non senza problemi da affrontare e superare.

Tu, Virginio, pioniere dell’ecologia italiana insieme a Giorgio Nebbia che definivi il tuo “grande compagno di viaggio”.

Nel 1970 eri negli USA con Barry Commoner di cui hai tradotto in italiano il fondamentale libro “Il cerchio da chiudere” e con lui hai pubblicato a doppia firma “Ecologia e lotte sociali” nel 1976. Insieme a Commoner in Vietnam per denunciare i disastri causati dalla guerra chimica USA. Ti sei sempre definito “commoneriano”.

La tua è stata una vita di studio, ricerca e attivismo.

Dal 1971 al 2012 hai insegnato all’Università di Architettura di Venezia (IUAV), ecologia, analisi e valutazione ambientale ed ecologia del paesaggio. Autore di libri, ricerche e articoli che hanno dato un contributo essenziale all’ambientalismo critico nel nostro paese. E hai messo il tuo sapere al servizio dei movimenti e delle comunità, da Seveso, alla mobilitazione antinucleare, al no tav.

Sei stato anche parlamentare europeo verde nel 1989. Più tardi ti sei avvicinato a Rifondazione Comunista e come candidato nel 2001 e hai partecipato al Forum Ambientalista condividendo la necessità di un approccio rossoverde anticapitalista…

Quando ripensiamo all’ultimo giorno trascorso assieme alla panetteria occupata di Milano per discutere e organizzare azioni future contro il nucleare civile e militare, ci si stringe il cuore.

Ma noi andiamo avanti, non ci arrestiamo, continuiamo a fare tutto quello che ci hai insegnato, cioè lottiamo per un mondo migliore anche scrivendo e presentando i nostri libri scritti con la tua collaborazione.

Durante il primo lockdown, abbiamo avuto modo e piacere nell’aiutarti a scrivere il tuo ultimo libro di ecologia, ecologia alla tua maniera e cioè militante. Perchè tu sei un militante dell’esistenza.

L’ultima cosa che ci hai chiesto è stata di pubblicare assolutamente questo libro è ci hai chiesto di portarlo ovunque venga richiesta testimonianza e in particolare di diffonderlo tra i giovani.

Eccoci caro Virginio, il libro è in dirittura d’arrivo.

È occorso parecchio tempo per preparare il libro perché come tu ci hai chiesto, necessitava dei contributi di due tuoi cari compagni, che sono in seguito arrivati.

Il primo contributo di Maurizio Acerbo e il secondo di Paolo Ferrero.

Con Fabrizio Cracolici, ho scritto la prefazione che tanto ti è piaciuta e Alfonso Navarra, storico ecopacifista, la postfazione.

Anche a Venezia e in Sardegna hanno organizzato iniziative per ricordarti e per commemorare tutto il tuo portato culturale e valoriale sull’ideale assoluto della tutela dell’ambiente e per salvare questo nostro pianeta al collasso e la nostra umanità al tracollo dalle insidie del nucleare civile e quindi anche militare.

La tua, una costante voce fuori dal coro per la salvaguardia ecosistemica e quindi per la Pace di questa nostra martoriata madre terra.

Arrivederci caro Virginio. Ti ritroveremo sempre in quell’immenso patrimonio culturale e ideale che ci hai lasciato e lo porteremo avanti come giusta causa di lotta e militanza ecopacifista.

I tuoi amici e compagni

Laura e Fabrizio

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“Queste persone dovrebbero solo vergognarsi” afferma il sindaco Maria Luisa Di Tommaso. Ferme condanne di padre Alex Zanotelli, di Libera contro le mafie, della rete Pangea e del Professor Sergio Vellante e del vescovo emerito di Caserta Raffaele Nogaro

Atti vandalici al Giardino della Pace di Alife - Caserta

Giardino della Pace di Alife: distrutte targhe e rubati faretti solari

“Queste persone dovrebbero solo vergognarsi” afferma il sindaco Maria Luisa Di Tommaso. Ferme condanne di padre Alex Zanotelli, di Libera contro le mafie, della rete Pangea e del Professor Sergio Vellante e del vescovo emerito di Caserta Raffaele Nogaro

 

Messaggio di padre Alex Zanotelli, missionario comboniano, ispiratore dei Movimenti per la Pace e i diritti in Italia.

ALIFE: SFREGIO ALLA PACE

Sono rimasto profondamente amareggiato, quando mi è stata comunicata la notizia dello sfregio alla panchina, all’albero della Pace nel piccolo giardino della pace di Alife – Caserta.

Questo gesto vandalico è estremamente grave perché manifesta il disprezzo verso i grandi valori della Pace, del “ripudio della guerra”(art.11della Costituzione) e della nonviolenza attiva, i grandi valori che permetteranno di muoverci lentamente verso “un’umanità plurale”. Padre Alex Zanotelli, missionario comboniano.

Messaggio di Raffaele Nogaro, vescovo emerito di Caserta:

La pace è il bene supremo da promuovere sempre, da curare sempre, da difendere sempre.

Sono amareggiato perché la volgarità di certi spiriti non solo non vuole la pace ma anche deride e calpesta i simboli della pace. Il fatto di Alife successo alla promotrice di pace Agnese Ginocchio, è motivo di provvisoria delusione perché i credenti della pace sapranno difenderla ed attuarla anche senza simboli e senza bandiere. Raffaele Nogaro

 

Distrutto ad Alife il Giardino della Pace, voluto dall’iniziativa del Movimento per la Pace, e la panchina contro la violenza sulle donne. “Gli atti vandalici e di sfregio che si stanno verificando nell’area che ospita l’Albero della Pace – ha affermato Agnese Ginocchio, presidente del Movimento – hanno distrutto i nostri simboli. Gruppetti di giovani in preda al male, sfasciano gli emblemi dedicati alla Pace e alla legalità, ma cosa ancor più grave si sono accaniti contro la panchina-simbolo contro i femminicidi. Panchina che è dedicata alla memoria di una donna uccisa“.

Distrutto e vandalizzato il Giardino della Pace di Alife – Caserta

Vandalizzata più volte la targa di dedica della panchina su cui si legge il nome “Stefania Formicola” con tutta la fioriera. Rubati anche i faretti solari posti ai piedi degli alberi. Danneggiate le altre targhe, come quella del finanziere Antonio Sottile, vittima di mafia, caduto a Brindisi e Giuseppe Macchiarelli caduto nella strage alla Conservatoria degli uffici immobiliari di Santa Maria Capua Vetere. Inoltre, i sassi rappresentativi sono spostati e lanciati ovunque, e le piantine sono state sradicate. Oltretutto è stata vandalizzata la scultura lignea dedicata all’ultimo reduce sopravvissuto e testimone degli orrori della guerra, cavaliere Giovanni Di Franco, che era stata posta sotto l’Albero della Pace.

“Ma quel che più ci sconforta è che in quel luogo che riteniamo sacro, c’è tutto il percorso educativo avviato nel corso degli anni con le scuole, attraverso il progetto della ‘Fiaccola della Pace’, e la panchina era parte di questo percorso educativo. Di tutto questo verrà fatta una relazione, per presentare denuncia ai carabinieri, i quali sono già stati messi al corrente dei fatti accaduti“, ha concluso Agnese Ginocchio.

Le parole del sindaco di Alife

Per Maria Luisa Di Tommaso, sindaca di Alife “è grave che nell’anno 2021 succedano ancora queste cose. Sicuramente si tratta di persone incivili che, danneggiando questi simboli, dimostrano di non avere rispetto degli alti valori che tali simboli rappresentano: la pace, la solidarietà, la giustizia, la legalità. Ringrazio la presidente Ginocchio che è sempre attenta a questi sentimenti e si impegna al massimo tutto l’anno e in ogni occasione per mantenerli vivi nella nostra Comunità. Comprendo molto bene la sua amarezza e le sono vicina quando spesso si trova davanti a tali atti vandalici. Queste persone dovrebbero solo vergognarsi“.

Il Coordinamento provinciale di Libera contro le mafie ha scritto un comunicato di condanna contro questa grave azione vandalica.

La rete Pangea per la nonviolenza di Scampia e il professor Sergio Vellante, docente universitario, padre Alex Zanotelli e il vescovo emerito di Caserta Raffaele Nogaro hanno espresso condanna e manifestato solidarietà  al movimento per la Pace rappresentato da Agnese Ginocchio, cantautrice e Testimonial per la pace e la nonviolenza, che ha in cura il Giardino di Alife.

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Pacifismo: un’altra prospettiva?

Pace: alta aspirazione dell’umanità

Pacifismo: un’altra prospettiva?

“È ancora lunga la strada perché la guerra diventi un tabù come l’incesto – afferma padre Alex Zanotelli – ma vi è chi la percorre”. Il pacifismo. Un impegno da non dimenticare, per il futuro e per la storia, se la storia è selezione delle cose da ricordare, per la memoria e il futuro

Pace per l'umanità

Pace: alta aspirazione dell’umanità 

 

La pace è da sempre aspirazione centrale dell’uomo.

Con la Pace tutto è possibile, tutto si può realizzare. Con la guerra conta solo la vittoria militare. Tutti noi camminatori delle vie della pace e della nonviolenza ci incontriamo nelle marce, nelle manifestazioni e nei cortei semplicemente per dire no alla guerra.

Cosa hanno creato e animato i movimenti per la pace nei momenti e negli appuntamenti di massa? ma anche nell’impegno della quotidianità, nelle attività fuori dal clamore e dall’attenzione dei media?

Molteplici narrazioni per riportare sulla scena i protagonisti in carne e ossa, le loro motivazioni e i loro sentimenti, i loro saperi e le loro culture politiche, la loro spontaneità.

 

Un’altra prospettiva?

La pace è da sempre aspirazione centrale dell’uomo.

Con la pace tutto è possibile, tutto si può realizzare. Con la guerra conta solo la vittoria militare.

Tutto si fa per la pace, tutto ad essa si sacrifica.

“Prima di tutto la pace” era un diffuso slogan negli anni ‘80 del Novecento.

Per troppo lungo tempo, subculture e politiche prevalenti hanno pensato che la Pace è raggiungibile solo con la guerra. Che la pace altro non fosse che assenza di guerra e il luogo di preparazione della prossima inevitabile guerra.

Solo in tempi recenti si comincia a pensare la pace diversamente: molto di più che assenza di guerra e certo indiscutibilmente assenza di conflitti armati. Solo in tempi recenti si comincia a pensare la pace per via alternativa a quella classica delle armi, come l’arbitrato, i negoziati, il diritto internazionale. E solo in tempi recenti si è pensato a elidere il potere di fare la guerra al sovrano di turno. Chi ha deciso la politica coloniale italiana? La conquista della Libia? Chi la prima guerra mondiale? Chi la seconda? Per secoli il pensiero, la politica, i miti, i riti convergevano sul fatto che la guerra fosse l’unico strumento e unica via per la pace.

 

La vera rivoluzione è quando comincia un pensiero alternativo.

Fino ad oggi l’Europa non ha ancora vissuto un periodo di pace duraturo, basti pensare ai conflitti in ex Jugoslavia e nelle nazioni dell’est Europeo, contando anche le cosiddette “missioni di pace” che altro non sono che azioni mirate a sostenere i privilegi predatori di alcune nazioni su altre.

E non molti sanno che il progetto  dell’unione dell’Europa nella pace non con le armi, ma come soluzione per niente guerrafondaia fu propugnata in primis dal pensiero pacifista.

Si pensi al congresso della pace di Parigi del 1849 quello presieduto da Vittorio Hugo, quello che pose l’accento sulla necessità dell’educazione alla pace. Non fu il mondo pacifista a rivendicare che decisioni sulla guerra fossero assunte dai parlamenti e non già dai sovrani e dai governi? E chi pensò al diritto e alle organizzazioni internazionali adeguate per costruire la pace?

Fu un pioniere del pacifismo quale Immanuel Kant.

Poteva nascere l’ONU senza questo pensiero? Il termine pacifismo è stato introdotto tra l’ottocento e il novecento.

 

Il pacifismo ha una sua storia.

Il pacifismo ha una sua storia e questo deve essere continuamente precisato.

Esso assume il significato di pensiero e pratiche, teorie e movimenti tesi a prevenire e contrastare la guerra, le culture guerresche e violente e i guerrafondai. E a elaborare e sostenere vie alternative per la soluzione di conflitti e di controversie internazionali.

Un movimento plurale.

Più forte e incisivo quando è stato capace di essere autonomo e coerente e quando ha coltivato e prodotto idee forti, illuminanti, alterità di pensiero, pratiche coerenti.

È un arcipelago.

Un pacifismo di teorici, un pacifismo politico e non di partito, un pacifismo dei movimenti, un pacifismo spontaneo delle persone, un pacifismo delle classi sociali. È però poco studiato nella sua pluralità e complessità. Nella sua influenza, nelle sue contraddizioni e risultati.

Forse si pensa che poi comunque le guerre ci sono state, che i pacifisti hanno sempre perso, che non hanno ottenuto nulla. Forse perché l’utopia della pace è rimasta tale? Non è esattamente così.

Si accennava alla semina del pacifismo che ha prodotto raccolti. In alcune fasi il pacifismo è riuscito a condizionare l’azione di leaders politici e governi. Durante gli anni più duri della guerra fredda è riconosciuto che la mobilitazione di massa ha contribuito ad evitare l’uso dell’atomica.

 

Il pacifismo oggi.

E il premio Nobel per la pace del 2017 alla campagna Ican per il trattato di proibizione delle armi nucleari? Autentico e imprescindibile e grande contributo per il disarmo nucleare mondiale che ha coinvolto migliaia di attivisti e centinaia di associazioni in tutto il mondo. Di recente ai movimenti pacifisti è anche ascrivibile in Italia la legge 185/1990 che finalmente ha posto qualche vincolo alla esportazione di armi e è dei pacifisti il merito alla campagna internazionale per la messa al bando delle mine Nobel per la pace del 1997.

E senza l’imponente movimento del 2003 il governo italiano non avrebbe coinvolto pienamente e ancora maggiormente il nostro paese nella guerra di Bush all’Iraq dell’ex amico Saddam? Si possono cancellare gli enormi contributi del pacifismo per controbattere alla glorificazione della guerra, per smentire la convinzione della sua fatalità, per un sapere di Pace? Cenni per dire che l’influenza del pacifismo è ancora tutta da studiare.

Perché quanti si sono opposti alla prima guerra mondiale, con prezzi salatissimi non devono essere considerati soggetti di storia? Il cammino è lungo e tortuoso ma è frequentato.

“È ancora lunga la strada perché la guerra diventi un tabù come l’incesto – afferma padre Alex Zanotelli – ma vi è chi la percorre”. Se pensiamo alle numerose guerre in corso nel mondo dal dopo guerra fredda non rimane altro che prendere atto della sconfitta del pacifismo. Ma sarebbero conclusioni affrettate e errate oltretutto perché non tengono conto dell’enorme sproporzione di mezzi tra pacifismo e guerrafondai. Il pacifismo. Un impegno da non dimenticare, per il futuro e per la storia, se la storia è selezione delle cose da ricordare, per la memoria e il futuro.

 

Approfondimenti:

 

Elorza, Documenti e discorsi del militare ingenuo, San Sebastian

Erasmo da Rotterdam, Contro la guerra, a cura di F.Gaeta, L’Aquila

Trattato sulla tolleranza, a cura di Palmiro Togliatti, Editori Riuniti Roma

 

Bibliografia ragionata:

 

AA.VV. , Bandiere di pace, Chimienti, Taranto

Aron, Pace e guerra tra le nazioni, tr.it. Comunità, Milano

Bartels, L’Europa dei movimenti per la pace, in Giano n. 4/1990

Battistelli, Sociologia e guerra. Il problema della guerra nelle origini del pensiero sociologico, Archivio Disarmo, Roma

Bobbio, Il problema della guerra e le vie della pace, Il Mulino, Bologna

Collotti, G. Di Febo, (a cura di), Contro la guerra. La cultura della pace in Europa (1789-1939), Dossier Storia, Giunti, Firenze

Taylor, English History 1914-45. Oxford University Press

 

Riflessioni sulla contemporaneità:

 

Pugliese F., Abbasso la guerra. Persone e movimenti per la pace dall’800 a oggi, Grafiche futura, Mattarello – Trento

Pugliese F., I giorni dell’arcobaleno. Diario- cronologia del movimento per la pace, prefazione di Alex Zanotelli, Futura, Trento

Pugliese F., Per Eirene. Percorsi bibliografici su pace e guerra, diritti umani, economia sociale, Forum Trentino per la pace e i diritti umani, Trento

Pugliese F., Carovane per Sarajevo. Promemoria sulle guerre contro i civili, la dissoluzione della ex Jugoslavia, i pacifisti, l’ONU (1990-1999), Prefazione di Lidia Menapace, Introduzione di Alessandro Marescotti, Alfonso Navarra, Laura Tussi

Manifesti raccontano…Le molte vie per chiudere con la guerra,a cura di Vittorio Pallotti e Francesco Pugliese, Recensione di Laura Tussi, Prefazione di Peter Van Den Dungen, coordinatore generale della Rete Internazionale dei Musei per la Pace e Joyce Apsel, Università di New York

Strada G., Ma l’abolizione della guerra non è un’utopia di sinistra, in La Repubblica, 2006

 

Analisi:

Branson, M. Haienemann, L’Inghilterra degli anni Trenta, Laterza Bari

Ceadel, Pacifismi in Britain, Oxford University Press

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